martedì 13 dicembre 2011

LA SINDROME DI BEELZEBUL

Quando mi è capitato di commentare alcune delle mie vecchie storie di Zagor, ho ricevuto richieste perché continuassi a farlo, occupandomi di quelle avventure che hanno finito, a torto o a ragione, per venire considerate dei piccoli “classici” all’interno della serie dello Spirito con la Scure. E’ successo anche che una di queste mie auto-disamine risultasse essere tra gli articoli più cliccati dell’intero blog: è il caso de “I cavalieri del Graal”, visitatissima tutti i giorni perché, pur parlando di un racconto a fumetti, approfondisco sia il tema dei Templari che quello delle leggende di Parsifal e del Re Pescatore (ma parlo anche di George Catlin e dei Mandan).

Dato che negli ultimi giorni ho anche rivangato molti aneddoti del mio passato e raccontato delle mie prime esperienze fumettistiche, mi piacerebbe a disposizione degli interessati qualche appunto riguardante proprio l’avventura zagoriana con cui ho esordito, e cioè “Pericolo mortale”: una storia di 215 tavole illustrate da Gallieno Ferri (Zenith 361/362/363, maggio/luglio 1991). In realtà, lascerò presto la parola a un commentatore d’eccezione (vi spiegherò dopo di chi si tratta). Però, prima, bisogna che faccia qualche premessa.


Come sia arrivato a presentare un soggetto, vederlo accettato e quindi mettermi al lavoro sulla sceneggiatura, l’ho già raccontato. Credo anche di aver rivelato, nella ricca aneddotica che ormai infiocchetta questo blog, che a presentarci a Sergio Bonelli, nel 1987, con il progetto di quella storia fummo in due: io e Dante Bastianoni, giovani aspiranti autori di belle speranze. Io volevo scrivere, lui voleva disegnare: unimmo le nostre forze e realizzammo qualche tavola di prova. Appunto, le prime sequenze di “Pericolo mortale”, che nella mia stesura originale era intitolata “La sindrome di Beelzebul”. Qui accanto e più sotto potete vedere un paio di quelle pagine illustrate da Dante, e se siete proprio curiosi potreste andare a confrontarle con la versione che Ferri avrebbe invece dato in seguito.Bastarono queste prove per far assumere Bastianoni nello staff di Martin Mystère. Per me, invece, ci fu da aspettare ancora due anni.

Un’altra cosa abbastanza singolare fu il fatto che l’avventura cominciasse in un albo, “I malefici di Diablar”, alla conclusione di un altro racconto (scritto da Ade Capone) e subito si interrompesse, dopo soltanto una trentina di pagine, per continuare nel numero successivo: ebbene, quelle pagine iniziali contenevano soltanto un lungo sketch di Cico, realizzato sulla falsariga di quelli che Guido Nolitta era solito premettere all’entrata nel vivo delle proprie sceneggiature. Dato che la scenetta umoristica si basava sul fascino latino del messicano messo alla prova come seduttore, Decio Canzio intitolò quella prima sezione “Cico rubacuori”. Così, questo è il buffo titolo del mio primo racconto che rimarrà per sempre negli annali: ma pensa un po'. Siccome nello stesso mese uscì in edicola anche il mio primo Speciale Cico, intitolato “Cico Trapper”, i lettori di Zagor, che ancora non mi conoscevano, per un intero mese, quello di maggio del 1991, ebbero di me l’immagine di uno capace soltanto di scrivere gag (ammesso e non concesso che almeno di quello mi ritenessero capace). Soltanto dopo trenta giorni, con la seconda parte de “La sindrome di Beelzebul”, il pubblico poté cominciare a rendersi conto di quel che sapevo (o non sapevo) fare.

Trattandosi della mia prova, la Casa editrice ritenne, a ragione, di mettermi sotto il controllo di un tutore d’eccezione: Renato Queirolo. Renato mi guidò perché muovessi i primi passi nella direzione giusta impedendo che prendessi direzioni sbagliate e corresse qua e là i miei dialoghi. Fra le cose che Queirolo mi diceva c’era la profonda verità per cui la prima storia è sempre più facile da scrivere della seconda ed è più probabile che venga bene: in tanti hanno un progetto nel cassetto che, a forza di venire limato, perfezionato, cesellato e ripensato, alla fine funziona. I veri guai cominciano con le storie successive, quando si tratta di sfornare idee a tambur battente e scrivere senza avere il tempo di pensarci troppo, dato che il fumetto seriale macina tavole su tavole tutti i mesi. Aveva ragione.

In ogni caso, tanta fu la mia soddisfazione nel veder arrivare in edicola un progetto a cui avevo così a lungo lavorato e su cui avevo investito tante speranze, che radunai tutti i fogli accumulati nel corso degli anni (dal primo soggetto scritto a macchina da scrivere alle ultime tavole uscite dalla stampante ad aghi di un primordiale computer, comprese tutte le correzioni a penna di Queirolo) e li feci rilegare in un volumone che mi ricordasse per sempre quella fatica. Qualche anno dopo, però, Paola Barbato mi chiese qualcosa da mettere all’asta per una raccolta fondi da lei organizzata a favore di una associazione per la ricerca e la cura di una grave malattia, la Corea di Hungtinton, e io le regalai il tomo, che fu battuto all’asta per una cifra superiore a ogni aspettativa e finì nelle mani di un collezionista. Di recente sono stato invitato a casa dell’acquirente, che mi ha mostrato il grosso libro, custodito nei suoi capienti scaffali: è stata un’emozione che mi ha fatto riaffiorare alla mente tanti ricordi.


Ma torniamo alla storia de “La sindrome di Beelzebul” e all’ospite che tra qualche riga chiamerò a esprimersi sul mio lavoro di esordio. Il commentatore del racconto si chiama Zlatibor Stankovic. Il fatto che il suo nome cominci con la parola “zlat”, che significa oro in serbo e in croato, mi fa pensare che abbia un significato aureo. In ogni caso, si tratta di un giornalista di Nis, in Serbia, la città natale dell’imperatore Costantino. Ho conosciuto Zlatibor durante il viaggio a Kragujevac fatto la scorsa estate insieme a Joevito Nuccio: mi vedete nella foto con lui. In mano, aveva un regalo per me: una copia rilegata di un suo articolo dedicato proprio al commento di “Pericolo mortale”, una fra le sue storie di Zagor preferite. Potete vedere in apertura la copertina del libro da lui realizzato e fatto tradurre in italiano perché potessi leggerlo. Gli ho chiesto il permesso di rendere pubblico un estratto del suo lavoro: lo trovate qui di seguito. Mai avrei creduto, alla fine degli anni Ottanta, che la mia “Sindrome di Beelzebul” avrebbe avuto una così attenta disamina come questa.


MORENO BURATTINI
ANNO ZERO
di Zlatibor Stankovic

Alla fine degli anni Ottanta dello scorso secolo il nome di Moreno Burattini era già noto tra gli appassionati di fumetti della Penisola appenninica. In quel periodo, il suo curriculum nel campo di fumetti si basava su numerosi lavori di critica e saggistica, sull’organizzazione di mostre, su alcune sceneggiature di fumetti e su lavori teatrali . Di certo, negli anni successivi Burattini avrebbe trovato il modo di sottolineare ancor di più il proprio nome nel comicdom italiano, ma è anche sicuro anche che questo nome non sarebbe stato nemmeno per la metà così noto com'è adesso se Sergio Bonelli non si fosse stancato di ricevere le sue lettere piene di critiche per le sceneggiature di Zagor, e non gli avesse chiesto: 'Se pensi di poterlo fare meglio, perche’ non scrivi tu una sceneggiatura di Zagor?’. Dopo aver pensato per un attimo, Burattini ha risposto. Ovviamente in modo affermativo. L’episodio ’Cico rubacuori’ ha segnato l’inizio del lavoro di Burattini su Zagor, un'attività che dura ancor oggi. Nel frattempo, l'autore è diventato curatore della collana e oggi è anche lo sceneggiatore che ha scritto il maggior numero di avventure del Spirito con la Scure.

Che si tratti di un bravo e ingegnoso autore lo testimoniano numerosi e importanti premi ricevuti in Italia per i suoi fumetti. Che si sia dedicato alla creazione del mondo di Zagor con tutto il cuore lo prova la sua dichiarazione secondo la quale lavorando per Sergio Bonelli ha raggiunto quello che per Erskine Caldwell è il massimo risultati nella vita: essere pagati per qualcosa che, avendo soldi, si sarebbe disposti a pagare per poter fare. E' grazie a questa sincera passione e questo coinvolgimento che nella maggior parte delle sue sceneggiature le avventure di Patrick Wilding e del suo compagno di viaggio Cico Felipe Cayetano Lopez Martinez y Gonzales si leggono d’un fiato. A cominciare da quella d'esordio.

Zagor, nella prima tavola di questa storia, compare emergendo da dietro una collina: è quasi la metafora dell’ispirazione che Burattini per lungo tempo ha portato dentro di sé, ed è l’immagine con cui lo sceneggiatore ha esordito nel mondo delle avventure dello Spirito con la Scure. Il suo Zagor è sorridente, ma carico di forza: appare al lettore come se emergesse dalla propria leggenda. Senza un piano largo, senza dettagli, senza pomposità, senza tutto quello che ci si sarebbe aspettato da uno che per la prima volta, non come lettore, ma come autore, si immerge nel mondo leggendario dell’ America del Nord.

Con ’La sindrome di Beelzebul’, il suo battesimo del fuoco, Burattini incomincia seminando nella parte più fertile del suolo di Darkwood: quello della fantascienza e dell'horror. Il rischio era però quello di ripeteresi, dato che esisteva già il precedente dell’idea di militari vittime di esperimenti di scienziati senza scrupoli nella storia con gli ’uomini rana’ de „L'avamposto dei mostri“. Il pericolo è stato evitato, arricchendo e trasformando lo spunto con una storia di trapper coraggiosi, di banditi senza scrupoli, di soldati fanatici ma anche costruendola come un apologo sul lato oscuro del progresso. Questa storia é tutto questo ed è anche molto di più. Giocando con i cliché, Burattini ha evitato le trappole degli stessi.

Con poche premesse il palcoscenico della vicende è pronto. Darkwood diventa subito misteriosa. Non così tanto che automaticamente ci aspettiamo che appaiano akkroniani o vampiri, ma sufficiente quel tanto che basta perché il solito bivacco bella foresta sembri insolito. Frequenti cambiamenti di scena trasformano il campo d'azione della storia in un universo a se stante, uno uno spazio ermetico pieno di quella sostanza misteriosa che sembra permeare tutta Darkwood. Kingston, la città in cui tuytto ha inizio, simbolo del progresso, è circondata da montagne il cui nome, Blacksteep Muntains, dice tutto. Il disegno del grande maestro Ferri rende fin dall'inizio partecipe ogni lettore del particolare stato d’animo con cui si legge questa storia.

All'inizio, l’incontro di Zagor con i suoi amici trapper è abbastanza lungo perché i lettori possano familiarizzare e solidartizzare con personaggi della frontiera dai caratteri allegri, e dunque per creare, dopo che alcuni saranno stati uccisi, una forte empatia con i sopravvissuti. Il successivo incontro con il gruppo di soldati chiamati Green Jackets, che si dirige verso le montagne, dura quanto basta perché la storia si faccia dinamica, ma non così tanto a lungo perché quegli strani soldati in quelle divise strane diventino troppo importanti fin dal principio. Poi, ecco il messaggio scritto con sangue sul cassone di un carro giunto in città grazie al cavallo impaurito che ha continuato la strada riportando a casa il padrone anche dopo la sua morte. Semplice. Comune. Geniale. Subito dopo, la città sembra sempre la stessa, però un già diversa. Le montagne che la circondano sono simili a tante altre, ma adesso celano uno spaventoso mistero. I fili della storia hanno già creato una rete abbastanza forte da portare il peso del cliché.

Il disegno nel frattempo non rinuncia mai a un atmosfera scura, buia, che non libera il panorama, neanche sotto sole, dall'ombra della tempesta che sta per arrivare. Le nuvole seguono Zagor e i suoi amici durante tutta la caccia. La rappresentazione della natura del maestro Ferri ha, nelle pagine di quest’avventura, la forza dei fulmini che si scaricano su per le sporgenti cime dei Blacksteep, e si dimostra anch'essa protagonista di questa storia. Una volta entrati nel vivo non ci saranno più eventi secondari, ne’ divagazioni: Burattini lo dimostra tramite due semplici espedienti narrativi. Il primo è il personaggio di un indiano che, rannicchiato accanto al corpo di sua moglie, aspetta che gli 'spiriti cattivi’ vengano a prendere anche lui. Il secondo è l' orribile scoperta fatta da Zagor in una capanna di trapper, i cui occupanti sono stati uccisi nello stesso, crudele modo del malcapitato ricondotto a Kingston dal suo cavallo. Questi due dettagli trasmettono un chiaro messaggio: il pericolo non é sporadico, ma generale. E può nascondersi ovunque.

Le carte sono sul tavolo, dunque, ma ancora non mischiate. E siamo a metà della storia. Il motivo degli omicidi misteriosi distrae abilmente il lattore finché nel punto culminante di un doppio crescendo, le pallottole volano in direzioni inaspettate. Lo Spirito con la Scure appare un’altra volta dietro la collina come all’inizio della storia, ma l'insediamento umano che compare ai suoi occhi, rappresentato da un fortino militare, ha adesso un aspetto completamente diverso: è la dimora di orrende creature.

La vitalità del disegno di Ferri non cede. Sembra, anzi, che il veterano si stesse solo riscaldando, e lo dimostrano le tavole seguenti, nelle quali dettagli e dinamismo sono scanditi dal dagli spari dei Winchester. Finché, in una vignetta Zagor riconosce nel viso di uno di tanti mostri il volto del capitano Hunt, capo dei Green Jackets. Il segreto orribile finora annunciato, adesso è rivelato, e nemmeno i lettori più smaliziati si sottraggono a una scarica di adrenalina. La velocità della rapida alternanza delle inquadratura ritmata per gli occhi dei lettori è la stessa con la quale la rivelazione viene buttata in faccia ai protagonisti.

Non è necessario cercare in ogni tratto di Burattini un’idea o un obiettivo ben definiti, lui stesso non ha cercato mai di creare una storia con l’intenzione che fosse costantemente ideologicamente ben definita. Ne’ tutte le sue capacità artistiche, a causa del controllo di Bonelli in quel momento, potevano raggiungere la piena libertà espressiva. Ma già nel periodo della creazione di questa storia, il ventottenne Burattini era abbastanza maturo come autore per padroneggiare la tecnica narrativa.