lunedì 30 luglio 2012

DA TRENTA A CINQUANTA


L’annuncio viene dato ufficialmente nella rubrica “I tamburi di Darkwood” dell’albo dello Spirito con la Scure datato agosto 2012, e dunque praticamente già in distribuzione: la collana Zagor Collezione Storica a colori, in edicola ogni giovedì in allegato a La Repubblica e l’Espresso, continua!

Inizialmente erano stati previsti, come certo ricorderete, trenta numeri: il lancio dell’opera avvenne nello scorso febbraio subito dopo la conclusione dell’analoga iniziativa riguardante Tex, coronata da un enorme successo. Sia pure, com’era inevitabile, con cifre inferiori quanto a venduto, di successo si può parlare anche nel caso della ristampa di Zagor. Un successo tale da garantire la prosecuzione dell’opera almeno fino al numero 50. Dopodiché, di nuovo, deciderà il pubblico: se continuerete a manifestare apprezzamento, la collana continuerà; se cesserete di manifestarlo, chiuderà lì (più o meno con la prima apparizione di Supermike). Si tratterebbe comunque di un risultato entusiasmante, perché cinquanta uscite settimanali a circa 7 euro ciascuna in tempi di crisi, e dopo che gli scaffali degli italiani sono già stati occupati dai quasi trecento volumi del Tex di Repubblica, sono davvero qualcosa di notevolissimo. Naturalmente, la nostra speranza è che dopo il cinquantesimo titolo la serie possa proseguire ancora, completando almeno tutto il periodo nolittiano (sarebbe assurdo, del resto, interromperci proprio sul più bello). Personalmente, mi auguro che la collana continui fino alle mie prime storie, che sono esaurite da tempo e dunque si possono ritracciare soltanto sulle bancarelle. Ma non oso chiedere troppo alla sorte.

Quando la Collezione Storica di Zagor è iniziata, mi è stato chiesto dal curatore (Michele Masiero) di occuparmi di due delle pagine di introduzione e io ho proposto una breve rubrica intitolata “Buoni &; Cattivi”, una sorta di dizionario dei personaggi. So per certo, grazie ai tanti che mi hanno scritto e inviato messaggi, che quei miei testi sono stati graditi. A partire dal n°19, il mio impegno è più che raddoppiato: mi sono trovato infatti a dover sostituire Graziano Frediani, titolare della rubrica “Benvenuti a Darkwood” che precedeva la mia, e dunque ad avere l’onere e l’onore di riempire non più solo due facciate, ma ben cinque, tutte le settimane. Ringrazio, di nuovo, i tanti lettori che mi hanno incoraggiato (e Graziano Frediani che, bontà sua, continua ad assistermi). La Collezione Storica sta ristampando in questo momento le storie immediatamente successive alla mitica avventura “Zagor racconta”, dove si narra il passato dello Spirito con la Scure. Stiamo arrivando, dunque, al periodo migliore della serie. Se avete seguito la ristampa fin qui, non c’è motivo per smettere adesso. Se non l’avere seguita, è il momento di iniziare a farlo.


Marco "Baltorr" Corbetta (lo vedete nella foto qua accanto) sta pubblicando, sul suo bel blog "Zagor e altro" delle approfondite analisi di tutti i volumi della Collezione di Repubblica: le trovate qui.

Quando ho presentato la collana dalle colonne di questo blog, l’ho fatto scrivendo le risposte a delle ipotetiche FAQ di cui mi è parso poter facilmente prevedere il senso. La cosa fu apprezzata e giudicata utile per chiarire le idee a chi si apprestava a iniziare la raccolta. Oggi, dopo aver raccolto in giro le più comuni obiezioni, tenterò di superare le perplessità di alcuni. Ecco qua quel che credo di poter dire.

Non compro i volumi della Collezione Storica perché ho già gli albi in bianco e nero.

Gli albi in bianco e nero, soprattutto se originali Zenith che hanno peraltro in grande valore economico, sono vecchi di anni e rischiano di sciuparsi se sfogliati per essere riletti. Chi li ha, di solito li tiene imbustati perché non vengano danneggiati dalla luce, dall’umidità, dall’usura. Per rileggere le storie o per farle leggere ad amici, parenti, figli e nipoti, meglio ricorrere alla Collezione Storica, che ha la rilegatura più resistente garantita dalle nuove tecnologie e una carta che non rischia di deteriorarsi al semplice contatto. Inoltre, i volumi della ristampa sono “altra cosa” rispetto agli albi in bianco e nero, non soltanto perché sono a colori ma anche perché sono dotati di un apparato critico e presentano correzioni che rimediano ai refusi e agli errori delle precedenti collane. Si tratta insomma di una “edizione definitiva”, e non di una semplice ristampa.

Non compro i volumi della Collezione Storica perché tanto non ho il tempo di leggerli.

Nessuno mette fretta a nessuno: i volumi possono essere acquistati e messi da parte e letti con comodo nel corso del tempo, anche a collezione completa, anche dopo anni. Non c’è un obbligo di lettura, men che mai l’obbligo impone ritmi settimanali. Inoltre, si possono rileggere soltanto le storie più belle o quelle che ci ricordiamo di meno. Ma, provare per credere, di solito basta sfogliare le pagine perché le emozioni delle letture di un tempo vengano recuperate nei cassetti della memoria, e le storie tornino a galla come se le avessimo lette ieri. Il colore aiuta in questa opera di recupero mnemonico immediato. Male che vada, si possono leggere soltanto le introduzioni che permettono di mettere a fuoco le tematiche e i personaggi, inquadrando gli episodi nel giusto contesto e fornendo degli strumenti critici e chiavi di lettura talvolta insospettabili.

Non compro i volumi della Collezione Storica perché costano troppo.

E’ chiaro che non si possono fare i conti in tasca a nessuno. Però, quando si parla di sette euro, è chiaro che si tratta di fare delle scelte: è il prezzo di un aperitivo, di un paio di pacchetti di sigarette, di una pizza. Non si può farsi un mojto tutte le sere e poi reputare care oltre duecento pagine a colori al prezzo di sette euro. Le ricariche del telefonino costano di più, e vedo tanta gente che le spreca a iosa con messaggini inutili. Non parliamo poi dei gratta & vinci, o delle slot machine (c'è chi non spende dieci euro per un libro ma ne butta via cento nelle macchinette o nel videopoker). Una cosa che dico sempre è che i libri (e la Collezione Storica è composta da veri e propri libri) restano e non vanno in fumo. Possono essere letti da tante persone (per esempio, in ambito famigliare ci si può mettere d'accordo perché un volume lo compri lo zio, un altro il cognato, un altro noi). Possono essere rivenduti, in caso di necessità.

Non compro i volumi della Collezione Storica perché non mi piace la colorazione piatta.

La policromia è soltanto un aspetto della Collezione Storica, e ci sono tanti motivi per acquistarla anche a dispetto di colori che non sono sfumati come si vorrebbe. Una colorazione diversa avrebbe accontentato qualcuno o scontentato molti altri: non si può pretendere che tutto venga fatto su misura per noi. In ogni caso, il motivo per cui è stato scelto un certo tipo di colorazione è che si è mantenuto lo standard del Tex di Repubblica, che aveva una colorazione piatta, voluta da Sergio Bonelli che la preferiva, probabilmente ritenendola la più adatta per dei fumetti nati per il bianco e nero. La Collezione Storica di Tex è stato un enorme successo, segno che i lettori hanno premiato, indubitabilmente, quella formula. Dunque squadra che vince non si cambia: si è pensato di dare anche allo Zagor di Repubblica, a cui è stato ceduto il testimone, le stesse caratteristiche. Per di più, vedendo il risultato, non si può certo dire che sia brutto: è fatto con professionalità, con cura, e dà un effetto più che dignitoso: dunque, se qualcuno ne sostiene la bruttezza o la scarsa cura, io mi sento in dovere, per amore di verità, di sostenere il contrario. 

Non compro i volumi della Collezione Storica perché non ho posto in casa.

Mai dire mai. Il posto c’è sempre. In un mio articolo sull’argomento, pubblicato su questo blog, si possono trovare tutti i consigli per risolvere il problema.

venerdì 27 luglio 2012

IL TEST DEL COLLEZIONISTA


Una volta andavano molto di moda e non c'era rivista che non ne pubblicasse almeno uno su ogni numero. Di sicuro sono usciti libri interi che ne contenevano a centinaia. Sto parlando dei test, quelli fatti un po' alla buona con una domanda e delle possibili risposte, in grado di permettere la valutazione di quella o di quell'altra attitudine. In TV, furoreggiò per un certo periodo persino un programma RAI, chiamato appunto "Test", condotto da Emilio Fede e curato dal professor Enzo Spaltro

Perciò, nei primi anni Ottanta, realizzando una fanzine chiamata "Collezionare" e dedicata inizialmente a tutti i generi del collezionismo (poi ci saremmo specializzati sui fumetti), pensai di pubblicare un test che valutasse proprio l'attitudine a raccogliere e catalogare oggetti. Naturalmente, le domande, le risposte e le valutazioni me le inventai da solo, però cercando di ragionarci dopo aver studiato com'è che anche Enzo Spaltro elaborava i suoi questionari. Feci un paio di esperimenti con dei miei amici e mi convinsi di aver ideato qualcosa di accettabile. Così, pubblicai il mio lavoro. L'ho ritrovato a distanza di ventisette anni e ve lo ripropongo (non ho cambiato niente, neppure il riferimento alle lire, invece che agli euro). Ditemi se, nel leggere i risultati dopo aver giocato (che di gioco si tratta), vi siete riconosciuti. Magari appureremo che avrei potuto fare l'autore televisivo o il redattore di un rotocalco, se Sergio Bonelli non mi avesse assunto, o magari potrei trovare lavoro proprio come inventore di passatempi del genere per riviste da quattro soldi, quando verrò licenziato, dopo aver pubblicato questo testo.


Il test del collezionista
di Moreno Burattini
da "Collezionare" n° 6 - dicembre 1985
1) Le banconote nel tuo portafoglio sono:

A) Ordinate secondo il verso e/o il valore.
B) Messe così come capita.
C) Solo ogni tanto ti preoccupi di collocarle per bene.


2) Ti hanno regalato un biglietto omaggio per una sala cinematografica:

A) Ci vai subito appena ti è possibile.
B) Pazienti qualche giorno attendendo un film di tuo gradimento.
C) Sei capace di aspettare anche diverse settimane pur di sfruttare il biglietto per un spettacolo che veramente ti piace.


3) Ti decidi a riordinare la soffitta:

A) Butti via tutta la roba vecchia che la ingombra.
B) Dai prima un’occhiata agli oggetti, e decidi di conservarne qualcuno.
C) Analizzi minuziosamente ogni cosa, riordini gli oggetti e ne getti solo una piccola parte


4) Comperi un albo o una rivista a fumetti:

A) Guardi sempre qual è il suo numero progressivo.
B) Lo noti solo se ti capita sotto gli occhi.
C) Te ne disinteressi completamente.

5) Una persona ti chiede un oggetto in prestito. Tu...

A) La accontenti ben volentieri e le dici di fare con comodo tenendo l’oggetto fin che vuole.
B) Le presti ciò che chiede solo se si tratta di un amico fidato, raccomandandoli in ogni caso di restituirlo al più presto e di averne cura scrupolosa.
C) Dici di si, ma ti informi più o meno sul tempo che l’amico tratterrà presso di sé l’oggetto che gli presti.

6) Avendo la capacità di programmare un computer, faresti:

A) Un programma per catalogare oggetti.
B) Un videogame.
C) Un programma per eseguire operazioni e calcoli matematici o di amministrazione contabile.

7) Hai appena letto un romanzo giallo che ti è piaciuto moltissimo:

A) Cerchi di ricordarti il nome dell’autore e se per caso scorgi il libreria un altro suo romanzo lo acquisti.
B) Riponi il libro e non ci pensi più.
C) Inizi a raccogliere tutte le opere di iquell’autore.

8) Preferisci giocare:

A) A pallone.
B) A Monopoli o a Risiko.
C) A scacchi.

9) Sei a Venezia in una afosa giornata di Agosto. In tasca hai solo 4.000 lire. Come le spendi?

A) Comperi un gelato ed una bibita.
B) Comperi una serie di cartoline da mandare agli amici.
C) Comperi un rullino per la tua macchina fotografica o un originale souvenir.

10) A parità di stipendio, ti piacerebbe di più essere il responsabile di:

A) Un bar.
B) Una biblioteca.
C) Un  supermarket.


PUNTEGGI

1) A= 5 - B= 0 - C= 2
2) A= 0 - B= 3 - C= 5
3) A= 0 - B= 3 - C= 5
4) A= 5- B= 3- C= 0
5) A= 0 - B= 5 - C= 3
6) A= 5 - B= 0 - C= 3
7) A= 3 - B= 0 - C= 5
8) A= 0 - B= 5 - C= 3
9) A= 0 - B= 2 - C= 5
10) A= 0 - B= 5 - C= 2


RISULTATI

Da 0 a 6 punti. Poche cose sono tante lontane dal tuo carattere e dalla tua persona quanto il desiderio e la capacità di collezionare. Anzi, non riesci proprio a capire cosa ci trovino tante persone nel perder tempo in passatempi così inutili e noiosi. Per te, come per Balzac, “essere collezionisti” è solo “essere maniaci”. Probabilmente sei una persona impulsiva, amante del pratico, del concreto e dell’immediato con poca attitudine alla pazienza, all’ordine ed alla precisione.

Da 7 15 punti. Non hai pregiudizi particolarmente accentuati verso i collezionisti, ma non sei un collezionista. Probabilmente ti incuriosisce, a volte, l’attività paziente e meticolosa di chi, intorno a te, raccoglie e colleziona qualcosa; ma tu, personalmente, non saresti mai in grado di fare altrettanto. Ti annoieresti prestissimo, e ti verrebbe quasi subito a mancare la costanza per continuare. Ciò non esclude che con qualche tentativo, un po’ di buona volontà e degli amici intorno che ti stimolano tu non possa migliorare da questo punto di vista.

Da 16 a 27 punti. Consideri la pratica del collezionare interessante e forse anche piacevole. Apprezzi e ammiri le collezioni altrui se ti vengono mostrate, e forse provi il desiderio di metterne su una. Le capacità di fondo non ti mancano certo per poterlo fare, ma devi fare qualche sforzo per migliorarle e per poter conseguire un qualche risultato. Sei un collezionista potenziale: solo con un po’ di costanza e di entusiasmo potrai mettere in atto le tue qualità.

Da 28 a 38 punti. Se non collezioni ancora qualcosa è solo perché circostanze di ordine pratico te lo hanno do volta in volta impedito o hanno distolto la tua attenzione da questo campo indirizzandola altrove, ma più probabilmente sei giù un collezionista e da questo punto di vitsa sei anche abbastanza ben dotato. Le tue qualità non sono però tali da renderti un campione modello tra quanti praticano l’hobby del collezionare oggetti: ti manca ancora qualcosa in costanza, pazienza ed entusiasmo. Forse le tue collezioni vengono aggiornate ed arricchite con fiammate momentanee e improvvisa passione, poi tornano a giacere per qualche tempo nei tuoi cassetti; oppure hai il costante desiderio di curarlo maggiormente ma poi no trovi sempre il tempo e la voglia per farlo sul serio. Ma ad uno con le tue caratteristiche, questi sono difetti che si perdonano volentieri.

Da 39 a 50 punti. Sarà molto difficile trovare un tipo come te che non sia un collezionista, in quanto tu possiedi in sommo grado tutte le caratteristiche standard dell’appassionato raccoglitore e catalogatore di oggetti. Coloro che non condividono il tuo hobby ti giudicano un maniaco, e forse lo sei, ma nel senso più buon dell’ espressione, che evidenzia le tue indiscutibili doti di pazienza, meticolosità, ordine e precisione. Proprio in ragione di queste tue qualità non puoi che trarre inenarrabili gioie e soddisfazioni dalla tua attività do collezionista, attività nel quale sei veramente additabile esempio.


lunedì 23 luglio 2012

CENTO PAGINE AL GIORNO


In uno scambio di battute sul “coso” (cioè sulla mia pagina fan su Facebook), Melissa Camerani ha così commentato un mio post a propoosito degli e-book: “Sarò antiecologica, ma io ho una forte dipendenza da carta”. Al che le ho risposto: “eh, dillo a me che me ne faccio una dose al giorno. Ed essendo assuefatto, sono arrivato a circa cento pagine per volta”. Lì per lì mi è sembrata una battuta. Invece, mi rendo conto che si tratta di una stima per difetto. Già leggersi un albo Bonelli vuol dire assumere 94 pagine di carta, e talvolta di albi Bonelli se ne leggono anche due o tre al giorno. A questi vanno aggiunti i libri veri e propri. Ovviamente, al di fuori dal contesto lavorativo e solo parlando di letture per diletto. In conclusione, mi chiedo, qual è la mia dose media quotidiana? Suppongo che sia sulle duecento pagine, Bonelli compresi. Per fortuna le reggo bene. In ogni caso, se siete curiosi di sapere che cosa ho letto (fumetti da edicola a parte) durante lo scorso mese di giugno, ecco qui le mie consuete recensioni.



La profezia dell'armadillo
di Zerocalcare 

(Graficart, 2011)

Il principale difetto di questo libro a fumetti è che "nel rispetto dell'animo ecologista dell'Autore, è stato stampato su carta ecologica", come spiega una dicitura in quarta di copertina. Il che significa che fa schifo a toccarlo, e che, se uno lo sfoglia con le mani sudate, gli resta una pappetta sui polpastrelli. Siamo tutti ecologisti, però i libri sono sacri e andrebbero stampati sempre su carta patinata e rilegati con filo refe. Ma è un difetto, questo della carta ecologica, che a Zerocalare si perdona facilmente perché il libro è divertente. E poi non è per la carta, che le sue storie sono pensare. L'autore ha infatti un suo sito, dove ogni quindici giorni pubblica i suoi lavori, destinati al pubblico in rete (non ho mai capito come fanno a campare i fumettari che pubblicano in rete i loro lavori, ma ci sono tante cose che non capisco). Meno male, grazie a Makkox che l'ha prodotto, 136 tavole di Zerocalcare sono passate anche dalla tipografia, e spero che presto altre ne passeranno. Cresciuto nei centri sociali (ce lo dice lui), figlio degli anni Ottanta, metropolitano al cento per cento, afflitto da ideologici sensi di colpa (su cui per fortuna riesce a scherzare su) se va a mangiare da MacDonald's, Zerocalcare oltre a essere l'autore è anche il protagonista delle sue storie, che parlano di lui stesso, delle sue ansie, delle sue paturnie, dei suoi scazzi, dei suoi complessi. L'armadillo del titolo è un amico immaginario che funge da sua coscienza critica, da super-Io talvolta ossessivo e talvolta comprensivo, ma sempre rompicoglioni come il Grillo di Pinocchio. A me ha fatto venire in mente i tre personaggi (Caliendo, Lucrezia e Scintillone) proiezioni psichiche del Napoleone di Carlo Ambrosini, ma potrebbe anche essere nato dalla lettura di Watterson. Anche il fatto di dare sembianze simboliche, talvolta di animali (un cinghiale è un suo compagno di classe), ad alcuni personaggi, mi fa scattare una similitudine con il "Maus" di Art Spiegelman. E, in generale, la lettura di Zerocalcare mi riporta alla mente il Buddy Bradley protagonista di "Odio!", di Peter Bagge, un fumetto grunge della scena underground americana, trasferito a Roma dalla nativa Seattle. Il fumetto può essere tutto e dunque può essere anche Zerocalcare, che dimostra una istintiva padronanza dei codici e riesce a sfruttarne le potenzialità espressive: alcune trovate sono molto efficaci. Il libro è tenuto insieme dall'esile trama del recupero dei ricordi dopo che il protagonista ha appreso la notizia della morte di una sua amica, Camille, di cui in passato è stato innamorato (senza molta fortuna). Così, andando a ritroso in modo saltellante, riemergono fatti e fatterelli in cui talvolta Camille compare, e altri in cui non compare ma servono a descrivere la complessa (e complessata) figura dell'io narrante. Il tutto, mescolando citazioni multimediali (da Star War ai fumetti giapponesi, passando per Kurt Cobain), e riferimenti a un mondo giovanilistico e a modi di fare e di essere che è divertente scoprire per chi, come me, vive sulla Luna. Alla fine, che cos'è la "Profezia dell'armadillo"? E' un libro serio o faceto? Si potrebbe aprire un dibattito. Io, che non sono mai stato (per mia colpa) in un centro sociale e non ho complessi nel mangiare da MacDonald's (dove non mangio solo perché non mi piace il cibo che c'è nel menu), probabilmente ho riso soltanto alla metà delle battute, ma sono state sufficienti per farmelo apprezzare. Makkox dice, nella sua introduzione, che Zerocalcare è un grande. Alla fine, mi sento di convenire.



La vendetta del diavolo
di Joe Hill 
(Sperling & Kupfer, 2012)

Due sono i motivi per cui ho deciso prima di comprare il libro e poi di divorarlo subito interrompendo le altre letture in corso. Il primo motivo, dispiace dirlo dato che ogni autore dovrebbe essere scelto per quel che è e non per quello a cui assomiglia, consiste nel fatto che Joe Hill è il figlio di Stephen King (il suo nome per esteso è Joseph Hillstrom King). Va detto che gli fa onore aver scelto uno pseudonimo che lo differenzia dal padre e aver rivelato la sua identità solo dopo il successo dei suoi primi lavori. Nei ringraziamenti de "La vendetta del diavolo", Stephen King non è neppure rammentato. Eppure il racconto grida trasuda kinghianità da tutte le virgole: romanzo di formazione, mito dell'infanzia, amori adolescenziali, scontro con la realtà crudele del mondo degli adulti, continuo flashback tra passato e presente, presenza della magia e degli incantesimi di forze arcane, cattive amicizie con coetanei crudeli che crescendo diventano infidi ancora di più: sembra di leggere "It", "Carrie" o "A volte ritornano". Hill non riesce a staccarsi dall'immaginario del padre (anche su uno dei personaggi del romanzo ha la casa piena dei libri di Dean Koontz). C'è persino, in giro, un racconto scritto a quattro mani, comparso in una antologia nata come omaggio a Richard Matheson (l'autore di "Io sono leggenda"). Il secondo motivo per cui ho comprato "La vendetta del diavolo" è che in una conversazione con un amico, questi mi ha decantato la bellezza di un altro titolo della (per ora esigua) bibliografia hilliana: "La scatola a forma di cuore". E' proprio questo il libro che, in realtà, mi ero messo a cercare. Ma dopo aver girato quattro o cinque librerie senza trovarlo, ho ripiegato su "Horns" (questo il titolo originale de "La vendetta del diavolo"). Fa un po' sorridere il tentativo della Sperling & Kupfer di spacciare per "thriller" (così dice la scritta in copertina) un romanzo horror che comincia così: "Ignatius Martin Perrish vide il proprio riflesso nello specchio sopra il lavabo e si rese conto che durante il sonno gli erano spuntate le corna. Dalla sorpresa fece un balzo all'indietro e si pisciò sui piedi". Come incipit, lo trovo straordinario: impossibile, almeno per me, non andare avanti e scoprire il perché di quella trasformazione e come il protagonista decide di affrontarne le conseguenze. La prima parte del libro mostra appunto la scoperta da parte di Ig Perrish (una persona fino al giorno prima assolutamente normale, e con un passato di ragazzo buono e irreprensibile) della sua nuova condizione di demone umano dotato di sconvolgenti poteri, il più disturbante dei quali è l'incapacità di chiunque, di fronte a lui, di mentire e l'assoluta necessità di confidargli, anzi, tutti i più inconfessabili segreti. Così, Ig si rende conto di come nessuno dica realmente quello che pensa e come tutti condividano, appunto perché umani, ipocrisie, bassezze, debolezze e turpitudini: per la gioia di Freud, molte delle confessioni riguardano pulsioni sessuali e istinti di sopraffazione. Ma Ig non si sta trasformando in un diavolo per caso: c'è un motivo, legato a una casa su un albero da lui scoperta nel bosco quando era poco più che un ragazzo insieme alla fidanzatina Merrin, l'amore della sua vita. Una casa in cui i due fecero l'amore giurandosi che sarebbero rimasti insieme tutta la vita, e che però, dopo, scomparve: o almeno, non furono più in grado di ritrovarla. Un altro forte personaggio del romanzo è Lee, l'amico del cuore di Ig, a cui il giovane Perrish si sente legato per sempre perché l'altro, una volta, lo ha salvato dalle acque del fiume in cui lui stava per annegare. In apparenza, Lee è solo un ragazzo strano: in realtà è sociopatico e psicopatico, abituato a fingere e mentire, in grado di manipolare chi gli è vicino e fargli credere qualunque cosa. E' Lee il vero diavolo della storia, mentre Ig è un angelo ingenuo. Le cose cambiano quando Merrin, improvvisamente, tronca la storia con Ig che dura da anni e Ig litiga di brutto con lei per andarsene disperato a ubriacarsi. La ragazza sembra avere una storia con un altro. Il mattino successivo, Merrin viene trovata morta, uccisa dopo uno stupro. Ig è il rampollo di una famiglia facoltosa e gli avvocati pagati dal padre lo scagionano dopo che è stato accusato del'omicidio della ragazza. Ma, come il giovane Perrish scopre dopo che gli sono spuntate le corna e tutti gli dicono la verità, non c'è persona in città e nella sua famiglia che non lo ritenga un colpevole che l'ha fatta franca. Grazie ai suoi nuovi poteri, tenendosi nascosto come un reietto, Ig comincia a indagare per proprio conto, scoprendo come sono andate veramente le cose. E alla fine le corna che gli sono cresciute in testa si rivelano ciò che serve per saldare i conti con i veri assassini. Non solo: ci si rende conto come l'opera dell'apparente diavolo sia positiva non solo perché vendica Merrin (che aveva deciso di lasciare Ig covando un segreto ben diverso da quello che si poteva immaginare), ma perché aiuta a trovare la giusta strada e la giusta soluzione ai loro problemi a diverse persone travagliate e imprigionate in una vita che non è quella che vorrebbero: l'aspetto demoniaco non è necessariamente collegato al male assoluto, anzi. Il racconto è ipnotico e coinvolgente, anche se la prima parte è migliore della seconda e, alla fine, la posta in gioco è minimale: alla base di tutto c'è un solo omicidio da risolvere (anche se ci sono altre morti abbastanza sconvolgenti che restano sullo sfondo). Insomma: bravo Joe Hill, ma ne hai di strada da fare prima di poter competere con il tuo papà.





Un fatto umano - Storia del Pool Antimafia
di Manfredi Giffone (testi), Fabrizio Longo e Alessandro Parodi (disegni)
Einaudi (2011)



E' stata una lettura impegnativa, non soltanto per il numero di pagine (370 a fumetti del graphic novel, più un'altra decina fra prefazione, postfazione, bibliografia, dedica e citazioni), ma anche per la densità di nomi, personaggi, avvenimenti, collegamenti e rimandi. Tuttavia, alla fine, ne sono uscito con le idee un po' più chiare sulle torbide vicende italiane (e non solo italiane) tra la fine degli anni Settanta e l'inizio dei Novanta. Questo significa che il libro, documentatissimo, rappresenta di per se stesso, al di là di essere disegnato anziché scritto, una vera e propria inchiesta giornalistica tesa a ricostruire fatti e situazioni, ed è, prima che un "romanzo a fumetti" (come viene definito in quarta di copertina), un saggio di storia e di cronaca. Le parti romanzate, infatti, sono poche: qualche dialogo ricostruito per verosimiglianza essendo avvenuto in camera caritatis, qualche stralcio di vita privata dei protagonisti, qualche scena dietro le quinte. Ma non si indulge nel poliziesco o nel poliziottesco, come sarebbe stato facile (e forse preferibile, se si fosse voluto realizzare appunto un "romanzo"). Per il resto, e cioè per la maggior parte, si mostrano la trama e l'ordito di una realtà storica così come è stata raccontata da atti giudiziari, interviste, inchieste, filmati d'archivio, fotografie. Di nuovo (non è la prima volta che lo dico, ma qui mi se ne offre un'altra occasione) si dimostra come il fumetto sia non una forma di comunicazione in grado di veicolare qualsiasi tipo di contenuto, e dunque abbia nel suo codice espressivo gli strumenti per mettersi al servizio non solo di ogni storia ma anche di ogni idea che si voglia diffondere. Manfredi Giffone sposa, com'è inevitabile, alcune interpretazioni dei fatti a vantaggio di altri (per esempio, non assolve Giulio Andreotti), ma si trattiene sempre prima di diventare fazioso, e sembra suggerire al lettore quelli che sono stati i suoi elementi di giudizio, piuttosto che imporglieli a fondamento di una ricostruzione spacciata come l'unica possibile, e questo è un merito del volume. Su tutti i personaggi spiccano, com'è ovvio ed evidente fin dalla copertina, le figure di Falcone e Borsellino, gli ideatori, con Antonino Caponnetto, del "Pool Antimafia". Dei due si fornisce anche un ritratto umano, mentre di quasi tutti i tantissimi altri protagonisti si dà una raffigurazione più cronachistica. Tra quelli che ci fanno bella figura, e ne sono contento, c'è Claudio Martelli. Meno bene ne esce Leonardo Sciascia, e di questo sono meno contento (secondo me, è ingiusto attribuire allo scrittore una colpa nella delegittimazione e nel conseguente isolamento di Falcone e Borsellino che portò alla loro uccisione: sono ben altre, e di altri, le vere responsabilità). Marginale, ma non mancano i riferimenti, il ruolo di Silvio Berlusconi in alcuni dei passaggi. Lo sceneggiatore sceglie di far raccontare la sua storia un narratore d'eccezione, Mimmo Cuticchio, cantastorie e puparo siciliano, attore e regista teatrale, unico personaggio raffigurato con il suo vero volto in tutto il libro, mentre gli altri hanno le fattezze di animali (Falcone, per esempio, è un gatto; Borsellino, un cane; Andreotti, un pipistrello; Leoluca Orlando, un rinoceronte), come se fossero pupazzi di un teatrino di marionette, o protagonisti di una favola di Esopo. Senza che questo sminuisca di una virgola i meriti dell'opera, mi sento di contestare la scelta: trattandosi di fatti di cronaca con protagonisti dotati di nomi e cognomi, meglio sarebbe stato dare loro anche delle facce. I disegni di Longo e Parodi si mettono comunque con abilità al servizio della scelta zoomorfica e l'assecondano anche graffiando il lettore con loro il bianco e nero a mezzatinta da da giornale d'epoca senza nessuna ricerca dell'effetto fumettistico da comic book: nessuno si aspetti di vedere scene da Punisher o da Nick Raider, nonostante che la mattanza palermitana degli anni Ottanta si prestasse a questo tipo di rappresentazione. Peraltro, sarebbe bello poter vedere un vero e proprio "romanzo a fumetti", magari di quelli targati Bonelli, che raccontino una storia ambientata in quel contesto da un punto di vista appunto romanzesco e avventuroso, perché tutto, anche la fiction, contribuisce alla memoria. Come dice Cuticchio nel finale del volume, finché c'è qualcuno che la vuole ascoltare, una storia non è mai finita.




Vita su un altro pianeta
di Will Eisner 

(Kappa Edizioni, 2004)

Come spiega lo stesso autore nella sua introduzione all'edizione italiana, si tratta del suo secondo esperimento alle prese con il formato "graphic novel", di cui Eisner è stato un precursore. Il primo "romanzo a fumetti" eisneriano su "Contratto con Dio", del 1978. Sembra che, però, il termine "graphic novel" si debba attribuire a Richard Corben, che lo utilizzò nel 1975 per il suo "Bloodstar", mentre il primo esempio di un racconto del genere potrebbe essere, secondo alcuni, addirittura italiano, risalendo al 1967 con "Una ballata del mare salato" di Hugo Pratt. C'è anche da tener conto del "Poema a fumetti" di Dino Buzzati, che è del 1969. Scrive Eisner, a proposito di "Vita su un altro pianeta", datato anch'esso 1978: "costituiva un tentativo di dimostrare che un 'normale' romanzo aderente alla disciplina più ortodossa della letteratura in prosa potesse essere sviluppato sotto le forme di ciò che io chiamo 'arte sequenziale'. Erano i primissimi anni dei romanzi a fumetti e vi era il bisogno assoluto di qualcosa che attirasse l'attenzione dell'accademia e dei critici letterari. Fortunatamente, l'esperimento funzionò". La tensione sperimentale eisneriana è evidente nel continuo scombinamento della tradizionale tavola fumettistica, con inserti di testi scritti (a volte anche lunghi da leggere) che vengono posti all'attenzione del lettore mentre è un personaggio della scena che prende in esame le pagine di un libro, con le sequenze didascaliche che si alternano a quelle d'azione, con il ricorso a tutti i trucchi narrativi tipici dell'autore fin dai tempi di Spirit: scardinamento delle "gabbie", intarsi di immagini sovrapposte, rinuncia ai bordi delle vignette o loro utilizzo a seconda dei casi. Il senso del racconto, che si svolge a tratti come una spy-story, a tratti come un classico romanzo di fantascienza, a tratti come una fiction metaforica o apocalittica, a tratti come una vicenda di passione, amore, morte e follia, è la rinuncia dell'umanità al contatto con una possibile civiltà exterrestre che invia un segnale alla Terra, a causa delle beghe interne e della rivalità fra le superpotenze. Ci sono anche spunti divertenti, come la secessione di uno Stato terrestre che si dichiara colonia spaziale degli alieni. Tuttavia, il continuo cambiamento di registro non giova alla narrazione, che finisce per non appartenere né a un genere né a un altro e si risolve come un apologo. Siamo sempre su livelli altissimi, sia grafici che letterari, ma "Contratto con Dio" o altri graphic novel successivi sono decisamente migliori.







Branchie
di Niccolò Ammaniti 

(Einaudi, 1997)

Di solito, scrivo queste mie piccole recensioni parlando bene, o abbastanza bene, dei libri le leggo. Primo, perché in generale scelgo i titoli sulla base delle mie preferenze; secondo, perché comunque non sono un talebano e mi piace davvero di tutto; terzo, perché sono ben disposto verso il mondo e cerco di compensare quel che non mi va in un libro con i lati positivi che di solito ugualmente ci sono. In realtà, mi è capitati di segnalare una volta un romanzo che mi era rimasto un po' indigesto, "L'amante", di Marguerite Duras, ma anche in quel caso non avevo potuto fare a meno di notare come l'ambientazione esotica, la ricostruzione di una affascinante epoca storica e l'argomento politicamente scorretto costituivano dei punti di merito. Invece, con "Branchie", faccio fatica a trovare qualcosa di positivo a parte la copertina di Tullio Pericoli e Perluigi Cerri. E sì che ero partito con le migliori intenzioni. Di Ammaniti avevo letto "Io non ho paura" (Einaudi, 2001) e mi era sembrato bellissimo. Più di recente, mi ha lasciato un po' perplesso "Che la festa cominci" (Einaudi, 2009), in cui pur avendo ammirato il talento di brillante affabulatore dell'autore mi era sembrato che da metà romanzo in poi la trama bene imbastita e i personaggi interessanti svaccassero nel non-sense e del grottesco, che non mi aspettavo. Tuttavia, alla fine ho dovuto ammettere di essermi divertito, sia pure con il retrogusto amaro di chi avrebbe preferito che la grande festa nel grande parco non finisse in modo apocalittico-canzonatorio ma conservasse una parvenza di credibilità (come del resto erano rimasti credibilissimi fino all'ultimo i personaggi di "Io non ho paura"). Adesso, recupero questo testo, che risale in realtà non al 1997, anno in cui è uscita l'edizione Einaudi, ma al 1994, ed è dunque l'opera prima di Ammaniti pubblicata presso un piccolo editore romano, Ediesse, e comprata (come spiega lo scrittore) solo dagli amici e dai parenti. Anche in questo caso, fino a pagina 60 ho creduto che la storia fosse seria, e cioè che Marco Donati, allevatore di pesci ed esperto di acquari, fosse davvero un malato terminale e partisse per l'India per fare l'ultimo viaggio della sua vita. Invece, giunto a pagina 65, con l'incontro con la BAP (Banda dell'Ascolto Profondo, che suona nelle fogne di Nuova Delhi), mi è stato subito chiaro che si svaccava anche in questo caso e che il romanzo era soltanto un divertissement senza senso (del resto, nell'introduzione, Ammaniti spiega che le sue pagine erano nate come un "tumore" all'interno della sua tesi di laurea, essendosi lui messo a scrivere a ruota libera quel che gli veniva in mente, dimenticandosi il titolo dell'elaborato accademico). Il talento dello scrittore, resta. Il suo spirito beffardo e il sense dell'humour, pure. Ma che la storia abbia un minimo interesse o significhi qualcosa, per quanto mi riguarda, no. Quando si arriva alla descrizione del "pesce padulo", ecco, credo di aver pensato di "Branchie" la stessa cosa che Fantozzi pensa della Corazzata Kotiomkin.



Salsicce e rapine
 a cura di Sebastiano Mondadori
Del Bucchia (2012)


Qualche giorno fa mi è capitato di pranzare con Luca Crovi, che da buon figlio d'arte (suo papà era il grande Raffaele Crovi) organizza dibattiti culturali, conduce programmi radiofonici, scrive sui giornali, presenta libri, frequenta scrittori e conosce come le sue tasche le dinamiche dell'editoria italiana. Luca mi dice che se uno scrittore prova a proporre una antologia di racconti a una Casa editrice, viene regolarmente guardato di traverso. Pare che, salvo rari casi (come quelli di Camilleri, di cui di recente è uscito "Il diavolo, certamente"), i racconti non godano di molta popolarità presso i curatori di collane, gli editor o comunque i responsabili dei principali editori. In effetti, non si vedono molte antologie in libreria. Eppure, i racconti dovrebbero essere una lettura ideale: brevi, non impegnativi dal punto di vista del tempo preventivabile, vari e assortiti, spesso più ricchi di idee di certi romanzi tirati per le lunghe, talora fulminati. Se dovessi dire quali sono le opere migliori di Asimov, direi i suoi racconti. Raymond Carver non ha scritto altro che racconti e poesie, a ben guardare. Hemingway è stato uno straordinario autore di tales, e ugualmente (giusto per fare un altro nome) Edgar Allan Poe. Le novelle sono un genere letterario di tutto rispetto della letteratura italiana. Verga e Pirandello hanno scritto racconti memorabili. Di fronte a dei giovani autori, la formula del racconto potrebbe essere una carta da giocare per metterli alla prova. Eppure, le Case editrici storcono il naso. In ogni caso, ho qui davanti a me un libro di racconti, intitolato "Salsicce e rapine" (c'è un evidente gioco di parole che lascio ai più arguti cogliere al volo), edito da Del Bucchia. Si tratta della terza antologia della Scuola di Scrittura Creativa Barnabooth, tenuta a Lucca dallo scrittore Sebastiano Mondadori. Al'interno, quindici racconti scritti dagli allievi. Anzi, soprattutto dalle allieve, visto che dieci firme sono al femminile e, a lettura ultimata, mi sento di mettere le autrici un gradino sopra, quanto a qualità di scrittura, ai colleghi maschietti, comunque bravi. E' di un maschietto, peraltro, l'aforisma più fulminante, contenuto nelle note biografiche: "Ucciderei per un buon incipit" (Matteo Pieri). Il racconto più inquietante è di Annalisa Chelotti e si intitola "La fata scalza": crudo e tagliente, descrive la vita di una cubista che si guadagna il cubo più in evidenza perché è la migliore, e deve darsi forza con coca e alcool per prostituirsi poi con i clienti disgustosi che gli procura il proprietario del locale. Il più efficace, ambientato a Lucca, è anche il più breve, "Girare", di Andrea Meli, cinque pagine soltanto pieno di frasi che sembrano versi di una canzone: "Hai visto gli alberi sopra la torre?", mi disse come se ce li avesse messi lei. Due dei racconti sono di Giorgio Giusfredi, ormai noto agli appassionati di fumetti (in particolare agli zagoriani) per il suo impegno nello staff di Lucca Comics, a cui si deve la storia più cupa e horror della raccolta, "L'uomo dei boschi", dove un imbalsamatore di animali alla fine impaglia un ragazzino. Mi colpisce, comunque, in tutte le opere (anche in quelle meno esaltanti o con ancora la tecnica da mettere a punto), la passione per la scrittura, dimostrata a priori dalla scelta di frequentare un corso per imparare a scrivere. Se gli editori si decidessero a pubblicare qualche libro di racconti in più, ci sarebbe più spazio per tanti indiscutibili talenti.





Tecniche di resurrezione
di Gianfranco Manfredi 

(Gargoyle Books, 2010)

Ho già recensito, in questo spazio, il romanzo "Ho freddo", opera dello stesso Manfredi, accennando a come non fosse neppure il caso di ricordare che si tratta dello sceneggiatore di Magico Vento, Volto Nascosto e Shangai Devil. Perciò, non mi sembra il caso di ribadire il concetto. Chi ha letto e apprezzato (com'è praticamente inevitabile fare) "Ho freddo", dovrebbe procurarsi anche "Tecniche di resurrezione", visto che si tratta del sequel, strettamente collegato al primo libro, con gli stessi personaggi, Valcour de Valmont e la sua sorella gemella Aline che sono tornati in Europa (il precedente romanzo era ambientato negli Stati Uniti, dalle parti del Rhode Island, là dove si verificarono realmente, tra Settecento e Ottocento, casi di presunto vampirismo). I nomi dei due protagonisti sono tratti dal romanzo epistolare che prende appunto il titolo da loro, scritto dal Marchese De Sade mentre era prigioniero nella Bastiglia. La prima parte di "Tecniche di resurrezione" su svolge a Londra, la seconda in gran parte in Francia. Apparentemente si tratta di due trame scollegate: quella inglese riguarda le indagini su un serial killer vestito di rosso che uccide i pazienti negli ospedali, ruba i cadaveri dalle tombe e decapita le vittime, facendosi chiamare Doctor Ending. La seconda parte, quella francese, vede Aline dama di compagnia di Josephine Bonaparte e Valcour assunto da Napoleone per curare un suo soldato, Salvy San Subra, colpito da un misterioso male che lo sta trasformando in una mummia vivente, dopo che questi è penetrato in una piramide durante la Campagna d'Egitto. Alla fine, in realtà, le due storie si ricollegano in un unico finale. Rispetto a "Ho freddo", questo secondo romanzo è meno pauroso e più avventuroso, anche se non mancano gli elementi gotici e misteriosi, e perfino le indagini alla Sherlock Holmes. E' evidente il talento di Manfredi per gli intrecci da feulleton e indiscutibilmente l'autore su trova a suo agio nella ricostruzione degli scenari e delle atmosfere d'epoca, a partire dai dialoghi del vissuto quotidiano. A rendere vivide e credibili le sue pagine, contribuiscono i tanti personaggi storici in cui ci imbattiamo, a partire da Giovanni Aldini, uno scienziato che davvero praticò studi sul galvanismo applicandoli alla cura dei pazienti con disturbi mentali.  Interessante introduzione di Carlo Bordoni (uno di quei rari casi in cui l'introduzione vale essa stessa una parte del prezzo del libro).






Liam Braley: Caccia Grossa
di Raffaele Della Monica 

(Severino Vetere Editore, Benevento, 2012)


Si tratta di un volume di 110 tavole a fumetti, di grande formato (più o meno un A4), scritto e disegnato da uno dei più apprezzati illustratori di Zagor, che ha però al suo attivo una carriera fatta di molte altre collaborazioni, tra cui Alan Ford e Tex, Gordon Link e Magico Vento, fino ad arrivare a Shangai Devil. Ricordo di aver scritto a Max Bunker, subito dopo aver letto "Superciukissimo" (l'albo che segnò il suo esordio come disegnatore alanfordiano), gridando al miracolo perché era il primo autore del dopo Magnus ad aver realizzato in modo convincente una storia del Gruppo TNT. E in seguito la verve e anche la voglia di sperimentare di Raffaele mi sorpresero ogni volta fino al suo abbandono della serie targata MBP. Oggi che Della Monica lavora con me a Zagor, posso vedere arrivare in redazione tutti i mesi le sue belle tavole, realizzate non solo con indiscutibile maestria e professionalità, ma anche con lo spirito del vero appassionato, quello che lo portò, molti anni fa, a far parte del gruppo di "Trumoon", una rivista salernitana che lanciò autori come Brindisi, De Angelis, Siniscalchi, De Nardo, Piccininno. Ed è proprio per passione, e in particolare per la passione per il western, che Raffaele ha lavorato alla storia di questo volume, realizzato mettendo da parte una vignetta oggi e una domani, in modo da dar sfogo anche al suo desiderio di poter essere, una volta tanto, anche lo sceneggiatore di uno dei suoi lavori. Alla fine, "Caccia grossa" è stato affidato a una piccola Casa editrice di Benevento, che lo ha anche distribuito in alcune edicole (ma non su tutto il territorio nazionale). Chi volesse, può richiederlo telefonando al numero: 081/5144809. Il prezzo di copertina è di 5,40 euro. Liam Braley, il protagonista del racconto, è un bounty hunter che però seleziona le sue prede: non gli interessa intascare una taglia, ma dar la caccia a dei bastardi che si meritano davvero la forca, la cui colpevolezza è certa e i cui crimini gridano vendetta. I ladri di cavalli, insomma, non gli interessano. In più, eroe del West atipico, non beve alcool e non fuma: l'unico vizio è masticare la liquirizia. A parte questo, la trama è quella di un western tradizionale, che finisce il più classico dei duelli fra il cacciatore di taglie (beffato più volte nel corso della storia, ma mai domo) e la sua preda più coriacea, un certo Kodey che ha la faccia di Lee Van Cliff. I disegni sono quelli che ci aspetta da Della Monica, perciò belli. Tuttavia, una cosa bisogna dirla anche se può sembrare che io parli quali Cicero pro domo mea. Ecco: un disegnatore è sicuramente in grado di fare a meno di uno sceneggiatore e scriversi i testi da solo (lo dimostrano mille esempi), ma avrà sempre e comunque bisogno di un buon editor e di un buon editore, intendendo con il primo termine colui che prima consiglia e poi supervisiona, corregge e mette a punto il lavoro; e con il secondo, qualcuno che investa in una buona stampa e in una cura editoriale degna di questo nome. Se Raffaele avesse potuto godere di una assistenza del genere, e fosse stato seguito durante la lavorazione, avremmo avuto un lettering migliore, qualche segno d'interpunzione in più e qualche aggiustatina nei dialoghi, qualche scena farraginosa in meno e qualche bella trovata valorizzata meglio. Insomma, anche un campione ha bisogno di un allenatore per essere più competitivo in gara.


 


Disegnare il vento - L'ultimo viaggio del Capitano Salgari
di Ernesto Ferrero 

(Einaudi, 2011)

Ho richiuso il libro con una lacrimuccia che non si decideva a scendere dalla coda dell'occhio, così che l'ho dovuta far scivolare giù io con il dito. Bello, intenso, commovente. Qualcuno potrebbe pensare che, per capire e gustare fino in fondo questo libro, si debba essere salgariani nell'animo. Invece no, perché poi quel che vi si racconta non è lo scrittore, "il padre degli eroi" (come qualcuno l'ha definito), ma l'uomo Emilio Salgari, con il suo carattere bizzarro, le sue piccole e grandi manie, il suo anticonformismo conservatore (un ossimoro soltanto apparente), le sue passioni patriottiche e filomonarchiche ma slegate dal grigiume degli intrallazzi politici e dunque ideali e irrealistiche, le sue mattane e le sue dolcezze, padre e marito affettuosissimo ma anche incapace di governare la famiglia e in fin dei conti imbrigliato in una trappola domestica, la sua voglia di vedersi riconosciuto come grande scrittore e l'indifferenza dell'establishment, da cui il sordo senso di rancore verso il resto del mondo editoriale, lo scontro fra la sua vita reale e quella fantasticata, e infine il senso di inadeguatezza al mondo che sta cambiando troppo velocemente. La fine di Salgari è, in fondo, quella che egli stesso riserva ai due sfortunati protagonisti di uno dei suoi romanzi "minori" ma più profetici, "Le meraviglie del Duemila", in cui fa il verso a Verne senza il sostegno del positivismo e pronostica un futuro in cui la vita va vissuta a ritmi insostenibili per chi è nato in un'altra epoca e vi viene proiettato senza esserne preparato (i due di cui sto parlando, nel finale del romanzo, impazziscono). A posteriori, molte fantasie salgariane sul Duemila si sono rivelare azzeccate, peraltro. Il romanzo di Ernesto Ferrero, scrittore di razza (che vive, peraltro, nel caseggiato di corso Casale dove Salgari ha abitato negli ultimi anni della sua vita), non è una biografia del Capitano. Almeno, non lo è in senso compiuto e analitico. E' un ritratto, costruito con frammenti e testimonianze, alcune vere (si citano, pur nella rielaborazione romanzesca, persone realmente esistite che davvero hanno conosciuto Salgari), alcune di invenzione, ma del tutto plausibili. In particolare è inventato, con felicità, il personaggio di Angiolina, una ragazza immaginata come vicina di casa dello scrittore, e sua affezionata lettrice, che lo aiuta scrivendo sotto dettatura alcuni capitoli dei suoi ultimi romanzi, dato che il Capitano si è fatto debole di vista. Una delle testimonianze è quella di Teresio Chiabotti, medico presso il Manicomio di Torino, là dove viene ricoverata, a un certo punto, Ida Salgari, detta Aida, la moglie di Emilio, che va a chiedere speranze al dottore che l'ha in cura. Chiabotti ricorda: "Avevo davanti l'uomo che aveva infiammato le mie letture giovanili. Potrei recitare a memoria le pagine che mi hanno esaltato. Mi piacerebbe trovare parole per descrivere l'aria di mare che, leggendo, ero convinto di inalare nei lunghi pomeriggi estivi, sotto gli ippocastani nella casa di mia nonna. I mari del Borneo dispiegavano ancora meglio i loro incantesimi nello sfondo scialbo della campagna. - Cavaliere, - ho detto - so per certo che lei è uomo coraggioso anche nelle evenienze spesso dolorose della vita, non solo sulle pagine avventurose che abbiamo amato. Io ho contratto con lei un debito di riconoscenza e di lealtà, anche se lei non può saperlo. Dunque sarò leale -". La lealtà impone al medico di non dare a Salgari false speranze. Pochi giorni dopo, il 22 aprile 1911, Emilio scrive sedici lettere e si va a suicidare, facendo seppuku come i samurai, in un bosco vicino a casa. Una lettere è rivolta ai figli: "Miei cari, sono ormai un vinto. La pazzia di vostra madre mi ha spezzato il cuore e tutte le energie. Io spero che i milioni di miei ammiratori, che per tanti anni ho divertiti e istruiti, provvederanno a voi. Fatemi seppellire per carità, essendo completamente rovinato. Mantenetevi buoni e onesti e pensate appena potrete ad aiutare vostra madre. Vado a morire nella Valle San Martino, presso il luogo ove, quando abitavamo in via Guastalla, andavamo a fare colazione. Si troverà il mio cadavere in uno dei burroncelli che voi conoscete, perché ansavamo a raccogliere i fiori. Vi bacia tutti, col cuore sanguinante, il vostro disgraziatissimo padre, Emilio Salgari". Finite di scrivere le lettere, tra cui una, di fuoco, indirizzata agli editori da cui si sentiva sfruttato e derubato (loro divenuti ricchi con i suoi romanzi, lui vissuto in ristrettezze), il padre degli eroi spezza la penna e va a morire.



sabato 21 luglio 2012

LE VITTIME E I CARNEFICI



Sulla cosiddetta “seduzione degli innocenti”, e cioè sulla teoria seconda la quale i fumetti o i film sarebbero responsabili dello sbandamento, della violenza o della follia dei più giovani o di adulti dalle menti labili, ho già scritto così tanto e con così tanta veemenza che, affrontando di nuovo l’argomento, rischio di ripetermi. In un articolo apparso su questo blog nel maggio 2011, e intitolato “Il signor Emilio”, addirittura difendevo me stesso dall’accusa di aver attentato all’equilibrio psichico di un bambino di sette anni. Nell’ottobre dello scorso anno, invece, ho ricostruito la storia del processo (vero e proprio, svoltosi in un Tribunale della Repubblica) ai danni della rivista a fumetti “Intrepido”, accusata, più o meno, di istigazione a delinquere: un processo non svoltosi durante gli anni della caccia alle streghe ma recentissimamente (la madre dei cretini è sempre incinta). Infine, nel marzo 2012 ho pubblicato un estratto della mia tesi di laurea dedicato proprio al pamphlet di Fredric Wertham, Seduction of the innocent, datato 1954.

Tuttavia, la strage del cinema di Denver di questo luglio 2012 rende inevitabile tornare a parlarne. E un articolo di Roberto Recchioni, dal titolo “Non siamo stati noi”, pubblicato sul suo blog, mi fa sembrare necessario farlo subito. Di Roberto, come lui sa, ho immensa stima e  penso tutto il bene possibile, tuttavia  su alcune delle sue ultime affermazioni sono in disaccordo. Soprattutto su questa: “Noi che facciamo storie, possiamo cantarcela quanto vogliamo che non è responsabilità dei fumetti, del cinema, della musica, dei videogiochi, se qualche matto decide di imbracciare un fucile e fare una strage, ma non è del tutto vero. Specie quando le storie o i personaggi sono particolarmente potenti ed evocativi”. E’ esattamente il contrario di quello che penso e che ho sostenuto nei miei articoli precedenti. 



Recchioni, a sostegno della sua tesi, si chiede: “Quanta gente ha iniziato a picchiarsi così, per gioco, dopo Fight Club?”. Secondo me, nessuno. Nessuno l’ha fatto per aver visto Fight Club. Chi si è pestato, dopo quel film, è perché lo aveva già fatto prima, perché aveva la voglia di fare a botte nel sangue, perché aveva visto picchiarsi dei ceffi per la strada. Non per essere andato al cinema. Io, dopo aver visto Fight Club ho deciso che non avrei mai fatto a cazzotti  per il resto della mia vita (e del resto, non l’avevo mai fatto neppure prima di quel momento). Chi ha nel DNA l’istinto della rissa, della sopraffazione, della violenza, trova qualunque spunto per darsele di santa ragione con qualcun altro. Chi non ce l’ha, non cerca le scazzottate neppure se ha visto un film. Del resto, non è che prima di Fight Club nel mondo non si facesse a botte. Si fa a botte dalla notte dei tempi. E casomai è la strada ad aver ispirato il film, non il film ad aver ispirato la strada. Il rapporto di causa-effetto funziona al contrario.

Roberto fa anche un altro esempio: “E' il 1991. Sono uscito dal cinema Royal, dove ho visto L'Ultimo Boyscout e sto cercando un tabaccaio, dove comprare un pacchetto di sigarette. Non fumo ma sto per cominciare. Perché Bruce Willis che fuma le sue sigarette nel film che ho appena visto, è davvero troppo figo e io, che voglio essere come lui, ho deciso di imitarlo, almeno in quel dettaglio.  L'unico che la mia vita mi concede di emulare. Adesso, seguitemi bene: non è che a diciassette anni io fossi un deficiente. Capivo benissimo il danno comportato dalle sigarette e sapevo pure che iniziare a fumare per imitare un attore cinematografico, significava cadere con tutti i piedi nella trappola che Hollywood e le grandi multinazionali del tabacco portavano avanti da tempo immemore. Eppure, comprai lo stesso quelle sigarette e cominciai a fumare e lo faccio ancora. Ed ero sano di mente allora come sono sano di mente adesso. Semplicemente, subisco il  potere e la suggestione, che un certo tipo di personaggio-mito esercita su di me”.

Dunque Recchioni dice di aver iniziato a fumare emulando un divo del cinema, Bruce Willis. Io credo che chi inizia a fumare di solito lo fa emulando i compagni. I miei figli frequentano un sacco di gente che fuma: io raccomando loro di non fare come loro, di non prendere esempio dagli amici. Mai mi sognerei di dire: “Non guardate i film con Bruce Willis”. Non è il cinema che fa cominciare a fumare! Del resto, la gente fumava anche prima che il cinema fosse inventato. E’ il cinema che raffigura la realtà: se nel mondo si fuma, la rappresentazione del mondo deve tenerne conto, pena il fallimento del proprio compito. Di nuovo: l’umanità non fuma perché gli attori fumano, ma gli attori fumano perché fuma l’umanità. Esattamente il contrario di quel che pensano, per esempio, quelli del Codacons che hanno chiesto il sequestro di un albo di Tex in cui Aquila della Notte si accende una sigaretta in copertina. Anche di questo ho scritto a lungo, sbeffeggiando l’assurdità della denuncia e la ridicolaggine dei denunciatori.

Scrive ancora Recchioni: “Quanti teppisti romani si sono messi ad andare in giro con le magliette con sopra la faccia del Libanese o di Carlito Brigante o Tony Montana?”. Non lo so: se dei romani si comportano da teppisti non è certo colpa di  quelle magliette, e soprattutto non è colpa del Libanese, di Carlito Brigante o Tony Montana. Non è che un ceffo è più ceffo con una certa T-Shirt e meno ceffo con un’altra T-Shirt. Non è la maglietta che crea il teppista, mi sembra ovvio. E di sicuro i teppisti esistevano prima del Libanese, il quale, viceversa, è stato appuntp creato perché esistevano i teppisti. Gli assassini esistono dai tempi di Caino: se un autore ne raffigura uno (come del resto ha fatto l’anonimo autore della Genesi dando il ritratto del fratello di Abele), è l’assassino che ispira il raffiguratore, e non viceversa.

Conclude Roberto: “ E questo, badate, non significa che queste opere di finzione abbiano plagiato le menti deboli di questa gente e li abbiano spinti a commettere reati di varia natura. Ma li hanno ispirati. La verità è che le storie ispirano le persone. E come ci prendiamo l'onore di quando lo fanno nel bene, dobbiamo prenderci pure il peso di quando lo fanno nel male. E no, non sto dicendo che dobbiamo smetterla di creare personaggi negativi affascinanti. Dico che dobbiamo acquisire la consapevolezza di cosa significa farlo, la capacità di farlo nella maniera migliore, e la maturità di accettarne il peso, senza stare a dire ‘non siamo stati noi!’. No, non è vero. La verità non è che le storie ispirano le persone, ma che le persone ispirano le storie. Quando io creo un cattivo da contrapporre a Zagor, e gli faccio fare cose cattive, non intendo ispirare nessuno. Raffiguro il male. Ne do una rappresentazione. Il male esiste comunque. Io, al contrario, lo esorcizzo. Chi ha creato il Joker, il nemico di Batman, ha dato un volto alla follia. Ma la follia esisteva già. L’assassino di Denver, James Holmes, così fuori di testa da affermare di essere il Joker, era pazzo comunque. Era proprio il tipo di pazzo che aveva ispirato il Joker. Prima viene lui, poi viene il Joker. Il Joker è la raffigurazione artistica dell’archetipo del folle, di cui Holmes è una delle incarnazioni reali. Tant’è vero che altre incarnazioni hanno fatto stragi senza vestirsi da cosplayer, e tant’è vero che le stragi ci sono sempre state anche prima che si inventassero i fumetti. Però, i fumetti vengono accusati di istigare la violenza e probabilmente per qualcuno andrebbero vietati per legge. E i kamikaze, allora? Vietiamo per legge anche la religione? E i terroristi rossi, o neri? Vietiamo per legge anche la politica? Perché la violenza che si vede per strada, o al telegiornale (quella reale, cioè) non dovrebbe ispirare la gente, e i fumetti o i film invece sì? Magari si potrebbe vietare per legge anche la realtà.

Infine: la gente che era andata al cinema a vedere “The Dark Knight Rises” era l’ per vedere un eroe sconfiggere il male. Era lì per vedere il bene trionfare. L’incarnazione del male che ha mietuto vittime, è andato lì per sconfiggere il bene e la rappresentazione del bene. Gli appassionati di fumetti sono state le sue vittime. Noi, lettori e autori di fumetti, siamo la parte lesa. Trovo incredibile che ci si trovi accusati come se fossimo i carnefici.

Concludo citando un passaggio di uno degli articoli già scritti. “I genitori e gli insegnanti a dover operare affinché i ragazzi abbiano gli strumenti per interpretare nel giusto modo il senso delle storie proposte su qualunque pagina o qualunque schermo. Ma alcuni insegnanti e genitori, non riuscendo con i loro scarsi mezzi a educare i giovani a loro affidati e non essendo in grado di guidarli nel periglioso guado del discernimento individuale, cercano affannosamente un capro espiatorio su cui scaricare la colpa del proprio fallimento. E' più comodo per costoro credere che se un ragazzo si getta dalla finestra è perché ha letto Superman e vuole anche lui volare più veloce della luce, piuttosto che capire la disperazione di chi cresce nella squallida sottocultura della strada (o della chat) a cui né la scuola, né la famiglia danno alternative. Stranamente, ne danno una i fumetti: chi li legge, evade dal ghetto e apre la mente su orizzonti più ampi. Ma questo, gli ottusi cacciatori di streghe non riusciranno mai a capirlo”.

venerdì 20 luglio 2012

IL TEATRO DEI BURATTINI



Ogni volta che scrivo un post come questo, dove elenco luoghi e date di eventi che mi vedranno protagonista (o almeno partecipe), mi sembra di atteggiarmi a divo in tournée e di sentire gli sbuffi di qualcuno che dice: “e basta!”. Però, se mi invitano un motivo ci sarà (immagino di godere di un minimo di considerazione, che cerco di ripagare facendo bella figura). E se ci vado, almeno sul mio blog lo potrò pur dire. Dunque, il calendario è, come al solito, ricco di appuntamenti. Magari capiterò dalle vostre parti, o in qualche piazza non troppo distante, oppure ci succederà di incrociare le strade durante i nostri spostamenti: per scoprirlo, se siete interessati a scambiare qualche parola, discutere di libri e di fumetti, e magari persino farci quattro risate (che cerco di non far mai mancare nei miei incontri), controllate qui di seguito.


Sabato 21 luglio 2012, a Salsomaggiore Terme (Parma) è prevista una serata all’insegna del Western, intitolata: “Quel treno per Salso”. Dopo il tramonto, festa Country. Ma prima, alle 18.30, in Viale Matteotti, incontro con Moreno Burattini, Ade Capone e Paolo Bisi dello staff di Zagor, a parlare delle più belle avventure dello Spirito con la Scure. Ci sarà anche una esposizione di tavole dei personaggi Bonelli legati al West, tra cui l’ultimo nato, Saguaro.

Giovedì 16 agosto 2012, a Gavinana (Pistoia), presenterò il mio nuovo libro, intitolato “Il poeta delle piccole cose” (edito dall’Associazione Achilli), dedicato alla vita e all’opera di Giuseppe Geri, un poeta locale di ispirazione pascoliana  e di straordinario talento e sensibilità, attivo a partire dagli anni Venti del secolo scorso, fino alla sua morte avvenuta nel 1975. Nel libro sono riuscito a inserire anche alcune sue poesie inedite, da poco ritrovate. Nella piazza principale del paese, alle 21, mostreremo foto d’epoca e ascolteremo la lettura di alcune delle più composizioni del Geri, che alternava testi brillanti (a volte comici ed esilaranti) a versi malinconici e toccanti, di quelli che stringono il cuore. A leggere le poesie, un grande attore: Bruno Santini.


Sabato 18 agosto 2012, a Rocchetta Vara (al mattino) e a Sarzana (il pomeriggio), in provincia di La Spezia, io e Gallieno Ferri parteciperemo a una importante manifestazione in favore degli alluvionati liguri che, nell’ottobre dello scorso anno, nella zona delle Cinque Terre, subirono la violenza di una terribile inondazione. A Ferri sarà dedicata una mostra di tavole originali e di fotografie che testimoniano la passione del disegnatore per il fiume Vara e per la pratica della canoa e del rafting. Per l’occasione, un disegno di Gallieno che mostra Zagor in canoa verrà stampato su carta di pregio e venduto in una apposita cartelletta: il ricavato andrà a vantaggio delle popolazioni.


Domenica 2 settembre 2012, in Val  di Comino e per la precisione a Vicalvi (Frosinone) sarò ospite (per la seconda volta, segno che la prima ho lasciato un buon ricordo) del Festival delle Storie. La Val di Comino è a due passi da Montecassino, Tra Roma e Napoli, Sora e Cassino, nel versante laziale del Parco Nazionale d’Abruzzo, e si svolge a partire dal 25 agosto nelle piazze, nei vicoli, nei palazzi, nei castelli, nei caffè, nei bar, all’angolo delle strade. Con me, quella sera, ci saranno Vittorio Sgarbi, Paola Barbato, Roberto Diso e Tito Faraci. In più, il regista Riccardo Jacopino presenterà in anteprima uno spezzone di dieci minuti del suo documentario su Zagor.


Da venerdì 14 a domenica 16 settembre 2012 sarò, con Gallieno Ferri, a Catania in occasione di Etna Comics. Anche in questo caso, è il secondo invito che mi fanno e ben volentieri faccio ritorno. Non solo io e Ferri parleremo di Zagor, non solo Ferri inaugurerà una grande mostra dedicata alla sua carriera, non solo io farò uno stage (che riguarderà le censure sul fumetto), ma anche presenteremo un albetto di quaranta pagine a colori, pieno di autentiche chicche e clamorose sorprese, ideato dal sottoscritto ma curato da Marco Grasso e Giuseppe Reina. Ci sono già in ballo tre importanti appuntamenti autunnali, ma di quelli parleremo un’altra volta. Se no, davvero, avreste il diritto di dire “basta!”. E persino: “Mo hai rotto!”.   

martedì 17 luglio 2012

IL CANE SUBACQUEO




Si consideri il seguente sillogismo. A: i cani amano ciò che amano i loro padroni; B: Gallieno Ferri ama il mare; C: il cane di Gallieno Ferri ama il mare. Detto così, potrebbe essere facile da credere, e persino da visualizzare: immaginiamo Gallieno che va a fare il bagno tuffandosi dagli scogli di Recco, e il suo cane che lo aspetta facendo la guardia alla borsa lasciata all’asciutto. Oppure, Ferri fa vela o fa windsurf e il cane lo attende fedele sul molo, uggiolando in attesa che torni. Eppure, c’è una storia, quasi incredibile, da raccontare riguardo a un cane che il maestro ligure ha avuto molti anni fa, e che però va creduta perché esistono foto e filmati che la documentano, al punto che il disegnatore è andato persino, una volta, a parlarne in TV. E ci sono degli articoli di giornale (uno di questi è apparso sulla Domenica del Corriere) che testimoniano la faccenda, quelli da cui ho tratto le foto che potete vedere qui sotto. Qual è, dunque, questa storia?


E’ presto detto. Più di quaranta anni fa, Gallieno Ferri e la moglie hanno avuto un cane, un magnifico esemplare di pastore tedesco, chiamato Mirko, così affezionato al suo padrone da seguirlo dovunque, anche in spiaggia, e persino a fare il bagno. Fin qui niente di strano: a molti cani piace fare il bagno, in mare, nel fiume e, dove si può, persino in piscina. Ma Ferri fa anche le immersioni. E,  incredibile ma vero, Mirko si immerge anche lui.

Pare che tutto sia cominciato una volta in cui, quando il cane era ancora cucciolo, Gallieno prova a lanciare in mare un pezzo legno. Mirko scatta, si tuffa e lo recupera. Diventa un gioco abituale. Un giorno, però, Ferri lancia un sasso ma calcola mare la distanza, o non valuta la profondità: il sasso non si ferma su un basso fondale ma piomba fin oltre due metri sotto la superficie. Mirko non esita: prende il respiro, si immerge, nuota fino al sasso e lo riporta in superficie, proprio come un perfetto subacqueo, avendo visto molte volte il padrone immergersi allo stesso modo. Stupore sul volti di tutti gli spettatori sulla riva.

Cominciano così degli incredibili giochi sott’acqua, eseguiti con una tecnica che il pastore tedesco affina sempre di più, finché non arrivano i giornalisti a scattare delle foto e viene realizzato anche un video. Sembra che il cane raggiungesse i cinque metri di profondità, e riemergesse con la massima naturalezza. Mirko ha nuotato sott’acqua, accanto a Ferri, per tutta la vita. Roba da farci un fumetto.




 












 

domenica 15 luglio 2012

IL PRIMO COSO BELLO




Per chi ancora non le conoscesse, le regole del gioco sono queste: più o meno una volta al mese, raduno in un unico articolo le cose più divertenti o interessanti (testi, immagini e facezie, segnalazioni) pubblicate sul mio “coso” su Facebook.  I testi che seguono hanno il pregio di essere brevi e scollegati fra loro, e dunque si possono leggere solo quelli che hanno il titolo più divertente o l'illustrazione più accattivante.





TUTTO ESAURITO

1° giugno. Sono appena tornato dall'edicola viareggina da cui mi servo abitualmente, e ho chiesto notizie sia sullo Zagorone che su Zagor Collezione Storica di Repubblica. L'edicolante si è detto entusiasta delle vendite di entrambe le testate. "Guarda, dello Zagorone me ne sono rimaste cinque su venti che ne ho avuti, in soli due giorni; lo Zagor di Repubblica ne vendo quindici tutte le settimane e non faccio mai rese,ne vendo tanti quanto ne vendevo dei Tex. In generale, qui da me Zagor va benissimo". Noto che però lo Zenith non c'è. "Non c'è perché l'ho finito! Appena arriva, lo vendo subito tutto! Chiedo sempre di averne più copie, ma mi mandano quelle". E' vero che si tratta di una grande edicola, che ha un grande spazio per i fumetti, ed è su una grande passeggiata sul mare in un grande centro di villeggiatura, e dunque non può essere presa a esempio, ma c'è comunque da essere contenti.




LA BORSA DELLA SPESA

1° giugno.  L'articolo più cliccato di questo blog risale al luglio dello scorso anno e si intitola "La borsa della spesa". Il motivo di tanto successo è uno solo: per puro caso, a supporto di una argomentazione fatta (poco di più che una facezia) ho citato i nomi di Rocco Siffredi e di sua moglie Rosa Caracciolo, corredando il pezzo con una (castigatissima) foto dei due. Così, mi sono garantito cento visite al giorno soltanto dagli internauti che cercano immagini e notizie su uno dei due, o su entrambi. L'argomento del post, però, era di tutt'altro genere: elencavo soltanto i miei ultimi acquisti in fumetteria. Adesso provvedo invece, così per curiosità, ad aggiornarvi sui miei  ultimi acquisti in libreria . In ordine alfabetico per autore: 1) Joe Hill, "La vendetta del diavolo" (Sperling & Kupfer) - Joe Hill è il figlio di Stephen King; 2) Christopher Hitchens, "Hitch 22" (Einaudi) - è l'autobiografia del grande giornalista e polemista inglese, autore di "Dio non è grande", morto di recente; Adolfo Lippi, "I viareggini" (M&M) - è la storia di Viareggio, la mia città adottiva, e un ritratto dei suoi abitanti; Peter Manseau, "La bottega delle reliquie" (Fazi) - un saggio sulle reliquie e i corpi dei santi; Arturo Perez-Reverte, "Il ponte degli assassini" (Tropea), settimo romanzo delle avventure di Capitan Alatriste, ambientato questa volta in Italia.



 IO SONO LEGGENDA

1° giugno. Makarska (Croazia), maggio 2012. Riconosciuto per strada e fermato dai due amici della foto. Mi hanno persino detto: "You are a legend!". Nemo propheta in patria e soprattutto in redazione.




IL MALFIDENTE

1° giugno. A Panda (e al suo bravissimo autore) piacciono le nuvole, intese come cloud computing, come dimostra quel che si può leggere cliccando su questo link. Ma perché, se a Panda piace, a me no? Perché non mi fido? Perché temo che con il cloud computing i miei dati andranno persi? Perché temo che non mi potrò collegare per accedervi? Perché temo che mi ruberanno le foto e i dati personali? Perché temo che se metto i dati su un cloud, poi dopo quel sistema fallisce e io devo trasferirli su un altro, che non so come si fa? Perché temo che se anche i dati ci fossero e mi potessi collegare quando voglio, mi ci vorrebbe una vita prima che la connessione smetta di dirmi che c'è un buffering in corso? Non riesco a vedere i filmati su YouTube per il buffering che gira gira gira senza che si veda una mazza, figuriamoci se avessi una sceneggiatura da recuperare per continuare a scrivere. Farei prima a scriverla a mano. E poi, se io compro un hard disk solido e concreto da 1T, non spendo meno (considerando che mi durerà dieci anni) e non ho più spazio dei 500 G offerti con un abbonamento annuale? E all'hard disk, non posso forse accedere anche se salta il collegamento Internet o sono in un posto (tipo la casa dei miei genitori in montagna) dove Internet non c'è? Non c'è perché non ho la chiavetta, direte voi, ma se devo fare l'abbonamento per la chiavetta, oltre a quello di Fastweb a casa e quello del cloud, buonanotte suonatori, quanti abbonamenti devo fare? Insomma, non mi fido. Non c'è niente da fare. Sob.




PAPA DON'T PREACH

3 giugno. Leggo sul "Corriere della Sera" di oggi (pag. 7) che per il Papa avrebbe indicato il modo migliore per prevenire i divorzi, considerati ovviamente un male. Si tratterebbe di pensarci bene prima: "La Chiesa non chiede agli sposi se sono innamorati. Chiede se intendono restare insieme per sempre". Il che mi sembra di una tragicità fantozziana: la conseguenza logica è che due che si sposano debbano, secondo Benedetto XVI, restare insieme tutta la vita anche se non si amano. Dunque, debbano soffrire come le bestie. E non cercare un nuovo amore in grado di consolare entrambi e di dare nuovo senso alle loro vite. Lasciate ogni speranza, o voi che entrate. E meno male che subito dopo, o subito prima (non saprei), il coro della Scala ha intonato l' "Inno alla gioia", come se ci fosse di che stare allegri. In ogni caso, c'è del vero in quel che dice Ratzinger: bisogna pensarci bene prima. Se fosse per me, metterei una legge che obbliga i futuri sposi a convivere insieme, more uxorio, per almeno cinque anni. Dopo aver sperimentato se vivere insieme sotto lo stesso tetto, e sopra lo stesso letto, è tollerabile, allora ci si può sposare. Prima no. Invece, da quel che mi risulta, la Chiesa vieta i rapporti prematrimoniali (mi chiedo quanti dei presenti all'incontro con il Papa se ne siano, nei fatti, astenuti) e il concubinaggio. E la legge dello Stato impone una attesa di tre anni non per sapere se due sono adatti a sposarsi, ma per permettere loro di divorziare. Ma volendo proprio essere drastici, basterebbe capire che la causa prima del divorzio è il matrimonio. Vietando quello, si eliminerebbero tutti i problemi.



DALL'ALBUM DEI RICORDI

3 giugno. Moreno Burattini con il giallista e saggista Leonardo Gori e il grande Giorgio Cavazzano, a Firenze in un momento imprecisato degli anni Novanta.



L'EREDITA' SDOGANATA

5 giugno. Leggo su un forum zagorian un commento di Giampiero Belardinelli a proposito dell'albo "Sulle tracce di Dexter Green: "Ironia texiana, un cattivo ferocissimo, documentazione e flashback, una gag improvvisa e fulminante: vecchio e nuovo, riferimenti colti e popolari, consapevolezza e padronanza tecnica fanno di questo albo l'ennessimo tassello dello Zagor sdoganato dall'eredità nolittiana. Prisco, dal canto suo, sta facendo un lavoro d'autore!". La frase che mi colpisce è "sdoganato dall'eredità nolittiana". Avrò di che riflettere, nelle prossime ore.



5 giugno. Joevito Nuccio. Illustrazione per la premiazione del concorso Cover Reloaded.



5 giugno. Giuseppe Manunta. Omaggio a Dylan Dog (inedito).



ADDIO ALLE ARMI

5 giugno. La Villain Comics è un’etichetta indipendente fondata da sette sceneggiatori italiani. Michele Monteleone, Stefano Marsiglia, Giulio Gualtieri, Francesco Trentani, Bruno Letizia, Roberto Cirincione e la partecipazione speciale di Roberto Recchioni come supervisore dei testi. Ho letto "Addio alle armi", testi di Antonio Gualtieri e Francesco Trentanni, disegni di Valerio Nizi e mi è parso proprio bello. Un noir futuribile disegnato benissimo, che se avesse un lettering più grande e scritto a mano potrebbe piacere anche a chi legge Tex. Auguri a tutti e sette, comunque.



6 giugno. Gianni Sedioli, Mauro Laurenti e Gallieno Ferri nella fumetteria Living Colour di Viareggio, nell'aprile 2012.



6 giugno. Massimo Pesce e Jacopo Rauch nella fumetteria Living Colour di Viareggio, nell'aprile 2012.



CIAO, RAY

7 giugno. E' morto Ray Bradbury, l'autore di Farhrenheit 451, ma che per me è lo scrittore del racconto "Rumore di tuono" (A sound of thunder), quello dove si immaginano dei viaggi nel tempo compiuti a scopo turistico, in uno dei quali un viaggiatore calpesta una farfalla e cambia il futuro. Uno dei racconti di SF più belli che abbia mai letto, dopo "L'ultima domanda" e "Notturno" di Isaac Asimov.




7 giugno. Gallieno Ferri e Joevito Nuccio insieme in redazione: il maestro e l'allievo.



LAVORI IN CORSO

8 giugno. Stamattina sono andato a fare un giro in bicicletta sulla pista ciclabile che collega Viareggio con Lido di Camaiore. Sia sulla passeggiata a mare di Viareggio che su quella del Lido, ho trovato dei lavori in corso: marciapiedi in rifacimento, recinzioni, mucchi di sabbia e di cemento. Ora, non è che la passeggiata a mare non avesse bisogno di restauri: ce n'era bisogno eccome (anche se io avrei iniziato a rimettere in sesto la piazza principale, quella con la statua del Burlamacco simbolo del carnevale e biglietto da visita della città, invece che con il rifare i marciapiedi laterali). Il punto è un altro: siamo a giugno, e le città di mare della Versilia vivono soprattutto sul turismo estivo: quattro mesi scarsi di introiti garantiti dai vacanzieri. Dunque, perché far trovare ai visitatori dei viali sul mare in rifacimento proprio mentre costoro vorrebbero passeggiarci indisturbati con il gelato in mano o spingendo i passeggini? Non era meglio organizzarsi in modo di fare i lavori tra marzo e maggio, togliendo i cantieri il primo giugno? Certe cose non si potrebbero fare nei mesi morti? Mah. Sia ben chiaro, non ce l'ho né con il sindaco di Viareggio né con quello di Camaiore, dato che vedo cose del genere praticamente dovunque, qualunque sia il colore politico delle amministrazioni. Potrebbe persino essere che assessori e sindaci abbiano, in qualche caso, le loro ragioni, e non voglio puntare il dito su una fattispecie piuttosto che su un'altra. Il discorso è più generale e riguarda il buon senso con cui si fanno le cose, quando si ha che fare con la cosa pubblica. Tutti saremmo in grado di citare cento esempi in cui i pubblici amministratori hanno fatto scelte incomprensibili, sciocche, palesemente sbagliate, scriteriate, cialtrone, arruffate, deprimenti. Scelte che la gente della strada avrebbe saputo consigliare meglio, su cui chiunque avrebbe dato un parere più saggio, più sensato. Invece, i sindaci (o i presidenti di provincia o di regione) sembrano partorire, in troppi casi, solenni castronerie. Perché? Perché non si riesce ad amministrare una città come si farebbe con casa propria o con il proprio giardino? Secondo me, oltre che per le pressioni di chi finanzia le campagne elettorali o delle lobby locali o nazionali, perché troppi amministratori invece di ritenersi quelli che devono innanzitutto asfaltare le strade piene di buche, curare il verde pubblico o garantire l'illuminazione cittadina, vogliono giocare al "piccolo politico" e riproducono in piccolo le tensioni del parlamento nazionale, per cui c'è sempre la destra contro la sinistra e viceversa, ci sono i discorsi magniloquenti sull'eredità di Gramsci e di don Sturzo, c'è l'antifascismo e c'è l'anticomunismo, ci sono gli equilibri avanzati e le convergenze parallele. E fra tanti discorsi in politichese fatti in giacca e cravatta, ci si dimentica delle cose pratiche come i parcheggi o la pulizia delle strade per cui bisognerebbe mettersi in jeans e T-Shirt e darsi da fare in mezzo alla gente.




LECTOR IN FABULA

8 giugno. Il giorno: ieri pomeriggio, verso le 16.15. Il luogo: la stazione ferroviaria di Massa Centro. Io sono in un vagone e guardo distrattamente fuori dal finestrino. C'è un signore con i capelli bianchi (circa 60 anni) che, in piedi appoggiato a un muro vicino ai binari, legge "Sulle tracce di Dexter Green", l'ultimo Zagor (mio e di Prisco). E' arrivato a metà e pare interessato. Non si scuote neppure per l'arrivo del treno. E' una scena troppo bella. Cerco lo smartphone per fare una foto a volo. Scopro che il telefonino è spento e non dà segni di vita. Si sono scaricare le batterie. Il treno riparte. Peccato.




UOMINI E TOPI

8 giugno. I gatti di casa hanno ucciso un topo in giardino. Il cadavere del roditore giace nell'erba già ronzante di mosche. Accorro con una pala per metterlo in un sacchetto e gettarlo via. Così, guardo da vicino l'animale. E' un topone grande come una bottiglietta di Coca Cola. A vederlo bene, è carino: assomiglia un criceto o un orsetto russo, un bel pelo grigio da carezzare. Zampine e nasetto rosa, dentini, musino simpatico. Perché, però, non mi fa tenerezza? Perché non la carezzerei mai? Perché, tra i roditori, gli scoiattoli o i ghiri ci sembrano deliziosi e o topi no? Beh, credo di averlo scoperto. E' per la coda. La coda dei topi fa proprio schifo, è repellente. E' per questo che a Michey Mouse, Jerry, Speedy Gonzales e Topo Gigio non la fanno così come realmente è.


8 giugno. Secondo "Gli Audaci", il  nuovo Zagorone "L'uomo che sconfisse la morte" è "una delle storie più belle di sempre. A me piace molto il disegno che illustra la recensione. Però, occhio allo spoiler se non avete ancora letto "L'uomo che sconfisse la morte".

http://gliaudaci.blogspot.it/2012/06/il-secondo-zagorone.html




BRUCE, LI'
   
9 giugno. Graziano Romani, lo Springsteen italiano, ha scritto la prefazione a un libro sull'originale Springsteen born in the USA (Bruce). Si tratta del saggio di Daniele Benvenuti - giornalista e critico musicale e sportivo - pubblicato da Luglio Editore dedicato al grande rocker del New Jersey. Ecco alcune note riguardanti il libro, che potrete trovare in tutte le librerie, tratte dal sito di Graziano: "ALL THE WAY HOME (Tutte le strade portano a casa)- BRUCE SPRINGSTEEN IN THE ITALIAN LAND 1985- 2012, il primo studio approfondito sul particolare rapporto (derivato anche dalle origini della mamma Adele) che lega Bruce Springsteen al nostro Paese. Dagli archivi e dalle esperienze sul campo del giornalista e studioso Daniele Benvenuti, un'analisi di tutti i 40 concerti tenuti dal rocker del New Jersey in Italia, partendo dallo storico 21 giugno 1985. Scalette, cronache,e immagini mai pubblicate sono la base di un lavoro, in realtà, molto più complesso e articolato: analisi socio-antropologiche di stampo accademico e studi di settore con il supporto di quotati professionisti (la voce, il cantato, tecnica e stile alla chitarra e all'armonica, atleticità e teatralità, psicologia e visione politica). Ma anche Bruce visto dal palco, con le testimonianze dei pochissimi connazionali che hanno materialmente diviso il microfono on stage con lui, e di fronte al palco, grazie ai segreti degli organizzatori e all'analisi degli appassionati. Un'opera unica nel suo genere, con oltre 250 foto inedite e prefazioni di Willie Nile, Graziano Romani e Alessandro Besentini."
9 giugno. Zagor marpione in un disegno di Stefano Andreucci.


LA SIGNORA

9 giugno. Un amico mi ha raccontato questo aneddoto a proposito di suo nonno, un signore d'altri tempi passato a miglior vita. Quando aveva poco più di trent'anni, diciamo subito dopo la guerra, la moglie partorì il secondo figlio e gli disse: "Con questo, abbiamo chiuso". Non intendeva solamente "chiuso con i figli", ma proprio chiuso con il sesso, dato che, a quanto pare, finora lo aveva fatto solo perché doveva, senza trarne particolari soddisfazioni, e dunque riteneva che, avendo messo al mondo la prole che ci si aspettava da lei, poteva bastare. Il nonno del mio amico alzò le spalle e se ne fece una ragione: che poteva fare? Il divorzio ancora non c'era, e poi lui magari a quella moglie voleva pure bene. Allora, si arrangiò. Dai suoi trent'anni fino agli ottanta, cominciò ad andare, tutti i giovedì, a trovare in un appartamentino non distante da casa, una professionista che lo ebbe come il suo cliente più fedele e assiduo. Tutti lo sapevano, la moglie compresa, alla quale andava benissimo. Al mio amico che chiedeva dove andasse il nonno quando, a intervalli regolari, si assentava da casa, rispondevano che il nonno andava "da una signora". Ecco, mi pare una storia carina e persino commovente. Mi figuro che anche la "signora" volesse un po' di bene a quell'ometto, e che magari a un certo punto abbiano pure festeggiato i venticinque, i trenta o i cinquant'anni di letto insieme.


GLI ESAMI NON FINISCONO MAI

11 giugno. Sono stato a pranzo con Claudio Gallo, il professore universitario veronese che mi ha invitato, qualche settimana fa, a tenere una lezione ai suoi studenti presso l'Ateneo dove insegna Storia del Fumetto. Mi ha detto che, cosa che non gli era mai capitata prima, la mia lezione ha cambiato in modo notevole le scelte degli iscritti riguardo all'argomento da portare all'esame, e su oltre cento esaminandi, più della metà ha deciso di portare Zagor! Sono sorpreso io per primo e, ovviamente, mi fa molto ma molto piacere.



11 giugno. Moreno Burattini canta in duetto con Graziano Romani (Viareggio, aprile 2012).




11 giugno. Moreno Burattini. Vignetta in portoghese dal titolo "Tex a Rio", apparsa su una pubblicazione brasiliana. Il testo dice: "Che cos'è?". "Una multa per divieto di sosta".



11 giugno. Il libro pop-up di Martin Mystere "Mistero a Copan".


SE NON CI FOSSERO I VACCINI

11 giugno. Su "Le Scienze" di questo mese (n° 526 - Giugno 2012) c'è un lungo e interessante articolo sulla poliomielite: l'umanità è sul punto di debellarla per sempre. A questo argomento dedica il suo editoriale anche il direttore, Marco Cattaneo, intitolandolo: "Se non ci fossero i vaccini". Un pezzo da incorniciare, con una lunga citazione iniziale da "Nemesi" di Philip Roth in cui lo scrittore ricorda gli anni in cui nelle città americane imperversavano le epidemie di polio e i genitori vietavano ai bambini di andare in piscina, al cinema o parlare ai telefoni pubblici. L'ultima di queste epidemie, del 1952, registrò 58.000 casi che provocarono 3145 vittime e 21269 giovani colpiti da paralisi. In Europa, poco prima che la vaccinazione diventasse obbligatoria, ci fu nel 1958 un dilagare della malattia, con 8300 casi. Dal 1966 tutti i bambini italiani sono stati tutelati per legge (e anch'io ricordo di essere stato vaccinato, così come ricordo tanti ragazzi più grandi di me che invece camminavano con le stampelle o erano costretti sulla sedia a rotelle: capitava di vederli a scuola o per strada). Conclude Cattaneo: "Prima di dar retta ai guru da cabaret che sostengono che i vaccini fanno male, dovremmo ricordare a tutti a quali rischi erano esposti i bambini solo mezzo secolo fa, e avere rispetto dei milioni di persone che di polio hanno sofferto o sono morte".


12 giugno. Roma. Quartiere di Mezzocammino. Ingresso del parco (un caro saluto ai due amici della foto, che non so chi siano ma che sono lieto abbiano messo in rete questo scatto).



12 giugno. Foto di anni lontani. 1992: a Lucca c'era ancora lo stand della Glamour con una hostess che si concedeva agli autori. :-)



12 giugno. Foto di anni lontani. Metà anni Novanta. Io e Giacomo Michelon ai tempi di Cattivik e Lupo Alberto di Macchia Nera.



12 giugno. Foto di anni lontani. 1992. Io con Michele Pepe e Giuseppina Caresana. Lui, scomparso autore di Zagor, lei attuale letterista dello Spirito con la Scure.



VIAGGIO IN PARADISO 

13 giugno. Sono andato a vedere "Viaggio in Paradiso", di Adrian Grunberg con Mel Gibson.Che vi devo dire? A me è piaciuto (come in generale piace Mel Gibson, comunque sia). Ironico, violento, pulp, con delle trovate niente male, e un bel cattivo che si cambia il fegato ogni volta che l'alcool glielo consuma. C'è sa chiedersi se carceri bidonville come quello in cui si svolge il novanta per cento del film esistano per davvero, in Messico.


NUOVI IMPEGNI

14 giugno. Come ogni giovedì, dovrebbe essere arrivato in tutte le edicole il nuovo Zagor Collezione Storica a colori, in questo caso il n°18. A partire dal n° 19, ci sarà un piccolo cambiamento nelle pagine introduttive. Se finora ho avuto il compito di riempire due facciate, dalla prossima settimana i testi di mio appannaggio ne occuperanno sei. Avrò infatti una nuova rubrica di cui occuparmi (fermi restando i "Buoni & Cattivi").Se c'è qualcuno che ha interrotto lo Zagor Collezione Storica dopo i primi cinque o sei numeri, adesso è il momento di ricominciare perché stanno arrivando i capolavori, tra cui "Zagor Racconta...". L'inizio, come si può ben capire, ha avuto bisogni di un rodaggio.



SEGNI DI INTERPUNZIONE

15 giugno. All'inizio di "Tutti i chilometri che servono", un libro di un giovane scrittore, Federico Fascetti, edito da Fermento (e disponibile anche in e-book), c'è una sorta di manuale di istruzioni per agevolare la lettura, che ho trovato bello e divertente. Il manuale spiega che senso dare ai segni di interpunzione. Eccolo:

Virgola (,): pausa breve.
Punto e virgola (,): pausa medio lunga.
Punto (.): pausa lunga.
Due punti (:): pausa per riprendere fiato prima della rincorsa.
Punto esclamativo (!): pausa lunga a bocca aperta.
Punto interrogativo (?): pausa curiosa.
Punto interrogativo con punto esclamativo (?!): pausa di curioso stupore.
Puntini di sospensione (...): pausa col fiato sospeso.
Virgolette: (" "): riportano fedelmente un dialogo, una citazione, un pensiero.



16 giugno. Illustrazione di Stefano Andreucci.


FORTE, IL PIANO

16 giugno. Questa mattina, ultima lezione di pianoforte prima della pausa estiva, poi o non ci sarò io o non ci sarà la mia insegnante. Riprenderemo a settembre. Se avessi tempo per studiare, sarei un bravo pianista. "Se", appunto.



IL PIATTO DEL GIORNO

16 giugno. Finalmente, dopo una serie di traslochi, spostamenti, risistemazioni, sostituzione di pezzi guasti, ho ripristinato nel mio studio-mansarda a Viareggio il mio vecchio mega stereo che avevo nella mia cameretta da scapolo, quando vivevo ancora con i miei genitori. Per dirla con franchezza: che belle le casse grosse come cassettoni, il piatto pesante ed enorme, tutto l'armamentario di lettore CD, lettore di cassette con duplicatore delle medesime, radio, amplificatore! Altro che i supporti per l'Ipod che ci sono nelle case di adesso! ...Così, con soddisfazione, ho tirato fuori i vecchi vinili, da trentatré e quarantacinque giri, e me li sto riascoltando tutti, sul piatto che gira.
Chi mi segue qui e sul blog sa che io conduco una battaglia per la musica senza frontiere, senza steccati, senza pregiudizi. Chi si barrica dietro i muri che egli stesso costruisce, finisce per divertirsi la metà e avere sempre la puzza sotto il naso. Io sono fiero di ascoltare di tutto, di accettare consigli da tutti, di sentire i CD che mi prestano, di essere contagiato da nuove passioni scoperte per caso.I vinili che conservo da quando ero adolescente, sono all'ottanta per cento i classici della musica italiana, per lo più cantautori, poi un po' di roba straniera (come i Queen, i Depeche Mode, i Duran Duran, Madonna,gli Wham, i Genesis, i Culture Club, Elton John...), un po' di opera e musica classica. In questo momento sto sentendo Federico Monti Arduini, ovvero Il Guardiano del Faro. Credo che dopo metterò i Rondò Veneziano. Tutte cose, queste ultime, che non ho in CD. Monti Arduini è stato un precursore con il Moog, e oltre al "Gabbiano Infelice" c'è almeno un altro brano che tutti ricordano, "Amore grande, amore libero" (rigorosamente strumentale ed eseguito da solo alle tastiere), ma anche "Pensare, capire, amare" e "Pajaso" mi piacciono molto.




MATASSE E GOMITOLI

16 giugno. Giornata di mare con pranzo a base di insalatone in un ristorante sulla passeggiata a mare di Lido di Camaiore. Mentre mangiamo, dalla spiaggia entrano nel locale, andando e venendo, bagnati scalzi e sabbiosi in costume da bagno. Il che mi fa venire in mente due cose. La prima: metterei l'obbligo di legge, pena l'impiccagione, che per entrare in un ristorante a torso nudo gli uomini debbano prima essersi depilati almeno le matasse sulla schiena (sarò che io sono un modello a pelo corto, ma non capisco come facciano le donne ad apprezzare certi gomitoli). La seconda: una volta ho avuto una fidanzata la quale riteneva che anche i quattro pelucchi che ho sul dorso io andassero eliminati, e mi convinse a sottopormi alla ceretta che si faceva regolarmente lei. Così, mi spalmò della classica melassa calda e appiccicosa, applicò le strisce e strappò senza pietà e senza preavviso. "AAARGH!", feci io. E lei replicò: "Ma insomma! ...Sii donna!".



FINCHE' C'E' PESTE C'E' SPERANZA

16 giugno. Sotto l'ombrellone, mia figlia Alice ripassa con me le materie d'esame (quello di terza media, che sta affrontando). Parliamo di letteratura italiana, e la interrogo sui Promessi Sposi. Alice, nel rispondere (in maniera tutto sommato soddisfacente), sottolinea come il Manzoni abbia reso protagonisti del suo romanzo delle persone semplici, degli umili, che si contrappongono ai potenti aiutati dalla forza della Provvidenza. Il che è giustissimo. Però mi viene un po' da ridere pensando alla Provvidenza che prima incasina Renzo e Lucia come peggio non si può (in realtà, potrebbe piovere) e poi, per toglierli dai guai in cui Lei li ha cacciati (poteva pensarci prima, insomma), scatena la peste in cui muore don Rodrigo. Ma muoiono anche diverse decine di migliaia di milanesi. Alice dice che comunque c'è il lieto fine. Ah, beh. In effetti Renzo e Lucia la scampano. Peccato per tutti gli altri.
Il problema della "provvidenza" è capire perché Dio debba intervenire sempre dopo e sempre a favore di qualcuno e non di qualcun altro. Per esempio, l'episodio più straziante dei "Promessi Sposi" è quello della mamma di Cecilia, che consegna ai monatti la propria bambina avvolta in un vestitino bianco e li avvisa di tornare il giorno dopo a prendere anche lei. Ecco: e la provvidenza? Perché non l'ha aiutata? Io, che ho sempre le lacrime agli occhi leggendo quella pagina, mi commuovo: la provvidenza, no. Riguardo ai potenti rovesciati dai troni e agli umili innalzati, vien da dire che di solito gli umili continuano a prendere regolarmente pesci in faccia, e questo è più vero che mai nel caso della peste: i ricchi potevano starsene chiusi nei castelli, o cambiare aria andando in campagna (come la compagnia del Decamerone), i poveri restavano nei loro tuguri a morire. Per un don Rodrigo che giustamente paga il fio delle sue colpe, schiattano mille poveracci, compresi quelli contagiati nella processione promossa dal cardinale Federigo per chiedere la fine dell'epidemia a quell'Altissimo che, secondo loro, per motivi oscuri (spero non per salvare la verginità di Lucia) l'aveva mandata. Se c'è una cosa da non fare durante le epidemie, sono le processioni. In conclusione, senza voler fare per forza l'agnostico, quel che mi sembra chiaro è che non si può dare il merito a Dio per il miracolo che salva un malato da una malattia mortale, e non dargli la colpa per i milioni di altri che per la stessa malattia muoiono. Se Dio è buono e onnipotente ed è nella sua discrezione intervenire nelle cose umane, dovrebbe salvare tutti, o meglio, non far ammalare nessuno. Siccome non lo fa, e non vogliamo pensare che non sia buono o che non sia onnipotente, resta da credere che non voglia intervenire nelle cose umane. Dunque non ha né colpe né meriti, e i miracoli ce li immaginiamo noi attribuendoli a qualcuno che ci soccorre nelle nostre tribolazioni. Del resto, per credere in Dio i miracoli non servono. E se a qualcuno ci volesse uin miracolo per credere, allora che fede fragile che avrebbe!



GRANDI SPERANZE

17 giugno. Non posso fare a meno di notare, ogni volta che leggo qualcosa in proposito, di come molti scienziati siano ottimisti sulle scoperte tecniche e scientifiche che sembrano sul punto di rivoluzionare la vita dell'uomo nei prossimi abbi (nonostante il pessimismo cosmico che attanaglia gli occidentali per colpa della crisi economica). Su "Le Scienze", un articolo sì e uno no accenna a degli studi che sono sul punto di fare fare un balzo alle nostre conoscenze a proposito di qualcosa di importate (fisica quantistica, medicina, cibernetica, paleoantropologia, nuovi materiali, biologia, nuove fonti di energie, cosmologia e cosmogonia). Su "Repubblica", un mese fa, Umberto Veronesi scriveva in modo entusiastico a riguardo delle nanotecnologie che presto, molto presto, cambieranno tutto (l'articolo è linkato in basso). Oggi, leggo sul "Corriere della Sera" (anzi, sul suo supplemento domenicale "La Lettura") un colonnino di Antonio Polito intitolato "Il futuro è migliore" in cui viene recensito un libro uscito da poco in America, "Abundance: The Future Is Better Than You Think", di Peter Diamandis (Free Press), in cui si dice che non abbiamo idea di quanto la tecnologia sia vicina a produrre un veri e proprio salto in avanti per l'umanità, che cambierà radicalmente lo standard di vita di ogni uomo. Dato che di questo parere sembrano essere in diversi, non c'è che da attendere fiduciosi.


SPIAGGE

17 giugno. Sarà che sono un montanaro rotolato a valle e finito in riva al mare, ma la vita da spiaggia, a me, pare proprio un mezzo inferno. Siamo sinceri: ma chi ce lo fa fare, di stare un giorno sulla sabbia arroventata, sotto il sole cocente, cercando di non uscire dalla poca ombra che può offrire un ombrellone sotto il sole allo zenith? Se uno non ha la fortuna di potersi permettere uno stabilimento balneare come quelli di Forte dei Marmi, con i letti a due piazze e gli asciugami dalla tinta in tono cambiati dagli inservienti, posti sotto tende stile arabo e palmizi, le due sdraio senza braccioli e il lettino di plastica abrasiva che danno sul resto degli arenili, sono un vero e proprio supplizio. Tanto per cominciare, per leggere un quotidiano ci vuole un tavolo davanti. Su una sdraio, viene male alle braccia dopo tre minuti e quarantacinque secondi di lettura (cronometrati). Per i libri e i fumetti, la sabbia è micidiale: si insinua fra le pagine e distrugge le rilegature. Gli unici testi che si possono portare in spiaggia sono quelli che, dopo, si è disposti a gettare via. Il sole dardeggia e brucia dovunque non ci sia spalmati la protezione 50, e c'è sempre un punto in cui non ce la si da. Lì, dopo, sono dolori per undici giorni. Dormire sulle sdraio è impossibile, il lettino fa venire il mal di schiena e comunque è sempre occupato da qualcun altro dei famigliari. La rena brucia e non c'è verso camminarci sopra, gli asciugamani sono troppo corti per cui almeno i piedi devi appoggiarceli sopra e te li scotti. I calcagni si screpolano come le zolle di un campo. Nel mare ci sono le meduse. Se non ci sono, c'è comunque il sale che, uscendo, si cristallizza addosso e soprattutto sui peli sotto le ascelle, inevitabile cercare di farsi la doccia che di solito è gelida. Se la vuoi calda, devi pagare cifre esose. Le piscine degli stabilimenti balneari (che in molti preferiscono ormai alle infide onde) sono di acqua salata: impossibile nuotare a occhi aperti perché il sale più il cloro sono un mix micidiale. Le bottiglie di minerale che ti porti dietro per combattere l'arsura diventano calde e imbevibili dopo sei minuti che sono state aperte. Tutt'attorno i pianti dei bambini sembrano ululati di sirene. Volano palloni come dischi volanti. Strepiti dovunque, compresi quelli del napoletano che vende cocco bello cocco fresco (ci dev'essere un'unica famiglia di napoletani che ha avuto in appalto tutte le spiagge della penisola). Ogni quattro minuti e mezzo passa un vucumprà che se fingi di dormire ti scuote e non basta dire "no, grazie" una volta per fargli capire che non sei interessato alla sua merce. Di conseguenza, l'ideale per godersi il mare è vederlo da lontano, dal porticato di una villa in collina dove spira un po' di brezza, e dove si può stare su un divano all'aperto a guardarlo, o su una sedia di vimini davanti a un tavolino coperto di libri e con l'intera rassegna stampa che la sabbia non insidia.



18 giugno. Mauro Laurenti e Gianni Sedioli: Zagor e Cico come sono e come erano, nello specchio del tempo (disegno realizzato a quattro mani in occasione del cinquantennale, in b/n, colorazione successiva da parte di Dejan Bilokapi).


LA STRADA DELLE CICOGNE


18 giugno. E' già la seconda volta quest'anno che mi trovo a fare un particolare tipo di esame medico che, di solito, viene prescritto alle donne incinte (non ho mai capito perché si dica anche "in stato interessante", dato che ai miei occhi le donne sono interessanti comunque). Così, trascorro tre ore (tanto dura l'esame) in compagnia di bellissime ragazze con il pancione (le donne incinte sono più belle del solito - ah, ecco perché sono "in stato interessante). Senza volere, dalla poltrona dove devo stare seduto, mi capita di sentire le voci di altre donne che si sottopongono ad altri esami in delle stanze accanto che, come ho capito, sono destinate alla fecondazione assistita. Sento così parlare di "tentativi": talvolta è il secondo, oppure il terzo o magari anche il quarto. L'infermiera con cui parlano dice a tutte la stessa cosa: "vedrai che questa sarà la volta buona". Mi commuovono le voci da ragazzine emozionate di signore che non vedo ma che sono nate negli anni Settanta, dato che declinano la data di nascita, alcune sono un po' rotte dal pianto, altre speranzose e fiduciose. Si capisce che per loro avere un figlio sarebbe davvero la realizzazione del più grande desiderio della loro vita. Tutte le femmine delle specie sessuate sono geneticamente portate a desiderare la maternità e programmate per quella. Scambio due parole con l'infermiera che mi assiste, che mi conferma con siano tantissime le coppie che non riescono ad avere figli, e spesso (mi dice) non dipende da lei, ma da lui. Spermatozoi troppo deboli, forse per colpa dell'alimentazione dei nostri giorni. Mi sento un po' fuori posto, sia perché mi accorgo di essere l'unico uomo, sia perché sono stato un procreatore prolifico e ho vissuto per anni con il timore dei ritardi delle mie amate (un incubo, credo, con cui tutti i maschietti devono fare i conti), piuttosto che con quello di non contribuire alla discendenza della specie. Me ne vado, a esame finito, con il ricordo di quelle voci. Auguri a tutte perché, nonostante certe leggi, la vita trovi la strada e la cicogna faccia il nido sui vostri tetti.


EROI A GRAZZANO

19 giugno. In occasione di "Eroi a Grazzano" edizione 2012, è stato realizzato un portfolio con cinque illustrazioni: Zagor di Paolo Bisi, Brendon di Lucia Arduini, Dylan Dog di Giovanni Freghieri, Shangai Devil di Stefano Biglia, Dampyr di Nicola Genzianella, tutti artisti piacentini. Per procurarvelo potete provare a chiedere alla giocolibreria "Semola" di Grazzano Visconti (www.libreriasemola.it) o la fumetteria "La soffitta" di Piacenza (www.lasoffittafumetti.com).


19 giugno. Pino Prisco. Matita per "Terra del Fuoco", penultima storia della trasferta di Zagor in Sud America.



19 giugno. Bonelliani all'estero. Volume della serie "Bunker", edito in Francia da Dupuis (il quinto e ultimo), disegni di Nicola Genzianella (Dampyr), su testi di Bec &  Betbeder.



19 giugno. Nicola Genzianella (Dampyr), Paolo Bisi (Zagor) e Ade Capone (Zagor) a Grazzano Visconti (giugno 2012) in occasione di "Eroi a Grazzano".



19 giugno. Partecipazione di nozze di Marina e Francesco, che si sono sposati il 10 giugno 2012 in provincia di Viterbo. Auguri! La cosa divertente è che avrebbe potuto essere la partecipazione di nozze di tutti noi maschietti zagoriani (che abbiamo immancabilmente una compagna che fa la faccia della Marina del disegno).



PAROLA DI TRADUTTORE

20 giugno. Il mio traduttore brasiliano (e fratello di sangue) Julio Schneider è al lavoro per tradurre "L'uomo che sconfisse la morte". Ecco che cosa mi ha scritto in una mail: "Sulla spiaggia, nella quiete di fine autunno nell'emisfero sud, l'aria tiepida, leggendo il secondo Zagorone, una lettura lenta, per assorbire ogni parola e lavorare di tastiera, riscrivendo la storia in portoghese. Di solito mi leggo tutta la storia per poi tradurla, ma stavolta ho deciso di leggere e tradurre contemporaneamente. Sul fondo, le note di qualche CD scelto, come King of Darkwood, Johnny Cash ed altri con il meglio delle colonne sonore di classici western. Pagina dopo pagina, l'emozione mi prende. Quando la pira con sopra il corpo di Zagor viene data alle fiamme da Winter Snake e Tonka si lascia scappare una lacrima... emozionato, mi fermo a guardare i dettagli del pennello di Verni (ma ce l'avrà un limite, la bravura di Marco?), la lettura/traduzione si ferma. Passa del tempo prima che riesca a darmi una scossa e andare avanti. Beh, proseguiamo per vedere come la Fenice Zagor risorgerà (ma sarà davvero lui?)."



20 giugno. Paolo Bisi. Zagor, illustrazione per "Eroi a Grazzano" 2012.




STORIA DELLE MIE DISGRAZIE (AGAIN)

20 giugno. Storia delle mie disgrazie (aggiornamento). Chi si fosse messo in ascolto da poco, potrà trovare le precedenti disgrazie elencate nell'articolo linkato qui. Chi già fosse al corrente dei miei guai con la tecnologia, forse potrà capire con quale spirito sia reduce dal più recente dei miei guai. Premetto che quando mi capita qualcosa, il primo consiglio che mi si dà è questo: chiedi a Google. Uno fa una domanda, e da qualche parte in rete c'è già la risposta. Allora, l'ultimo guaio è che il computer fisso che ho in casa a Milano si spegne da sé, dopo dieci/quindici minuti che va, senza nessuna causa apparente. Provo, riprovo, riprovo ancora, ma si spegne, senza preavviso, senza nessun tentativo di comunicarmi il perché pur con uno degli incomprensibili messaggi che talvolta appaiono sullo schermo. Questa volta, niente. Schermo nero di punto in bianco. Allora, chiedo a Google. Domanda: "Perché il mio pc di spegne all'improvviso?". Risposta: "E' il caldo". Ah. Ridomanda: "Che posso fare?". Risposta (giuro): "Aspetta che cambi la stagione". Ecco, c'è un'app per tutto, e piovono tablet dal cielo, ma il mio pc si rianimerà soltanto in autunno, sperando che l'estate non duri fino a tutto novembre, come talvolta accade.


STORIA DELLE MIE DISGRAZIE  (AGAIN AGAIN)

20 giugno. Storia delle mie disgrazie (nuovo aggiornamento). Ho già raccontato di come il mio navigatore (il secondo, dopo il passaggio a miglior vita del primo, di cui ho ugualmente narrato) pretenda che, quando gli chiedo di condurmi in una via, ioinserisca anche il nome di battesimo del personaggio a cui questa è dedicata, se no mi dice che non esiste. "Via Garibaldi": non esiste. "Via Giuseppe Garibaldi", esiste. Sapete tutto del dramma quando siamo di fronte a vie come "Via Pagliano", se uno non sa che il pittore Pagliano si chiamava Eleuterio. Ma, due settimane fa, mi è capitato di dover andare a Reggio Emilia in Via Montegrappa. Sogghigno: Via Montegrappa si chiama così da una località, non c'è un nome di battesimo. Perciò, parto. "Inserire città". Reggio Emilia. "Non esiste". Come non esiste, imbecille? Reggio Emilia! "Non esiste". Reggio Nell'Emilia. "Esiste". Ecco, gli ci voleva "Nell'". Via Montegrappa. "Non esiste". ARGH! Come non esiste! Esiste! Ci sono già stato una volta, ti dico che c'è, aggeggio infernale. "Non esiste". Lo guardo sgomento. Mi illumino d'immenso. Via Monte Grappa. "Esiste".



20 giugno. Magnus. Illustrazione per un libro di favole (da "Il fumetto" n° 82, maggio 2012, su cui c'è un dossier sulle illustrazioni di libri per ragazzi realizzate dal giovane Raviola).


Domenica 24 giugno 2012, il supplemento domenicale del "Corriere della Sera", "La lettura", ospita una storia di TEX di 4 tavole (da quattro strisce l'una) inedita, a colori e completa, scritta da Mauro Boselli e disegnata da Fabio Civitelli, intitolata "La preda". Civitelli è anche l'autore dei colori ad acquarello: lo vedete nella foto mentre mostra orgoglioso la prima striscia originale del suo lavoro.



22 giugno. Ho letto in treno, ieri sera, sia il nuovo numero di Lilith, "La grande battaglia" (n°8, giugno 2012), sia il secondo di Saguaro, "Ombre nel buio". Ho trovato alcune similitudini, fra le tante differenze fra i due prodotti. Innanzitutto, è bello che le differenze ci siano: a volte si sente parlare del fumetto bonelliano come di un qualcosa di omologato, standardizzato, etichettabile e definibile appunto con un solo aggettivo, giudicabile a scatola chiusa, magari con un evidente pregiudizio. Non è così: basta paragonare, appunto, Lilith e Saguaro, sia nei testi che nei disegni, sia nel formato che nella periodicità, sia nel tipo di filosofia creativa che in quella editoriale. In realtà, la Bonelli è in grado di rivolgersi a pubblici diversi e soddisfare le differenti esigenze. Ma veniamo alle similitudini, che vanno al di là del prezzo popolare, della scelta del bianco e nero o delle classiche dimensioni delle pagine. Si tratta innanzitutto di prodotti realizzati con grande cura, e questo dovrebbe essere innegabile anche dai più accaniti detrattori (se mai ce ne sono). Io mi sono perso nell'ammirare le scelte grafiche e le idee narrative di Luca Enoch, così come ho trovato efficaci le tavole di Siniscalchi e i dialoghi di Enna. Tutto si può dire tranne che questi autori non abbiano lavorato dando il massimo, perdendoci del tempo, come se stessero facendo "robetta": al contrario, si vede il loro impegno, la loro dedizione. In secondo luogo, mi ha colpito lo sforzo di documentazione. Sia Enoch che Enna non hanno buttato giù la prima storiella che è venuta loro in mente, ma si sono messi a leggere e a studiare per ricostruire con efficacia anni che non sono i nostri e latitudini e longitudini diverse. Non c'è niente di banale in quello che entrambi hanno fatto. L'editoriale di Gianmaria Contro premesso a "Ombre nel buio" spiega i punti di contatto fra il personaggio di Enna e i romanzi di Tony Hillerman e la ricostruzione che Saguaro dà della sua comunità di nativi americani non è stereotipata (indipendentemente dal fatto che piacciano o meno le sue storie). Per finire, una curiosità: nel suo secondo numero, Thorn lancia un tomahawk come Zagor e, come accade a Tex all'inizio della sua saga, viene arruolato tra gli uomini della legge nonostante il suo status di borderline e il suo essere guardato con sospetto dagli sceriffi. Peccato solo che non baci la bella Kai (ma ci sarà tempo). Se un difetto dobbiamo trovarlo, credo che si possa dire questo: l'inizio della serie è lento e (il n°2 lo dimostra) ci vuole un po' per entrare nello spirito del personaggio, gustandone le parole e i silenzi, cominciando a capire il suo microcosmo. "Ucciderei per un buon incipit", ha scritto un giovane autore che ho citato di recente, recensendo l'antologia di racconti "Salsicce e rapine": ecco, un incipit più folgorante avrebbe creato meno dubbi sulla bontà di Saguaro, una serie da cui, invece, mi aspetto molto.



L'INCIPIT

22 giugno. La mia recensione di "Salsicce e rapine", l'antologia dei giovani autori della scuola di scrittura creativa diretta a Lucca da Sebastiano Mondadori (la potete leggere poco più sotto lungo il "diario") ha dato origine a diversi commenti e a un tormentone. Il tormentone è quello della frase "ucciderei per un buon incipit", un aforisma che si deve a Matteo Pieri. Dopo averlo citato una volta, l'ho riferito di nuovo parlando di "Saguaro" e Pieri, in un botta e risposta (altrove da qui), ci ha scherzato su dicendo che d'ora in poi scriverà soltanto incipit. Su "La lettura", il supplemento del Corriere della Sera, in effetti vengono pubblicati gli incipit migliori inviati dai lettori. Fra le cose che ho scritto, è stata apprezzata, ho notato, la mia difesa del racconto come forma letteraria, bistrattata in Italia nonostante la grande tradizione. Per fortuna, uno che può permettersi di pubblicare un'antologia di racconti come e quando gli pare, c'è: Andrea Camilleri. Nel gennaio 2012, nella collana Libellule della Mondadori è apparsa la raccolta "Il diavolo, certamente". Trentatré storie brevissime (quattro-cinque pagine appena, ciascuna), efficaci e fulminanti. Potrebbe essere una sfida divertentissima quella di invitare un gruppo di scrittori (allievi dei corsi di scrittura creativa compresi) a licenziare racconti della stessa brevità, in grado di essere letti tra una fermata e l'altra della metropolitana, e farne una collana di libretti del genere (magari ciascuno con un tema diverso). Se fossi il responsabile di una Casa editrice che pubblica libri, ci farei un pensierino. Ma tornando agli incipit, ne segnalo cinque (a titolo di esempio) scelti fra quelli dei trentatré racconti di Camilleri, perché danno l'idea di come, se si indovina l'inizio, il lettore deve andare avanti per forza (mai cominciare con una lunga descrizione del cielo tempestoso o dei prati coperti di fiori).

8. Hazrel, giovane bello e ricco, faceva vita dissoluta quando, giunto al trentesimo anno, venne sfiorato dalla divinità.
11. Ancora dopo cinque anni che erano sposati, Manlio non riusciva ad abituarsi al russare di Floriana.
13. Homer, sicario rinomato per l'infallibilità della mira e per la scrupolosità nel lavoro, venne assoldato per uccidere un bambino di dieci anni.
22. Babbo, certe notti, diventa assai cattivo con la mamma.
26. Paolo Magli è arrivato alla conclusione di togliersi la vita.



LA DONNA DEL MIO AMICO

22 giugno. La moglie di un amico mi ha appena detto qualcosa che dovrebbe dare da riflettere. "In Italia leggono soprattutto le donne", sostiene. "Siamo noi, il pubblico femminile, quello che soprattutto acquista libri, stravede per gli scrittori, si appassiona per i romanzi. Eppure, voi fumettisti fate fumetti che sembrano rivolti soltanto agli uomini. Quote rosa ridotte al minimo, scarsa sensibilità alle tematiche care all'altra metà del cielo, poche concessioni alla visione che le fanciulle hanno del mondo. Perché?". Eh, bella domanda.




22 giugno. Nicola Genzianella. Dampyr, illustrazione per "Eroi a Grazzano" 2012.



22 giugno. 1963. Il piccolo Moreno impara a camminare.



24 giugno. Il servizio di Giacomo Cocchi di TV PRATO sull'incontro a Mondi Paralleli.
http://www.tvprato.it/archives/45069




24 giugno. Ho trovato due vecchi libri su una bancarella, e tutti e due hanno qualcosa che vale la pena di venire segnalato. Comincio a parlare del primo facendo una premessa. Ieri, nella mansarda dove ho attrezzato il mio ufficio, è giunta la troupe di Riccardo Jacopino, per le ultime riprese del documentario su Zagor. Mi hanno filmato mentre scrivevo, ho fatto vedere qualcosa su come organizzo il lavoro. Tra le altre cose, il regista ha chiesto all'operatore di riprendere i sette scaffali in cui conservo tutti i libri di Isaac Asimov che sono andato raccogliendo nel corso degli anni. "Credo di avere tutto quello che, almeno di narrativa, è stato tradotto in italiano", ho detto. Invece, ecco che oggi, sul lungomare, trovo il romanzo asimoviano "Stelle come polvere", Editrice Nord, 1972. Che mi manca. Ma non mi manca realmente, a dire il vero. "The stars like dust" ce l'ho in una edizione Mondadori, tradotto con il titolo di "Il tiranno dei mondi". Allora, vi chiederete, perché comprarlo di nuovo, in quest'altra versione? Beh, potrebbe essere perché è comunque un libro con un altro titolo e un'altra copertina. Ma non è questo il vero motivo. E' che l'edizione della Nord ha una presentazione di Riccardo Valla che non c'è in quella Mondadori e, soprattutto, una lunga prefazione dello stesso Asimov intitolata "Ritratto dello scrittore da ragazzo", in cui the Good Doctor racconta della sua adolescenza sognatrice. Mi è bastato scorrere alcune righe per ritrovarmi in tanti piccolo particolari. Tra cui questo: "Mio padre, che osservava i miei primi parti letterari, decise che non potevo andare avanti senza una macchina per scrivere, e alla fine arrivò a casa con una Underwood, antichissima ma ancora funzionante". Ecco, anch'io, da ragazzo, ho scritto i miei primi raccontini a mano, finché mio padre non mi regalò una portatile Olivetti. Che ancora conservo come una reliquia.



IL PASSATO DEL FUTURO

24 giugno. Il secondo libro che ho comprato oggi dopo averlo trovato su una bancarella, ha assolutamente lo stesso aspetto dell'immagine che vedete qui sopra (dunque, ha un'aria un po' "vissuta"). Si tratta della prima edizione originale (1959) de "Le meraviglie del possibile", e cioè di una celebre antologia di fantascienza curata da Sergio Solmi e Carlo Fruttero, la cui importanza consiste soprattutto (al di là degli indiscutibili meriti dei singoli venti racconti raccolti, due dei quali di Asimov) nell'avere "sdoganato" la SF presentandola in un prestigioso volume Einaudi, con un lungo saggio introduttivo dotto e acculturato dovuto a Solmi, in cui si spiega come anche quella fantascientifica possa essere grande letteratura. Ma quello che mi ha davvero convinto all'acquisto, nonostante il prezzo non stracciato e le condizioni non perfette, è un qualcosa che rende unica la mia copia. Vale a dire, una dedica scritta a mano sul frontespizio. 
Il testo è delizioso è commovente, e vale la pena della trascrizione. Eccolo:
"Caro Mario,
non spero che dopo aver letto questo libro tu divenga un appassionato di fantascienza, spero solo che tu ammetta il valore di un genere letterario che può stare senz'altro alla pari con altri. In fondo, la differenza fra noi è solo nella proporzione con cui ammettiamo il fantastico nel reale. Vecchio mio, buon Natale! Affettuosamente tuo, Aldo.
Marte, 25 dicembre 1959 (tempo terrestre)".



E' TANTO DIFFICILE?
24 giugno. Una lettera nella pagina del "Corriere" in cui Sergio Romano risponde ai lettori vale una citazione: "Ma perché la questione omosessuale dev'essere sempre solo vista come un'eterna lotta fra innocentisti e colpevolisti? La condizione sessuale non è né un merito né un demerito: è per l'appunto una condizione, dataci da Madre natura. Non è il caso né di menarne vanto, né di vergognarsi. Ognuno ha la sua e se la tiene, smettendo possibilmente di sindacare e sentenziare su quella degli altri. E' tanto difficile?".



CENT'ANNI DOPO

25 giugno. Giugno 2012, stazione di Firenze Santa Maria Novella. A 101 anni dalla morte di Salgari, ci sono ancora nuove edizioni dei suoi libri in vendita, in collane destinate ai ragazzi. Immortale Capitano!



SOGNI A OCCHI APERTI

25 giugno. Immaginate un volumone così, intitolato "Bonelli Comics, anno per anno". Sospirone.



25 giugno. Foto appesa accanto alla cassa di un ristorante milanese (in via San Siro).


GUARDATI LE SPALLE!

26 giugno. Foto di Franco Lana (sempre il solito spiritoso), questa volta in combutta con il suo edicolante Davide Barbato, grande appassionato di fumetti, nell'edicola torinese "Del portico".



26 giugno. L'appassionato zagoriano Ivica Matic propone un interessante cross over,



LA MINORANZA

26 giugno. C'era una volta un programma TV chiamato "Non Stop", una sorta di Zelig ante litteram. Verdone e Francesco Nuti, Beruschi e Zuzzurro e Gaspare iniziarono lì. Il comico che più mi piaceva, però, si chiamava Ernst Thole. Biondo e olandese, era figlio di Karel Thole (quello che illustrava le copertine di Urania) ed è morto giovanissimo. Ma me lo rammento benissimo e rido ancora al ricordo di quando, facendo outing senza problemi sul piccolo schermo (del resto era impossibile non vedere che era gay) diceva: « La mamma voleva un maschietto, il papà una femminuccia... sono nato io e li ho accontentati tutti e due ». Ma la battuta più bella, fatta usando una parola che oggi suonerebbe politicamente scorretta, era questa: "Come vi sarete accorti, io appartengo a una minoranza. (pausa). Sono negro". Ecco, domenica scorsa, stando sulla spiaggia e guardando gli altri bagnanti, mi sono accorto che ANCH'IO appartengo a una minoranza. Ma minoranza proprio minoranza. Non sono tatuato. Ormai io farò un punto di distinzione non avere tatuaggi, come l'avvocato Agnelli che portava l'orologio sopra il polsino della camicia. Comunque sarà divertente quando sulla carta di identità mi scriveranno "segni particolari: nemmeno un tatuaggio".



NE AVRO' FINO ALLE DUE

26 giugno. Dopo otto ore d'ufficio, sono a casa e devo: 1) finire di leggere le bozze di stampa del Maxi Zagor (290 pagine) con tutta la cura dovuta alla ricerca dei refusi; 2) scrivere cinque pagine di sceneggiatura (direi tre per Barison, due per Verni); 3) scrivere la rubrica "Buoni & Cattivi" per lo Zagor di Repubblica n° 27. Ne avrò fino alle due. Poi, domattina, sveglia alle 7,45 e altre otto ore di ufficio, durante le quali ho in programma la revisione della storia amazzonica di Ferri. Dato che in agosto lavorerò in redazione solo una settimana, ma la Collezione Storica uscirà tutte le settimane, dovrò mettermi avanti facendo, durante luglio, il doppio degli articoli del mese. Praticamente, quando andrò in ferie non dirò: e ora, il mio lavoro per un po' lo faccia qualcun altro; dirò: il lavoro che dovevo fare l'ho già fatto.


LA SCALATA

26 giugno. Mi capita spesso di sentirmi dire: "Ma come fai a scrivere così tanto, a seguire tutte quelle cose, ad andare a tutti quegli incontri, a organizzare tutti quegli eventi?". La domanda in realtà, spesso sottintende: "Ma chi te lo fa fare? Perché non stacchi la spina e ogni tanto ti rilassi?". La risposta che mi viene da replicare è quella che una volta ho sentito dire a un alpinista a chi gli chiedeva perché doveva per forza scalare una montagna e rischiare la vita: "Non hai paura di morire?". L'alpinista rispose: "Ho più paura di non vivere".


RELAX

27 giugno. Dopo otto ore in redazione da Bonelli, e quattro ore dopocena a scrivere per Zagor, vado a letto. Per rilassarmi, leggerò un fumetto.



IL FIGLIO SEGRETO

27 giugno. Secondo me, Andrea Pirlo è il figlio segreto del maestro Muti. il maestro è stato un po' pirlo, ma poi lui e la mamma di Andrea sono rimasti muti



27 giugno. Oggi, 27 giugno 2012, Boselli e Della Monica (qui sopra in una caricatura di Bira) hanno iniziato "Antartica", l'ultima storia della trasferta di Zagor in Sud America.



27 giugno. Tavola di Bane Kerac (un grande fumettista serbo e internazionale), tratta da una storia in cui i personaggi dei fumetti prendono vita nel mondo reale. Ne riconoscete qualcuno?


SOLD OUT!

27 giugno. Mi invitano a presentare il mio romanzo "Le mura di Jericho" in una serie di incontri con autori. Ho dovuto dire di no: il libro è esaurito!


POVERI CAVALLI

28 giugno. Ieri sera ho scritto una scena, di una futura storia di Zagor, in cui una trappola esplosiva fa strage di un gruppo di uomini a cavallo. Stamattina, dopo una notte di ripensamenti, ho fatto scendere il gruppo da cavallo e ho trasformato la scena in una strage di uomini a piedi, evitando così le prevedibili proteste dei lettori. Ammazzare dei cristiani va bene, ma poveri cavalli.



28 giugno. In vendita su eBay. La maglietta, non la ragazza.



29 giugno. Visto il successo della foto precedente, ripropongo questa continuando a dire: non so chi sia, ma mi piacerebbe conoscerla.



29 giugno. Tomo Jelenko, che ringrazio, ci informa che la ragazza con la maglietta di Zagor che le fa da minigonna, pubblicata poco sotto, è una attrice ceca fotografata durante la Fiera "Erotica" in Slovenia nel 2007. Si chiama Sexy Ally e una grande ammiratrice dei fumetti. Speriamo anche degli autori, di fumetti.


LA STRATEGIA DEL SERPENTE

29 giugno. Forse mi sto ripetendo, perché l'ho già detto, ma a me piace un sacco la serie di Brendon. E il nuovo albo da poco in edicola, il n°85, mi ha confermato nel mio apprezzamento. La storia prosegue il ciclo della "Luna Nera" e ritorna la figlia di Brendon, Daisy, che, si scopre, avrà un ruolo nell'evolversi della saga. Bravissimo Gianluca Acciarino che, ne sono certo, saprebbe disegnare uno Zagor superbo.


LA NUOVA FRONTIERA

29 giugno. La nuova frontiera dell'enigmistica, per quanto mi riguarda, è questa. Trovando di solito troppo facili quasi tutti i cruciverba della "Settimana Enigmistica", tranne il Bartezzaghi, ho cominciato ad armarmi di lapis e gomma da cancellare e a provare a riempire le caselle con nomi, vocaboli e sigle che si incrociano nel modo giusto, senza tener conto delle definizioni date, ma rispettando gli spazi esistenti. In pratica creo un cruciverba alternativo, mantenendo lo schema data. Per il momento uso parole semplici, vedremo dove arriverò.


PARERI CONTRAPPOSTI

30 giugno. "Hai visto 'John Carter'?", mi chiede un amico. "No, purtroppo. Ho comprato il romanzo uscito su Urania e sono fermo al capitolo tre". "Devi vederlo assolutamente! E' un film bellissimo! Molto meglio del mistico e moralisteggiante Avatar". "Lo vedrò sicuramente, ma perché, se è così bello, è stato un flop al botteghino?". "Perché la gente non capisce niente". Dunque, ieri sera, prendo al videonoleggio il DVD di "John Carter".
Forse la gente non capisce niente, ma evidentemente neppure io, perché mi è sembrato un film terribilmente soporifero. Ho fatto fatica ad arrivare sveglio al finale. Già la presenza del marchio Disney mette in guardia sul fatto che non ci sono scene troppo violente, niente sesso, niente sangue, niente parolacce, niente tensione troppo insostenibile se no i bambini (che peraltro sbudellano gli avversari nei videogames e cercano i filmati splatter su YouTube) si turbano.  Si comincia subito male con un prologo in cui non ci si raccapezza: un duello aereo dove non ho capito quali fossero le aeronavi dei buoni e quali quelle dei cattivi (né che cosa, nei comportamenti o negli intenti, differenzi gli opposti equipaggi).
Dopodiché non ho capito perché la figlia di uno dei mostri a sei braccia si meravigli, a un certo punto, nello scoprire che uno degli esabracciuti sia suo padre né perché John Carter riusca a indovinarlo, se tutti nascono da delle uova buttate all'ammasso, né perché questo sia importante; del resto, non ho capito neanche chi fosse l'uno e chi fosse l'altro nei contrasti fra i mostri a sei braccia, e perché ce l'avessero fra di loro (a me sembravano tutti uguali, senza neppure apprezzabili differenze fra maschi e femmine).
Non ho capito perché la città dei cattivi si deve muovere sulle zampe e non è stata costruita ferma e soprattutto non ho capito i motivi del contendere fra i buoni e i cattivi e dunque non mi è importato nulla dell'esito finale del conflitto; il capo dei cattivi mi è sembrato un incapace fin dal primo apparire e dunque non l'ho detestato neppure per un momento; non ho capito perché il fatto che John Carter faccia dei salti spettacolari possa rappresentare un motivo per cui lui sia determinante in un conflitto dove comunque ci sono armi da fuoco e cannoni ma anche raggi laser; non ho capito perché la principessa di Marte dovesse essere così poco interessante, e perché abbia finito per interessare John Carter; non ho capito perché, alla fine, John Carter sceglie l'inospitale Marte e non la fresca Terra (non poteva portare la fidanzata qui da noi e farle fare il bagno nel mare che tanto desiderava?); non ho capito perché si siano selezionati attori così inespressivi e fuori parte.
Alla fine, non ho capito perché al mio amico il film sia piaciuto così tanto, e a me così poco. Davvero, le opinioni possono essere le più diverse riguardo a tutto. Avatar lo rivedrei stasera, "John Carter" spero di non rivederlo più.