venerdì 13 dicembre 2013

UN GRANDE AVVENIRE DIETRO LE SPALLE


Ho ritrovato per caso, cercando altro, la puntata della "Postaaa!" di un albo dello Spirito con la Scure del 1991, quella del numero 308. E' firmata da Sergio Bonelli, che mi presenta per la prima volta al suo pubblico nell’imminenza dell’uscita della mia prima storia. Vi  si legge: "Moreno ha le carte in regola per diventare una delle colonne del nuovo Zagor, se riuscirà a sottrarre un po' di tempo ai suoi numerosi impegni (tra cui un impiego a tempo pieno con tanto di regolare stipendio). Siate dunque, cari lettori, giustamente severi ma anche comprensivi con il nuovo autore: Moreno è zagoriano da quando ha imparato a leggere, e ha cominciato a scrivere al sottoscritto quando ancora frequentava le elementari! E' uno di voi, un lettore diventato autore! Gli ho affidato il compito di scrivere lo Speciale Cico di quest'anno, 'Cico Trapper'. Ho letto le prime tavole da lui sceneggiate e vi posso assicurare, amici, che si tratta di un Cico molto divertente e persino 'nolittiano'". 

Dopo aver sorriso sulla combinazione che volle far apparire il pronostico sul mio futuro quale "colonna" zagoriana su un albo intitolato "Sinistri presagi", mi sono commosso ripensando a Sergio e, forse perché siamo in clima di bilanci di fine anno, mi sono soffermato a fare un esame di coscienza su ciò che Bonelli si aspettava da me e sul contributo che, quasi venticinque anni dopo, sono effettivamente riuscito a dare alla sua Casa editrice e al suo per principale personaggio, Zagor. Come diceva Vittorio Gassman nella sua autobiografia (del 1989, lo stesso anno in cui io ho iniziato a scrivere la mia prima sceneggiatura), “ho un grande avvenire dietro le spalle”. Tirando le somme, le sensazioni sono contrastanti. Da una parte, ho la consapevolezza di essere diventato (per merito o per fortuna, chissà) l’autore che ha scritto più pagine dell’eroe di Darkwood di qualunque altro, superando in quantità (e mai in qualità) quel Guido Nolitta che ebbe fiducia in me tanti anni fa e che continuò a dimostrarmela fino al giorno della sua morte. Giorno che il caso volle seguire di poche settimane l’uscita di un mio libro dedicato alla sua vita e alla sua carriera, scritto in occasione del cinquantennale zagoriano per ripagare l’immenso debito che avevo verso di lui, come lettore e come addetto ai lavori. 

Il mio lavoro sulle pagine di Zagor mi ha portato anche a essere uno degli sceneggiatori più pubblicati in assoluto dalla Bonelli in tutta la sua storia: credo di essere al settimo posto, comunque nella top ten. Essere fra i primi dieci autori più pubblicati da sempre dalla Casa editrice, dietro una serie di nomi davanti ai quali levarsi tanto di cappello, mi fa a volte sorridere pensando a quali saranno gli autori più pubblicati, non so, dalla Mondadori: magari Simenon, Asimov, Pirandello, Ken Follett o chissà chi. Mi figuro la scena di uno di costoro che, invitato per qualche cerimonia, arrivi a Segrate: come minimo, tappeti rossi, strette di mano, brindisi, flash di fotografi, grandi sorrisi di compiacimento e soddisfazione. Quando invece entro in Via Buonarroti non alzano la testa neppure le centraliniste e di solito mi si convoca dal direttore solo per ricevere (di solito meritate) lavate di testa. 

Il mio primo incontro con Sergio Bonelli, nel 1987
Il mio bottino di tavole pubblicate è stato messo insieme quasi esclusivamente dedicandomi alla serie darkwoodiana perché, a parte il Comandante Mark, la Casa editrice non ha mai ritenuto di utilizzare il mio piccolo talento (o almeno “mestiere”) per pubblicarmi niente altro. Segno che mi si considera prezioso sulle tavole zagoriane, o magari, invece, dannoso altrove. Non saprei. Quando arrivai a Zagor, Bonelli era scettico circa il destino della testata. Del suo pessimismo raccolsi io stesso testimonianza quando realizzai, con lo staff della fanzine Collezionare, la lunga intervista poi apparsa sullo speciale dedicato a Zagor. “Il personaggio – disse Sergio – ha fatto il suo tempo. Più di così non può dare, è un eroe esaurito come tanti altri. Per cui anche come editore, se ho voglia di fare qualcosa, trovo un po’ avvilente accanirmi su cose vecchie e preferisco dedicarmi a progetti nuovi”. Credo che Sergio avesse ragione a non attendersi miracoli e a prospettare solo un lento, anche se onorevole declino per il suo eroe. Quando entrai nello staff, ero consapevole di tutto questo e la cosa mi spaventava. Soprattutto, mi terrorizzò una frase di Marcello Toninelli che mi colpi come una coltellata: lo incontrai poco dopo il suo abbandono e gli chiesi perché se ne fosse andato, e Marcello mi rispose (grossomodo) così: “Non volevo essere ricordato come quello che aveva fatto chiudere Zagor”. Mi vidi prospettato un destino di ignominia in cui lo Spirito con la Scure lo avrei fatto chiudere io. E come fan numero uno del personaggio, c’era di chi starci male!

Ritratto d'autore. Moreno Burattini fotografato da Nick Mascioletti
Per fortuna, sono passati due decenni e mezzo e di chiusura ancora non si parla (mentre sono chiuse, purtroppo, molte altre collane, a cominciare da quel Mister No che sarei così felice di poter tornare in edicola se si potesse mettere in cantiere un rilancio: ovviamente avrei delle idee da suggerire, ma non ho voce in capitolo). I pareri dei lettori e dei critici sono concordi nel dire che Zagor ha riacquistato una parte del suo fascino di un tempo, per cui se anche un giorno lontano chiuderemo, potrò dire di aver contribuiti al piccolo miracolo di aver rivitalizzato un personaggio ormai dato per spacciato. Al di là del mio lavoro come sceneggiatore, c’è poi da considerare quel che ho fatto, nel bene e nel male, come curatore della testata, prima come assistente del super impegnato Mauro Boselli, poi, dal 2007, tutto da solo (senza alcun assistente). Non ho mai capito bene che cosa si ci aspetti da un curatore. Io interpreto il mio ruolo come catalizzatore di energie positive attorno al personaggio: creo spirito di gruppo e di squadra fra gli autori, faccio in modo che il clima attorno a noi sia sereno e disteso, assorbo personalmente come una spugna tutti i cazziatoni e le ansie cercando di far lavorare gli altri nel modo più sereno possibile (come il John Coffey del “Miglio Verde” mi becco la sedia elettrica della mia poltrona ma elimino le mosche dal cervello degli altri), seguo gli umori del pubblico e partecipo a tutti gli incontri in giro per il mondo, conosco bene la serie e cerco di rispettarne l’ortodossia, organizzo mostre, faccio proselitismo su Internet, passo da un brainstorming all’altro con gli altri sceneggiatori per trovare nuove avventure stimolanti e interessanti, mi affanno perché la programmazione sia sempre scoppiettante nonostante le mille difficoltà. Oggi Zagor è un personaggio che gode non solo di uno zoccolo duro di lettori che resiste nonostante la gravissima crisi, ma ha anche attorno a sé una serie di iniziative collaterali che un paio di decenni fa ce li sognavamo.

Tuttavia, probabilmente tutto ciò potrebbe sembrare inutile agli occhi di chi creda che un curatore debba soltanto cercare i refusi: io cerco anche quelli, ma reputo più importante tutto il resto. Immagino che il successo di una azienda si costruisca anche piazzando gli uomini giusti al posto giusto, a seconda del talento di ciascuno. E’ probabile che io non abbia alcun talento nel cercare i refusi e che per questo possa essere considerato un redattore di serie B. Potrei magari essere sfruttato come pierre e uomo-conferenza, se queste cose venissero ritenute utili. Oppure come articolista per il sito o prefattore di volumi se avessimo una linea da libreria. Insomma, mi chiudo in un loop di cupe riflessioni sulla mia inadeguatezza nel mio ruolo (vera o presunta) e sulla mia incapacità di essere apprezzato. Ognuno ha il suo carattere. Il mio mi porta, come più volte ho raccontato, a incupirmi spesso. Da qui i miei sensi di colpa, il mio abbattimento e la mia frustrazione quando di tutti gli sforzi per consegnare una mole enorme di lavoro nei tempi strettissimi imposti dalle serrate scadenze editoriali ottengono critiche invece che solidarietà. Mi chiedo spesso se non farei meglio a ritirarmi in campagna e dedicarmi soltanto alle sceneggiature in attesa di una remota pensione che, temo, finirò per godermi più che settantenne con già un piede nella fossa.

Mi conforta però la stima e la considerazione che ha per me Gallieno Ferri. Anche a Parma, l'ultima volta che ci siamo incontrati in un bellissimo incontro pubblico alla Feltrinelli, Gallieno mi ha commosso per il lungo discorso che ha voluto dedicarmi parlando di me ai suoi lettori. Così riprendo coraggio, mi asciugo le lacrime e mi faccio forza per andare avanti, continuando come sempre a interpretare il mio lavoro così come lo concepisco io, perché ho le mie convinzioni, e a presentare proposte e progetti regolarmente bocciati ma che è bello poter comunque sognare di realizzare. Due parole infine sul termine “nolittiano” usato da Sergio Bonelli nella “Postaaa!” da cui siamo partiti. La "nolittianità" è un concetto che può essere variamente interpretato, giacché non esiste un testo sacro che ne spieghi i limiti e le forme. Peraltro, lo stesso Nolitta aveva evoluto il suo stile tra i primi anni e gli ultimi della sua produzione. "Nolittiano" inoltre, applicato a una "scuola" di epigoni, non significa "scritto da Nolitta" ma "alla maniera di Nolitta" o "cercando di rifarsi alla lezione di Nolitta", si intende ciascuno alla propria maniera e secondo i propri talenti, perché soltanto Nolitta scriveva come Nolitta (e io non sono Nolitta, come nessun altro - ahinoi - lo è). Ci sono da considerare poi i trenta e passa anni che ci separano dall'ultima sceneggiatura scritta da Nolitta per Zagor: sarebbe folle oltre che impossibile non tenerne conto, i tempi cambiano e bisogna adeguarsi, pena l'estinzione. Anche volendo, nessuno potrebbe restare uguale a se stesso o a un modello prestabilito per sempre. Altrimenti saremmo tutti fermi all'imitazione di Omero, Virgilio o Dante.

C'è poi da considerare il fatto che Nolitta non indicò solo degi stilemi ma una tecnica da utilizzare per rinnovarli: attingere dalle proprie letture e dalle proprie esperienze per riversarle nei propri fumetti, ed è quello che, appunto in chiave nolittiana, personalmente non ho mai smesso di fare. Conta poi anche la maturazione personale per cui se uno comincia"imitando" poi scopre soluzioni proprie: è accaduto a tutti gli "artisti" (cosa che io non sono) e sarebbe assurdo contestare a Giotto di non aver continuato a essere un imitatore di Cimabue. E' vero poi che "non me lo fanno fare" nel senso che se utilizzassi cinquanta pagine di un albo per una gag di Cico o facessi ricorso alle didascalie che descrivono ciò che si vede nella vignetta o dilatassi i tempi di un viaggio, eccetera, il direttore me lo contesterebbe e sarebbe inutile la scusa del "lo faceva anche Nolitta". Il quale, peraltro, era l'editore di se stesso e rischiava soldi suoi qualunque scelta facesse, in tempi in cui il pubblico lo seguiva e lui seguiva il pubblico. Io non ho questi privilegio e questa fortuna: devo rispondere a una struttura gerarchica e ho limitati spazi di movimento. Se nonostante tutto qualcosa di buono ugualmente viene fuori, mi piacerebbe se mi vi venisse riconosciuto con una pacca sulle spalle e non con un calcio nelle palle.