martedì 22 luglio 2014

VENT'ANNI PRIMA




La "Collezione Storica" di Repubblica, di cui tante volte abbiamo parlato, va avanti. Arriveremo a ristampare il n° 400 della serie regolare (più o meno verso il n° 150 della collana a colori), dopodiché il futuro è un'ipotesi e del doman non v'è certezza, ma intanto godiamoci il risultato già raggiunto e acquisito, che va oltre ogni più rosea previsione, visti i tempi che corrono. Poiché ogni settimana tornano in edicola circa 250 tavole della Zenith, si stanno velocemente riproponendo tutte le mie prime storie dello Spirito con la Scure, scritte all'inizio degli anni Novanta, più o meno un ventennio fa. Poiché in due articoli precedenti mi era capitato di parlare delle prime due, ecco qui di seguito qualche considerazione sulle successive, a beneficio degli interessati e a eventuale futura memoria.

Il tomahawk avvelenato

Nel giugno del 1991, proprio mentre usciva in edicola la seconda parte della mia prima storia di Zagor, veniva distribuito anche il quarto numero di una collana parallela, denominata "Speciale Zagor" (una serie che esce ancora oggi, giunta ormai al  ventiseiesimo titolo). Era l'avventura di esordio di Mauro Boselli, un autore destinato a lasciare il segno, intitolata la "La fiamma nera" (disegni di Gallieno Ferri). In quel periodo gli "Speciali" degli eroi Bonelli (ce n'era uno all'anno per ognuno dei principali) uscivano con allegato un libretto di 64 pagine, contenente un brevi saggio di approfondimento storico o letterario delle tematiche trattate nell'avventura a fumetti a cui era abbinato. Per esempio, un precedente Speciale, il numero due, che aveva riportato sulle scene il cercatore di forzieri sepolti Digging Bill ("La pietra che uccide", di Toninelli/Ferri, datato 1989), aveva offerto ai lettori un libretto intitolato "I tesori perduti", decisamente in tema con il racconto. Ebbene, poiché "La fiamma nera" mostrava alcuni singolari usi e costumi di certe tribù di pellerossa, come la congrega dei "contrari" (guerrieri che facevano tutto al contrario delle consuetudini, a cominciare dal linguaggio, per cui dicevano "no" per dire "sì"), Decio Canzio mi propose di scrivere io una sorta di agile dizionario in cui, in ordine alfabetico, fossero elencate i principali popoli in cui erano divisi i nativi americani, così da allegare allo Speciale boselliano un libretto a mia forma intitolato "Gli indiani d'America". 

Il mio "librino" sulle tribù pellerossa allegato allo Speciale Zagor del 1991


C'è da notare che la proposta mi fu fatta proprio all'inizio della mia collaborazione con la redazione di Via Buonarroti, quando non era ancora uscito nulla di mio, e dunque "sulla fiducia" (cosa per cui ho sempre ringraziato e sempre ringrazierò Decio e Sergio). Avevo già una ricca biblioteca sul West (adesso decuplicata) e comunque mi fu permesso di accedere a testi della collezione privata di Sergio Bonelli (fu fatto tutto studiando sui libri, non essendo ancora diffuso l'uso di Internet). Così, durante l'inverno tra il 1990 e il 1991 scrissi l'opuscolo che, credo, potrebbe risultare ancora oggi un utile vademecum per chi volesse farsi un'idea dell'eterogeneità  delle tribù indiane. Fra le voci che compilai c'era quella dedicata ai Pawnee, e fra i "sottogruppi" Pawnee scoprii, documentandomi, l'esistenza degli Skidi, una tribù che ancora in epoca zagoriana compiva sacrifici umani alla Stella del Mattino, divinità a cui era consacrato il mais (dunque si trattava di riti per la fertilità del raccolto, evidente retaggio di influssi di origine centroamericana, ereditati da Maya e Aztechi). Appresi così una storia che non conoscevo, quella vera del capo Skidi chiamato Petalesharo e della liberazione, da lui compiuta, di una prigioniera destinata a venire immolata, con la quale fu posta fine alla barbara tradizione (si trovano in rete tutti i dettagli). Mi venne subito in mente che avrei potuto prenderne spunto per la mia prima storia zagoriana con protagonisti dei pellerossa (fino a quel momento avevo scritto solo racconti "bianchi"). E così fu.


Nodo scorsoio

La scrittura di "Nodo scorsoio" coincise con un punto di svolta nella mia carriera di autore. In altre parole, ero partito pieno di entusiasmo e avevo subito bruciato le cartucce messe da parte negli anni precedenti, cioè quel piccolo gruppo di storie che avevo avuto il tempo di architettare mentre coltivavo il sogno di diventare uno sceneggiatore di Zagor. Una volta entrato a far parte dello staff, però, mi resi conto che a un vero professionista non sono richieste soltanto idee per delle belle storie, ma anche di averle a getto continuo. E' fondamentale una "generosità creativa" che porta a mettere in cantiere due, tre nuovi progetti mentre si sta ancora lavorando ai due, tre precedenti. Si deve insomma tirar fuori dal cilindro un coniglio dopo l'altro, e bisogna anche avere il coraggio di scartare i soggetti non soddisfacenti, senza accanirsi nel tentare di riciclare quel che non funziona. Dunque, arrivai presto al punto in cui pensai  che forse, sì, avevo fatto un buon lavoro con le mie prime prove ma (e qui cominciavano a tremarmi le vene ai polsi) come avrei potuto esser certo che sarei stato in grado di scrivere altri cinque, dieci, venti storie a tambur battente, una dopo l'altra, una accavallandosi all'altra? Da dove mi sarebbero venute le idee? E ne avrei avute in numero sufficiente? E di sufficiente qualità? Cominciai a temere di non avere il "fiato" per durare alla distanza, di divenire una meteora destinata a una fugace apparizione nel cielo bonelliano. Di questa mia tensione risente "Nodo scorsoio", che ricicla, in fondo, trovate deja vu e non decolla come racconto degno di figurare negli annali. Ho sempre rimpianto di aver scritto un "compitino" che mi serviva per guadagnare tempo in attesa che qualcosa dentro di me riaccendesse il misterioso rubinetto delle idee. Miracolosamente, di lì a poco ruppi il ghiaccio che mi aveva gelato per qualche mese e da allora ho smesso di andare a caccia di idee, sono loro che mi tendono gli agguati e mi sorprendono mentre meno me l'aspetto. Oggi che ho superato le cento storie dello Spirito con la Scure ho smesso di chiedermi da dove arrivano i racconti: so che arrivano, e tanto mi basta. 

Una ultima annotazione riguarda (a puro titolo di curiosità) il fatto che da pagina 12 a pagina 22 dell’albo “Tragedia a Silver Town” (Zenith 380) fatico a riconoscere la mia sceneggiatura: la sequenza con i trofei in fiamme gettati dalla finestra e quanto altro vi si vede si devono all’intervento redazionale del curatore dell’epoca, Renato Queirolo, che fu costretto a intervenire mentre io mi trovavo negli Stati Uniti in vacanza, e dunque non potevo personalmente rimediare a qualche magagna da lui riscontrata in quel gruppo di tavole (non ricordo che cosa ci fosse che non andava). Dunque, fu fatto un rimaneggiamento dell’ultimo secondo che non è farina del mio sacco (ma che comunque non peggiorò una storia non particolarmente felice).


Tragedia a Silver Town

Della quinta sceneggiatura, la mia prima per Donatelli, ricordo innanzitutto l'emozione di arrivare un giorno in redazione (all'epoca vivevo a Firenze e salivo a Milano soltanto due o tre volte l'anno), nell'autunno del 1992, e di trovarmi Franco di fronte, senza che me lo aspettassi. Non lo avevo mai visto prima di persona, ma lo riconobbi subito. Era venuto a consegnare le sue ultime tavole della nostra storia e mi fece i complimenti perché, mi disse, si era divertito a illustrarla. Auspicò di farne altre insieme e in effetti accadde con altre tre avventure. Al momento della sua scomparsa, avvenuta nel 1995, Donatelli stava appunto disegnando un mio racconto, "L'ombra sul sole", che rimase incompiuto finché, nel 2002, venne portato a termine da Roberto D'Arcangelo e comparve in un Maxi Zagor contenente i suoi due ultimi lavori, pubblicati postumi (che fui onorato di poter curare personalmente, avendo nel frattempo iniziato a lavorare a Milano, nella sede della Casa editrice). 

Sentirmi fare i complimenti da Donatelli mi emozionò a tal punto che stringendogli la mano non riuscì a balbettare che poche parole di ringraziamento: avevo di fronte a me il disegnatore di "Libertà o morte" e de "La rabbia degli Osages", non so se mi spiego, l'illustratore di strepitose copertine del Piccolo Ranger (una di esse fa bella mostra di sé, debitamente incorniciata, nella mia camera da letto, come Francesco I di Francia poteva dire della Gioconda). Quando vidi la nostra storia pubblicata, mi resi conto di che cosa avesse voluto dire Marcello Toninelli quando, in una intervista da me raccolta per un numero speciale monografico della fanzine "Collezionare" tutto dedicato a Zagor, rispondendo a una domanda in proposito, ebbe a dichiarare:  "Donatelli, per quanto mi riguarda è il disegnatore che rende meglio quello che gli scrivo. (...) Rileggendo il fumetto, al di là del parere sulla singola tavola o sulla singola vignetta, mi accorgo che le storie disegnate da Donatelli  sono esattamente come le avevo scritte".  Effettivamente Donatelli aveva questa capacità di "sposare" le idee dello sceneggiatore, realizzando al meglio il pensiero dell'autore dei testi. Una grande dote, quella di capire subito ciò che l'autore del testo gli chiede, visualizzando la pagina in sintonia con lui: una dote che Franco dimostrava sempre, con ogni soggettista con il quale si trovò a lavorare, me compreso.




L’uomo con il fucile

"L'uomo con il fucile" è la storia di Zagor con cui sono diventato maggiorenne. Oppure, se vogliamo, quella con cui ho finito l'apprendistato e ho cominciato a essere più sicuro dei miei mezzi. Dopo un paio di anni di "rodaggio", insomma, ecco la prima sceneggiatura che mi ha lasciato pienamente soddisfatto di quanto avevo fatto e per la quale ho ricevuto apprezzamenti tali da farmi capire che anche il pubblico l'aveva apprezzata. Dando i voti ai vari episodi della serie, nel loro "Zagor Index", Giampiero Belardinelli e Angelo Palumbo attribuiscono a questo racconto addirittura sei stelle, il massimo del punteggio.  A lungo, ho indicato proprio "L'uomo con il fucile" a chi mi chiedeva quale fosse, fra i miei lavori, il mio preferito (successivamente, "La palude dei forzati", una storia del 2004, ne avrebbe preso il posto salendo sul gradino più alto della mia personale top ten). 



Insomma, dopo aver più volte temuto di non essere all'altezza, di poter esaurire le idee, di non avere le spalle abbastanza larghe per reggere il peso imposto dalla serialità (che prevede la realizzazione di un episodio dopo l'altro) e dallo standard qualitativo bonelliano, a un certo punto potei rassicurarmi sul fatto di essere effettivamente tagliato per scrivere Zagor. Ci fu, proprio in quel periodo, anche un cambiamento anche nella mia vita: lasciai la mia precedente attività, il classico "posto sicuro", per mettermi a fare soltanto lo sceneggiatore di fumetti a tempo pieno. Rileggendo "L'uomo con il fucile" ho notato l'inserimento di risvolti "gialli" in una storia avventurosa, come era già successo con la "Il tesoro sepolto" (Collezione Storica n° 122) e come sarebbe accaduto ancora molte volte, essendo io un appassionato cultore di letteratura di indagini e di investigazioni.