domenica 3 aprile 2016

CARO GALLIENO



Caro Gallieno,
lo so che cosa mi vorresti dire, in questo primo giorno senza di te.
Lo so, perché ti conosco. 
E in effetti è come se le cose che sto per scrivere tu me le dettassi da chissà dove (ma sicuramente da un luogo incantato).
Ti conosco non soltanto da 26 anni (a tanto indietro nel tempo risale il nostro primo incontro), ma da una vita. Quando sono nato, Zagor già esisteva, e sono cresciuto avendolo accanto come un fratello maggiore, che mi temeva per mano difendendomi dai prepotenti e raccontandomi storie meravigliose per farmi fare bei sogni quando andavo a dormire. 
Perciò ti conosco da quando ho cominciato a perdermi nella foresta di Darkwood, che avrò avuto quattro anni e già sfogliavo i fumetti senza saperli leggere. Poi, c’è sempre stata una tua copertina in ogni momento della mia esistenza: quando ho cambiato casa che ero alle elementari, quando ho fatto la prima comunione, l’esame di terza media o la maturità, quando ho dato il primo bacio a una ragazza, quando fatto il mio primo viaggio all’estero o sono partito militare. Il fatto che poi siamo diventati collaboratori e addirittura amici (amici di quelli che si vogliono bene per davvero) è uno dei più bei regali che mi abbia fatto la vita. 
Si dice sempre che non bisognerebbe conoscere i propri miti, perché si rischia di restarne delusi: tu invece eri ancora migliore della pur bella immagine che di te avevano i tuoi lettori. Chiunque ti abbia conosciuto lo può testimoniare. Per me eri diventato un secondo padre. Quante lezioni di umanità, di ottimismo, di generosità, di serenità, di semplicità, di dedizione agli affetti e al lavoro ho imparato da te! E quante cose mi hai insegnato su quelle che erano le tue passioni: il mare, le barche, i fiumi, la natura, la montagna, i viaggi, l’arte, la storia. Sono diventato il tuo biografo (con due libri e tanti articoli a te dedicati) soprattutto per pagare il mio debito di riconoscenza verso i sogni che mi hai regalato e l’esempio che mi hai dato.
E adesso eccomi a piangere il fatto che non tu non ci sia più, anche se tutto qua attorno mi parla di te come se ci fossi: perché non sarei io, senza di te.
Ma, ripeto, lo so che cosa mi diresti se fossi qui (e lo so che ci sei). 
Mi diresti che in realtà non mi hai lasciato da solo perché sono in mezzo a migliaia e migliaia di abitanti di Darkwood (tutti i tuoi lettori) con i quali andremo avanti facendo tesoro dei tuoi insegnamenti. E Zagor resta con noi, a farci da fratello maggiore. 
Ma mi diresti anche che non c’è motivo di piangere, perché hai avuto una vita meravigliosa: te ne sei andato sorridendo (mai una volta che ti abbia sentito lamentarti per la tua malattia), lavorando fino all’ultimo giorno alla nuova copertina che ti avevo affidato, alla bella età di ottantasette anni vissuti come tutti vorremmo vivere, guardando il mare dalle tue finestre e dalla tua terrazza, con le montagne alle spalle. 
Hai visto la guerra e poi la pace, hai svolto bene il tuo lavoro (diventando un maestro riconosciuto da tutti nella tua arte), hai avuto quattro figli magnifici e uno stuolo di nipoti, e hai lasciato un segno nell’esistenza di milioni di persone in tutto il mondo, tutte innamorate dei tuoi racconti. Hai viaggiato e navigato, hai aiutato chi si rivolgeva a te, hai lavorato nel modo che volevi, disegnando ciò che ti piaceva disegnare e immedesimandoti nei tuoi disegni, con vera passione. Non hai mai smesso di lavorare anche quando avresti potuto, perché il lavoro era parte integrante della tua vita, e sei riuscito a farlo ai massimi livelli fino a quando ci hai lasciato. E sei stato amato come pochi altri fabbricanti di sogni al mondo. Sei stato Gallieno Ferri, insomma. Perciò perché piangere? Si può solo essere felici per te, per quello che sei stato, per quello che sei.

Hai reso il mondo un posto migliore, ed è questo l’unico vero compito di ogni uomo. Quindi, non ci resta che piangere per noi, se non sapremo fare altrettanto.