martedì 21 febbraio 2017

TERRANOVA!





E' in edicola già da qualche settimana “Terranova!”, l’albo di Zagor n° 619 (Zenith 670), datato febbraio 2017. La copertina, che vedete sopra, è opera di Alessandro Piccinelli.  I testi sono miei e i disegni di Roberto Piere. Si tratta della prima puntata di una avventura in due albi e mezzo: tireremo come al solito le somme a storia conclusa, qui basterà dire che si tratta di una vicenda di stampo realistico ambientata nell'Atlantico Settentrionale, con inizio sull'Isola di Terranova, abitata soprattutto da pescatori di merluzzo (la cui pesca non è facile come si potrebbe pensare). Alla base di tutto c'è un certo sforzo di documentazione che spero si noti senza però che pesi sulle dinamiche avventurose.

Piere, nato a Monza nel 1965, collabora con il nostro staff addirittura dal 1993, anno in cui ha iniziato a lavorare nella redazione Bonelli come grafico finendo per mettere le mani su quasi tutte le storie del nostro eroe ogni volta che si è trattato di inserire degli effetti sonori o aggiustare qualche vignetta. Inoltre, da un po’ di tempo, è anche il colorista ufficiale delle copertine zagoriane, forte della sua esperienza in vari studi pubblicitari e quale illustratore. E anche se l’albo “Terranova” ha rappresentato il suo debutto su questa testata, nel suo curriculum figurano anche racconti pubblicati sulle pagine di “Intrepido” e “Zona X”. 

Sul sito della Sergio Bonelli Editore è apparsa di recente una sua intervista in cui racconta, fra l’altro, com’è nata la sceneggiatura che io ho scritto per lui: “Moreno mi ha chiesto che cosa mi sarebbe piaciuto disegnare, e io ho scelto le cose che più mi entusiasmavano: il mare, le navi, gli animali del Grande Nord. Lui ha tenuto conto dei miei desideri, dandomi piena libertà sui tempi di realizzazione. Per le due navi presenti nella storia ho preso a modello velieri realmente esistenti. In particolare la ‘Charles Morgan’, una baleniera di cui ho modificato alcuni aspetti per non renderla troppo riconoscibile. Ma ho cercato di restare sempre il più fedele possibile alla realtà, perché Zagor è un fumetto realistico e quindi non potevo inventare nulla. Mi è servito anche aver girato molto il Canada: ho visitato lo Yukon, la British Columbia, l'Alaska, l'Alberto e ho fatto migliaia di fotografie ad animali di ogni genere, quando ancora si usavano le reflex con la pellicola. Diverse di quelle foto mi sono state utili, anche se poi ho comprato anche molti libri e, non ultimo, mi è venuto in aiuto la documentazione presente su Internet per certi particolari che altrimenti sarebbe stato complicato ritrovare”.

Per avere un'idea dell'accuratezza del lavoro di Roberto, date un'occhiata alle due immagini che seguono, messe a confronto. Nella prima c'è una foto del ponte superiore della "Charles Morgan" che è servita da documentazione al disegnatore, nella seconda una delle tavole della storia.


Qui sotto invece potete vedere una delle tavole ancora a matita (tratte dal secondo albo del racconto) fotografata durante la fase di inchiostrazione.





Di seguito, invece, ecco due abbozzi di copertina di Alessandro Piccinelli, scartati in favore della scena che avete poi trovato in edicola. Fatemi sapere se, secondo voi, abbiamo fatto la scelta giusta.




martedì 7 febbraio 2017

ODISSEA AMERICANA




E’ giunto in libreria il secondo volume cartonato dedicato a Zagor dalla Sergio Bonelli Editore, che ripropone in una edizione di pregio un classico dei classici della saga dello Spirito con la Scure: “Odissea Americana”. Si tratta di una storia scritta da Guido Nolitta e illustrata da Gallieno Ferri, originariamente uscita in edicola negli albi nn° 87, 88 e 89, tra il mese settembre e quello di novembre del 1972. Secondo me si tratta della più bella avventura dell’eroe di Darkwood, ma anche degna di figurare nella top ten bonelliana di tutti i tempi: infatti, chiamato da “Lo Spazio Bianco” a selezionare i racconti migliori fra quelli prodotti dalla Casa editrice di Via Buonarroti, non ho esitato a inserirla nell’elenco.

Le motivazioni le ho riassunte in questo breve testo:

In questa storia di Zagor c’è tutta la poetica del personaggio (uno dei miti del fumetto italiano) e quella di Guido Nolitta, lo sceneggiatore che l’ha creato: la grande avventura, l’epica, il western, l’horror, la fantascienza, l’approfondimento psicologico dei personaggi, l’umorismo, le citazioni. Zagor si rivela la grande intuizione che è stato fin dall’inizio, quando si è connotato come un mutante in grado di attraversare tutti i generi e lasciarsi contaminare da ogni suggestione letteraria, cinematografica o fumettistica, prima e meglio di qualunque altro. Gallieno Ferri, il creatore grafico del personaggio, è qui nella sua massima forma, vive il suo momento d’oro a partire dalla stupefacenti copertine. Dovendo indicare una e una sola storia dello Spirito con la Scure da leggere per capire il perché del successo cinquantennale di una saga infinita dell’avventura, non c’è dubbio che in “Odissea americana” ci siano tutte le risposte.

Peraltro, sottolineare la nolittianità di Zagor è la migliore risposta che si può dare a chi, di recente, ha messo dubbio la paternità del personaggio: Sergio Bonelli, desiderando non lasciarsi sfuggire la collaborazione di Ferri che nel 1960 era giunto con il suo curriculum di pubblicazioni francesi, ha fabbricato su misura per il disegnatore un eroe in costume che corrispondesse al tipo di avventure che erano nelle corde di Gallieno, gli ha semplicemente dato da fare quel che con tutta evidenza sapeva fare meglio. 

Il poster di Michele Rubini allegato al gioco da tavolo di Zagor

Un’altra assurda polemica di cui mi è giunta l’eco è quella sostenuta da chi ha contestato la scelta di “Odissea americana” quale storia da pubblicare in volume, sostenendo che ce ne sarebbero state altre più degne in quanto meno ristampate: esiste infatti anche un cartonato della Mondadori risalente al 1981 che riproponeva la stessa avventura. Chiaramente, sono tutti editori con le Case editrici degli altri. Però, basta un minimo di riflessione per convincersi di quanto segue:  la Bonelli è approdata da poco (un paio di anni) nella distribuzione libraria; deve, logicamente, costruire il suo catalogo; di conseguenza, si tratta di mettere a disposizione del pubblico, quale basamento di tutto il resto, le sue storie migliori, i classici più indimenticabili. Dunque, “Odissea americana” è imprescindibile. Peraltro, il volume Mondadori è esaurito da tempo e risale a più di trenta anni fa! I critici tendono a mettere loro stessi al centro dell’universo: "siccome io sono un collezionista con i fiocchi, possiedo già il cartonato mondadoriano e quindi pretendo che vengano ristampate altre storie". Ma la Casa editrice ragiona con l’ottica di rivolgersi a tutti, non soltanto ai super appassionati, e dunque si spera che tante altre persone (magari anche nuovi lettori) possano vedere il volume in libreria e acquistarlo. In ogni caso, al pubblico viene offerto il meglio che Zagor può dare, che resterà a beneficio delle nuove generazioni. Il cartonato Bonelli appena uscito offre anche, oltre a una eccellente qualità di stampa e di rilegatura, un nuovo apparato critico. Per giunta, nella Lucca Comics del 2016, svoltasi pochi mesi fa, è stato pubblicato da Ergo Ludo un gioco da tavola di Zagor ispirato proprio a “Odissea Americana”, e che è andato (e sta andando) benissimo: è stata dunque una buona mossa offrire ai giocatori anche il supporto della storia corrispondente. 



Ma di che cosa parla, “Odissea americana”? Cominciamo col dire che  si tratta della seconda “trasferta” di Zagor fuori dai confini di Darkwood, ancora più lunga, sia quanto a itinerario sia per durata temporale, della precedente (quella iniziata con la storia de “Il mostro della laguna”). Questo secondo viaggio inizia con l’albo “Angoscia!”, datato luglio 1972, e il punto di partenza è il viaggio che Zagor intraprende per scortare una carovana di pionieri in partenza dalla costa del Maryland e diretta verso Fairmont, nel West Virginia. Quella che doveva essere poco più di una scampagnata, si trasforma in un incubo in cui il re di Darkwood si trova ad affrontare addirittura la minaccia di un vampiro. Sconfitto (almeno apparentemente) il non-morto, lo Spirito con la Scure si imbarca su un battello fluviale il cui equipaggio intende discendere il corso di un fiume ancora inesplorato, di cui si sa soltanto che finisce nel lago Cherokee, nel Tennessee. Il titolo “Odissea americana” ben rende il senso di tutto questo secondo viaggio, inteso come un lungo percorso di riavvicinamento a casa, costellato di imprevisti sempre più drammatici, come accadde a Ulisse di ritorno ad Itaca dopo la guerra di Troia. Lo sceneggiatore ricollega la nuova “trasferta” a quella precedente, facendo tornare sulla scena Manetola, il capo dei Seminoles. Pur di aiutare di nuovo l’amico pellerossa, Zagor non esita a imbarcarsi verso un’isola dei Caraibi. Da lì,  si sposta fino ad Haiti, avendo a che fare con degli zombi, e quindi, dopo aver affrontato anche uno spietato pirata, raggiunge di nuovo gli Stati Uniti, arrivando in Texas dopo uno scalo (immancabilmente avventuroso) nello Yucatan.  Da New Orleans, il nostro eroe risale verso Nord facendo ritorno a Darkwood soltanto con l’albo del giugno 1974, esattamente due anni (editoriali) dopo la sua partenza, e al termine di un ciclo di nove, esaltanti storie.





Il comandante del battello a vapore  “Athena”, James Moreland, è ben diverso dal cinico e spietato capitano Nilsen della nave “Strega rossa”, che aveva condotto Zagor e Cico fin su un’isola delle Bahamas. Tuttavia, ancora una volta è una imbarcazione a portare i nostri eroi in trasferta lontano da Darkwood, nel secondo, grande viaggio “fuori porta”. Moreland è battelliere valente e coraggioso, ma anche saggio e razionale, per cui il suo primo istinto, di fronte ai pericoli è valutare bene la situazione e, nel caso, battere in ritirata per la salvezza della barca e del suo equipaggio, e ovviamente della propria pelle. Non si tratta di essere prudenti, ma pragmatici: inevitabilmente, il pragmatismo porta però a tollerare i rischi se qualcuno paga quanto basta perché si accetti di correrli.

Tre sono gli uomini agli ordini di Moreland a bordo dell’ “Athena”: il marinaio Walter Thompson; il macchinista Frisco Kid, il cui soprannome (che significa “monello di San Francisco”) indica la sia la sua provenienza sia l’indole scanzonata; e Tattoo Lopez fuochista e cuoco di bordo, caratterizzato dal corpo coperto dalle scritte e dai disegni de più svariati tatuaggi. Tattoo si sente insolentito dalle battute di Frisco, che si diverte a prenderlo in giro, e fra i due si accendono le scintille. Quando però il californiano si trova in pericolo di vita, il messicano non esita a rischiare la propria nel tentativo di salvarlo: Nolitta si rivela una volta di più molto abile nel creare pathos e approfondimento psicologico con tratti essenziali, in poche vignette.

Non parla, ma si fa capire benissimo, il capo carismatico della strana tribù di grosse scimmie antropomorfe che vivono lungo le rive inesplorate del fiume Tallapoosa. Riconoscibile per la stazza più massiccia dei propri compagni, e per le vistose decorazioni con cui si orna il collo, il mostro fa chiaramente intendere a tutti gli altri che vuole accettare la sfida di Zagor e non vuole l’intromissione di nessuno di loro. Lo Spirito con la Scure, che l’ha ferito nell’orgoglio,  dimostra di aver perfettamente colto nel segno, intuendo la psicologia dell’avversario. Adesso si tratta, però, di batterlo. Cosa che non si preannuncia facile.

Sergio Bonelli era un grande consumatore di cinema, di libri, di musica e di fumetti. Tutto ciò che vedeva, sentiva, leggeva, finiva nelle sue storie. Soprattutto ciò che lo aveva colpito, divertito, spaventato negli anni della sua giovinezza, com’è inevitabile. Quindi ecco che dai B-movies del cinema di genere americano degli anni Quaranta e Cinquanta, come “Il mostro della laguna nera”, “L’uomo Lupo”, ma anche dai tanti film con i risvegli delle mummie o Dracula o Tarzan, nascevano le sue storie più belle. E tra i B-Movies citati da Nolitta c’è anche “La meteora infernale” (The Monolith Monsters), un film di fantascienza statunitense del 1957 diretto da John Sherwood, che è alla base della scena con i fenomeni vulcanici in “Odissea Americana”. 

Ma oltre alla grande avventura, c’è spazio anche per l’umorismo (memorabili le gag di Cico e di Homerus Bannington) e per l’introspezione (le visioni dei genitori di Zagor). Insomma, non soltanto un classico, ma anche un capolavoro.


mercoledì 1 febbraio 2017

LE STRADE DI NEW YORK




E’ in edicola da alcuni giorni il Maxi Zagor n° 29, “Le strade di New York”, datato gennaio 2017. Si tratta di un racconto di 286 tavole, confezionato con una grafica rinnovata che rende ragione della bella cover di Alessandro Piccinelli, sceneggiate dal sottoscritto e disegnate da un Marcello Mangiantini in stato di grazia. E’ la seconda volta che un albo di Zagor viene realizzato da un team tutto pistoiese (io e Mangiantini siamo entrambi originari della provincia di Pistoia): nel 2007 portò la nostra firma anche uno Speciale dal titolo di “Il maleficio di Anulka”, in cui addirittura compare Emily Dickinson (chissà in quanti se ne sono accorti). Conosco Marcello da quando era un ragazzino con i calzoni corti (per usare una espressione cara a Sergio Bonelli: la usava per parlare del suo primo incontro con Alfredo Castelli). Siamo amici da una vita, per cui ho nessun problema a interagire con lui: gli posso fare complimenti e critiche con la stessa serenità. Mangiantini è bravissimo nelle storie in costume e nelle ricostruzioni di scenari d’epoca, perciò sapevo che fargli visualizzare la New York del 1830/40 sarebbe stato nelle sue corde. Gli ho fornito tutta la documentazione possibile sulla Manhattan di quegli anni, attinta da vari libri sull’argomento. Molti degli scenari del Maxi sono puntualmente tratti da foto o disegni ottocenteschi. Abbiamo poi avuto alcune fondamentali dritte da parte di un lettore molto ferrato sull’argomento, che ringrazio in pubblico dopo averlo fatto in privato, riguardo la prima partita di baseball della storia.


Nella mia introduzione all’albo ho scritto quel che segue: “Alcune scene del Maxi Zagor che avete fra le mani vi ricorderanno, forse, certe sequenze del film Gangs of New York, di Martin Scorsese (2002). In realtà, la fonte di ispirazione non è la pellicola con Daniel Day-Lewis e Leonardo Di Caprio ma un saggio storico scritto nel 1927 da Herbert Asbury (uno dei più grandi giornalisti americani del secolo scorso, scomparso nel 1963). The Gangs of New York: An Informal History of the Underworld, questo il titolo del libro, è in effetti stato utilizzato anche da Scorsese come punto di riferimento per la sua ricostruzione cinematografica della Manhattan di inizio Ottocento. Le fonti che Asbury cita sono in gran parte articoli di giornale e documenti tratti dagli archivi dei tribunali e della polizia esaminati per stilare la cronistoria di oltre un secolo di vita nei suburbi newyorkese dove imperversava la malavita, partendo dal riempimento del Collect (uno stagno che sorgeva alla periferia nord della New York di fine Settecento). 

Una scena del film "Gangs of New York"
Là dove una volta c’era lo specchio d’acqua (divenuto sempre più mefitico per gli scarichi delle fogne che vi riversavano)  furono costruiti gli edifici di Five Points, compresa la Old Brewery, una fabbrica di birra dismessa che divenne il più celebre caseggiato della storia della città: lo stesso che si vede all'inizio del film di Scorsese, nelle cui viscere (un tempo depositi e magazzini) vivevano centinaia di persone stipate in condizioni di abbrutimento. La descrizione che Asbury fa, citando testimoni dell'epoca, della realtà quotidiana delle strade circostanti è impressionante. Chi legge il libro e poi si rivede il film riconosce mille particolari raccontati dall'autore, dai pompieri che lottano fra di loro invece di spegnere gli incendi, alla donna con i denti limati e fatti aguzzi che strappa gli orecchi a morsi e ne fa trofei sotto spirito, al bruto con la mazza su cui sono incise tante tacche quante sono state le sue vittime. La regola era che qualcosa apparteneva a qualcuno solo finché costui era in grado di difendersela, chi gliela portava via non commetteva una ingiustizia, dimostrava solo di essere più forte o più furbo. Nella nostra storia ci siamo presi alcune libertà (trasformando per esempio la Brewery nel covo di Mad Saddler, uno spietato personaggio di cui farete presto conoscenza) ma, al tempo stesso, abbiamo cercato di restituire l’idea di una metropoli cupa e crudele come sicuramente era, all’epoca di Zagor, nella parte a nord di Canal Street”. 



Mi è sembrato più interessante attingere direttamente dal saggio di Asbury piuttosto che partire da Scorsese, anche se poi la figura di Mad Saddler ricorda quella di Bill "The Butcher" Cutting interpretata da Daniel Day-Lewis (a sua volta però ispirata da un personaggio veramente esistito ci cui parla Asbury), e la scena dello scontro fra bande rivali per le strade attorno ai Five Points cita (rendendole omaggio) la pellicola americana. Ho provato, insomma, a restituire la metropoli dell’epoca zagoriana il più possibile aderente al reale, senza venir meno all’obbligo morale di ogni sceneggiatore dello Spirito con la Scure che è quello di appassionare e divertire la platea dei lettori.

Avevo già spedito lo Spirito con la Scure a New York in una mia storia del 1998 intitolata “Colpo da maestro” e ispirata a “La prima grande rapina al tremo” di Michael Chrichton. Era il racconto che ha introdotto nella serie il diabolico Mortimer, uno dei villain della nuova generazione di cattivi zagoriani. In quell’occasione, però, tutto sommato, la grande metropoli era stata immaginata e visualizzata come uno sfondo generico (anche perché il romanzo di riferimento era ambientato a Londra), non troppo dissimile dalla Chicago in cui Guido Nolitta aveva fatto vivere al Re di Darkwood un’avventura cittadina, nel classico “Solo contro tutti”. Sergio Bonelli aveva voluto citare, com’era nel suo modus operandi, un film: “Tarzan a New York”, del 1942, con Johnny Weissmuller, una pellicola in cui l’uomo scimmia si tuffa persino dal ponte di Brooklyn (un salto simile, ma nelle acque del lago  Michigan era stato inserito nel racconto zagoriano). In entrambi questi precedenti, insomma, si era voluto semplicemente giocare con un “selvaggio” eroe della frontiera fatto muovere nella  giungla di pietra metropolitana, fuori dal suo ambiente abituale. Quale fosse la città era secondario. Restava da sperimentare un racconto in cui Zagor si calasse in una New York quanto più realistica possibile. I tempi sono diventati maturi dopo la trasferta sudamericana dello Spirito con la Scure, in cui noi dello staff eravamo stati attenti a ben documentarci per ricostruire con esattezza la geografia dei luoghi e la realtà storica dell’epoca in cui avevamo immaginato il viaggio. I lettori di oggi sono molto più attenti che in passato alla verosimiglianza delle ricostruzioni. Dunque, ho capito che era in questa direzione che bisognava procedere per proporre qualcosa di nuovo. Aver letto romanzi come “New York” di Edward Rutheford (del 2009, in cui si racconta la storia della città come se fosse la vita di un personaggio in carne e ossa) e vari saggi storici sulla Grande Mela mi ha poi fatto innamorare dell’affascinante passato di una città di cui si tende a considerare solo il presente.

Marcello Mangantini
Qualcuno, forse, avrà trovato crudo e violento “Le strade di New York”, almeno rispetto ai canoni zagoriani. Spiazzare i lettori, nel senso di emozionarli e riservare per loro continue sorprese, è lo scopo principale del mio lavoro. Se chi scrive fumetti finisce per essere prevedibile e ripetitivo, forse deve cominciare a cambiare registro. Detto ciò, per quanto crudo e violento possa essere o sembrare il ventinovesimo Maxi dello Spirito con la Scure, quello di cui stiamo parlando, sicuramente lo è meno del vissuto quotidiano nella New York dell’epoca a nord di Canal Street, e anche meno di ciò che si descrive e racconta nel saggio di Asbury e nel film di Scorsese (dunque abbiamo persino edulcorato la realtà). Non si poteva comunque calare lo Spirito con la Scure in un contesto drammatico e realistico e farlo agire con i guanti di velluto. In ogni caso, la storia realizzata con Mangiantini è stata prudentemente e volutamente collocata fuori serie (nella collana dei Maxi, appunto) perché non “disturbi” chi dovesse trovarla un po’ più realistica di quel che ci si aspetta di solito. Ci tengo però a sottolineare come la positività di fondo dell’ispirazione zagoriana sia stata rispettata. I cattivi pagano il fio delle loro colpe, e c’è un messaggio di speranza e di redenzione consegnato al finale. In mezzo, si ritrovano tutti i consueti buoni sentimenti di amicizia, di amore, di legami famigliari, di lealtà, di coraggio e chi più ne ha più ne metta. C’è spazio persino per un po’ di umorismo, nella migliore tradizione nolittiana. Vengono introdotti alcuni nuovi personaggi, come gli italiani Maria, Vincenzo e Bartolo, ma anche il simpatico (secondo me) Pike con il suo cane Buck: potrebbero tornare.  Tornano, in effetti, i battellieri de "La corsa suol fiume", ovvero l'eterogenea ciurma del capitano Carpenter (co-protagonisti con Zagor di un racconto di Burattini/Della Monica apparso su un Almanacco dell'Avventura di alcuni anni fa). Dopodiché, l’albo è stato consegnato al pubblico dopo essere stato studiato, realizzato e confezionato con il massimo della cura di cui siamo capaci (nei limiti nostri e delle produzioni seriali) e ognuno se ne faccia l’idea che crede.