mercoledì 1 febbraio 2017

LE STRADE DI NEW YORK




E’ in edicola da alcuni giorni il Maxi Zagor n° 29, “Le strade di New York”, datato gennaio 2017. Si tratta di un racconto di 286 tavole, confezionato con una grafica rinnovata che rende ragione della bella cover di Alessandro Piccinelli, sceneggiate dal sottoscritto e disegnate da un Marcello Mangiantini in stato di grazia. E’ la seconda volta che un albo di Zagor viene realizzato da un team tutto pistoiese (io e Mangiantini siamo entrambi originari della provincia di Pistoia): nel 2007 portò la nostra firma anche uno Speciale dal titolo di “Il maleficio di Anulka”, in cui addirittura compare Emily Dickinson (chissà in quanti se ne sono accorti). Conosco Marcello da quando era un ragazzino con i calzoni corti (per usare una espressione cara a Sergio Bonelli: la usava per parlare del suo primo incontro con Alfredo Castelli). Siamo amici da una vita, per cui ho nessun problema a interagire con lui: gli posso fare complimenti e critiche con la stessa serenità. Mangiantini è bravissimo nelle storie in costume e nelle ricostruzioni di scenari d’epoca, perciò sapevo che fargli visualizzare la New York del 1830/40 sarebbe stato nelle sue corde. Gli ho fornito tutta la documentazione possibile sulla Manhattan di quegli anni, attinta da vari libri sull’argomento. Molti degli scenari del Maxi sono puntualmente tratti da foto o disegni ottocenteschi. Abbiamo poi avuto alcune fondamentali dritte da parte di un lettore molto ferrato sull’argomento, che ringrazio in pubblico dopo averlo fatto in privato, riguardo la prima partita di baseball della storia.


Nella mia introduzione all’albo ho scritto quel che segue: “Alcune scene del Maxi Zagor che avete fra le mani vi ricorderanno, forse, certe sequenze del film Gangs of New York, di Martin Scorsese (2002). In realtà, la fonte di ispirazione non è la pellicola con Daniel Day-Lewis e Leonardo Di Caprio ma un saggio storico scritto nel 1927 da Herbert Asbury (uno dei più grandi giornalisti americani del secolo scorso, scomparso nel 1963). The Gangs of New York: An Informal History of the Underworld, questo il titolo del libro, è in effetti stato utilizzato anche da Scorsese come punto di riferimento per la sua ricostruzione cinematografica della Manhattan di inizio Ottocento. Le fonti che Asbury cita sono in gran parte articoli di giornale e documenti tratti dagli archivi dei tribunali e della polizia esaminati per stilare la cronistoria di oltre un secolo di vita nei suburbi newyorkese dove imperversava la malavita, partendo dal riempimento del Collect (uno stagno che sorgeva alla periferia nord della New York di fine Settecento). 

Una scena del film "Gangs of New York"
Là dove una volta c’era lo specchio d’acqua (divenuto sempre più mefitico per gli scarichi delle fogne che vi riversavano)  furono costruiti gli edifici di Five Points, compresa la Old Brewery, una fabbrica di birra dismessa che divenne il più celebre caseggiato della storia della città: lo stesso che si vede all'inizio del film di Scorsese, nelle cui viscere (un tempo depositi e magazzini) vivevano centinaia di persone stipate in condizioni di abbrutimento. La descrizione che Asbury fa, citando testimoni dell'epoca, della realtà quotidiana delle strade circostanti è impressionante. Chi legge il libro e poi si rivede il film riconosce mille particolari raccontati dall'autore, dai pompieri che lottano fra di loro invece di spegnere gli incendi, alla donna con i denti limati e fatti aguzzi che strappa gli orecchi a morsi e ne fa trofei sotto spirito, al bruto con la mazza su cui sono incise tante tacche quante sono state le sue vittime. La regola era che qualcosa apparteneva a qualcuno solo finché costui era in grado di difendersela, chi gliela portava via non commetteva una ingiustizia, dimostrava solo di essere più forte o più furbo. Nella nostra storia ci siamo presi alcune libertà (trasformando per esempio la Brewery nel covo di Mad Saddler, uno spietato personaggio di cui farete presto conoscenza) ma, al tempo stesso, abbiamo cercato di restituire l’idea di una metropoli cupa e crudele come sicuramente era, all’epoca di Zagor, nella parte a nord di Canal Street”. 



Mi è sembrato più interessante attingere direttamente dal saggio di Asbury piuttosto che partire da Scorsese, anche se poi la figura di Mad Saddler ricorda quella di Bill "The Butcher" Cutting interpretata da Daniel Day-Lewis (a sua volta però ispirata da un personaggio veramente esistito ci cui parla Asbury), e la scena dello scontro fra bande rivali per le strade attorno ai Five Points cita (rendendole omaggio) la pellicola americana. Ho provato, insomma, a restituire la metropoli dell’epoca zagoriana il più possibile aderente al reale, senza venir meno all’obbligo morale di ogni sceneggiatore dello Spirito con la Scure che è quello di appassionare e divertire la platea dei lettori.

Avevo già spedito lo Spirito con la Scure a New York in una mia storia del 1998 intitolata “Colpo da maestro” e ispirata a “La prima grande rapina al tremo” di Michael Chrichton. Era il racconto che ha introdotto nella serie il diabolico Mortimer, uno dei villain della nuova generazione di cattivi zagoriani. In quell’occasione, però, tutto sommato, la grande metropoli era stata immaginata e visualizzata come uno sfondo generico (anche perché il romanzo di riferimento era ambientato a Londra), non troppo dissimile dalla Chicago in cui Guido Nolitta aveva fatto vivere al Re di Darkwood un’avventura cittadina, nel classico “Solo contro tutti”. Sergio Bonelli aveva voluto citare, com’era nel suo modus operandi, un film: “Tarzan a New York”, del 1942, con Johnny Weissmuller, una pellicola in cui l’uomo scimmia si tuffa persino dal ponte di Brooklyn (un salto simile, ma nelle acque del lago  Michigan era stato inserito nel racconto zagoriano). In entrambi questi precedenti, insomma, si era voluto semplicemente giocare con un “selvaggio” eroe della frontiera fatto muovere nella  giungla di pietra metropolitana, fuori dal suo ambiente abituale. Quale fosse la città era secondario. Restava da sperimentare un racconto in cui Zagor si calasse in una New York quanto più realistica possibile. I tempi sono diventati maturi dopo la trasferta sudamericana dello Spirito con la Scure, in cui noi dello staff eravamo stati attenti a ben documentarci per ricostruire con esattezza la geografia dei luoghi e la realtà storica dell’epoca in cui avevamo immaginato il viaggio. I lettori di oggi sono molto più attenti che in passato alla verosimiglianza delle ricostruzioni. Dunque, ho capito che era in questa direzione che bisognava procedere per proporre qualcosa di nuovo. Aver letto romanzi come “New York” di Edward Rutheford (del 2009, in cui si racconta la storia della città come se fosse la vita di un personaggio in carne e ossa) e vari saggi storici sulla Grande Mela mi ha poi fatto innamorare dell’affascinante passato di una città di cui si tende a considerare solo il presente.

Marcello Mangantini
Qualcuno, forse, avrà trovato crudo e violento “Le strade di New York”, almeno rispetto ai canoni zagoriani. Spiazzare i lettori, nel senso di emozionarli e riservare per loro continue sorprese, è lo scopo principale del mio lavoro. Se chi scrive fumetti finisce per essere prevedibile e ripetitivo, forse deve cominciare a cambiare registro. Detto ciò, per quanto crudo e violento possa essere o sembrare il ventinovesimo Maxi dello Spirito con la Scure, quello di cui stiamo parlando, sicuramente lo è meno del vissuto quotidiano nella New York dell’epoca a nord di Canal Street, e anche meno di ciò che si descrive e racconta nel saggio di Asbury e nel film di Scorsese (dunque abbiamo persino edulcorato la realtà). Non si poteva comunque calare lo Spirito con la Scure in un contesto drammatico e realistico e farlo agire con i guanti di velluto. In ogni caso, la storia realizzata con Mangiantini è stata prudentemente e volutamente collocata fuori serie (nella collana dei Maxi, appunto) perché non “disturbi” chi dovesse trovarla un po’ più realistica di quel che ci si aspetta di solito. Ci tengo però a sottolineare come la positività di fondo dell’ispirazione zagoriana sia stata rispettata. I cattivi pagano il fio delle loro colpe, e c’è un messaggio di speranza e di redenzione consegnato al finale. In mezzo, si ritrovano tutti i consueti buoni sentimenti di amicizia, di amore, di legami famigliari, di lealtà, di coraggio e chi più ne ha più ne metta. C’è spazio persino per un po’ di umorismo, nella migliore tradizione nolittiana. Vengono introdotti alcuni nuovi personaggi, come gli italiani Maria, Vincenzo e Bartolo, ma anche il simpatico (secondo me) Pike con il suo cane Buck: potrebbero tornare.  Tornano, in effetti, i battellieri de "La corsa suol fiume", ovvero l'eterogenea ciurma del capitano Carpenter (co-protagonisti con Zagor di un racconto di Burattini/Della Monica apparso su un Almanacco dell'Avventura di alcuni anni fa). Dopodiché, l’albo è stato consegnato al pubblico dopo essere stato studiato, realizzato e confezionato con il massimo della cura di cui siamo capaci (nei limiti nostri e delle produzioni seriali) e ognuno se ne faccia l’idea che crede.