mercoledì 13 settembre 2017

POZZO SPIEGARE



Nel preparare dei testi per gli ultimi volumi della Collezione Storica di Repubblica sono andato a rileggere gli articoli da me pubblicati su questo blog all'epoca della trasferta sudamericana e mi sono stupito nel vedere quanto mi sia affannato a rispondere punto per punto, con argomenti che potrebbero sembrare persino ovvii, alle critiche di certi detrattori particolarmente ottusi. Per esempio: c'era chi contestava il fatto che nella base delle Amazzoni in Amazzonia si vedesse un "telecomando", scrivendo: "un telecomando su Zagor? Ma siamo matti?". Mi è stato gioco facile far notare come nella copertina di "Minaccia dallo spazio" (una classico nolittiano) compaiono del missili telecomandati, e che proprio in quella storia lo Spirito con la Scure uccide i soldati al servizio di Hellingen premendo dei tasti che danno scattare (a distanza) delle scariche elettriche dalle cinture.  Mi convinco sempre di più che spiegare e rispondere è sostanzialmente inutile, perché anche di fronte all'evidenza il detrattore pregiudiziale non è mai ragionevole. Uno si aspetta che se una certa obiezione  viene smontata con un ricco armamentario di argomenti, chi l'ha sollevata ne riconosca l'infondatezza. Macché.

Tutto ciò mi ha spinto a recuperare la mia lunga risposta a una delle consuete interviste via e-mail a cui Luca Raffaelli mi sottopone per commentare le storie a mia firma ristampate appunto da Repubblica. In questa risposta tratto appunto del fenomeno dei commenti on line alle storie del Re di Darkwood. Il testo si riferisce all'avventura "Oscure presenze" (Zagor 473, del dicembre 2004). Ecco quel che ho scritto a Raffaelli, e che Luca ha pubblicato fatta la dovuta sintesi.


Di "Oscure presenze" ricordo soprattutto i miei tentativi di convincere una parte dei lettori che commentavano le storie sui forum in Rete della sostanziale accettabilità di alcuni particolari, a mio avviso del tutto marginali, su cui, eppure, si sbizzarrivano le elucubrazioni di chi voleva a tutti i costi trovare il pelo nell'uovo. Questo fenomeno era, all'epoca, abbastanza nuovo.  Per anni e anni chi leggeva i fumetti chiedeva soltanto,  in fondo, di venire coinvolto in un racconto emozionante e di divertirsi. Non si stava a spaccare il capello in quattro.

Invece, con il diffondersi dei "commenti da social" in cui chiunque poteva dilungarsi in commenti estemporanei, sulla base dell'umore del momento, o del desiderio di esercitare un particolare spirito polemico per una malintesa forma di autoaffermazione o per acquisire attenzioni e notorietà altrove negate, le cose cambiavano. Da un lato, gli autori potevano avere un immediato feedback sull'apprezzamento dei loro lavoro, dall'altro però questo riscontro era contraddittorio perché in Rete si poteva trovare tutto e il contrario di tutto, con opinioni divergenti (ma con i detrattori sempre più scatenati dei soddisfatti).

Se in precedenza si aveva a che fare con giudizi critici espressi da persone selezionate e filtrate dalla minore immediatezza della pubblicazione su carta stampata, o scritti su lettere inviate per posta e dunque ponderate da chi doveva prendere carta e penna, con l'avvento dei social e della recensione immediata, gli autori si trovavano a fare i conti con un turbinare di pareri di tutti i generi, alcuni anche decisamente infondati, tra i quali era difficile distinguere la critica ragionevole, di cui tener conto, da centinaia o migliaia di commenti in grado solo di lasciare perplessi. Inoltre, era impossibile capire se il parere della Rete (positivo o negativo che fosse, e comunque basato anche su facili entusiasmi o feroci avversioni, oltre che soggetto alle suggestioni degli "influencer") corrispondeva a quello della "maggioranza silenziosa" dei lettori tradizionali, non usi a frequentare i forum ma abituati a leggere il proprio albo senza bisogno di confrontarsi con altri appassionati. Il problema è complicato e approfondirlo porterebbe via troppo tempo, prestandosi anche a malintesi e fraintendimenti.

Basterà dire che all'epoca del "Villaggio del mistero" mi trovai, con mia grande sorpresa, a dover difendere l'idea del pozzo in cui i cajun avevano gettato i cadaveri degli abitanti del villaggio. Secondo me, una "fossa comune" del genere avrebbe potuto essere apprezzata come un elemento horror spaventoso a vedersi, punto e basta. Nei fumetti cerchiamo sempre di inserire scene che colpiscano l'immaginazione dei lettori, "belle da vedere" anche se orride (come la vignetta con il prete impiccato). Invece, con mia grande sorpresa, in Rete ci fu chi si prese la briga di sbizzarrirsi nel contestare il fatto che i miasmi dei corpi in decomposizione avrebbero dovuto rendere l'aria talmente irrespirabile da far scoprire subito la sorte dei primi abitatori di Nuova Sulina. Su questo particolare fu imbastita una polemica che non finiva più, cosa che a pensarci bene è persino divertente.

Ricordo che, un po' perplesso, mi affannai a rispondere punto per punto tirando in ballo il fatto che in una palude piena di miasmi per conto suo non era come sentire odore di marcio in un salotto di casa, che in ogni caso il tempo trascorso dalle uccisioni poteva aver mummificato i cadaveri, oppure che, al contrario, l'umidità del delta del Mississippi (chissà quale ne è la composizione chimica) poteva aver decomposto i corpi in modo diverso e più veloce, oppure che la particolare conformazione del pozzo non favoriva le esalazioni che potevano essersi sfogate in altri modi. La cosa buffa è che in una storia basata sui fantasmi e i fenomeni di poltergeist (accettati senza battere ciglio) si andasse a contestare una faccenda di cattivi odori, e su quella venisse ingaggiata una battaglia fra lettori pro e contro. Naturalmente le mie puntualizzazioni, per quanto garbate e articolate, non convinsero nessuno dei detrattori, com'era inevitabile visto che si trattava di questioni di lana caprina. 

C'è da notare che spesso i detrattori contestano quello che viene definito lo "spiegazionismo", cioè la tendenza (che deriva da una precisa scelta di Sergio Bonelli, da lui persino rivendicata con orgoglio) a fornire spiegazioni tese a non lasciare punti oscuri in modo che il lettore non debba faticare per venire a capo dei perché e dei percome, mentre in altri casi gli stessi ipercritici contestano la mancanza di spiegazioni su particolari che, tutto sommato, su cui si potrebbe benissimo sorvolare. In fin dei conti, in un passaggio come quello incriminato il dato di fatto era che dei morti nel pozzo in un primo momento nessuno si era accorto: è davvero necessario spiegare perché? Ecco, ai tempi di Guido Nolitta certamente queste discussioni non si facevano, e altrettanto certamente se al vaglio del medesimo spirito ipercritico di certi forum fossero state passati i capolavoro dell'epoca d'oro zagoriana non ne sarebbero usciti indenni neppure quelli. Tutto questo mio discorso vuole solo sottolineare come, da un certo momento in poi, anche Zagor venne coinvolto nel calderone dei dibattiti in Rete. Per un po' di tempo cercai di rispondere puntualmente e di spiegare il mio punto di vista rispetto a questioni di questo tenore che venivano sollevate di numero in numero, poi decisi che era meglio lasciar perdere: in fondo, anche i commenti polemici in Rete sono un divertimento che tiene desta l'attenzione e questo è decisamente un bene.