martedì 14 dicembre 2010

C'E' POCO DA RIDERE

Ieri sera, con grave ritardo sul resto dell'umanità, ho finalmente letto la prima parte di Avarat, il fumetto in 3D di Leo Ortolani uscito più di un mese fa e mi sono, come al solito, enormemente divertito. Peraltro, ho una discreta collezione di fumetti in 3D (da leggersi cioè dopo aver messo sul naso gli appositi occhialetti di carta con delle lenti in acetato rosso e verde) che vanno dall'Eureka di Castelli & Silver a un poster di Martin Mystére passando per albi Disney e molto altre materiale di cui magari un giorno vi farò l'elenco (ma anche no). Va detto che ho messo insieme la mia raccolta quando la moda dei film 3D non era ancora dilagata, in epoca remota in cui ancora era un avvenimento un libro con nudi fotografici in stereoscopia (ne ho almeno un paio).
Aggiungo, cosa che susciterà l'incredulità generale, di non aver mai visto neppure un film in tre dimensioni di quelli che hanno spopolato negli ultimi anni, neppure Avatar, che ho visto in DVD in un comune televisore. Dato che sono parecchie le curiosità di questo genere che mi riguardano, dopo aver letto in "Caos Calmo" le liste stilate dal protagonista ai giardini pubblici davanti alla scuola della figlia (del tipo "lista delle ragazze che ho baciato" o "lista delle compagnie aeree con cui ho volato"), ho aperto un file intitolato "Cose che tutti fanno e io no", giunto ormai verso la settantesima voce, in cui "non ho mai visto un film in 3D" è la prima. Ma torniamo ad Avarat. Come tutto ciò che disegna Ortolani, fa ridere. Parecchio.

Ma, e qui comincio ad arrivare al punto, ci sono in Italia in questi ultimi anni diversi autori di fumetti che a me fanno ridere, e parecchio. Potrei stilare un elenco in ordine alfabetico citando soltanto i primi dieci che mi vengono in mente: Giacomo Bevilacqua, Daniele Caluri, Andrea Camerini, Massimo Cavezzali, Sauro Ciantini, Lele Corvi, Federico Maria Sardelli, Enzo Scarton, Mauro Talarico, Roberto Totaro, (e mi scusino gli esclusi colpevoli soltanto di essermi venuti in mente dopo il decimo nome). Tuttavia è difficile trovare le loro vignette su carta, e bisogna cercarle in rete: ma non è la stessa cosa. A volte escono dei loro libri, ma sono appunto eventi occasionali.
A questa lista di viventi, potrei facilmente affiancare un elenco di grandi autori umoristici che non ci sono più, italiani e stranieri: Johnny Hart, Bonvi, Reg Smithe, Tom K. Ryan, Charles Schulz, Benito Jacovitti, Brant Parker, Chic Young, Skiaffino, Pino Zac. Oppure, tutti potremmo citarne altri vivi e vegeti, come Quino, Mort Walker, Bill Watterson, Jim Davis, Silver, Massimo Bonfatti, i fratelli Origone, Giorgio Cavazzano, Luca Novelli, Silvia Ziche. Mi sono limitato agli autori di strip o di storie brevi, perché volendo allora si potrebbero tirare in ballo tutti i Disney, e poi Uderzo, Peyo, Franquin, Ibáñez (l'autore degli esilaranti Mortadelo y Filemon) e chi più ne ha più ne metta. Non ci sono riviste, però, che pubblichino regolarmente neppure costoro.
Ma arrivo al dunque: tanti umoristi, mille personaggi, milioni di gag e di battute. E noi ci ritroviamo però quasi soltanto con il Rat-Man di Leo Ortolani. In edicola, da tempo, c'è poco da ridere. Mancano le riviste che una volta pubblicavano le strips: Eureka, Il Mago, Comix. C'è ancora Linus, è vero, ma è arduo trovarci da ridere fra tante pagine di politica. In fumetteria ci sono, per fortuna, ancora dei volumi.

Facendo la cronaca delle mie giornate lucchesi durante l'ultima edizione di Lucca Comics, ho elencato brevemente alcuni dei miei acquisti nei vari stand (sempre troppo affollati per poter essere visitati tutti con la dovuta calma). E dunque ho rammentato alcuni titoli. Per esempio, "Ti Amo e... 101 risposte bastarde", di Gaia Bracco, edito da Struwwelpeter. In ogni pagina c'è una ragazza che dice "ti amo" e qualcuno che le risponde. Le migliori risposte sono: "Vuol dire che me la dai gratis?" e "aspetta, spiegamelo con parole semplici". Battute tutte o quasi molto divertenti: che bello sarebbe stato, però, trovarle centellinare in una rubrica su una rivista. Già, perché le strip sono fatte per essere godute un po' per volta, a dosi massicce non funzionano più.
Io sto facendo (e mai ci rinuncerei per tutto l'oro del mondo) la cronologica dei Peanuts, ma certo leggere un anno di strips tutte insieme non è divertente come gustarsele una al giorno (e in America uscivano appunto sui quotidiani). Qualunque volume raccolga delle strisce stufa di più di una rivista dove se ne trovano quindici o venti e poi si passa a un altro personaggio in attesa del numero successivo.

Un altro libro antologico è "Prove tecniche di megalomania", di Silvia Ziche, edito da Rizzoli Lizard, con protagonista la formidabile Lucrezia, trentenne complessata sempre in cerca del principe azzurro. L'autrice (bella e brava) è brillantissima nel tratto e geniale nel cogliere l'umorismo nelle sfumature psicologiche e se è impietosa con la sua eroina lo è ancora di più quando si cimenta nel raffigurare (e bersagliare) le tipologie maschili. Dopo aver letto un suo precedente libro, le dissi che mi riconoscevo in uno dei suoi ritratti di uomini e lei mi rispose con dolce perfidia che ciò non deponeva a mio favore. Ahimè, è proprio così. Comunque, anche Lucrezia la vedrei bene in una ipotetica rivista umoristica.

Alla continua ricerca di libri divertenti, questa estate a Barcellona mi sono comprato qualcosa che, temo, non uscirà mai in Italia: "Dios Mio!", di J.K. Martìn, con sottotitolo: "Dio e i suoi colleghi". Con coraggio ammirevole, l'autore prende in giro tutte le divinità che immagina riunite in un club nell'empireo, dove spesso decidono sotto gli effetti dell'alcool i precetti da far osservare ai poveri umani che comunque altre volte guardano sgomenti perché se ci hanno fatto a loro immagine e somiglianza non hanno molto da stare allegri. Perché non lo vedremo mai in Italia? Perché, ovviamente, è politicamente scorretto e ci sono vignette sataniche.

Sempre a Lucca ho preso, presso lo stand ANAFI, il bel volume "I miei fumetti", dedicato ai personaggi di Frank, alias Francesco Privitera, classe 1931, autore fra gli anni Cinquanta e Sessanta di decine di eroi di carta umoristici per bambini, come Frugolino, Miciolino o il cane Puffi, con uno stile personale e inconfondibile, che io ricordo di aver visto da bambino. Erano davvero altri tempi in cui l'edicola pullulava di testate riservate ai ragazzi o comunque "da ridere", da Pappagone a Jonny Logan, da Nonna Abelarda al diavolo Geppo, da Tiramolla a Trottolino.

E oggi? Oggi, ahimè, c'è poco da ridere in tutti i sensi. Persino il "mio" Cico, che tanto mi divertivo a scrivere (e che comunque tanto mi divertirei a leggere anche se lo scrivesse un altro, come Tito Faraci, per esempio), è stato chiuso. Che bello sarebbe se facessimo un Almanacco dell'Umorismo, con su ogni numero una storia di qualche grande autore come quelli de "I grandi comici del fumetto", magari affidato alla cura di Alfredo Castelli. Ma ovviamente non è in casa Bonelli che si può pensare rinascano riviste umoristiche.

Se chiudo gli occhi mi vedo una testata mensile dove si ripescano, in maniera filologica, i classici come B.C. o Tommy Wack, Blondie o Brumilda, o capolavori come Gummer Street, ma anche Garfield e il Mago Wiz, Beetley Bailey e Hagar il Terribile, e accanto a questi le nuove strisce italiane. Ho provato a proporlo in giro, ma mi si dice che una rivista così non venderebbe una copia, a parte la mia. Peccato. Mi viene da piangere.