martedì 25 gennaio 2011

IL MAGAZZINO



Il sottotitolo della rivista “Dime Press” che io e altri tre compagni d’avvrentura fondammo agli inizi degli anni Novanta era “magazzino bonelliano”. Si trattava di un gioco di parole sulla parola inglese “magazine”, che significa “rivista”, false friend dell’italiana “magazzino”, che però a noi sembrava potesse comunicare l’idea di “contenitore” di tutte le notizie, le disamine, le interviste e le recensioni della produzione della Sergio Bonelli Editore, a cui la testata era dichiaratamente e monomaniacalmente dedicata.

Ricordo che l’editore, Antonio Vianovi, sosteneva con forza l’idea che anche in italiano “magazzino”, in una antica o desueta accezione, avesse o potesse avere il significato di “rivista”. Io ne ho sempre dubitato, però proposi di inserire nel primo numero un servizio fotografico sul vero magazzino bonelliano, quello dove erano conservati tutti gli arretrati di casa Bonelli. Non fu possibile, e ripiegammo su una visita in casa Castelli, che comunque si rivelò una miniera di curiosità (vedere Dime Press n°1 per credere).

Una decina di anni prima, un’altra rivista chiamata “La Striscia”, curata da Stefano Mercuri, aveva pubblicato un numero speciale, o meglio un vero e proprio libro (il primo di due tomi, con il secondo destinato a uscire molto tempo dopo), intitolato “I Bonelli: 50 anni di fumetti”, che si fregiava di una inte ressante prefazione di Decio Canzio. La prefazione in questione si intitolava “L’incendio del magazzino”. Il pezzo cominciava così: “Si favoleggia, qui alla Cepim, di un misterioso ‘incendio del magazzino’: non si sa bene quando avvenne, ma certo dovette essere violentissimo, visto che fece tabula rasa del passato. Tutti i vecchi albi distrutti, e con essi i registri che catalogavano le pubblicazioni, con le date esatte, i nomi degli autori e tutto quanto avrebbe potuto essere utile per ricostruire la storia della Casa editrice. Ecco perché, paradossalmente, a saperne meno di tutti sulla Cepim (Daim Press o Araldo o tutte le altre aziende del ‘Gruppo Bonelli’) siamo proprio noi. E gli albi non ci sono davvero: lo sa benechi ce li chiede per questa o quell’altra iniziativa amatoriale”.

Una volta ho letto, ma non ricordo dove, una cosa scritta da Tiziano Sclavi in cui si racconta di una sua visita nel magazzino della Bonelli, e lo si paragona a quello del finale dei Predatori dell’Arca Perduta. Sono sempre rimasto con il desiderio di vedere questo mitico magazzino e, come me, immagino piacerebbe a tantissimi altri.

Così, poco più di un mese fa, quando mi è capitata l’occasione di andarci per ritirare dei fumetti che sarebbero serviti per una manifestazione, ho approfittato al volo della presenza in redazione di Marco Andrea Corbetta, meglio noto come “Baltorr”, avvocato di professione ma eccellente fotografo per passione, e l’ho portato con me, dato che mi serviva una mano e soprattutto dato che aveva al seguito la sua inseparabile macchina fotografica.

Baltorr, che è anche presidente dell’Associazione Cultrale “Pickwick” di Besana Brianza, gestisce un suo blog, dove mostra agli interessati i suoi reportage fumettistici. Alcuni degli scatti che abbiamo potuto immortalare durante la nostra visita li trovate qui di seguito. Mi fa piacere poter mostrare i colleghi che lavorano a spedire gli arretrati a chi li richiede, le pile di albi immagazzinati, le casse delle cornici delle varie mostre (vedi sopra), i fumetti danneggiati destinati al macero.

L’edificio è recente e so che ha sostituito da alcuni anni una sede più vecchia. Non so se siano custoditi qui dei cimeli particolari o se davvero le rarità siano andate distrutte nel leggendario incendio o, come spero, siano conservate altrove sottochiave.

C’è però un angolo dove alcuni scaffali sono recintati da una catenella e una scritta dice “vietato l’accesso”. Che siano lì, le poche copie sfuggite alle fiamme tanti e tanti anni fa?