lunedì 14 febbraio 2011

COMPAGNI DI SCUOLA

Chissà se è stato semplicemente il caso, o se si tratta di un perfetto esempio di coincidenza significativa. Fatto sta che ho da poco finito di leggere la "La trilogia del ritorno", di Fred Uhman, e in particolare il primo dei tre romanzi, "L'amico ritrovato", del 1971, da cui nel 1989 è stato anche tratto un film.
Il libro, davvero bellissimo, racconta dell'amicizia fra un ebreo tedesco, il sedicenne Hans Schwartz, e un suo coetaneo, il giovane conte Könradin von Hohenfels, ultimo rampollo di una stirpe di nobili svevi. I due frequentano entrambi il liceo Karl Alexander Gymnasium di Stoccarda, negli anni dell'ascesa al potere di Hitler. Il romanzo non affronta in modo specifico il tema della shoah o dei campi di sterminio, ma descrive soprattutto il periodo precedente allo scatenarsi delle persecuzioni razziali. Gli Schwartz, al pari di molti altri ebrei di Stoccarda si sentono perfettamente tedeschi e sono addirittura fieri di esserlo.

Quando le idee naziste cominciano a serpeggiare, il padre di Hans rifiuta di trasferirsi in Palestina, come gli viene proposto di fare, convinto che il razzismo hitleriano sia una specie di follia passeggera che mai avrebbe contagiato la nazione di Goethe, Beethoven e Schiller. Invece, quella follia finisce per dividere Hans da Könradin, che pure erano stati amici per la pelle, e semina odio all'interno dei compagni di classe. Il giovane Schwartz riesce a fuggire in America in tempo per non venire travolto dagli eventi (non sarà questa, invece, la sorte dei suoi genitori) ma quel che accade in Germania, ovviamente, lo segna per sempre. Vent'anni dopo la guerra, Hans ritrova un elenco dei nomi della sua scolaresca, che reca accanto a ognuno l'indicazione di quale sia stato il destino dei suoi compagni nella tempesta degli eventi bellici. A lungo evita di verificare che cosa sia accaduto a Könradin, di cui non ha saputo più nulla. Vivo? Morto? Ma soprattutto, con le mani sporche di sangue?


Naturalmente non vi rivelo il finale (a cui vale la pena di arrivare con il cuore in gola), ma passo a spiegare qual è la coincidenza che mi riguarda. Proprio mentre, terminato il primo romanzo della trilogia, passavo al secondo, ho ricevuto una telefonata da Barbara Burzi, giornalista della redazione pratese del quotidiano "Il Tirreno" (molto diffuso in Toscana).

Mi chiedeva una intervista, per una iniziativa che il suo giornale sta portando avanti da qualche tempo: presa una classe di un istituto scolastico di Prato, a distanza di venti o trenta anni dalla maturità, si trattava di verificare che fine avessero fatto gli studenti, o meglio, se ce n'erano alcuni che si fossero realizzati in un particolare campo o avessero sfondato o fatto carriera in un settore più o meno insolito o degno di nota. Per la puntata destinata a venire pubblicata domenica 13 febbraio, la classe presa in considerazione era la terza liceo sezione A del Liceo Classico Cicognini di Prato, anno scolastico 1980/81. Cioè, proprio la mia.


Sono rimasto molto colpito dalla richiesta. Ho subito risposto alle domande della solerte cronista, le ho inviato un po' di documentazione, comprese alcune foto, e sono rimasto in attesa di poter leggere le storie degli altri. Cioè, di scoprire quel che non so su dove siano finiti i miei compagni, che cosa abbia riservato loro la vita, se sono felici, se abbiano dei figli che magari vanno alla nostra stessa scuola e se quei figli assomigliano a noi e se noi assomigliamo ai nostri genitori.



Potrà sembrare strano, ma non ho il telefono di quasi nessuno, se non di un paio. Ma non perché abbia evitato di incontrarli. Semplicemente perché la vita, turbinosa, mi ha portato in altre direzioni e immagino che lo stesso sia capitato a loro. Ho un'esistenza complicata e non sono neppure su Facebook, il che non semplifica le cose. Ma se chiudo gli occhi li rivedo tutti, ne ascolto le voci, mi emoziono rammentandone i sorrisi, rido al ricordo delle battute, mi batte ancora il cuore ricordando una ragazza di cui mi ero innamorato, rivivo le gite scolastiche e le feste di fine anno, torno ai cineforum che a quell'epoca ancora c'erano e al buio di una sala dove ho dato il primo bacio durante il film "Hair" (non a quella ragazza, ma una di quarta ginnasio, io che ero in prima liceo).


Domenica è uscito il pezzo. Due pagine intere del quotidiano, e al centro, grande, una foto della scolaresca in cui ho faticato a riconoscermi, sotto un improponibile cesto di capelli. Nella foto a colori poco sopra, sono l'ultimo a destra dei seduti. Al ginnasio, invece, ero ancora un ragazzino per bene e li portavo più corti. Sono quello in prima fila, seduto, secondo da sinistra, nella foto in bianco e nero qui sotto. Più in basso ancora, uno dei miei compagni mi ha fotografato addormentato durante una gita scolastica in prima liceo.




Ho scrutato una per una tutte le facce, così famigliari al punto che mi sembra impossibile siano passati trent'anni. Giurerei di averli lasciati in classe questa mattina al suono della campanella e di poterli rivedere domani, alle otto, tornando a scuola con l'impellenza di copiare la versione di greco. Non ricordo molto, di greco. Ho smesso di studiarlo appena sono uscite le materie della maturità e lo scritto era latino. In compenso potrei sostenere qualche buona discussione su poesia, storia e filosofia (peccato non mi capiti spesso di poterlo fare: è più facile trovare gente con cui parlare di caccia al cinghiale).

Non ricordo chi lo ha detto, ma condivido: lo scopo principale di una educazione umanistica è rendere la propria mente un luogo piacevole dove passare il tempo. Dopo aver fatto il classico, non ho mai avuto nessuna difficoltà a studiare qualunque cosa, e a capire quel che studiavo, se avevo voglia di capirlo. Eppure, la maturità della mia classe fu disastrosa. Ho rimosso quasi tutto, tranne il fatto che ci furono molti bocciati, nessuno di noi prese sessanta e io me la cavai per il rotto della cuffia con un vergognoso quarantadue. Dopo averlo confessato alla giornalista, le ho detto: se lo scrivi, aggiungi che però poi mi sono laureato con centodieci e lode. Ah, ritrovare quei commissari e fargli una pernacchia e il gesto dell'ombrello sventolandogli il diploma di laurea con il massimo dei voti.

Barbara Burzi si è occupata principalmente di Giuseppina Tesco, che ho scoperto essere diventata una neurologa che fa ricerca negli Stati Uniti, Antonello Giacomelli, deputato, Simone Massai, produttore musicale a Cuba, Angelo Formichella, architetto e pittore, e il sottoscritto. L'articolo della giornalista comincia così.



"PRATO. Quell'anno la commissione d'esame fu davvero severa. Un terzo della 3ª A del Classico Cicognini 1980/81 fu respinto alla maturità. Tra quelli che invece ce l'hanno fatta, nessun 60, il massimo dei voti. Si potrebbe definire il classico errore di valutazione considerando che in quel gruppetto così variegato, a distanza di trent'anni si possono riconoscere una scienziata, un architetto, un parlamentare, uno sceneggiatore di fumetti, un produttore musicale e poi ancora, avvocati, farmacisti e sindacalisti. Per questi quasi cinquantenni di oggi, è impossibile dimenticare gli anni delle superiori.
C'è Moreno Burattini, che prima di diventare il principale sceneggiatore delle storie di Zagor per Bonelli Editore, è stato una firma umoristica del giornalino scolastico La Cicogna. Praticamente fu lui a rieditarlo. "Scrivevo storie dappertutto - ammette - Le compagne di classe mi passavano il diario durante le lezioni chiedendomi di farci una vignetta". Insomma, un destino segnato il suo, come quello di Giuseppina Tesco, scienziata già studentessa eccellente con "un'intelligenza superiore", ricordano i suoi ex compagni di classe, alcuni dei quali sono pronti a scommettere che prima o poi vincerà il Nobel. Non avrebbe, invece, mai immaginato di sedere in Parlamento Antonello Giacomelli, deputato Pd, che per le sue doti di comunicatore ambiva a diventare un avvocato. Disinteressato alla pallamano (sport della scuola), l'architetto Formichella racconta di essersi appassionato alla pittura, specie negli ultimi anni di scuola quando andava a lezione da pittori locali. Presente all'appello anche Simone Massai che oggi vive a Cuba ("fui tra quelli respinti alla maturità", ammette). Tra gli altri Francesco Chiaravalli, oggi è un sindacalista, dirigente Cisl; e Bottari ("il bello della classe") un farmacista". Nella foto sopra, l'edificio del Classico Cicognini.


Già, "La Cicogna". Un'altra delle tante pubblicazioni a cui ho collaborato. Sono andato a ricercarne i numeri e ho scansionato una delle vignette che ci disegnavo sopra (se cliccate sul disegno, potete ingrandire l'immagine e leggere la battuta). Ho ritrovato anche qualcuna delle mille freddure che scrivevo firmandomi "Il vipera". Per esempio: come si traduce un latino la frase "Domani sarò interrogato"? Risposta: opus est forcam facere. Ovviamente la possono capire soltanto quelli che fanno il classico in Toscana, o quelli particolarmente acuti delle altre regioni. Domanda: qual è il verbo greco che significa "venire bocciati"? Risposta: stùdiomai. Questa la capiscono ancora in meno, perciò, vabbé, lasciamo perdere.


Rileggo l'articolo. Il pezzullo che mi riguarda contiene qualche inesattezza. Si dice che avrei ideato la Mostra del Fumetto di Prato insieme a un gruppo di amici di cui faceva parte Stefano Bartolomei, mentre invece il merito è tutto di Bartolomei (con i sodali Riccomini e Vianovi) e io, alquanto più giovane di loro, entrai a far parte del gruppo quando la mostra esisteva già da alcuni anni. Si cita una frase di questo blog: "Ho frequentato lo stesso liceo di D'Annunzio e Malaparte e chissà se qualcuno potrà mai dire lo stesso". E' ovvio che tutti gli studenti del Cicognini potrebbero dire lo stesso: la frase corretta è "chissà se qualcuno dirà mai di aver frequentato lo stesso liceo mio". Al casello autostradale di Prato ho lavorato un po' di più di due anni, quasi otto. Inoltre Sergio Bonelli non è "l'inventore di Tex e Dylan Dog" ma, ovviamente, l'editore. Infine, Kattivik si scrive Cattivik.

E degli altri, che dire? Mi meravigliano le avventure di Simone, di Giuseppina e di Antonello. Però, a pensarci bene, era già tutto scritto. Giuseppina era una mente superiore già da ragazza (qui accanto la si vede, nella foto de Il Tirreno, con la sua squadra di ricercatori a Boston). Antonello si candidava sempre come rappresentante di classe e faceva il presidente nelle assemblee di istituto (una noia mortale che evitavo se appena potevo: preferivo darmi malato il giorno dell'assemblea piuttosto che quello del compito di latino). Simone era una forza della natura impossibile da imbrigliare. E io? Forse anche il mio destino si poteva indovinare, guardandomi leggere i racconti di Isaac Asimov durante l'intervallo o disegnare vignette umoristiche sulla lavagna. Vorrei tornare indietro, e rivivere tutto.