lunedì 10 ottobre 2011

IL BUNKER DEI FUMETTI


Si è da poco svolto il passaggio di consegne, o se vogliamo il cambio della guardia, tra me e Francesco Manetti alla cura dei testi a corredo della riedizione mondadoriana della saga del Gruppo TNT, ovvero “Alan Ford Story”. I più assidui lettori di questo blog mi hanno visto più volte scrivere a proposito di questa collana.

Io e Francesco, mio sodale ai tempi di Collezionare e di Dime Press, siamo stati, a suo tempo (e cioè nel 1998) gli autori di un saggio intitolato “Alan Ford Index 1-300” (Paolo Ferriani Editore), in cui esaminavamo in dettaglio ogni singolo albo della serie (ne vedete qui sotto la copertina).


Prima ancora, nel 1994, con la collaborazione del giovanissimo (allora) Saverio Ceri, organizzamo un percorso espositivo per il venticinquennale alanfordiano in occasione di una (almeno per noi) memorabile edizione della mostra del fumetto di Prato, quando ancora si faceva ed era un gran bell'evento. Anche per questo, un paio di anni fa mi fu offerto di curare le introduzioni e le note dei volumi cartonati della Mondadori: si doveva trattare, nei programmi originali, di trenta uscite settimanali (in allegato a Panorama e TV Sorrisi e Canzoni) contenente ciascuno due episodi di Alan Ford, dunque sessanta titoli e tutti del periodo magnusiano. Per me fu un invito a nozze. Informai Sergio Bonelli dell’iniziativa, lui si disse lieto che si fosse pensato a me, e mi dedicai alla stesura dei trenta pezzi richiesti: ciascuno, peraltro, abbastanza corposo (otto cartelle da consegnare ogni lunedì mattina). Arrivati alla fine dell’impresa, mi venne detto che la collana aveva riscosso un certo successo per cui c’erano i margini per tentare un allungo: altri trenta volumi, fino al numero sessanta (e cioè fino al centoventesimo episodio). La stessa cosa si ripeté arrivati al nuovo traguardo: mi si si chiese di tenere duro fino al numero novanta, poi fino al cento. E qui giunto, dopo aver parlato del memorabile Alan Ford 200, ero abbastanza stremato da aver consegnato con gioia il testimone al collega di un tempo, ferrato in campo bunkeriano almeno quanto me. Auguri, Francesco.

Nel considerare la gran mole il lavoro svolto, e cioè quasi ottocento cartelle scritte in due anni (tali da riempire un librone se mai si volessero raccogliere i miei testi in un unico saggio), mi ha fatto tornare alla mente i tanti articoli da me pubblicati sulla produzione di Luciano Secchi nel corso di oltre venticinque anni di attività saggistica. In particolare, mi sono ricordato di una lunga intervista da me realizzata per la rivista “Il Fumetto” dell’ANAF, e pubbicata sul n° 21 del dicembre 1989. Era corredata anche da un mio saggio intitolato “Il Bunker dei fumetti” e mi pare di poter dire che, all’epoca, rappresentasse il più approfondito lavoro sulla produzione dello sceneggiatore milanese. L’intervista, illustrata anche dalla caricatura dell'autore (seduto sulla sedia a rotelle del Numero Uno) che vedete sotto il titolo, realizzata da Francesco Bastianoni, venne realizzata nel giugno dello stesso anno, durante una visita che feci nella redazione della MBP insieme ad altri amici della fanzine “Collezionare”. La foto più in basso è rimasta a testimonianza dell'incontro. Si trattò del mio primo incontro con Bunker, che accettò di rispondere anche alle domande più scomode. A conclusione del mio percorso (faticoso ma ricco di soddisfazioni) con “Alan Ford Story”, ripubblico il testo di quell’intervista. A corredo, un paio di foto scattate a Prato durante l’inaugurazione di “Alan Ford 25”: nella prima, con me e con Francesco compare anche, oltre a Secchi, anche Paolo Piffarerio).

INTERVISTA A
MAX BUNKER

Da “IL FUMETTO” (Edizioni ANAF) n°21
del dicembre 1989

D. Luciano Secchi, in arte Max Buker: nel 1990 festeggerai trent’anni di attvità nel mondo dei fumetti.

R. Esattamente il mio primo contatto col fumetto avvenne nel 1960 traducendo Flash Gordon per l’Editoriale Corno. Ai tempi studiavo ed arrotondavo con lavori di traduzione dall’inglese, lingua che mi è sempre stata congeniale.

Come ti sei scoperto anche scrittore e narratore?
Facevo ottimi temi a scuola e li facevo per quasi metà classe. I cambio loro mi facevano i compiti di matematica, dove ero debolino.

Quali sono state le letture su cui ti sei fermato? Quali libri, quali fumetti leggevi da ragazzo e poi da adolescente?
Libri? I Classici, con particolare predilezione per Oscar Wilde (per esempio, “Il ritratti di Doria Gray” che poi ho trasportato nel fumetto più di una volta), nonché Alessandro Manzoni ed Italo Svevo tra cui “La coscienza di Zeno” rimane uno dei più bei romanzi di umorismo amaro che abbia mai letto. I fumetti sono i classici del dopoguerra: ovvero Mandrake, Uomo Mascherato, Topolino e Dick Fulmine al quale va la mia particolare preferenza.

Com’era l’Editoriale Corno prima del tuo arrivo, e come cominciò a cambiare anche grazie a te? Quali erano inizialmente i tuoi rapporti con l’editore, e come andarono evolvendosi?
Il mio impulso fece si che da editoria di favolistica si passasse a quella del fumetto. I rapporti con Andrea Corno? Quelli normali tra il direttore che propone e chiede il finanziamento dell’idea e l’editore che fa i suoi conti.

Come hai imparato la tecnica della sceneggiatura? Avevi raccolto suggerimenti da qualcuno o ti ritieni un autodidatta?
Sono un lettore di Tex dalla primissima ora. Ammiravo Gian Luigi Bonelli per la sua capacità di essere stringato, rapido, incisivo. Diciamo inoltre che ho un innato senso del ritmo. Un autodidatta, quindi, con Gian Luigi Bonelli maestro ideale.

Qual è il tuo metodo di lavoro? Stendi sceneggiature dettagliate o lasci libertà al disegnatore? E come si è evoluta nel tempo la tua tecnica? Credi di curare meno di una volta le tue storie o ritieni di metterci lo stesso impegno e la stessa passione?
Ho sempre lavorato con lo stesso schema. Tagli del quadro uno per uno: istruzioni per il disegno, quindi, più il testo. L’evoluzione nel tempo mi ha portato ad essere più conciso. La passione è indispensabile per fare questo lavoro.

Perché il tuo esordio come autore dei testi avvenne con Maschera Nera, un western? Fu una precisa richiesta dell’Editore o una tua esigenza di narratore?
Il mio vero esordio avvenne in realtà con “Viva l’Italia”, che feci assieme a Paolo Piffarerio sulle pagine di Gordon rivista. Maschera Nera fu una scelta di mercato. Il western fino a quel momento aveva sempre pagato bene, e pagò anche quella volta.

Cosa ricordi dei tuoi altri personaggi “minori” del periodo? Atomik, Capitan Audax, Primula Verde, Kim della Jungla, Rio Danger, Zorak: a quali esigenze rispondevano? Come li giudichi oggi, a distanza di tempo?
Ricordo principalmente che si era alla ricerca continua di uno sbocco preciso. Per me è stato un buon apprendistato. Un mio giudizio attuale è impossibile, ricordandoli veramente poco.

Inizialmente firmavi le tue sceneggiature con sigle come “Elesse”: quando, come e perché nacque invece lo pseudonimo di Max Bunker?
È un soprannome che risale al 1945. Io ero il più piccolo di un gruppo di amici. Ai tempi i giochi erano inventiva spicciola: si giocava alle “isole”, ovvero si faceva un segno in terra col gesso e si metteva un nome. Essendo l’ultimo a scegliere sentivo tutti i nomi a me noti scappare via: Sicilia, Sardegna, Sumatra, Giava eccetera se ne andavano...così scelsi “Bunker” perché sentivo sempre per radio di Hitler che si era suicidato nel suo bunker, e pensavo fosse un’isola! I miei amici di un tempo mi soprannominarono Bunker.

Il 1964 è l’anno del “mitico” incontro con Roberto Raviola. Quali sono stati i motivi dell’irripetibile e perfetta simbiosi tra Magnus e Bunker?
Difficile a dirsi. Ci siamo visti e ci siamo piaciuti. È stato un innamoramento artistico a prima vista. Diciamo che abbiamo la stessa età (lui ha soltanto tre mesi più di me), e che abbiamo vissuto, sia pure in città diverse, esperienze comuni. Poi il discorso è agli astri.

Quanto pesò nella creazione di Kriminal il precedente Diabolik? Quando imboccasti con questo personaggio la strada del fumetto nero destinato ad pubblico adulto, eri consapevole del significato e del peso della tua scelta?
Innanzitutto è bene ricordare il momento storico del fumetto. L’immagine dell’eroe senza macchia e senza paura, bello, forte, lieto, generoso, che non mangiava mai né faceva all’amore era ormai edulcorata. Si sentiva il bisogno di qualcosa di nuovo. Il nostro distributore all’epoca distribuiva anche Diabolik, e ci disse che qualcosina si stava muovendo. Lessi i primi numeri di Diabolik, compresi che la matrice originaria era Fantomas, altra mia lettura favorita, e mi bastò. La consapevolezza era quella di fare qualcosa di nuovo, qualcosa che andava oltre Diabolik che per me, era troppo lezioso.

Kriminal e Satanik furono oggetto di una ostile e violenta campagna-stampa che portò all’intervento della Magistratura, con sequestri e processi. Cosa pensi, oggi, di tutto questo?
Che erano tempi felici se i mali della società erano rappresentati dai fumetti neri! Ora c’è il dramma della droga, della delinquenza dilagante, dei sequestri si, ma di persona!

Il duo Magnus & Bunker sfornava albi a ripetizione ad un ritmo che oggi sembra quasi inverosimile. Come ci riuscivate?
Eravamo giovani con tanta voglia di fare. Semplice, no?

Controllavi le sceneggiature non tue per i personaggi che avevi affidato ad altri?
No, non avevo tempo. C’era qualcun altro che lo faceva al meglio delle proprie possibilità, che evidentemente non erano eccelse.

Nel 1967 Luciano Secchi fonda Eureka. Quale pensi sia stata l’importanza di questa rivista nella cultura fumettistica del nostro Paese?
Prima di tutto aver fatto conoscere Eisner, uno dei più grandi maestri del fumetto mondiale. Poi anche di aver contribuito all’affermazione di Lupo Alberto, un mio pallino, e di tanti altri. Inoltre, di aver portato una posizione meditata tra confusione e isterismi d’epoca.

Maxmagnus è forse la più riuscita satira della politica e dei rapporti tra governanti e governati. Cosa ricordi? Il libro ottenne il Dattero d’Oro a Bordighera ma non vendette molto: perché?
Maxmagnus è stato (con il primo Alan Ford) un capostipite italiano di satira sociale. Quella vera, non quella fatua che si limita a prendere in giro, se non a insultare, un personaggio politico. Sulle pagine di Eureka ebbe una grande audience, ma la vendita del libro fu scarsa. Perché? Mah! Arduo dirlo. Resta il fatto che, secondo me, si trattò del lavoro meglio riuscito del Magnus di quel tempo.

La serie Maxmagnus fu riproposta qualche anno fa come collana mensile con caratteristiche diverse da quelle originarie, ma naufragò dopo un promettente avvio. Perché? Colpa del disegnatore, o troppa prudenza dell’editore che si affrettò a chiudere ai primi segnali negativi?
Ero io che decidevo se continuare o chiudere quella pubblicazione, ed è vero che io chiudevo subito una cosa passiva. L’unica eccezione fu fatta per Alan Ford, per motivi che ho spiegato più volte ma che si riassumono nella “fede” nel proprio lavoro. Di Maxmagnus uscirono 16 numeri. Perché dare la colpa al disegnatore? Cimpellin è sempre stato bravo. La serie in realtà non ha mai venduto molto, era sempre lì in bilico e visto che dopo mesi la rotta non cambiava, decisi di chiuderla.

Parliamo di Alan Ford. Cosa significa scrivere per più di un ventennio i testi di un personaggio? Cosa è rimasto oggi dell’Alan Ford di 20 fa? Dei cambiamenti di Alan sei stato più vittima o artefice?
Come potrei esserne vittima se ho sempre deciso io come gestirlo? Venti anni sono tanti, e un carattere come Alan Ford & Company è duro da portare avanti ed ha bisogno costantemente di essere ringiovanito. Sono sempre riuscito a tenerlo al passo con i tempi: se Alan fosse rimasto identico ai primi numeri, sarebbe finito da un pezzo. La modificazione della struttura è una cosa logica e normale. Ho prestato la massima attenzione a tutto questo, e alla fine i dati di vendita mi hanno dato ragione.

Com’è cambiato il pubblico? Il target dei lettori ha abbassato la sua età media?
Il target è sempre quello: 20 fa l’ottanta per cento dei lettori era tra i 12/15/18 anni (quindi ora ne hanno 32/35/38); oggi l’ottanta per cento dei lettori ha 12/15/18 anni. Il rimanente venti per cento copre delle punte in su e in giù, come ai tempi che furono.

Perché avvenne la rottura del sodalizio con Magnus?
Non c’è stata una ragione precisa. Dopo dieci anni di ininterrotta e fruttuosa collaborazione, Magnus voleva fare cose sue e aveva ragione visto che ha fatto cose stupende.

Si ha l’impressione che con l’arrivo di Piffarerio anche la qualità dei testi abbia subito un cambiamento, non nel senso che fosse peggiore, ma che fosse diversa.
Ho sempre scritto i miei testi a chi poi li avrebbe disegnati, e dunque qualche modifica è stata senz’altro apportata. Piffarerio è un ottimo disegnatore: ha avuto soltanto il torto di arrivare dopo Magnus.

Cosa hai provato affidando a Magnus i disegni del numero 200 di Alan?
Una profonda emozione. Arrivare al 200° numero con un personaggio come Alan è un traguardo notevole ed era giusto e doveroso che proponessi a Magnus di farlo. Sono stato molto contento che abbia accettato.

Gettiamo uno sguardo sul futuro del personaggio: come vanno le vendite? Come si evolveranno le vicende? Chi disegnerà il numero 250?
Dal numero 210 le vendite sono in rialzo, ma questo è un target generale di mercato. Il futuro è tutto da scoprire. Il disegnatore del numero 250 sarà Perrucca, che se lo merita. Dopo un’assurda campagna di lettori esagitati e per niente obbiettivi, finalmente oggi la positività del suo disegno viene riconosciuta.

Vediamo adesso se è possibile far luce su tanto chiacchierato divorzio dall’Editoriale Corno. Innanzitutto: perché dopo tanti anni di successi la Casa Editrice cominciò a perdere colpi e ad entrare in crisi?
Fu una crisi di crescita. La Casa Editrice non era più tanto piccola, ma nemmeno tanto grande. Bisognava fare delle scelte precise di politica editoriale e di riorganizzazione: fu li che avvennero i primi dissidi tra me e Andrea Corno.

Quando cominciò a maturare in te l’idea di abbandonare la Casa Editrice? La Corno chiuse perché tu te ne andasti, o tu te ne andasti perché subodoravi la chiusura della Corno?
Questa è una domanda molto malevola, o forse semplicemente ingenua. Premesso che odio i pettegolezzi di qualsiasi tipo, vorrei rispondere una volta per tutte a questa domanda, che consequenziale alla precedente. Le scelte editoriali erano determinanti e su queste non si era d’accordo. Poi dopo tanti anni l’usura di un rapporto è anche normale. Improvvisamente erano diventati tutto creativi e io, l’unico vero creativo, non potevo più muovermi con la libertà che avevo sempre avuto e che aveva dato grossi risultati. Le gestioni di gruppo le ho lasciate agli altri. Così ho detto “auguri e buona fortuna” e me ne sono andato portando via con me Alan Ford e i miei personaggi. Non è gentile tirare delle considerazioni visto poi lo sfortunato epilogo della gloriosa Casa Editrice che ho costruito dal nulla e che si è disfatta come neve al sole quando dal “dittatore solitario” si è passati ad una forma gestionale più democratica di gruppo. La politica è una cosa, il lavoro un’altra, e molto più seria.

Ti senti in qualche modo responsabile del naufragio della Corno?
Domanda ancora migliore della precedente, questa la definisco stupefacente! Io sono responsabile, di aver creato dal nulla una Casa Editrice che ha avuto tre grossissimi successi editoriali (leggi: Kriminal, Satanik, Alan Ford), più altri successi editoriali soltanto grossi (Maschera Nera, i Super-Eroi Marvel, Eureka, i Pocket eccetera), lavorando per di più con pochissima gente tra l’altro del tutto avulsa dal lavoro editoriale. Li ho costruiti io dando a tutti una preparazione di lavoro professionalmente valida. Poi quando anche i contabili si sono improvvisati creativi e hanno potuto agire motu proprio i risultati si sono visti. Sento nell’aria una melodia operistica il cui testo dice: “...la calunni è un venticello, un’auretta assai gentile...”. qualcuno a cui non sono simpatico, o magari altri a cui ho consigliato attività più idonee alle loro capacità, possono aver detto cose oscene, con assoluta cecità e negando l’innegabile: ma tu credi proprio a tutto?

Come nacque la M.B.P.?
La M.B.P. è nata come qualsiasi altra società: andando da un notaio, redigendo lo statuto e iscrivendo la ditta alla Camera di Commercio. Esistono poi la Max Bunker Productions che si occupa di produzioni e la Max Bunker Press che si occupa della stampa.

Perché lasciando la Corno non ti portasti dietro anche Eureka? Cosa pensi delle due gestioni non guidate da te, quella di Maria Grazia Perini e quella di Castelli & Silver?
Io volevo portare via Eureka ma non mi è stata data. Circa l’Eureka di Maria Grazia Perini non penso alcunché. L’Eureka ultima versione, quella di Castelli & Silver, mi era stata addirittura offerta perché la editassi io; ho chiesto costi e ricavi: questi ultimi erano risibili, così ho lasciato perdere.

Negli ultimi tempi la tua ttività (Alan escluso) è caratterizzata da progetti che non riescono ad attecchire e chiudono fin troppo presto. Perché?
Che maniera di porre le domande sempre nel modo più antipatico! Dunque: premesso che la Max Bunker Press è un Davide e non un Golia, ed è ben conscia di esserlo, io applico lo stesso schema che ho applicato da 30 anni a questa parte. Quante testate sono state aperte e poi chiuse prima di trovare la formula giusta? Tante! E allora? Invece di lodare la continua ricerca si fa una colpa a chi tenta di fare qualcosa? Comunque la regola è ferrea, per quel che mi riguarda: ci si può accontentare di un modestissimo utile, purché utile ci sia. Non trascino pesi morti.

Perché la M.B.P. si è limitata a ripubblicare materiale già stampato e non ha mai presentato personaggi nuovi di altri autori, anche italiani? Lo farà in futuro?
Un progetto editoriale costa decine di milioni, se non centinaia. Quindi... finché esiste un Max Bunker vivo, e vegeto e con voglia di lavorare è meglio tenersi quello! Autori italiani saranno comunque proposti su “Bhang”: una nuova testata prevista per il prossimo marzo, su cui apparirà anche materiale americano che ho acquistato ultimamente.

Cos’è Angel Dark?
Un nuovo personaggio di Max Bunker,con il quale conto di tornare alle origini. Sto cercando i disegnatori.

Quali sono le difficoltà che la nuova Eureka si è trovata di fronte?
Le difficoltà di Eureka in poche parole: ho avuto pressoché totale non-collaborazione di tutti (o quasi), più una serie di contrattempi negativi. Per esempio, ci siamo trovati di fronte a contratti firmati da chi non deteneva in realtà certi diritti; e c’è stato anche del materiale che doveva arrivare e che non è arrivato. In pratica mi son trovato ad aver pensato ad una squadra e a doverne poi mandare in campo un’altra. In realtà c’è anche da dire che quando una testata ha una storia, secondo logica non dovrebbe mai essere ripresa. Perché? Perché mentre se c’è continuità le sue caratteristiche possono mutare nel tempo (la prima Eureka del ’67 è molto diversa da quella di 10 anni dopo, però il cambiamento è avvenuto piano piano), quando invece si riprende un discorso interrotto c’è per forza un squilibrio.

Quali motivazioni ti hanno spinto ad utilizzare una redazione “formato-famiglia” anziché più navigati collaboratori?
E chi sarebbero i navigati collaboratori? Ho detto prima che alla Corno ho preso degli illustri nessuno e ne ho fatto degli illustri qualcuno (chi più chi meno). Io, forgiatore di persone, dovrei prendere chi in realtà poi non c’è? Perché poi lo stupore che i figli seguono le orme del padre? Fratelli Motta Editori, Fratelli Fabbri Editori, Padre e Figlio Editori: cosa c’è di strano?

Luciano Secchi è da sempre un operatore culturale solitario, un “bastian contrario” dell’editoria, uno con cui tutti - dicono i più maligni - finiscono per litigare. Cosa c’è di vero dietro a questa fama che ti circonda?
Vada per “lone wolf”, che sta a significare che non sono disposto a uniformarmi al vento che trira ma che tengo e mantengo le mie idee. Per il resto sono solo favole messe in giro da delle persone maligne, come dici tu, e sciocche, come aggiungo io. Resta il fatto che secondo me una delle ragioni per cui i media non si interessano più di tanto al futuro è anche questa rissosità che c’è sempre stata nell’ambiente e che non ho mai capito.

Perché i tuoi rapporti con l’”establishment” dell’editoria sono così burrascosi? Quale critiche rivolgi ai tuoi colleghi autori editori?
Nessuna critica, solo elogi! In quanto al signor “establishment” nessuno me l’ha mai presentato: come posso quindi averci un qualsivoglia rapporto?

Ti senti più autore o editore?
Autore senz’altro, che fa anche l’editore. E non sono il primo, e nemmeno l’ultimo.

Perché non partecipi più a mostre, convegni ed altre manifestazioni del comicdom?
Non ci ho mai partecipato molto perche ho già poco tempo libero, e quel poco voglio gestirmelo in tranquillità. Inoltre partecipare di qui e di la costa. Io non sono ricco, quindi devo fare i miei piccoli conti. Se però qualcuno vuole invitarmi spesato di tutto, prenderò favorevolmente in considerazione la cosa.

Continua anche il vecchio attrito con Oreste del Buono? Cosa ricordi della querelle del Salone di Lucca del 1978?
Oreste del Buono è uno dei pochi reali intellettuali che hanno dati un sostanzioso apporto al fumetto. Molto addentro nella letteratura popolare (leggi: fumetto giallo), ha dato un notevole contributo all’emarginazione dei fumetti nei confronti dell’opinione pubblica. Però, come quasi tutti gli italiani, ha il difetto di correre in soccorso al vincitore. Così fece Lucca. Essendo lì l’aria che tirava contraria a me e all’Enciclopedia Mondiale del Fumetto, sposò la parte dei contestatori anche, e forse, per motivi di politica editoriale e di quieto vivere editoriale (chez lui). Io credo invece che gli addetti ai lavori avrebbero dovuto difendere l’Enciclopedia, cosa che non avvenne. Qualcuno a Lucca mi disse che una Enciclopedia come quella che avevo fatto io avrebbero potuto farla tutti. Dopo undici anni sono ancora qui che ne aspetto un’altra. Per il resto ricordo con piacere Coniglio e Raffaelli che fecero, si, una contestazione, ma con intelligenza e buon gusto. Sul resto è meglio stendere un velo pietoso.

Verrà mai realizzata una nuova edizione aggiornata dell’Enciclopedia Mondiale del Fumetto?
Si tratterebbe di un progetto estremamente costoso. Bisognerebbe che molti di coloro che si occupano del fumetto si prendessero la briga non solo di collaborare, ma anche di fare opera di propaganda e di sostegno per garantire un certo numero di copie vendute.

Quest’anno compi 50 anni. Cosa c’è ancora da fare che non hai fatto? Che bilancio puoi fare della tua carriera a questo punto della tua vita?
I bilanci si fanno a carriera conclusa: quindi c’è ancora tempo! Per quanto riguarda quello che non ho ancora fatto e vorrei fare, c’è forse un’intensa attività di palombaro. Ho conosciuto un americano che ah un’impresa di recupero relitti a Los Angeles. Interessante.

Secondo te, com’è cambiato il mondo del fumetto dall’epoca del tuo esordio ad oggi?
Molto. Una volta c’era meno tecnica ma più anima. Ora la tecnica è decisamente migliorata ma l’anima non c’è quasi più. È tutto in sintonia con i tempi in cui viviamo. Purtroppo ci si allontana sempre di più da quella che è la vera radice del fumetto, che è (e non bisognerebbe mai dimenticarlo) una radice popolare.

A proposito di “anima” e dunque di “passione”, cosa pensi del fenomeno delle “fanzine”?
Sono molto utili, molto informate e quasi tutte ben fatte. “Collezionare” è fatta molto bene. C’è davvero molta passione. Anche il senso critico che c’è è misurato: uno può anche non essere d’accordo con quello che scrive, però è scritto in maniera civile. La fanzine che graficamente forse è la migliore è “Fumo di China”, che però usa terminologie e vocazioni al cattivo gusto che trovo deleterie. Il cattivo gusto non è perseguibile per legge, ma le insolenze e le ingiurie si. Se è vero, come mi dicono, che si trasformerà in rivista da edicola, auguro loro di cambiare registro o saranno seppelliti da querele penali. Il che non è affatto divertente.

In conclusione: leggi fumetti? Quali?
Come ho già detto sono un lettore di Tex della prima ora, e continuo a leggerlo con regolarità. Leggo anche tante altre cose per dovere di aggiornamento professionale, ma quando voglio divertirmi sul serio leggo Alan Ford!