giovedì 19 gennaio 2012

L'ISOLA DEL MISTERO


E’ davvero singolare il fatto che, per una incredibile fatalità, il Maxi Zagor da poco uscito in edicola, “Il mistero dell’isola” abbia la copertina che vedete poco sotto, e all'interno sia pieno delle classiche scene di panico che si vivono sulle navi che stanno per affondare, proprio mentre sui giornali e in TV scorrono le immagini del naufragio della Costa Concordia. Tuttavia il caso ha voluto così, e nè io (l’autore dei testi) nè Alessandro Chiarolla (l’autore dei disegni) potevamo prevederlo.

Nell'estate 2008 a ispirarmi questa storia, piuttosto insolita per struttura narrativa e piena di personaggi è stato il serial TV "Lost". Non ne ho mai vista una sola puntata (e me ne dispiace), ma ne ho sentito parlare e ho letto quel che se ne diceva sui giornali. Quando ho iniziato la sceneggiatura, ancora la serie non era finita e dunque non si sapeva quale fosse la spiegazione di tutto l'ambaradan (ammesso che oggi lo si sappia). Il fatto di non essere mai stato uno spettatore di “Lost” mi ha impedito, sicuramente, di esserne influenzato e perfino di “citare” nomi e situazioni. Tuttavia, ho voluto iniziare proprio con un naufragio su un’isola misteriosa e poi raccontare in vari flashback ciò che era accaduto prima.

Un altro spunto è venuto dal romanzo di Victor Hugo “I lavoratori del mare”, dove una tempesta incastra un grosso battello a vapore in mezzo a due scogli esattamente come si vede nella copertina di Ferri. Ricordo che da ragazzo vidi una illustrazione che la raffigurava (la vedete in basso) e ho sempre pensato che mi sarebbe piaciuto poter sfruttare quella suggestiva immagine.

Sandro Chiarolla, bontà sua, si è detto entusiasta del racconto mentre lo portava avanti con l'estro che lo contraddistingue, difficile da imbrigliare ma appunto per questo in grado di dare straordinari risultati a livello emotivo per dinamicità, espressività e suggestioni scenografiche. A mio parere questo Maxi è il suo miglior lavoro da quando presta il suo tratto graffiato allo Spirito con la Scure. Le lettrici, del resto, di solito sono concordi nel dire che il suo è lo Zagor più fico di tutti.

Sono stato lieto nel sentire giudizi positivi quasi unanimi sul suo lavoro da parte dai primi zagoriani che hanno letto il Maxi, che hanno anche imparato a conoscere l'umanità di Sandro durante gli incontri con il pubblico. E pensare che non è stato sempre così. Inizialmente, Chiarolla sembrava avere un tratto troppo diverso da quello tradizionale e non tutti lo apprezzavano. C'è stato anche un momento, quello per esempio dell' "Orribile Maledizione", "La valle del vento" o anche "La lunga marcia", in cui il suo estro pittorico lo aveva portato a differenziarsi ancora di più e a cercare soluzioni estrose e grafismi estremi di cui nessuno metteva in dubbio la genialità, ma che creavano un effetto straniante nel lettore. Qualcuno diceva che Chiarolla poteva andar bene per Dylan Dog ma non per Zagor. Io e Sandro abbiamo fatto un lungo lavoro insieme, basato su consigli, raccomandazioni, vignette ridisegnate, continue ricerche di soluzioni e i risultati si sono visti. Sandro non è diverso da se stesso, visto che il suo stile è inconfondibile, ma ha preso le misure alla serie. Così, non è una sorpresa per me leggere su un forum un lettore che scrive: “La storia è intrigante, piena di pathos, paura e terrore, ottima l'idea dei flashback. Eccellente il lavoro di Chiarolla, che è perfettamente a suo agio in quest'avventura marinaresca. Uno dei migliori maxi di sempre”. Peraltro, ho letto commenti molto positivi proprio sulla collana dei Maxi che, in parecchi, giudicano una buona serie a livello complessivo. Il che mi moooolto piacere, vista la fatica che costa scriverla, disegnarla, revisionarla e mandarla in edicola due volte all’anno.

Ovviamente, mi sono giunte alcune critiche da parte dei (soliti) detrattori. Mi pare giusto, oltre che inevitabile. Potrebbe essere interessante approfondirne alcune. Mi sono chiesto a lungo se sia o non sia il caso rispondere a chi si chiede perché Zagor non si tagli se si fa la barba a bordo di una nave mentre c’è il mare mosso. Tuttavia, finché non mi si chiede perché il movimento delle onde non rovesci il vaso da notte di Cico, non mi sottraggo all’obbligo del chiarimento: evidentemente, in due giorni di tempesta ci sono stati cinque minuti di tregua di cui il rude Spirito con la Scure, che teme moltissimo i taglietti, ha approfittato.

I due giorni di tempesta hanno incuriosito anche chi si domanda perché Zagor resti in cabina obbedendo all’ordine dell'ufficiale che ce li ha messi dentro. Non so: potrebbe essere una risposta dire che sono rimasti lì perché la porta era chiusa a chiave? Zagor è in attesa di chiarire la sua posizione (a tutti gli effetti è un clandestino a bordo di una nave su cui ci sono stati degli omicidi), c’è una tempesta in corso per cui anche i passeggeri con regolare biglietto sono invitati a restare sottocoperta, il nostro eroe non vuole peggiorare la sua posizione sfondando la porta e uscendo a fare il gradasso mentre i marinai lottano per la salvezza della nave, non mi sembra così strano che, pur con un certo nervosismo, anche uno come il re di Darkwood preferisca attendere gli eventi per qualche ora. Niente vieta di credere che abbia più volte insistito per poter uscire, ma evidentemente chi lo ha chiuso in cella gli ha chiesto di aspettare dato che ci sono problemi più gravi che occuparsi di lui. Zagor dunque attende, sicuramente invitato a stare calmo anche da Cico. Quando poi è chiaro che la situazione degenera, il nostro eroe sfonda la porta ed esce. A me questa ricostruzione dei fatti pare, oltre che credibile, del tutto logica e razionale: immaginavo che tutti fossero in grado di arrivarci da soli. Non è così. Forse servivano un po’ di spiegazioni in più.

No, le spiegazioni però no. Perché poi, gli stessi che si chiedono il perché dei mancati taglietti nel farsi la barba, non sopportano che si spieghi quello che magari così chiaro non è. Da qui in poi, occhio allo spoiler (se non avete letto la storia). A un certo punto, c’è qualcuno che suona una grossa conchiglia come se fosse una specie di tromba. Zagor, che fino a quel momento si è chiesto che cosa fosse quel suono, pensa: “Evidentemente funge da segnale o da richiamo per gli altri guerrieri”. Apriti cielo e spalancati terra. Il nostro eroe non doveva pensarlo: mica avrà creduto che quel tipo si stesse facendo “una suonatina per i tazzi suoi”. Sinceramente, fra tante possibili critiche, questa mi sembra davvero ridicola. Se io, senza sapere degli usi e costumi di un popolo sconosciuto, vedessi un tipo che sventola una coperta sul fumo di un piccolo falò, e ci riflettessi sopra, potrei fare varie ipotesi. Vediamo: 1) la coperta è infestata da tarme o da cimici e quello è un buon sistema per disinfestarla; 2) il fuoco va ravvivato e gli si fa vento; 3) la religione di quella gente impone un rito tradizionale propiziatorio che viene fatto così; 4) si fanno dei segnali a qualcuno che vede le nuvole di fumo da lontano; 5) il tipo è uno un po’ bizzarro che fa cose senza senso. Se io mi convincessi che è vera l’ipotesi 4), perché non potrei esprimere il mio convincimento? Peraltro, su Zagor si usa seguire il corso dei pensieri dei personaggi: se uno adotta una risoluzione (“devo sbrigarmi”) o fa delle ipotesi, l’usanza è di accennarlo, perché tutti noi, nella vita quotidiana, abbiamo quel tipo di pensieri.

Singolarmente, quando Zagor trova un dente di Carcharodon megalodon, un grande squalo preistorico, e non riconosce la specie (o almeno, non lo dice), ecco il lettore supercritico inalberarsi: “la somiglianza di quel dente con quelli di squalo è netta (io l’ho pensato subito a pagina 100). Perché a Zagor non gli viene in mente dato che è sempre così prodigo di ipotesi?”. Ecco, qui invece bisognava che Zagor (che vive in una foresta e non è poi così esperto di denti di squalo) si improvvisasse biologo marino e tenesse una conferenza sui selaci (specie estinte comprese), magari spiegando perché quei pesci hanno scheletri cartilaginei ma denti ossei. Come diceva Totò: ma mi faccia il piacere.

Concludendo: se non spieghi, avresti dovuto spiegare; se spieghi, non avresti dovuto spiegare. Che poi, alla fine, uno spiega anche per il terrore del lettore che chiede spiegazioni. La faccenda dello spiegazionismo a questo punto, con tutta la buona volontà, va risolta così: lo stile tradizionale nolittiano lo impone. Punto e basta. E' Sergio Bonelli stesso a ribadirlo, nel libro-intervista "Come Tex non c'è nessuno", a Franco Busatta. Secondo Busatta, lo stile narrativo di Nolitta può essere definito “didascalico”. Cioè, che intende accompagnare per mano il lettore all’interno della storia. E Sergio commenta: “E’ vero. Nel racconto bonelliano lo svolgimento della vicenda deve sempre essere molto chiaro e ben spiegato. Anche perché le nostre pubblicazioni sono pensate non tanto per l’intenditore, per il cultore del fumetto, ma soprattutto per il lettore, appassionato o occasionale, per il fruitore distratto, che magari vuole da un fumetto soltanto mezz’ora di spensierata, distensiva lettura”.

Sono almeno un paio i passaggi del Maxi dove io non avevo spiegato qualcosa, e le letture redazionali di altri colleghi mi hanno invitato a meglio chiarire per superare un punto oscuro o una possibile obiezione. Così si fa, qui da noi. Chi non apprezza i dialoghi che "accompagnano per mano" il lettore, cerchi di spportarli: in fondo, è sempre meglio essere chiari, che oscuri. E di solito, chi è chiaro viene meglio capito.

Infine, la "morale". Ricevo in redazione la telefonata (fra le tante) di un lettore torinese, entusiasta. Oltre a fare apprezzamenti sulla storia, il lettore sottolinea il mio "coraggio" nell'aver scelto un tema politicamente scorretto (nell'attribuzione del ruolo dei "cattivi"). Per fortuna, dice lui, nell'ultima tavola è stato chiarito che, in qualche modo, i carnefici sono a loro volta delle vittime. Una perfetta "morale" nolittiana, concordiamo entrambi. Ma ecco l'implacabile detrattore sul forum: "Voto 5 alla morale finale. Se Zagor fosse andato a scuola sarebbe stato di sicuro il cocchino della maestra". Olè: non paga più neppure la nolittianità. Zagor dovrebbe diventare quel che non è mai stato: un cinico. E a noi autori, che siamo stati politically incorrect per 285 tavole, ma cerchiamo di salvarci in corner dalle possibili critiche dei buonisti a pagina 286, questo non basta per accontentare i fautori della scorrettezza: bisognava essere cattivi fino in fondo. Implacabili come i detrattori, giustamente.