giovedì 23 maggio 2013

CINEMA AL CINEMA - 8



Ospito volentieri, come al solito (e per l'ottava volta), le recensioni cinematografiche di Giorgio Giusfredi, divoratore di film oltre che cuoco provetto e fumettista di belle speranze (sue le avventure di Zeno QB sul sito di Glamour e presto alla prova con Maurizio Colombo anche sulle pagine di Zagor).  Le opinioni di Giorgio non rispecchiano necessariamente le mie, ma io mi fido sempre dei suoi giudizi, mai spocchiosi,  mai snob, mai espressi per partito preso e sempre competenti e informati.


Cinema al cinema 8
di Giorgio Giusfredi

OBLIVION

Un film di Joseph Kosinski. Con Tom Cruise, Morgan Freeman, Olga Kurylenko, Andrea Riseborough, Nikolaj Coster-Waldau. Azione durata 156 min. - USA 2013. - Universal Pictures

La prima parte di questo film SF ha il sapore genuino di "Atto di Forza", il "Total Recall" originale (non il deludente remake) di Paul Verhoeven. Tra le pieghe della narrazione, per esempio, si nasconde – e ben si percepisce – lo stesso disagio esistenziale che prova il protagonista, interpretato da Tom Cruise (che come al solito non delude), archetipo dell’uomo del futuro che soffre di nostalgia per la vita genuina del passato. Il suo personaggio è un riparatore di droni su una Terra apparentemente disabitata, minacciata da presenze nemiche, oscure ed ambigue, che capiamo subito avere ruolo fondamentale nel dipanarsi della storia mentre macchine giganti prosciugano il mare, utilizzano l’acqua per creare energia – attraverso la fusione fredda – per un ipotetico paradiso terrestre ubicato in un altro pianeta su cui l'umanità sembra trasferititasi in massa (e qui siallude al dibattito sullo sfruttamento delle risorse naturali del pianeta). Come nel film con Arnold Schwarzenegger, si assiste a un ribaltamento di prospettiva, fin quando entrano in scena ribelli di matrixiana memoria, capeggiati da un Morgan Freeman (affiancato dal Jamie Lannister del "Trono di Spade") che, suggestivamente, si fa carico di un carisma alla Morpheus, svelando all’eroe la  realtà dei fatti. Il protagonista capisce definitivamente  chi lui sia e cosa gli è accaduto solo quando si trova faccia a faccia con la dura realtà: un altro se stesso. Nonostante, si giochi sul deja-vu il film diverte perché le trovate visive sono davvero belle – e belle da vedere soprattutto sul grande schermo – e perché, nonostante la valanga di retorica, la trama regge e scorre. Dopo tutto quello detto fino a ora vale la pena segnalare anche un’ulteriore lettura che contribuisce alla riuscita dell’intreccio, ovvero la presenza di un triangolo amoroso raccontato in modo veramente fantascientifico. Questa è la vera unica trovata originale nel film che gioca con i sentimenti di due femmine e di un maschio incolpevole di vivere con una donna scelta per lui, mentre lui ama un'altra pur non sapendolo.




IRON MAN 3

Un film di Shane Black. Con Robert Downey Jr., Gwyneth Paltrow, Don Cheadle, Guy Pearce, Rebecca Hall. Azione durata 109 min. - USA, Cina 2013. - Walt Disney

Chi conosce Shane Black sapeva che cosa aspettarsi da questo film e poteva pensare che l’enorme uso di effetti speciali fosse soltanto un contorno di patate fritte per il piatto forte, ossia i dialoghi. Così è. Certo, non siamo ai livelli dei film d’azione degli anni novanta scritti dallo stesso regista, ma i divertenti confronti trai protagonisti, guidati dal solito, istrionico, Robert Downey Jr, sono la vera ossatura, il punto di forza. Ci si poteva anche chiedere: “Cosa studieranno per non coprire il protagonista tutto il tempo con l’armatura?”. Chi conosceva Iron Man prima di vedere i film, infatti, si ricorda un personaggio che, più di altri eroi mascherati, utilizza il suo alter ego metallico perché, senza l’armatura, Tony Stark è senza potere e, quindi, le scene di azione, che mandano avanti la narrazione, necessitano di Iron Man. Anche in questo terzo film, dopo l’egregio lavoro fatto da Favreau nei primi due per lasciar recitare a visto scoperto il talentuoso protagonista, si trovano escamotage interessanti per far calcare il palco allo scienziato miliardario molto più che al robot, solo un involucro, sua creatura. I siparietti Tony "momentaneamente sconfitto dal Mandarino" versus il "bambino di provincia abbandonato dal padre" sono i momenti migliori e ricostruiscono quel feeling ricorrente trai personaggi di Black che, oltre avere rapporto di amicizia alla Buddy-Buddy, hanno anche un’ulteriore affetto maestro allievo intergenerazionale che colpisce sempre nel segno. Chi si ricorda "Arma Letale" e "L’ultimo boy scout" sa di cosa si parla. La trama vede la caduta e la rinascita dell’eroe: un tema classico nei fumetti. Il film comincia con una narrazione in prima persona che viene spiegata e giustificata solo in fondo, nel classico "Easter Egg" dopo i titoli di coda. C’è una scena finale con tante, ma tante armature; incendi, scoppi. E, nonostante tutto ciò, e nonostante il finale buonista in stile disneyano, ci si ricorda soprattutto delle battute sagaci. Unica vera e cocente delusione riguarda il personaggio del Mandarino. Nel fumetto o nelle serie animate il sopracitato super cattivo è uno dei villain più belli e carismatici. Un pericolosissimo tipo di Fu Manchu, spietato tessitore di trame, durissimo avversario, ridotto in questo film a una macchietta ingloriosa per non indispettire, probabilmente, il florido mercato cinese verso il quale, i produttori, in questo momento di "Asian Power", hanno più che un occhio di riguardo.






IL CECCHINO 

Un film di Michele Placido. Con Daniel Auteuil, Mathieu Kassovitz, Olivier Gourmet, Francis Renaud, Nicolas Briançon. Titolo originale Le Guetteur. Thriller, durata 89 min. - Francia 2012. - 01 Distribution

Il film più bello della serie. Era ovvio che dopo due film di crescente pregevole fattura come "Romanzo Criminale" e "Vallanzasca" e dopo la riverente chiamata francese, le aspettative per il lavoro di Michele Placido erano alte. Se in Francia chiamano un regista italiano a fare un noir, genere in cui loro sono maestri, lo chiamano a dirigere due come Auteuil e Kassovitz, significa che tale autore viene insignito di un previlegio raro carico di responsabilità. Oltralpe, anche di recente con Olivier Marchal, sono riusciti a celebrare, con buon risultato, i fasti cinematografici del genere, rievocando i tempi del maestro Jean Pierre Melvìlle e di duri alla Lino Ventura. In un primo momento, infatti, tutti i presupposti narrativi lasciano intendere, come il pubblico si aspetta, una storia hard-boiled aspra, dai toni grigi tipici di capolavori come "Tutte le ore feriscono, l’ultima uccide". Dopo circa un ora di proiezione accade l’inaspettato. Probabilmente Placido afferra con consapevolezza il timone e vira il tono del film che diventa un thriller. L’atmosfera, ma anche la maniera esaltarla, si fa allucinante quasi ai livelli dei più straordinari film di Brian DePalma. Alcune morbosità crude ringraziano anche l’occhio italiano di Giuseppe Tornatore. E quando si pensa che ormai il film sia definitivamente in quella direzione si spalanca un epico finale Western, anzi Spaghetti-Western. La grandezza di Daniel Auteuil è mostruosa. Ma anche gli altri protagonisti dal bravo Kassovitz, all’altrettanto bravo Luca Argentero, sono all’altezza della giostra emozionale imbandita. L’attore che interpreta il vero cattivo, che ovviamente non è "il cecchino" sbandierato nel titolo, ha la giusta faccia laida e l’arco evolutivo che compie il suo personaggio è perfetto, narrativamente parlando, al pari del mutamento delle sue espressioni recitative. Uno dei pochi film del periodo che lascia veramente un segno all’uscita della sala. Bravo Michele, continua a fare cinema. 




L'UOMO CON I PUGNI DI FERRO

Un film di RZA. Con Russell Crowe, Cung Le, Lucy Liu, Byron Mann, Rick Yune. Titolo originale The Man with the Iron Fists. Azione, durata 95 min. - USA, Hong Kong 2012. - Universal Pictures

Cosa rende un "mappazzone" – come direbbe un cuoco televisivo per indicare un guazzabuglio di ingredienti – un film interessante? La risposta è solo una: il divertimento. In questa pellicola ci sono tutti i presupposti per il divertimento, che però rimane fine a se stesso. Di chi è la colpa? RZA, il regista e sceneggiatore, e Eli Roth, solo sceneggiatore, dovrebbero chiedere al loro maestro, nonché produttore, Quentin Tarantino. Andiamo per ordine. Le citazioni, le suggestioni, i personaggi e l’azione ci sono. Cosa manca? Siamo alle solite: una grande sceneggiatura, quello che, per esempio, impreziosisce ogni pur buona trovata visiva del regista di "Django Unchained". Intendiamoci non che questo film sia scritto male, si tratta anzi di un egregio lavoro; ma la differenza, tra sbudellamenti memorabili e presto dimenticabili la fa la scrittura. Ma come detto è un film divertente che più che rifarsi ai wuxia, come spirito, ricorda più un Jidai-geki – proprio grazie alla presenza di un fabbro ossia il protagonista, l’uomo con i pugni di ferro – ambientato comunque in Cina. La trovata più interessante, voluta o no, è l’anacronismo che porta uno schiavo nero in fuga da uno pseudo ottocento americano in una Cina feudale di anni prima. Persino il simpatico personaggio di Jack Knife, un simpatico Russel Crowe, con il suo Bowie-Colt viene da un’Inghilterra futura, per esaltare, forse, la necessità di uno scenario temporale congelato dove il sense of wonder di kung fu armi bizzarre e personaggi border-line possono fondersi appunto in un mappassone piacevole, niente di più. Un vero peccato, visto le numerose scene nel bordello, comandato da una sempre in forma Lucy Liù, la mancanza di scene erotiche o lievemente feticiste. Sì, il buon vecchio Jack Knife si diverte con qualche pulzella, ma le sequenze non stuzzicano mai sufficientemente la fantasia. Per risolvere il problema di come muovere i pugni di ferro viene data una spiegazione implausibile perché, estemporanea, compare solo in quel momento, chi vede capisce. Unico pregio del flashback che la caratterizza è la presenza del geniale attore che rivestì il ruolo di Pai Mei in Kill Bill Volume 2. C’è anche un cammeo della regina Blaxploitation Pam Grier. Dave Batista, il wrestler, impersona lo sgherro, il combattente, più duro da battere. Divertenti i nomi dei personaggi.


HITCHCOCK

Un film di Sacha Gervasi. Con Anthony Hopkins, Helen Mirren, Scarlett Johansson, James D'Arcy, Jessica Biel. Biografico, durata 98 min. - USA 2013. - 20th Century Fox

Il biopic è un genere a doppio taglio. L’interesse che il personaggio suscita talvolta non genera emozione  se si parla della sua vita. In questo caso il film è più che riuscito. La storia segue un pezzo della storia di Alfred Hitchcock, durante l’ideazione, la realizzazione e le prime proiezioni del capolavoro assoluto Psyco.  Quello che fa Sasha Gervasi, il regista, è impreziosire la realtà, benché già essa romanzata, con un suggestivo immaginario hitchcochiano dove il regista si lascia raccontare la vicenda dal killer reale che ha ispirato Norman Bates, lo psicopatico protagonista di Psyco tratto dal romanzo di Robert Bloch. I tormenti creativi del genio visuale e narrativo sono emozionalemente esaltati sia nelle grandezze dell’artista che nelle miserie dell’uomo. Il maniacale sguardo riassunto nella massima dal vero protagonista pronunciata “Sono solo un uomo con una cinepresa nascosto in un angolo che guarda”, si percepisce piacevolmente durante tutto il film. La strizzata d’occhio – se può passare questo ulteriore gioco di parole – è fine quando l’Hitchcock protagonista di questo film fa ricreare in scena un buco nel muro identico a quello che lui stesso utilizzava per spiare l’attrice Vera Miles, interpretata da Jessica Biel. Il leggero voyerismo che caratterizza la filosofia cinematografica dell’autore è gradevolmente sempre tra e righe della storia che esalta l’amore per il cinema elevandolo sopra quello per una donna e risolvendolo in qualche modo; come se l’arte potesse aiutare a superare crisi e gelosie. L’aspetto più interessante e avvincente  è la corsa parallela di emozioni che culminano congiuntamente quando nel punto massimo di enfasi del film nel film il  regista, durante la prima proiezione, esce dalla sala prima della famosissima scena della doccia. Mentre la celeberrima Janet Leigh, ben interpretata da Scarlett Johansson, muore sotto i fendenti caratterizzati dagli archi della colonna sonora, l’Hitchcock riprodotto, con smanacciare da direttore d’orchestra segue la musica e si esalta a ogni grido di terrore del pubblico in sala. Il montaggio fa seguire a ogni colpo di mano di Hitchcock, fuori dalla sala, nel corridoio del cinema, un inquadratura frontale del pubblico sempre diversa che mostra quanto choccante furono quelle immagini per la platea dell’epoca. Helen Mirren è sempre molto intensa, persino nella difficile interpretazione della moglie del grande regista. Anthony Hopkins è bravo ma viene da chiedersi se non ci fosse stato un attore più somigliante a Hitchcock perché, anche se truccato benissimo, viene la voglia di correre verso lo schermo e strappare le finte imbottiture da sotto il mento del protagonista.


20 ANNI DI MENO

Un film di David Moreau. Con Virginie Efira, Pierre Niney, Gilles Cohen, Amélie Glenn, Charles Berling. Titolo originale 20 ans d’écart. Commedia, durata 92 min. - Francia 2013. - Good Films

Fino a quando questo film si limita a mostrare senza giudicare la vita di una donna quarantenne che lavora per una rivista di moda (e quindi tutti i retroscena che ne conseguono, e del suo incontro con un giovane figo un po’ sfigato),  è divertente. Si vedono delle scene piacevolmente equivoche che più che vere risultano verosimili, che è ancora meglio. Poi il tutto si smonta velocemente nella voglia da parte del regista di risolvere la trama in una storia d’amore che non importa ai fini del divertimento ma solo a quelli, buonistici, di un mercato privo di spirito creativo. La figura del padre, coetaneo della donna, del ragazzo, vent’anni più giovane della donna, per esempio suscita interesse e avrebbe meritato qualche approfondimento maggiore. L’attore protagonista fa parte di una schiera di giovani interpreti francesi che, pare, facciano girare molte teste per la loro innocente e maliziosa avvenenza. Dopo gli ultimi successi, da una commedia francese ci si aspetta di più.


VIAGGIO DA SOLA

Un film di Maria Sole Tognazzi. Con Margherita Buy, Stefano Accorsi, Fabrizia Sacchi, Gianmarco Tognazzi, Alessia Barela. Commedia sentimentale, durata 85 min. - Italia 2012. - Teodora Film

Si può dire che un film è "femminile"? Qualora si potesse, questo sarebbe un film femminile. Quello che Maria Sole Tognazzi vuole raccontare è la solitudine che può provare una donna sola arrivata a una certa età. Quello che sorprende è che, alla fine, la protagonista sola interpretata come era lecito pensare da Margherita Buy non rinnega il proprio io e capisce che la sua scelta è comunque quella giusta per lei. Tecnicamente molto belli e veri i dialoghi. I litigi che nel cinema italiano spesso suonano a vuoto, qui colpiscono nel segno. Molto consapevole anche la parte lavorativa  della protagonista: si racconta di una ispettrice della qualità in hotel di lusso, e si spiega un mestierein maniera divertente. Pienamente azzeccata la scena dei due giovani che frequentano un "cinque stelle" e vengono maltrattati dal personale: la sequenza piace perché è uno sguardo arguto su quel piccolo spezzone di società e, astutamente, ci viene mostrato come lo vede la protagonista, che lo giudica esattamente come lo giudichiamo noi. Molto bella anche la figura della donna emancipata psicologa e sessuologa la cui morte mette in crisi  la protagonista e al contempo la risolve.