domenica 10 agosto 2014

SCIENZIATI PAZZI, FALSARI, PIRATI E ALCHIMISTI




Nell'articolo precedente, intitolato "Vent'anni prima", ho esaminato le mie prime storie dello Spirito con la Scure, quelle che in questi mesi stanno venendo ristampate nella Collezione Storica a Colori in edicola ogni settimana in allegato con Repubblica e L'Espresso. La collana è giunta a riproporre, proprio in questi giorni, l'inizio della "seconda Odissea Americana", ovvero il ciclo di storie che alcuni critici (tra cui Angelo Palumbo e Giampiero Belardinelli nel loro "Zagor Index") hanno indicato come il punto di partenza del "rinascimento zagoriano". Proprio questa "trasferta" fuori da Darkwood, realizzata da Mauro Boselli e dal sottoscritto sulla falsariga di precedenti esempi nolittiani, potrebbe essere un buon momento di ingresso nella saga dello Spirito con la Scure, per chi non l'avesse seguita in precedenza. Ma, in attesa di riparlare delle avventure extra darkwoodiane iniziate con "L'esploratore scomparso" (vi ricordo che, settimanalmente, comunque le commento una per una nell'introduzione al volume a colori), ecco qualche altra annotazione sulle mie sceneggiature di quel periodo, continuando il discorso che stavamo facendo nel post che precede.



La diabolica invenzione

Il titolo "La diabolica invenzione" fu scelto da Decio Canzio: io avevo intitolato la sceneggiatura,  banalmente, come "Il ritorno di Verybad". La mia idea nasceva senza dubbio dalla lettura del romanzo “Tre millimetri al giorno” di Richard Matheson (1956) e dal ricordo dei film “Dottor Cyclops” (1940) e “Viaggio allucinante” (1966).  Volendo, potremmo metterci “Tesoro, mi si sono ristretti i ragazzi”, pellicola del 1989 che comunque nulla aggiungeva a quanto già era stato detto e sperimentato. Avevamo a disposizione lo scienziato Adolfo Verybad e dunque potevo fargli inventare una macchina che riducesse gli uomini alle dimensioni di insetti. In fondo questo era il "metodo" di Guido Nolitta: Bonelli saccheggiava il grande magazzino delle letture e dei film che aveva visto, scegliendo quello che, da ragazzo, lo aveva impressionato, gli aveva fatto paura, lo aveva lasciato a bocca aperta. Dopodiché, filtrandoli opportunamente, cercava di trasmettere gli stessi brividi a chi leggeva i suoi fumetti. Zagor è stato volutamente immaginato come un eroe trasversale ai generi, e le sue storie come il regno della contaminazione fra le suggestioni più diverse appunto perché dentro lo stesso sceneggiatore, consumatore onnivoro di cinema e carta stampata, ribollivano le idee suggerite dalla fruizione di ogni tipo di “fabula”. Lo Spirito con la Scure ha potuto attraversare i decenni rinnovandosi al passo con i tempi ma sempre restando se stesso, proprio per questo: perché gli sceneggiatori che si sono succeduti dopo che Nolitta ha ceduto loro il testimone hanno messo in pratica la sua lezione, continuando a riversare nella serie le loro stesse emozioni. "Se una cosa ha fatto rabbrividire te", suggeriva il modus operandi nolittiano, "rendila zagoriana e proponila ai lettori perché rabbrividiscano anche loro". E' ciò che ha fatto Mauro Boselli inserendo in certe sue storie gli elementi lovecraftiani a lui tanto cari, o quel che ho fatto io ispirandomi a "Il nome della rosa" per scrivere "L'abbazia del mistero". Una cosa mi premeva, anche. Nelle ultime apparizioni (quelle delle storie con l'Uomo Invisibile e con le creature anfibie della Mosquito Island) il professor Verybad aveva perso i tratti umoristici, da caratterista e da monomaniaco, che aveva invece il personaggio originale nolittiano. Si era fatto tetro e cupo, drammatico. Io ho fatto uno sforzo per riportarlo al modo di essere degli inizi, con delle sfumature da commedia. Da sottolineare anche la buona prova di Franco Devescovi, per la prima e unica volta alle prese con Zagor. In seguito, Franco (che è un disegnatore in forza a Martin Mystere) avrebbe disegnato una storia del Detective dell'Impossibile in cui questi ha a che fare con un eroe delle leggende e delle Dime Novel, Za-Te-Nay, che si rivela essere davvero esistito, e su cui si indaga. Questa avventura avrà presto (in ottobre) un seguito, scritto sempre da Castelli e disegnato da Devescovi, in cui Za-Te-Nay torna alla ribalta.


L’indiana bianca 

"L'indiana bianca" non viene mai ricordata, neppure da me, come una storia memorabile eppure, rileggendola, mi sembra ben riuscita. Ricordo come nacque. Cercavo, come sempre, nuovi spunti. Da una parte mi piaceva l'idea di rifarmi alle storie di Nolitta in cui, oltre alla solita dose di avventura, c'erano anche elementi di commozione; una su tutte quella in cui compariva Cinzia Bradmayer, la bianca rapita dagli indiani che però si era integrata fra i pellerossa e che, alla fine, non voleva essere "liberata" da chi era andata a cercarla per riportarla fra i bianchi (vedi Collezione Storica n° 53). Dall'altra, sentivo di voler tener conto anche della lezione di un altro mio grande maestro ideale, Giancarlo Berardi, e avevo ben presente davanti agli occhi il fondamentale albo di Ken Parker intitolato "Chemako", in cui Lungo Fucile incontra Belle McKeeever, prigioniera degli Ottawa, ribattezzata Kianceta, che ugualmente impara ad apprezzare la vita tra i nativi. Sia Nolitta che Berardi, è evidente, si erano a loro volta ispirati a molti film americani in cui compare lo stesso tema, da "Sentieri selvaggi" a "Soldato Blu". Era però difficile trattare un argomento con precedenti del genere senza sembrare di fare solo una imitazione. Avevo però in mente anche una storia in cui Zagor affrontava una banda di falsari: in questo caso l'idea era nata pensando che, in fondo, nella serie si erano visti cattivi di tutti i generi, con un affollamento di mercanti di whisky e trafficanti d'armi, ma, che io ricordassi, stampatori di banconote false non se ne erano ancoravisti. Poteva essere una novità. Da sola, però, non bastava: si sarebbe trattato della solita indagine. Serviva un guizzo in più. Ed ecco la trovata: mescolare due storie in una sola, raccontare di una indiana bianca ma anche, insieme, come trama intrecciata, di una organizzazione che fabbricava e stampava dollari fasulli. In questo modo, la storia che ne è uscita fuori è sembrata più originale di quel che poteva esserne scrivendone un paio diverse.

Gli invasati

"Gli invasati" nasce dal mio desiderio di "mettere ordine" e risolvere i punti lasciati in sospeso e le incongruenze. Ricordo, a questo proposito, di aver scritto un albetto di 32 pagine che venne allegato a un numero speciale del Comandante Mark, intitolato "La vera storia di Elizabeth Gray", in cui con pignoleria certosina mi sono incaricato di eliminare alcune vistose contraddizioni presenti in vari episodi della saga dei Lupi dell'Ontario, dato che in certi numeri la EsseGesse aveva fornito versioni contrastati su alcuni punti focali (per esempio, com'è che Betty si salva mentre i suoi genitori vengono uccisi: l'episodio era stato raccontato due volte in modo diverso). Dopo il mio intervento, ecco che tutto era tornato a posto. Così, nella saga zagoriana c'erano vari punti da chiarire. Uno di questi riguardava appunto la sorte di Hegel Von Axel, l'alchimista di Norimberga visto nei volumi 74 e 75 della Collezione Storica. Nell'ultima vignetta di quella storia, Zagor dice: "Hegel Von Axel è vivo! In qualche modo quel demonio ce l'ha fatta a salvarsi e state certi che sentiremo ancora parlare di lui!". Era da quando avevo letto quella frase, come semplice lettore, che volevo sapere quando e come l'alchimista sarebbe tornato. Pensandoci un po' su, ho imbastito la storia del suo ritorno, che secondo me riconsegna un personaggio "riconoscibile". Fare una avventura dal taglio più moderno, come qualcuno mi ha rimproverato di non aver scritto, avrebbe in qualche modo tradito le caratteristiche del villain. Mi sono volutamente mantenuto nel solco della narrazione fresca e felicemente "ingenua" che aveva caratterizzato la sua prima apparizione. Nella saga zagoriana è comunque rimasto un altro, clamoroso, punto in sospeso: lo scontro fra lo Spirito con la Scure e Smirnoff, a cui Castelli non ha dato conclusione. Smirnoff rimane sostanzialmente imbattuto e Zagor se ne va giurando di tornare a presentargli il conto (vedi Zagor Collezione Storica volume 60), cosa che non risulta aver mai fatto. Ebbene, come curatore di testata ho convinto Luigi Mignacco a scrivere il seguito della vicenda e a spiegare perché l'eroe di Darkwood non si è più imbattuto in Smirnoff. La storia con tutte le spiegazioni del caso uscirà nel 2016.

I pirati del drago

Quando scrissi "I pirati del Drago" non ero certo che la storia sarebbe riuscita bene. C'erano un sacco di incognite. Innanzitutto i lebbrosi: sono dei malati, come potevo farne personaggi di una storia senza offendere chi soffre? Come raffigurarli senza creare o e senza giocare sull'orrore della malattia? Poi, lo spazio: per sviluppare il mio soggetto avrei avuto bisogno di più pagine, che, essendo la programmazione contingentata da tempi obbligati, non potevo avere. Insomma, ero pieno di dubbi. Mi chiedevo anche se, nonostante un certo fondamento storico sulla presenza dei cinesi sulla costa occidentale e anche sull'esistenza di isole-lebbrosari nel Pacifico (ne parla anche Jack London in alcuni bellissimi racconti), questi elementi se non sarebbero sembrati forzati,in ambito zagoriano, questi elementi. Insomma, arrivammo con l'albo in edicola e io ero convinto che i lettori non me lo avrebbero mai perdonato. Fortunatamente non andò così.Al momento di pianificare la trasferta, Boselli mi chiese di immaginare qualcosa che avesse a che fare con il Pacifico. Così mi lessi tutti i racconti di Jack London ambientati in quell'Oceano. Mi colpì il riferimento continuo ai cinesi che, a quanto pare, erano dappertutto sulle isole e sulla costa. Alcuni dei racconti avevano per protagonisti dei lebbrosi. Uno, per esempio, era intitolato "Koolau il lebbroso" ("Koolau the Leper"), ne esiste anche un adattamento a fumetti di Carlos Gimenez: è una storia incentrata sulla resistenza di Koolau, un nativo delle Hawaii deciso ad opporsi al confino sull'isola di Molokai, làdove vengono relegato chi veniva contagiato dal morbo. Ma il lebbrosario di Molokai è citato anche ne "La Crociera dello Snark" ("The Cruise of the Snark"). Dunque l'argomento "cinesi" e l'argomento "lebbra" si presentò in modo prepotente alla mia attenzione.