venerdì 8 gennaio 2016

DEUS EX MACHINA




Vorrei tornare ancora una volta sul  storia del ritorno di Hellingen, e chiudere il discorso. Per farlo ricorrerò a Massimo Manfredi, usando un suo commento come spunto di discussione. Di Massimo una volta ho scritto, in un articolo pubblicato su questo blog, che è il lettore che ogni autore desidererebbe avere. Spiegavo così il perché: “è fedele e ben disposto ad ascoltare, acuto, intelligente, e non accondiscendente.Anche quando il suo giudizio è critico, argomenta senza acrimonia. Soprattutto, non serba rancore: dalla storia successiva è pronto a valutare ciò che gli viene proposto, senza pregiudizi. Se individua delle falle, conserva memoria dei meriti”. Nel gennaio 2013 io e lui abbiamo idealmente festeggiato insieme i primi venti anni di una consuetudine: l'arrivo in redazione di una lunga lettera in cui, con certosina pignoleria, Massimo esamina uno per uno tutti gli albi zagoriani dell'annata precedente appena conclusasi”. Per la cronaca, anche quest’anno la tradizione è stata rispettata. Nell’occasione del ventennale, però, ho pubblicato l’intero corpus delle sue disamine. Potete leggerle qui


Che cosa scrive, dunque, Massimo, di “Finale di partita” e degli albi precedenti? Copio e incollo il suo commento così come è apparso sul forum SCLS. Dopodiché proverò a spiegare il mio punto di vista.

La storia mi è piaciuta, e parecchio. A parte il finale. La metà disegnata da Ferri è quella che mi ha preso di meno (non certo per i disegni, eh!), dato che questi indiani robot sono gli avversari peggiori da leggere. Da un lato sono invincibili sul piano fisico, per cui pur essendo inizialmente stuzzicanti per le difficoltà create all'eroe, dopo pochi minuti diventano bloccanti per la narrazione; dall'altro essendo robot non hanno alcuno spessore psicologico, quindi oltre i cazzotti non vanno.

L'altra metà si prende invece subito ben altre altezze. Contribuiscono a questo:

- un Hellingen mai così feroce, sadico, pazzo. Se devo dire, forse anche troppo. Mi ha dato l'impressione che Burattini abbia voluto calcare sulle scene forti (anche visivamente splatter) quasi per contrastare certe accuse di "autore buonista" che gli vengono mosse. Il risultato è comunque notevole. Voglio avversari così: intelligenti e quasi superiori nel porsi verbalmente, figli di puttana nei fatti. Concordo che per alcune cose si discosta dall'Hellingen di Nolitta, che aveva anche diversi momenti mentalmente stabili, ma fa parte delle legittime interpretazioni dei vari autori che si occupano nel tempo di un personaggio, se non lo tradiscono. E non è stato fatto (aggiungerò qualcosa dopo);

- uno Zagor quasi specchio della sua nemesi, che perde la testa e le staffe di fronte a lui. E' una cosa che ho visto poco sottolineata nei vostri commenti. A me ha invece esaltato vedere uno Zagor così istintivo e umorale, che non si fa troppe seghe mentali e va a spaccare i grugni che si frappongono tra lui e la sua preda. Dato che si dice (a ragione) che negli ultimi anni è troppo moscio, e/o si parla di tradimenti nolittiani ecc. ecc., mi stupisce che nessuno rilevi quanto sia nolittiano questo carattere di Zagor, specie nelle sue più antiche incarnazioni. Ma anche nelle ultime se ricordate le urla folli quando a Skylab, dopo aver profanato la tomba di Hellingen davanti a un Perry atterrito, la scopre vuota;

- essere riusciti nell'impresa (ripeto: impresa) di fare una summa di tutti gli Hellingen visti fino a qua, spesso contrastanti tra loro (anche all'interno degli stessi di Nolitta, alle volte). E farla coerente e che sta in piedi. Certo, qualcosa si è dovuto sacrificare nell'opera di limatura.
Ma se riuscire ad andare oltre a quanto fatto da Sclavi era già difficile (e infatti Boselli ci riesce solo parzialmente, cioè ha senso la trovata ma qualitativamente mal gestita), andare oltre Sclavi+Boselli, senza negare il passato ma aggiungere qualcosa di nuovo, peggio ancora. Esame superato a pieni voti, per me;

- il passato del giovane Garth è ben raccontato e, se non c'erano state manifestazioni di razzismo così marcate in Nolitta, nemmeno si può dire che questa caratteristica sia incongruente con la sua mentalità. Ci può stare. Era una delle ipotesi sul suo passato, che non tradiscono il personaggio, e in linea con la sua forma mentis.
Per me va benissimo così. Altrimenti, scusate, per i puristi del mad doctor, che cosa ci doveva raccontare Burattini? Una ennesima invenzione folle con cui minacciare il mondo? Un robot da guidare tipo Mazinga? QUESTO SI' che lo avrebbe trasformato in macchietta, come è ad esempio Verybad. Moreno sceglie un'altra strada (come del resto i suoi predecessori) e fa benissimo. Può non piacere la resa (a me piace), ma la scelta in sé è corretta;

- sempre di Hellingen, apprezzo gli spiegoni scientifici fatti a Zagor (non importa che lui non li può capire, il lettore sì) che inspessiscono il narrato (a differenza appunto di quanto accade con le macchine di Verybad), e la parte della conferenza, che ne inspessiscono la psicologia. Qua, mi lascia solo perplesso l'ostracismo accademico degli intellettuali americani alle sue teorie che, al contrario, erano molto apprezzate, come ha fatto già notare Carlo Monni. Teorie continuate ben oltre il periodo zagoriano, se è vero come è vero che Hitler si è espressamente ispirato all'eugenetica statunitense verso i pellerossa, fino ad arrivare a soggetti istituzionali come Harry Laughlin. Ma nella impostazione "positiva" della testata ci sta che venga osteggiato;

- il momento finale con Zagor convinto che sia arrivata l'ora della sua morte.
“Io ho pagato il mio debito di sangue per la mia vendetta di tanti anni fa… Ho lottato per la pace e per la giustizia… e sono certo di avere vinto… anche questa volta!”
Un passaggio da scolpire nel muro di ogni zagoriano, summa perfetta della sua filosofia di vita.

Come mi pare tutti, non ho invece apprezzato l'invocazione di Wendigo, ma sopratutto non accetto il suo ruolo di sfacciato deus ex machina, figura che detesto come poche altre in qualunque forma di narrazione.
Riconosco a Burattini che ha cercato di prepararla al massimo, con le riflessioni Tao di Zagor sugli equilibri, sull'ammettere che è comunque una avventatezza, sulla spremitura del suo quinto senso e mezzo, delle iniziazioni di Shyer, sulla forse non ripetibilità, ecc.... insomma, gli do' atto che non la usa a cuor leggero come fanno tanti altri, ma il fatto rimane. Questo è per me l'unico grosso buco di questa run, che in ogni caso non mi fa dimenticare tutto il resto che ho detto sopra.

I disegni della premiata coppia sono ottimi come sempre. Leggibilità bonelliana ai massimi livelli. Si perde invece qualcosa in spettacolarità.

Mi piace, di tutto ciò, come Manfredi abbia sottolineato i molti elementi presenti nella storia che a lui (a differenza di altri) non sono sfuggiti, e che non si esauriscono certamente nell’apparizione del Wendigo in una vignetta dell’ultimo albo. Peraltro, mi chiedo che cosa abbiano pensato, i critici di questa apparizione, dell’intera sceneggiatura di Mauro Boselli con il precedente ritorno di Hellingen, il cui il demone aveva un ruolo assai maggiore a addirittura predominante, ma lasciamo perdere. Fatto sta che il Wendigo non si poteva non fare i conti a meno di decidere di ignorare del tutto la storia boselliana. Io ho deciso di farci i conti con una sola pagina, proprio per non turbare i fautori della nolittianità, ma per costoro anche una vignetta è stata troppo: pazienza. Personalmente, avrei trovato assurdo il fatto che il clone di Hellingen non si chiedesse che fine avesse fatto l’originale e non si proponesse di liberarlo dalla sua prigione. Però, per altri meglio questa assurdità che rivedere il Wendigo e dunque lasciamo costoro nelle proprie convinzioni. 

Mi ha colpito comunque una frase di Massimo: "come mi pare tutti", riferito appunto al mancato gradimento ritorno del Wendigo. Posso assicurare che invece ho ricevuto decine di attestati di felicitazioni in proposito, così come in precedenza avevo avuto richieste precise (anche dall'estero) sul fatto che non mi dimenticassi del demone boselliano (cosa che non avrei potuto fare neanche volendo proprio per ragioni di logica e coerenza). Dunque le opinioni sono tante e diverse e, cosa che potrà meravigliare i detrattori pregiudiziali, anche positive.

Concentriamoci piuttosto sulla definizione di “deus ex machina” attribuita (da Massimo e da altri) all’escamotage con cui la lunga storia è stata divisa in due parti in attesa di uno nuovo scontro. Faccio notare che anche l’ultimo, recente film di “Guerre Stellari” non si conclude e il proseguimento della vicenda viene rimandato a data da destinarsi, dunque non ho fatto niente che già non si sia fatto, si faccia e si farà per ogni dove. Del resto, far durare una storia sette mesi invece di quattro mi sarebbe sembrato micidiale e non credo di aver fatto una scelta folle, tuttavia qualcuno penserà il contrario e ciascuno è libero di ragionare con la propria testa. 

Ma che cos’è, esattamente un “deus ex machina”?  Copio e incollo da Wikipedia: “Deus ex machina è una frase latina mutuata dal greco che significa letteralmente "divinità (che scende) dalla macchina". Originariamente, indicava un personaggio della tragedia greca, ovvero una divinità che compare sulla scena per dare una risoluzione a una trama ormai irrisolvibile secondo i classici principi di causa ed effetto. Per estensione, tale espressione è andata a indicare un evento o un personaggio che, nel corso di una narrazione, ne risolve inaspettatamente gli intrecci, spesso con modalità apparentemente non correlate alla logica interna della vicenda, al punto di apparire altamente improbabile o come il risultato di un evento fortuito.

Chiediamoci dunque: l’apparizione del Wendigo non rispetta la logica interna della vicenda? E’ altamente improbabile? E’ il risultato di un evento fortuito? Per come la vedo, soltanto chi abbia letto un’altra storia (e non quella che ho scritto io) può crederlo. L’apparizione del Wendog è talmente logica e consequenziale che è stata annunciata e preparata fin dalla tavola d'apertura dell’albo di settembre, prima di verificarsi puntualmente a metà di quello di dicembre. Infatti, all’inizio dell’ “Eredità di Hellingen” Zagor ha una visione che gli annuncia chiaramente quello che accadrà: per risolvere la situazione dovrò infatti scendere nelle caverne del Monte Naatani, decifrare delle iscrizioni, trovare la mummia di Rakum, versare il suo sangue. La visione gli è stata mandata da Kiki Manito (personaggio nolittiano) che già aveva risolto magicamente anche la faccenda degli Akkroniani. In quel caso, nessuno disse che Rakum era un deus ex machina nonostante non fosse stato annunciato da niente e comparisse all’improvviso. 

Il fatto che io abbia cercato di “far dimenticare” ai lettori la visione iniziale e l’abbia rammentata solo alla fine è un colpo di scena come quando nei gialli di Agatha Christie viene svelato da Poirot un particolare a cui nessuno aveva fatto caso e che invece si rivela di importanza fondamentale. Tra un colpo di scena e un deus ex machina c’è una bella differenza. Per di più, Zagor non capita nella grotta di Rakum per un “evento fortuito” (casomai, un evento fortuito era stato quando ci era finito nella storia di Nolitta “Magia senza tempo”), ma perché il nostro eroe decide di andarci avendo capito il messaggio della visione: dunque lode all’intelligenza del Re di Darkwood. Se si salva, non è perché arriva una divinità a toglierlo dai guai, ma perché lui fa, con coraggio, quel che c’è da fare (tutto ciò è la perfetta negazione di quel che si definisce “deus ex machina”).

Come se non bastasse, durante tutto il corso della storia avevo seminato indizi su ciò che sarebbe successo. Se qualche lettore disattento non li ha colti, mi dispiace. Per fare due esempi, Zagor, parlando con il suo avversario, si meraviglia che Hellingen non sappia nulla del Wendigo e dunque è lui stesso a mettere in testa al Mad Doctor che c’è qualcosa su cui deve informarsi: impensabile che lo scienziato pazzo non lo faccia e non elabori un piano in proposito. E’ chiaro che se Hellingen si propone di studiare il modo di liberare il suo doppio, il Wendigo pensi di intervenire (insomma, il demone era stato già tirato in ballo). Poi, è lo stesso folle criminale a rivelare al Re di Darkwood il suo intento di affrontare il nemico ultraterreno, convinto che il suo genio avrebbe trovato il modo di farlo. A quel punto, chiunque avrebbe dovuto capire che il prossimo step sarebbe stato appunto la discesa in campo del Wendigo. Quando costui effettivamente compare, come ci se ne può meravigliare? Chi può, ragionevolmente, accusare questa apparizione di essere un escamotage forzato, un deus ex machina? E’ piuttosto l’inevitabile conseguenza di tutto ciò che lo sceneggiatore aveva preparato. 

Due parole infine su altre due obiezioni (trascurando di rispondere a chi reputa tutto ciò al pari di “scarafaggi” sugli spaghetti: credo che esista una patologia psichiatrica che consiste nel vedere insetti dappertutto, e magari è quella che fa scambiare olive per blatte). La prima: non è piaciuta la forma troppo “moderna” dei cyborg che compaiono nella parte finale del racconto (secondo alcuni Hellingen dovrebbe costruire sempre automi alla Titan). Faccio notare che è ben spiegato come gli automi in questione non sono di origine hellingeniana ma akkroniana. Se Hellingen per alcuni è obbligato a fabbricare solo robot di foggia antiquata, speriamo che almeno gli alieni possano sbizzarrirsi un po’ di più. Qualcun altro ha notato che le idee di eugenetica propugnate da Hellingen negli ambienti universitari avrebbero dovuto trovare riscontro invece di venire disprezzate, perché all’epoca di Zagor il terreno era fertile. Faccio notare che chi lo dice non ha, evidentemente, tenuto ben presente due personaggi: Hawking e Quaritch. Il primo è zoppo e dunque, con l’autorità che dimostra di avere, ha motivo di inalberarsi di fronte alle proposte di un ritorno alla Rupe Tarpea avanzate da Hellingen, il secondo è la dimostrazione che qualcuno, in effetti, può rimanere al contrario affascinato dal Mad Doctor. E vedremo questa cosa che sviluppo avrà nella prossima storia.