Nella rubrica "Terre di nessuno", sull'albo n° 442 di Tex Nuova Ristampa (febbraio 2019) Graziano Frediani recensisce il mio saggio "Discorsi sulle nuvole" (Cut-Up). Ne copio qui sotto un estratto e vi propongo comunque la schermata. Mi è piaciuta molto l'espressione usata da Graziano "piacere analogico" per definire la sensazione tattile dello sfogliare la carta dei fumetti, e la prendo in prestito per dare il titolo a questo post.
"Un'antologia di testi realizzati nell'arco degli ultimi trent'anni, scelti riveduti e corretti da Burattini (ma ce ne sono anche di inediti), una sorta di 'best of' personale che, in ognuna della sue 300 pagine, rievoca un passaggio fondamentale della sua crescita di lettore diventato autore, sino a tracciare il ritratto collettivo di una intera generazione. Una generazione che oggi potremmo definire 'poeticamente perduta', quella per la quale immergersi fra le vignette e i ballon di una striscia, di un albo tascabile, di una rivista era un piacere semplice, tattile, cartaceo e dunque 'analogico', eppure capace di sommuovere sconfina potenzialità percettive, sociologiche, comunicative. Burattini ce le svela e ce le rivela (casomai ce ne fossimo dimenticati) una per una, snodando le fila di una trama che passa per Tex, Zagor, Martin Mystère e altri classici bonelliani, rende onore alla scandalosa disinibizione di Kriminal e Satanik, alla crepuscolare sensibilità di un anti-eroe come Ken Parker, alla genialità autodistruttiva e provocatoria di Zanardi e del suo creatore, l'indimenticabile Andrea Pazienza... Tappe nodali di una parabola editoriale e culturale che - per fortuna - non ha ancora smesso di evolversi, nonostante la presenza di benpensanti, moralisti, censori, denigratori, ostruzionisti (più o meno in buona fede) che, periodicamente, irrompono sulla scena a sollevare polemiche, a invocare punizioni, a bandire crociate contro questo o quel fumetto. Outsiders del calibro del Signor Ilario o il Signor Emilio... chi erano? Leggete 'Discorsi sulle nuvole' e potrete scoprirlo da soli!"
Un'altra (bella) recensione è quella dedicata a "Discorsi sulle nuvole" da David Padovani sul sito "Lo spazio bianco". Si intitola (e la cosa mi commuove): "Un amore così grande".
Molti lettori di Zagor si lamentano che oggi si fa un minor uso delle didascalie se non per i cambi di scena, mentre una volta venivano usate anche per descrivere le scene prive di dialoghi in modo da conferire loro un maggiore effetto non soltanto visivo. Tu che ne pensi? Mauro.
Ho risposto così.
Caro Mauro,
i lettori di Zagor si lamentano sempre e comunque. Se mettiamo le didascalie siamo spiegazionisti, se non le mettiamo era meglio quando le mettevamo. “Molti lettori si lamentano che” è una frase utilizzabile riguardo a qualsiasi scelta venga fatta. Ci sarebbe poi da chiedersi quanti siano questi “molti”, perché per quanti “molti” contestino qualcosa, ci saranno altrettanti “molti” che contestano la cosa opposta.
Le didascalie sono un artificio “vecchio” (ridondavano sul Flash Gordon, per esempio). Il linguaggio del fumetto si è evoluto sempre di più verso un uso della didascalia limitato e di sicuro non destinato a raccontare ciò che si vede nelle immagini. Inutile dire “Zagor con la scure disarma il suo avversario” se è esattamente quello che mostra la vignetta. Ken Parker, che ha fatto scuola in questo senso, è andato progressivamente quasi abolendo del tutto le didascalie (e persino le nuvolette dei pensieri).
Ci sono fumetti, soprattutto di scuola americana, in cui le didascalie ci sono e sono lunghe, ma fungono da “voce fuori campo” di un io narrante, oppure sostituiscono il balloon dei pensieri: il personaggio cammina e accanto a lui varie dida mostrano che cosa sta pensando. Diverse grafie del letture nelle didascalie spiegano se ci sono più personaggi che pensano in quella vignetta (una grafia corrisponde a un diverso personaggio), anche da fuori campo. Questo artificio su Zagor non è mai stato usato, quindi continueremo a non usarlo. Se lo usassimo, “molti lettori” se ne lamenterebbero.
E’ stata stabilita una consuetudine (che io cerco di usare il meno possibile e scoraggio negli altri sceneggiatori) per cui una frase di un personaggio che spiega quale sia il suo proposito prosegue dal balloon e finisce, virgolettata, a fare da didascalia nella vignetta successiva, in cui si mostravento la messa in atto del proposito. Ebbene: Sergio se ne lamentava. Immagino che “molti lettori” ugualmente si lamentino anche loro.
Come considerazione finale ricordo che i social ci hanno resi infastiditi di fronte alle troppe parole da leggere. Pagine piene di balloon e di didascalie scritte fitte fitte scoraggiano la lettura, che dovrebbe essere quanto più agile possibile.
Nella serie a striscia uscita nel 2018, volendo “fare il verso” al vecchio modo di sceneggiare ho usato didascalie più lunghe, ma appunto si è trattato di un “ritorno al passato”. Io delle didascalie lunghe non ho nessuna nostalgia. Poi ci saranno sempre i nostalgici di qualche cosa. Mi piacerebbe che i lettori leggessero più serenamente le nostre spensierate avventure e valutassero di più i meriti delle storie, se ce ne sono, invece di andare alla ricerca dei motivi di contestazione e di attaccarsi alle virgole contestando agli autori qualunque scelta venga fatta. Stiamo portando il sogno di Zagor verso il sessantennale, abbiamo attraversato i tempi e le mode, lo Spirito con la Scure continua a inanellare avventure e successi, siamo leggenda, e c’è chi si lamenta delle didascalie.
Dopo aver riportato sulla mia pagina FB questa risposta, a mio parere esaustiva ed educata, si è inalberato un lettore (evidentemente uno di quelli che si lamentano): secondo lui, la mia frase “i lettori si lamentano comunque” sarebbe qualcosa che "non si può sentire". Cioè, una affermazione intollerabile. Poi, l’inalberato ha aggiunto qualcosa del tipo “se voi sceneggiatori non volete lamentele, scrivete per voi stessi e basta”.
Ora, vorrei far notare al non gentile detrattore che il fatto di ricevere lamentele sempre e comunque, di segno opposto, qualunque cosa si faccia, non è una mia opinione. E’ la realtà dei fatti. Qualunque mio collega potrebbe confermarlo. Arrivano critiche contraddittorie su tutto: chi la vuole nera, chi la vuole bianca. Si resta di stucco per la diversità dei pareri, o per l'irragionevolezza di alcuni. Ma, del resto, credo che nella vita di ognuno di noi capiti la stessa cosa: davvero a voi succede di accontentare tutti? Sui social non si leggono forse polemiche ferocissime su qualunque questione? Quindi perché meravigliarsi se porto la mia testimonianza su una realtà di fatto? Ho semplicemente detto che qualunque cosa si faccia, si viene criticati. E' una ovvietà. E' inevitabile dato che le opinioni sono tante e contrastanti, ma oltre a quelle espresse in modo ragionevole ci sono quelle distruttive e cariche d'odio. I detrattori e gli haters sono ovunque. Dunque, caro inalberato, se credi che la frase “i lettori si lamentano comunque” non si possa sentire, non vuoi sentire una banalissima verità. Vuoi negare la realtà dei fatti. Okay. Io, invece, la realtà dei fatti la racconto per com’è. Non è una cosa su cui si può discutere: è così. I lettori si lamentano sempre e comunque: punto.
Tuttavia, è la frase successiva che rivela ciò che davvero ha fatto inalberare l’inalberato. “Se voi sceneggiatori non volete lamentele, scrivete per voi stessi e basta” (sto citando a memoria lo sfogo del lettore, quelle fra virgolette sono parole mie che ne riassumono però il senso). Dunque l’inalberatura deriva dal sentir leso il diritto alla lamentela. Nessuno lo ha mai messo in dubbio: tant’è vero che si lamentano tutti. C'è gente che pare vivere per lamentarsi. Nessuno glielo vieta, peraltro non vedo come si potrebbe. Il punto è un altro: io non scrivo per me stesso, come non scrivono per loro stessi gli altri sceneggiatori, ma neppure scrivo sotto dettatura. Non è che arriva Tizio a dirmi: “voglio le didascalie com’erano su Tex nel 1948”, io il giorno dopo lo accontento. Anche perché scriverà Caio dicendo. “voglio le didascalie come sull’Uomo Ragno”, e Sempronio aggiungerà: “io le didascalie non le voglio”. A chi dar retta? Mi dispiace, do retta al mio cuore e cerco di fare del mio meglio, come pare a me, ragionandoci sopra, sperando di indovinarci. Lo faccio da trent'anni. C’è questa pretesa del lettore a vedersi confezionare il fumetto su misura. L’autore non deve scrivere per sé stesso, e va bene, ma per lui, per il singolo. Non funziona così. L’autore propone la sua scelta stilistica, il lettore decide se apprezzarla o meno. Poi si lamenti pure, ma non pretenda di essere il punto di riferimento e di aver ragione per forza. Ripeto: io non scrivo sotto dettatura. Ciò non significa che le critiche giuste non vadano accettate. Anzi: ben vengano le segnalazioni che riportano sulla giusta strada o servono a correggere gli errori. Però ci vuole una scrematura. E sicuramente le critiche ingiuste vanno ignorate.
Ho trovato una citazione di Eleanor Roosevelt, la sorella di Teddy Roosevelt, che dice così: “Fate quello che il cuore vi dice che è giusto, perché sarete criticati comunque”. E Lincoln scrisse: “Se dovessi leggere, non dico rispondere, tutti gli attacchi diretti contro di me, dovrei chiudere bottega e occuparmi solo di questo. Faccio quello che posso, e intendo continuare a fare così fino in fondo”. E Lincoln non era sui social.
"Spedizione nel deserto" è il titolo dell'albo di Zagor n° 643 (Zenith 694), del febbraio 2019. I testi sono miei, i disegni sono di Bane Kerac e la copertina è di Alessandro Piccinelli. Si tratta della seconda parte di una storia iniziata con il numero precedente, "Monument Valley" e destinata a durare ancora un po'. Mi sono giunti solo echi positivi da parte di chi ha letto l'avventura finora, il che mi fa piacere.
Siccome a pagina 30 assistiamo a quel che si potrebbe definire un "colpo di scena", preferisco non fare spoiler, rimando l'approfondimento a quanto parleremo del prossimo albo. Dico solo che la persona a capo del numeroso gruppo di banditi e di pellerossa contro cui lo Spirito si trova a combattere è alquanto insolito, per la sua figura e le sue motivazioni. Rinnovo invece volentieri i complimenti, anche per questa seconda puntata, al mio sodale Bane Kerac, autore serbo su cui mi solo dilungato su questo blog presentando "Monument Valley". L'avventura nel Sud Ovest è nata proprio da una risposta che lui mi diede quando, dopo la pubblicazione del Color dedicato a "Guitar" Jim, da lui illustrato, gli chiesi che scenario o argomento avrebbe preferito per una successiva soria. Bane disse: "basta che ci sia un pueblo". Detto fatto, la terza puntatasi chiamerà "Il pueblo misterioso" e già qualche scorcio di una cittadella di pietra (chiamata Teon) si vede in questa seconda.
Temo però di aver giocato un tiro mancino al nostro Kerac, giacché per assecondarlo sul pueblo gli ho chiesto di assecondarmi nel tirare in ballo anche la Biblioteca di Alessandria e la matematica e astronoma Ipazia, esponente della filosofia neoplatonica, nata tra il 350 e il 370 dopo Cristo e morta nel marzo del 415 (uccisa durante un tumulto di cristiani nemici della cultura "pagana" che lei rappresentava). Fu una donna illuminata che riuscì a ottenere rispetto e ammirazione in un contesto che certo non prevedeva "quote rose" e la si può indubbiamente considerare una martire del libero pensiero. Nel 2009 il regista Alejandro Amenábar ha girato il film "Agora" in cui Ipazia è interpretata da Rachel Weisz. Questa pellicola mi ha fatto scaturire l'idea da cui poi è nata la storia illustrata da Bane Kerac. Quale possa essere il collegamento fra Ipazia e Zagor lo scoprirete solo leggendo, credo di aver giocato con l'impossibile e aver trovato una quadra convincente (almeno secondo il limite della "sospensione di incredulità" stabilita dallo strada zagoriano). Secondo me, Bane se l'è cavata egregiamente anche nella realizzazione delle scene ambientante nel V secolo ad Alessandria dìEgitto. A voi, ovviamente, il giudizio.
E’ in edicola dal 22 gennaio il secondo Maxi Zagor della serie “I racconti di Darkwood”, intitolato “Brividi da Altrove”. Dico “secondo” perché giunge appunto a proseguire l’esperimento, risalente al settembre 2017, con cui era stato proposto un “balenottero” non contenente un’unica storia zagoriana ma una antologia di racconti brevi (quaranta pagine ciascuno). Di quella prima antologia vi ho parlato a suo tempo su questo blog, e potete ritrovare l’articolo cliccando qui. Tra i tanti autori proposti la volta scorsa ci fu anche Lola Airaghi, autrice (su testi miei) di un episodio intitolato “Brezza di Luna” che è stato molto apprezzato dai lettori al punto da meritarle il “Premio Gallieno Ferri” attribuito dal Comune di Varazze.
Tanti diversi autori sono anche quelli nel Maxi “Brividi da Altrove”, che raccoglie sei storie collegate fra loro da una "cornice" avventurosa. La formula già sperimentata prevede che la "cornice" sia tradizionale e rassicurante, mentre gli episodi che va a unire si prendono qualche libertà nelle scelte grafiche e narrative dei singoli autori, alcuni dei quali figurano come ospiti chiamati a dare la loro interpretazione del personaggio e, nello stesso tempo, a rendergli omaggio. Questa volta le storie brevi sono sei immaginate come presentate da un narratore d'eccezione: Edgar Allan Poe, l'agente Raven della base di Altrove. Da qui il titolo.
Ad alternarsi sono sia autori che già fanno o hanno fatto parte dello staff (Emanuele Barison, Paolo Bisi e Marcello Mangiantini per i disegni; Diego Paolucci e Francesco Testi per le sceneggiature) sia altri che per la prima volta si confrontano con l'eroe di Darkwood. È il caso di Stefano Voltolini, disegnatore che giunge sulle nostre pagine dopo essere stato per anni una delle colonne di "Il Giornalino" con la sua serie "Leo e Aliseo". Dal mondo dei giochi fantasy e dei graphic novel a colori alla francese viene invece Enzo Troiano, il cui tratto "weird", a tratti grottesco ma sicuramente energico e barbaramente intrigante, è quanto di più insolito sia stato messo al servizio di Zagor per una "ospitata" fuori dagli schemi. Ritroviamo anche, ancora una volta in prestito, Luigi Piccatto: uno dei grandi del fumetto italiano e storico disegnatore di Dylan Dog, già visto all'opera sulla serie regolare con "Zenith 666" e qui coadiuvato dal fido Renato Riccio. Tra gli autori di testi messi alla prova per la prima volta ecco Andrea Cavaletto (sceneggiatore di varie storie dell'Indagatore dell'Incubo), Luca Barbieri (Dragonero, Tex) e Adriano Barone (attivo su Nathan Never). Insomma, tanta gente: tutta entusiasta di confrontarsi, anche soltanto per una volta, con la leggenda dello Spirito con la Scure.
Una tavola degli Esposito Bros
Io personalmente ho scritto la storia della “cornice”, con Edgar Allan Poe protagonista, in cui credo di aver infilato alcune interessanti (condivisibili o meno che siano) sull’arte dell’affabulazione, e anche uno dei racconti, “Sacrificio umano”.
Tra i commenti positivi che mi sono giunti, c’è quello del giornalista Francesco Ghidetti, che riporto in fondo lasciando così a lui il compito di approfondire l’argomento. Tra le note negative, ho letto quella di un recensore maldisposto verso una “cornice” che, diversamente dal volume precedente, non narra una avventura d’azione ma è imperniata sul duello combattuto a parole fra Poe e un misterioso funzionario governativo. Ora, ognuno può essere maldisposto verso quello che vuole, ma chi l’ha detto che se nel primo Maxi la “cornice” era avventurosa, debbano esserlo anche tutte quelle dei volumi a seguire? Non è meglio variare e lasciare che il lettore non sappia che cosa l’aspetta? Non si sarebbe ugualmente criticati se ogni volta si ripetesse lo stesso clichè? In ogni caso, il terzo volume (già in preparazione) riproporrà una “cornice” avventurosa. Suggerisco al recensore di riflettere anche su questi elementi (che non dovrebbero sfuggire a chi voglia gestire, con lodevole spirito di iniziativa, un blog di commenti): la storia con Poe è comunque una storia con la sua tensione narrativa, con dei personaggi caratterizzati, con delle idee a supporto, con agganci letterari (suggerisco la lettura del colto commento di Ghidetti riportato in calce) e con un finale a sorpresa; il fatto che sia breve permette di inserire sei altri racconti e non solo cinque come nel caso del primo Maxi.
Tavola di Stefano Voltolini
Un altro commento negativo che mi è stato riferito riguarda il genere horror che accomunerebbe tutti i racconti. Qualcuno che evidentemente l’horror non lo sopporta avrebbe preferito una alternanza fra i generi. E’ chiaro che ogni lettore potrebbe “preferire” una albo confezionato su misura per lui, ma è altrettanto chiaro che nessuno può pretendere di essere il metro di misura dell’universo. Tuttavia, dopo aver fatto notare come i due racconti scritti da me, la “cornice” e “Sacrificio umano” non siano per niente horror, mi chiedo come la si metta di fronte alle storie di Zagor (anche scritte da Nolitta) che sono costituite da tre o quattro albi horror. “Brividi da Altrove” propone 286 tavole di cui, come abbiamo detto, 86 non horror. Ne restano 200 horror. Zagor propone da sempre storie piuttosto lunghe, tra le 200 e le 400 pagine (diciamo): se una storia è horror, come tante lo sono, non avremo lo stesso numero di pagine horror del Maxi “Brividi da Altrove”? “Zagor contro il vampiro” non conta forse ancora più pagine? Dunque, dov’è il problema se una pubblicazione dello Spirito con la Scure popone 200 pagine horror? Solo nella mente di chi critica, evidentemente. Ma a ognuno le sue opinioni, me compreso. In ogni caso, il prossimo Maxi della serie “I racconti di Darkwood”, previsto per settembre, sarà prevalentemente western-avventuroso. Basta aspettare.
Tavola di Paolo Bisi
Ultima replica: i disegnatori sono stati nove. A qualcuno non è piaciuto tizio, a qualcuno non è piaciuto caio. Tuttavia lo spirito dell’esperimento è appunto quello di fare degli esperimenti. Era forse in linea con lo standard grafico della serie (legata al tratto di Gallieno Ferri) la storia di Lola Airaghi? No, eppure il suo segno innovativo è piaciuto a tanti anche fra quelli che di solito non leggono Zagor. Il fatto di poter presentare, per esempio, tavole di un importante disegnatore come Luigi Piccatto permette di incuriosire i lettori di Dylan Dog che magari non leggerebbero storie dello Spirito con la Scure. Gli autori “ospiti” hanno un loro pubblico che speriamo di poter avvicinare al nostro. Il fatto di avere sette storie diverse dovrebbe permettere anche ai più intolleranti di tollerare un disegnatore sgradito: lo si sopporta per quaranta pagine e poi ne arriva un altro che magari ci piace di più. E vi assicuro che quel disegnatore che piace a voi avrò invece dei detrattori che non lo apprezzano mentre apprezzano quello di cui siete detrattori voi. Non se ne esce: io consiglio sempre di aprire la mente ed essere ben disposti verso le novità, gli esperimenti, le proposte fuori dal coro. Se poi vogliamo stare a guardarci l’ombelico e ignorare l’universo intorno, facciamolo pure. In ogni caso, a parte i disegnatori che fanno abitualmente parte dello staff, stiamo parlando di ospiti che, tributato il loro omaggio alle leggenda di Zagor, torneranno alle loro abituali occupazioni.
Per concludere, troverete un video amatoriale fatto da un giocane lettore, che evidentemente ha apprezzato il nostro esperimento. Sul sito Bonelli e su YouTube c’è invece il video della presentazione del Maxi fatta presso il Bonelli Point di Milano. Il link è quello qui sotto.
https://youtu.be/ydUm6PTrfY8
Dal sito di Quotidiano.net, il commento di Francesco Ghidetti.
Io leggo fumetti. Va bene, non è un notizione. Però mi permetto, nel mio girovagare negli universi letterari, di consigliarvi l’ultimo Maxi Zagor. Chi non conosce le avventure dello Spirito con la Scure, specie se diversamente giovane? Chi non conosce le avventure di un eroe ‘positivo’ sotto tutti i punti di vista, la sua ansia di giustizia, il suo chiaro messaggio antirazzista, il suo credo libertario, il suo mondo fatto di misteri da risolvere? Ma questo nuovo albo (in edicola a 6,90 euro per 288 – densissime – pagine) mi pare superi, in qualità, molte chicche precedenti. Insomma, Moreno Burattini e la Bonelli-band hanno ben lavorato. Molti i motivi del mio elogio (sincero: ripeto, non sono un esperto, ma solo un lettore appassionato).
In primo luogo la trovata letteraria. Protagonista dei «Racconti di Darkwood» non sono solo Zagor e Cico, ma l’inventore del poliziesco. Nientepopodimeno che Edgar Allan Poe (già attore protagonista in altre avventure zagoriane). E quella che chiamo ‘trovata’ – forse sarebbe meglio classificarla come ‘intuizione narrativa’ – è bellissima nella sua semplicità. Poe fa parte di Altrove, servizio segretissimo che protegge gli Stati Uniti e di mestiere è scrittore. Uno scrittore sublime, inutile che lo ricordi ai lettori. Bene, in questa raccolta (sei racconti con una ‘cornice’ che introduce ognuno di essi) la penna immortale di Edgar racconta avventure (terrificanti, ovvio) con protagonista Zagor. Mai un attimo di pausa – io l’ho divorato in treno da Bologna a Livorno e già a Signa lo avevo finito… –, colpi di scena e, ecco l’altro aspetto che mi preme sottolineare, una filologica precisione storico-letteraria. C’è un presidente degli Stati Uniti (cui Zagor ha salvato la vita, ma che con i ‘pellerossa’ mal si muove) e uno scrittore alcolista eppure lucido indagatore dell’incubo. Non si va avanti con luoghi comuni, insomma, ma si definisce una cornice di sicuro valore e, diciamo così, verosimiglianza.
Terzo elemento da non sottovalutare la capacità di delineare i personaggi ‘non protagonisti’. Dal francamente antipatico capo di Altrove ai più accettabili agenti segreti. Molto buona l’idea di far leggere a Poe stesso i suoi manoscritti. Fantastico il finale. State tranquilli: non sono così crudele da rivelarlo. Di sicuro, posso dirvi che le matite e gli inchiostri sono di altissimo livello pur nelle loro diversità. E se questo mio parere è dettato da pura passione, su un punto sono certo di poter dire la mia con ragionevole certezza: i dialoghi. Vero, per Zagor sono sempre stati un punto di forza, eppur in queste 288 pagine raggiungono vette di assoluta bellezza.
In parole semplici, dunque, non mi resta che congedarmi conscio di aver fatto il mio dovere. Anche perché unire il divertimento all’apprendimento è pratica che dovrebbe guidare le nostre azioni quotidiane. Concetto spicciolo di assoluta verità.