L'amico Davide Aicardi mi ha gentilmente ospitato, con una puntata speciale, sul suo podcast "Due minuti di sceneggiatura", nell'episodio del 17 febbraio. L'invito, e la sfida, era a raccontare la mia esperienza di sceneggiatore in due minuti (o poco più). Potete ascoltare il mio contributo su Spotify, cercandolo all'indirizzo indicato da questo link. Se volete, invece, leggerlo, eccolo trascritto per voi qui di seguito.
DUE MINUTI DI SCENEGGIATURA
di Moreno Burattini
di Moreno Burattini
Raccontare la sceneggiatura in due minuti dopo quaranta anni che sceneggio è una bella sfida ma non troppo diversa dal far stare una storia a fumetti in dieci tavole, o in quattro, in due, in una.
Cosa che mi è successo di dover fare.
Quarant’anni che sceneggio vuol dire anche che sono vecchio e probabilmente troppo vecchio per insegnare qualcosa ai troppo giovani, dato che quando ero piccolo il mondo me lo spiegavano gli anziani e ora che sono anziano io mondo me lo faccio spiegare dai miei figli. In pratica è una vita che del mondo non ci capisco niente.
Tuttavia, se proprio ci tenete al mio parere, per sceneggiare un fumetto servono due cose. La prima, avere un piccolo (o grande) talento di affabulatore.
Bisogna cioè essere bravi a inventare storie e, soprattutto, a saperle raccontare. Io non ho particolari talenti, probabilmente solo due, uno è raccontare storie e l’altro non si può dire.
Non so mettere le mani in un motore, non so ballare, non so giocare a tennis, però fin da piccolo mi sono accorto che sapevo inventare storie con un capo e una coda e se le raccontavo qualcuno mi stava a sentire. Saper farsi ascoltare vuol dire saper quanto farla lunga, quando fermarsi nel momento giusto, quando inserire una accelerazione magari brusca, quando una battuta.
Vuol dire descrivere personaggi interessanti e diversi fra loro, ognuno caratterizzato da una personalità e uno scopo, anche prendendoli in prestito dalle tante maschere della commedia dell’arte (si impara presto a manovrare figure archetipiche senza neppure essere coscienti di stare facendolo, istintivamente, sulla base di ciò che si è letto).
E qui arriviamo alla seconda cosa che è necessaria, anzi: indispensabile. L’aver letto. Non si sceneggiano fumetti se non si sono letti tanti fumetti. Di tutti i generi. Bisogna arrivare a pensare a fumetti, vedersi una tavola già disegnata (da un altro) prima ancora di averla scritta. Bisogna essere consapevoli che il fumetto ha una storia, che ci sono stati dei maestri immensi, dei giganti sulle cui spalle appoggiamo i piedi. Aver letto tanti fumetti e tanti maestri dovrebbe portarci alla consapevolezza che i fumetti si fanno appunto per chi li legge, e non per noi stessi. I fumetti raccontano una storia agli altri.
L’affabulatore è un cantastorie che raduna la gente del paese in una piazza e narra avventure. Poi passa con il cappello e riceverà tante più monetine quanto più avrà emozionato e divertito il suo pubblico. Perché i fumetti si fanno con uno scopo soltanto: trasmettere emozioni. Da noi, a chi ci legge. Con i tempi giusti, le pause giuste, le accelerazioni giuste. Così saremo letti e qualcuno di chi ci legge imparerà da noi i trucchi del mestiere. E così via, per l’eternità, da Omero a Zerocalcare.