Mi è capitato a volte di veder segnalare alcune mie storie su giornali, riviste e perfino programmi radiofonici e televisivi non specificamente dedicati ai fumetti. Il che, ovviamente, fa molto piacere. Da questo punto di vista, tutti i record di interesse sono stati battuti dal Maxi Zagor "
Agenti Segreti", uscito nel luglio del 2005, dove lo Spirito con la Scure incontra il filosofo francese
Alexis de Tocqueville, autore del saggio "La democrazia in America", che realmente compì un celebre viaggio negli Stati Uniti in epoca zagoriana (attraversando proprio i territori dove idealmente viene collocata la foresta di Darkwood). Poiché in quell'anno ricorreva il bicentenario della nascita dello scrittore, con grande sorpresa della Casa editrice (ma non mia) abbiamo avuto un ricco campionario di articoli di giornale dedicati all'evento, con intere pagine di quotidiano che ne parlavano. Uno dei pezzi più interessanti, firmato da Vittorio Macioce,
lo potete leggere qui.
Altri casi del genere si sono ripetuti con la storia alpinistica de "
Il gigante di pietra", di cui si sono interessati RAI 2, la rivista degli Alpini e l'Adige di Trento, e con lo Speciale "
I cavalieri del Graal", finito addirittura in un informatissimo saggio sulle trasposizioni fatti storici nella fiction, "Historic Park", di Matteo Sanfilippo (Ed. Elleu, 2004) dove la mia ipotesi sulla possibile attuale collocazione della reliquia è stata riportata e commentata a pag. 115. Qual era questa ipotesi? Ne parlo volentieri, dato che mi è stato esplicitamente chiesto di farlo (per esempio da Devilmax, intervenuto a commentare
un precedente post su un altro Speciale, quello dedicato a
Cristoforo Colombo). Dato che, per affrontare l'argomento, dovrò trattare di temi di interesse generale, come appunto la leggenda del Re Pescatore e la storia dei Templari, ma anche di George Catlin e dei Mandan, non dubito che la cosa possa incuriosire anche i non-lettori di Zagor (e magari convincerli a leggerlo, hai visto mai). Scrivere su "I cavalieri del Graal" mi permetterà anche di rispondere (mi si perdonerà ogni tanto un po' di vena polemica) a qualche critica a mio avviso ingiustificata, letta qua e e là in mezzo, per fortuna, a tanti apprezzamenti. Non sarò breve, ma spero di non essere troppo noioso.
Cominciamo con il dire che lo Speciale "I cavalieri del Graal", il decimo della serie, è datato 1998 e disegnato da
Gallieno Ferri. All'epoca gli speciali bonelliani contavano ancora soltanto 128 tavole, ma avevano allegato un albetto di altre 32, dedicato a un comprimario. Quell'anno, sempre io e Ferri realizzammo una breve storia con prot agonista Trampy, intitolata "
Il colpo della pistola", vale a dire l'albetto di quel tipo che io preferisco fra quelli scritti da me, e di cui un giorno mi piacerebbe tornare a parlare.
Zagor, per tradizione, dipana le sue storie su duecento, trecento o anche quattrocento pagine. E' sempre difficile, per qualunque sceneggiatore, concentrare un racconto avvincente dello Spirito con la Scure in un centinaio di tavole o poco più, dato che l'eroe di Darkwood ha bisogno di spazi epici, di combattimenti fisici, di fughe e inseguimenti tra gli alberi e sui fiumi, di lunghi spostamenti, di gag comiche. Dunque, per me, dodici anni fa, non fu facile concentrare in poco spazio la tradizionale avventura zagoriana con il rimando ad albi precedenti, il riferimento a un sacco di fatti e di personaggi storici e la narrazione di diverse leggende facendo in modo che tutto risultasse comunque comprensibile all'interno della storia senza bisogno di dare per scontato che i lettori avessero nel proprio bagaglio culturale tutte le informazioni necessarie.
E' chiaro che l'idea di dedicare alla storia alla ricerca del Graal mi venne riflettendo sul fatto che l'argomento era un classico dei classici (nel 1989 era stato al centro anche del terzo film di Indiana Jones, per esempio) ma su Zagor, che pure era la testata bonelliana avventurosa per eccellenza e quella più aperta alle contaminazioni fantastiche, non se ne era mai parlato. Cominciai così a documentarmi, leggendo davvero di tutto. Le leggende sul Graal sono complicatissime e piene di agganci con altri miti, da quello dell'Arca dell'Alleanza, a quello della Lancia di Longino, a quello del Re Pescatore, a quelli dei Cavalieri della Tavola Rotonda, a quelli dei Templari, del Bafometto e della Setta degli Assassini. Ma, riflettendo su come potessi trasportare il Graal a Darkwood dando una parvenza di plausibilità alla cosa, mi capitò di collegare le mie letture sul Sacro Calice con quella di un altro libro che stavo facendo in quel periodo, e cioè con "Il popolo dei pellerossa" di George Catlin.
Chi era George Catlin? Come molti sanno, fu un pittore statunitense nato nel 1796 che, dopo aver compiuto un lungo viaggio tra le tribù indiane prima che cominciasse la conquista del West, poté dipingere i pellerossa così come vivevano quando ancora non erano i signori della Grandi Praterie, non erano stati sterminati dalle guerre e dalle epidemie o non si trovavano costretti nelle riserve. Oltre a realizzare centinaia di dipinti, Catlin descrisse i nativi americani anche in importanti articoli e saggi che costituiscono una preziosa testimonianza della loro storia. Come si vede ne "I cavalieri del Graal", in cui il pittore compare in una decina di tavole, Catlin portò i suoi quadri in giro per il mondo e li espose anche a Londra. Le sue opere sono fondamentali soprattutto per quanto riguarda i Mandan, un popolo indiano che si dedicava prevalentemente all'agricoltura e che viveva in quello che oggi è il North Dakota. Catlin visitò la tribù nel 1832 e la descrisse approfonditamente. Però, i Mandan scomparvero pochi anni dopo che lui li ebbe incontrati, sterminati nel 1837 dal vaiolo, una malattia da cui furono contagiati proprio a causa del contatto con i bianchi. In pratica, i racconti e i dipinti di Catlin sono una delle pochissime fonti che abbiamo per sapere qualcosa su questa misteriosa tribù.
Nella saga di Zagor, la tribù dei Mandan è legata a Richard "Beau" Whyndam, a sua moglie Kee-Noah e al fido Piotr Bezukoff, trapper di origine russa e zio di Kee-Noah. Nelle due avventure con Beau Whyndam, scritte da
Marcello Toninelli, i Mandan sembrano indiani come gli altri, senza particolarità degne di nota, eccetto per lo storico sterminio causato dal vaiolo, evento tragico ma niente affatto singolare, avendo riguardato molte altre popolazioni. Dopo l'avventura "Zagor l'implacabile" (di Toninelli & Pepe) i Mandan non esistono più, o meglio, sopravvivono all'epidemia pochi individui ospitati presso altre tribù (come si vede appunto all'inizio de "I cavalieri del Graal").
Visitando i Mandan, George Catlin notò qualcosa di misterioso che li riguardava. Così, con l'occhio del pittore, li descriveva nel 1832 in Letters and Notes on the North American Indians, appunto il suo voluminoso tomo noto in Italia con il titolo "Il popolo dei pellerossa": "Un forestiero che arriva in un villaggio Mandan è a prima vista colpito dalle differenti sfumature d'incarnato, dal vario colore dei capelli... ed è quasi portato a esclamare: 'Questi non sono indiani!'. Molti Mandan sono di corporatura minuta, e soprattutto fra le donne ve ne sono diverse di carnagione quasi bianca, ben proporzionate e di forme aggraziate. Hanno occhi marroni, grigi o anche azzurri, un'espressione dolce e mite, si comportano con grande pudore, il che le rende gradevoli e addirittura belle. Non conosco il perché di tali peculiarità fisiche, né essi stessi mi sanno dire qualcosa. Le loro tradizioni, per quanto fino ad ora ho saputo, non forniscono informazioni su un eventuale incontro con l'uomo bianco avvenuto prima della spedizione di Lewis e Clarke, risalente a una trentina di anni fa. E anche da allora, ben pochi bianchi si sono spinti fin qua e certamente non in numero sufficiente per influire sull'aspetto e sulle usanze di questa nazione. Ricordo perfettamente che il Governatore Clark mi disse, prima che partissi, che avrei trovato un popolo strano, mezzo bianco. La diversità nel colore dei capelli è altrettanto evidente. In un folto gruppo di Mandan (e soprattutto fra le donne, che mai si curano di cambiare il colore dei loro capelli, come invece fanno sovente gli uomini) si possono notare tutte quelle sfumature che si riscontrano dalle nostre parti, fatta eccezione per il rosso e il color rame".
E ancora: "I Mandan (
See-poosh-kah-nu-mah-kah-kee, 'il popolo dei fagiani' come si chiamano nella loro lingua) sono probabilmente una delle tribù più antiche, la loro origine è avvolta nel mistero e nelle tenebre del tempo. Ci troviamo di fronte a una razza peculiare, separata dalle altre". Per spiegarne l'origine, Catlin propose una suggestiva e fantasiosa teoria: i Mandan discendevano da una spedizione di gallesi agli ordini del
principe Madoc, che erano salpati in cerca di nuove terre in pieno Medioevo, con dieci navi, e non erano più tornati.
Chi era esattamente Madoc? Madoc o Madog ab Owain Gwynedd fu un principe gallese che, raccontano le leggende, fece vela verso l'America nel 1170, più di trecento anni prima di Cristoforo Colombo. Durante l'era elisabettiana, la tradizione secondo cui Madoc sarebbe sopravvissuto al viaggio e avrebbe preso possesso di una nuova terra fu usata per sostenere che l'America era proprietà del regno d'Inghilterra. In ogni caso, ci sono state per secoli molte ipotesi sul fatto che un viaggio del genere abbia davvero avuto successo e ovviamente la storia ha fornito materiale per poeti e romanzieri di ogni epoca. Alcune di queste ipotesi erano comunque basate su testimonianze concrete e su fatti reali. Già nel corso dei Seicento, alcuni esploratori riferirono di indiani che parlavano una lingua stranamente simile all'antico gallese. Nel 1810, per dirne un'altra. John Sevier, primo governatore del Tennessee, riferì di una sua conversazione con un vecchio capo Cherokee, Oconostota, a proposito di alcune antiche fortificazioni lungo il fiume Alabama che, secondo il pellerossa, sarebbero state costruite da un popolo dalla pelle bianca chiamato "Welsh", identificabile con i Mandan, una tribù molto diversa da tutte le altre per lingua, cultura e aspetto fisico. In effetti Catlin fu sorpreso, come abbiamo visto, nello scoprire che i Mandan avevano tratti somatici simili agli occidentali e talora occhi azzurri, capelli rossi o addirittura biondi, e pelle chiara. Per lui, non c'erano dubbi. Discendevano dai gallesi di Madoc. Altri, in seguito, come Paul Hermann, si dissero invece convinti che alla loro origine ci fossero i vikinghi che avevano colonizzato Terranova (da loro ribattezzata "Vinland"), evidentemente spintisi poi anche verso Sud, incontrando le popolazioni indiane. Un'altra ipotesi, più recente, è che giacimenti di uranio abbiano alterato nel tempo i lineamenti della tribù. La spiegazione più probabile è comunque quella che io ho messo in bocca a Zagor ne "I cavalieri del Graal". A pagina 18 gli faccio dire, infatti: "Notai anch'io alcuni individui del genere, ma pensai che si trattasse di individui albini, o nati dal matrimonio tra squaw e trapper".
A sostegno della sua tesi, Catlin portava alcune affinità linguistiche tra il gallese e la lingua Mandan: Grande Spirito, per esempio, si dice
Maho Peneta in gallese e
Mawr Peneathir in Mandan. Inoltre, gli strani pellerossa sapevano modellare la creta, abitavano in case di forma circolare, in parte sotterranee, e le loro canoe erano rotonde e in pelle come i canotti usati nel Galles occidentale (le vedete nel dipinto qua a fianco). C'è da notare che le capanne con le piante circolari usate dai Mandan non erano le semplici costruzioni chiamate wigwam delle altre tribù, ma avevano fondamenta profonde costruite secondo tecniche architettoniche piuttosto insolite. Va sottolineato il fatto che gli edifici a pianta circolare erano tipici dell'architettura dei Templari, e di questo parleremo ancora in seguito. Pochi anni dopo la visita di Catlin, i Mandan furono contagiati dal vaiolo. Nel giro di pochi mesi l'intera tribù fu annientata. Non è mai stato possibile verificare se davvero i Mandan avessero un aspetto così "occidentale" o se soltanto alcuni individui spiccavano per caratteristiche somatiche diverse da quelle del tipico pellerossa.
Nel 1939 George Catlin si imbarcò a New York diretto a Liverpool, allo scopo di trasferire a Londra la sua "
Indian Gallery", cioè la raccolta di quadri con soggetti indiani realizzati dal vero durante i suoi viaggi. Il 1° febbraio 1940 la Gallery aprì al pubblico in Piccadilly Circus, per uno scellino a persona. Catlin restò nelle sale a disposizione di chi chiedeva ulteriori informazioni, e a sera teneva delle conferenze. Il successo fu clamoroso. Nel 1841 uscì la prima edizione de "Il popolo dei pellerossa". Le recensioni furono favorevolissime. Anche questo particolare (cioè, la divulgazione in Europa delle caratteristiche dei Mandan) è stato da me sfruttato nel corso della mia storia. A proposito, guardate il dipinto qua accanto in cui Catlin raffigura se stesso mentre disegna e confrontatelo con la vignetta iniziale di pagina 17 de "I cavalieri del Graal". Anche tutti i quadri del pittore che si vedono nelle tavole di Ferri sono ispirate alle vere tele dell'americano, così come gli scorci del villaggio Mandan.
Preso atto del mistero dei Mandan e della spiegazione che ne dava Catlin, passiamo adesso a occuparci dei Templari. I Templari furono un Ordine religioso e cavalleresco, costituito nel 1118 da Hugh de Payns e Geoffrey de Saint-Omer dietro esortazione di San Bernardo da Chiaravalle, con lo scopo di proteggere i pellegrini che si recavano in Terra Santa.
In realtà, sospettano molti (è la tesi, per esempio, di Graham Hancock, autore de "
Il mistero del Sacro Graal"), il vero motivo della loro esistenza fu la ricerca dell'Arca dell'Alleanza e del Sacro Graal (che per Hancock coinciderebbero, sarebbero la stessa cosa). Baldovino II, Re latino di Gerusalemme, li ospitò nell'ala orientale del proprio palazzo che sorgeva sulle rovine del Tempio, da qui gli appartenenti all'ordine presero il nome di templari.
All'ordine aderirono subito molti nobili cavalieri, e i Templari diventarono ben presto una potenza militare ed economica. Accumularono immense ricchezze e una grande quantità di terreni, ed edificarono circa novemila castelli, chiese e edifici (caratterizzati da una pianta circolare) in tutta Europa. Il potere dei Templari finì, con gli anni, a non risultare gradito né all'impero né al papato, e così, nel 1307, Filippo IV di Francia (detto Filippo il Bello) li accusò di eresia (i Templari avrebbero adorato l'idolo chiamato Bafometto) e nel 1312, in occasione del Concilio di Vienna, il papa Clemente V soppresse l'ordine. Benché ci siano spiegazioni più dietrologiche (Hancock sostiene che i Templari stessero per riportare in Francia l'Arca dell'Alleanza scovata in Etiopia e questo avrebbe accresciuto a dismisura il loro prestigio e il loro potere, oscurando imperatore e papa), si sostiene che Filippo il Bello volesse soprattutto impadronirsi delle ricchezze dell'Ordine per rimpinguare le sue casse. Venerdì 13 ottobre 1307 tutti i Templari che risiedevano in Francia vennero arrestati. A sera, erano 15000 le persone finite in catene. Da allora, proprio per questo, la data di venerdì 13 è considerata foriera di sfortuna. Il Gran Maestro Jacques de Molay e altri cavalieri che non vollero ammettere le proprie colpe furono condannati al rogo. Come previsto, comunque, Filippo il Bello fece confiscare i loro beni.
Secondo alcuni, i Templari erano depositari di molti segreti iniziatici, e, fra l'altro, possedevano certe carte geografiche che indicavano la rotta per le Americhe. Nel volume "I Templari in America", Jacques de Mahieu afferma che essi avrebbero raggiunto di nascosto il Nuovo Continente tre secoli prima di Colombo, partendo dal porto di La Rochelle. Dalla Setta degli Assassini avrebbero ricevuto perfino il Santo Graal, che corrisponderebbe al Bafometto (potrebbero essere la stessa cosa). Nel 1962, Gerard De Sède scrisse il libro "I Templari sono fra noi" in cui si sostiene che, lungi dall'essere stati distrutti da Filippo il Bello, i Templari si sono riorganizzati, dopo aver nascosto la maggior parte dei loro tesori a Gisors, o addirittura nel Nuovo Mondo.
Nel già citato "Il Mistero del Sacro Graal", Graham Hancock scrive così: "I Templari furono una ricca e potente confraternita internazionale di guerrieri religiosi: in quanto tali, dunque, malgrado gli sforzi di Re Filippo IV e di papa Clemente V, non si rivelarono affatto facili da distruggere. In Francia la soppressione dell'Ordine fu portata a termine in maniera radicale ed efficace; eppure anche qui alcuni confratelli riuscirono a sfuggire alla cattura, come per esempio l'intera flotta dei Templari che salpò dal porto atlantico di La Rochelle la mattina degli arresti e nessuno ne seppe mai più nulla". Il mistero della flotta templare scomparsa pone appunto le basi per la mia storia. Ma prima di scoprire perché, ci sono altre premesse da fare.
Che cos'è il
Graal? Lo sanno tutti: il calice che, secondo le leggende medievali, fu usato da Cristo nell'Ultima Cena; oppure la coppa in cui Giuseppe d'Arimatea avrebbe raccolto il sangue di Cristo crocifisso (secondo talune leggende si tratterebbe dello stesso calice, che sarebbe stato adoperato nelle due occasioni). In realtà, in un'epoca contrassegnata dalle crociate e da intensi contatti fra Occidente e Medio Oriente (intorno al 1100), le leggende anglosassoni e celtiche dei "calderoni magici" (basti pensare ad Asterix), o anche quelle latine (la Cornucopia), si mescolano con elementi pagani, orientali e paleocristiani dando vita a un mito connotato cristianamente solo in superficie.
In ogni caso, il Graal è considerato un oggetto sacro e misterioso che veniva custodito in un tempio o castello in Bretagna, la cui scomparsa scatenò il "wasteland" e la sua ricerca da parte dei cavalieri più arditi e più puri. I mortali che riescano ad arrivarvi conquisteranno la felicità terrena e celeste, ma solo ai puri è dato raggiungerlo. Il Graal è un oggetto materiale e spirituale assieme. Non si conosce esattamente la sua natura, forse è una pietra, forse è un libro, forse un contenitore; può guarire le ferite, dona una vita lunghissima, garantisce l'abbondanza, ma è anche dotato di poteri devastanti. Secondo altri, come tutti sanno dopo "Il Codice da Vinci", il Sacro Graal potrebbe essere in realtà il Sang Real, cioè la discendenza di Gesù Cristo attraverso il grembo di Maria Maddalena. Ma su questo (che pure è un argomento interessante su cui mi piacerebbe tornare), sorvoliamo.
La leggenda del Graal è una delle creazioni poetiche più alte del Medioevo europeo. Inserita nel ciclo arturiano, essa trova la sua prima grande espressione letteraria nel
Perceval ou le conte du Graal di
Chrétien de Troyes (databile circa 1180), poema cavalleresco rimasto incompiuto e continuato da altri poeti. In questo racconto il Graal non viene mai definito "santo" e non ha nulla a che vedere con la coppa che avrebbe contenuto il sangue di Cristo. Fondamentale anche il
Perzival del tedesco
Wolfram von Eschenbach, secondo il quale il Graal sarebbe una pietra magica (
lapis exillis) che produce ogni cosa che si possa desiderare sulla tavola in virtù della sua sola presenza. Non sfugga che ho dato il nome di Wolfram a un templare della mia storia. Scrive
Mauro Boselli nell'introduzione a "I cavalieri del Graal": "Andatevi a leggere i romanzi medievali di Chretien de Troyes, ragazzi! Sono fantastici: i fumetti dell'era feudale!".
Dunque il Graal, in origine, prima della "contaminazione" cristiana che lo trasforma nella coppa dell'ultima cena, è qualcosa dotato di poteri mistici (usato inizialmente assieme ad altri con poteri simili). E' oggetto di una ricerca che ponga fine al "wasteland", ovverosia alla "devastazione" sia fisica che spirituale della condizione umana. Sembra che Merlino avesse come missione somma quella di recuperare il Graal, per riportare la salvezza e la prosperità sulla Terra. Il processo di sublimazione religiosa della tematica cavalleresco-mondana comincia attorno al 1200, e si compie nelle numerose versioni in prosa della leggenda, di cui si ricordano il Lancelot (1220-25) e la Queste dou Saïnt Graal (circa 1220), dove ormai la ricerca del Graal s'identifica con la ricerca di Dio. Fu Robert de Boron, nel suo Joseph d'Arimathie composto tra il 1170 e il 1212 ad aggiungere il dettaglio che il Graal sarebbe la coppa usata nell'Ultima Cena.
Ma occupiamoci della versione cristiana della leggenda del Graal, che su Zagor non comunque non è sostenuta (anzi, si raccontano soprattutto le versioni laiche ed anglosassone), ma che è fondamentale per capire il senso della mia storia. Giuseppe d'Arimatea, secondo i vangeli, era un ricco mercante di Gerusalemme membro del Sinedrio: offrì la stanza dove si tenne l'Ultima Cena, si oppose alla crocifissione senza riuscire a impedirla, raccolse il sangue di Cristo nella coppa usata nel cenacolo per la prima Eucaristia. Dopo la resurrezione di Gesù, si cominciò a organizzare la predicazione del vangelo nel mondo e, secondo la tradizione, fra gli altri, dodici uomini partirono per cercare di convertire i Galli. Il capo di questi missionari fu appunto Giuseppe d'Arimatea. Costui portò con se la coppa santificata dal sangue della croce, convinto di trarne forza e coraggio. Dopo varie peripezie, dalla Gallia Giuseppe passò in Britannia. Esistono, in effetti, numerose tracce leggendarie del suo passaggio in molte leggende della Provenza, dell'Aquitania, della Bretagna e del Galles.
Il punto di arrivo di Giuseppe sarebbe l'odierna Glastonbury: lì si appoggiò sul suo bastone per pregare ed esso si trasformò in un biancospino. Ancora oggi un albero di duemila anni che fiorisce due volte, per Pasqua e per l'Epifania, cresce a Glastonbury e viene considerato sacro. Nei pressi, Giuseppe edificò la prima chiesa cristiana dell'Inghilterra. E vi depose il Graal. Ci sarebbero altre leggende che parlano di un passato inglese di Giuseppe d'Arimatea ancora precedente a questo viaggio (si dice che fosse un britanno, e che avrebbe addirittura portato Gesù in Inghilterra durante i diciotto anni dell'infanzia segreta del Cristo) ma lasciamo perdere: ciò che ci interessa è sapere che il Graal risulta essere, sulla base delle leggende, finito nelle isole inglesi. Da lì, però scomparve. Cosa risaputa, visto il fiorire delle leggende con Re Artù e i cavalieri che davano la caccia alla sacra coppa. Finì di nuovo in Medio Oriente, almeno stando alle leggende della "Materia di Bretagna", e probabilmente ci ritornò per via del Prete Gianni (il cui regno si ritiene essere stato in Arabia o in Etiopia). Dal Medio Oriente fu recuperato (secondo alcuni) proprio dai Templari.
C'è da segnalare che lo storico Gerard De Sede, l'autore di "I Templari sono fra noi" sostiene che Filippo il Bello non riuscì a impossessarsi che di una parte dei tesori dei Templari, e che fra quelli su cui non poté mettere le mani c'è anche il Graal. Secondo De Sede i tesori (e i Graal) sarebbero nascosti nel castello di Gisors, ma a noi importa sapere che è possibile che i Templari possedessero il Graal. Lo avrebbero ottenuto in Terra Santa, dalla Setta degli Assassini con cui erano, stranamente (e forse proprio per via del Graal) in contatto. Prima di essere sterminati, gli Assassini affidarono il loro Bafometto ai Templari, e il Bafometto potrebbe essere appunto il Graal. Da notare che fra le accuse utilizzate da Filippo il Bello contro i Templari c'era appunto quella di essere adoratori del Bafometto. Del resto il Wofram, l'autore del poema "Parzival", da cui si ricavano molte notizie sul Graal, datato 1210, scrive che i cavalieri che custodivano il Graal erano certi misteriosi "templeisen", e il nome alluderebbe appunto ai Templari.
Comunque sia, il Graal scomparve. Si sono fatte decine di ipotesi sulla sua sorte. C'è chi dice che è ancora in Inghilterra, chi dice che è in Francia, chi dice che è in Italia (a Castel del Monte, a Bari, a Torino), chi dice che è in Oriente. La mia ipotesi romanzesca è invece questa: e se invece di essere discendenti del principe di Madoc e i suoi transfughi, i Mandan discendessero dalla flotta dei Templari fuggiti il 13 ottobre 1307 da La Rochelle?
Se davvero, come si dice, i Templari erano a conoscenza di carte geografiche che mostravano le rotte verso il Nuovo Mondo, è possibile ipotizzare che la flotta di La Rochelle fosse pronta a partire per mettere in salvo quanti più Templari poteva e soprattutto quanto più oro fosse possibile, in attesa di tempi migliori. Poiché la persecuzione derivava, oltre che da Filippo il Bello, anche dal papa avignonese Clemente V, i Templari sarebbero stati perseguitati in tutto il mondo cristiano: dunque, cercare un nascondiglio in terre sconosciute come l'America (a loro invece note) poteva essere la scelta migliore, sempre attendendo lo sviluppo degli eventi.
I Mandan con i capelli biondi e la pelle chiara visti da Catlin, potrebbero essere dunque i discendenti di quei Templari sbarcati in America quasi trecento anni prima di Cristo, e mai più riusciti a tornare indietro. Le case circolari con profonde fondamenta tipiche dei Mandan, sarebbero reminiscenze dell'antica origine (la pianta circolare è caratteristica dell'architettura templare). L'ipotesi non è che i Templari abbiano fondato una colonia e si siano poi imbarbariti perdendo la memoria delle loro origini, cosa improbabile in soli trecento anni. Però, magari, sono stati sterminati dai pellerossa, o uccisi dalle malattie o dalle difficoltà. Alcuni di loro, o dei loro servi o dei loro marinai, ultimi superstiti, potrebbero essersi uniti alle tribù locali o comunque aver avuto figli da delle squaw, e così i lineamenti "occidentali" di alcuni Mandan visti da Catlin sarebbero spiegati. I Templari si sono estinti, ma il loro tesoro è stato nascosto in attesa che qualcuno venisse a recuperarlo.
Per gran parte del mio racconto, alcuni personaggi danno una caccia forsennata al Graal, nascosto in America nella regione abitata dai Mandan. Alla fine scopriremo che la caccia viene data, in realtà, a qualcos'altro. I personaggi in questione sono dei cavalieri templari. Possibile che ne esistessero ancora nell'Ottocento? Come si è visto, si ritiene da più parti che i Templari non sia scomparsi dopo la persecuzione iniziata nel 1307. Ufficialmente, una parvenza di Ordine esiste ancora. Gli eredi più accreditati, anche se in linea indiretta, dell'Ordine dei Templari sono i Cavalieri di Malta, già Ospitalieri di San Giovanni (che non c'entrano nulla con la storia zagoriana di cui ci stiamo occupando). Umberto Eco ha dedicato alla sopravvivenza dei Templari fino ai nostri giorni il suo romanzo più bello, "Il pendolo di Foucauld". Quasi sicuramente, i Templari sono alla base della massoneria. Hancock, l'autore del "Mistero del Sacro Graal" riferisce che nelle isole inglesi i Templari non furono perseguitati come altrove e che lì riuscirono a riorganizzarsi piuttosto bene.
Non andiamo a impelagarci in altre questioni storiche: limitiamoci a immaginare che in Inghilterra, appunto, alcuni cavalieri più convinti che altri abbiano continuato a tramandare le tradizioni templari e, facendo affidamento sui tesori imboscati prima della confisca, abbiano mantenuto basi segrete e strutture efficienti. In particolare, agendo contro gli infedeli durante le lunghe guerre del basso medioevo e del Rinascimento contro sultani ed emiri (il loro scopo era difendere la cristianità, in fondo) e sempre cercando il Sacro Graal e l'Arca dell'Alleanza, simboli che se fossero finiti di nuovo in mano loro avrebbero potuto garantire il ritorno in auge dell'Ordine, macchiato dalle infamanti accuse di Filippo in Bello e del Concilio di Vienna. Convinti di dover lottare contro gli arabi per riprendersi l'Arca, l'Ordine rimasto segreto ha sempre potuto contare su gruppi armati attrezzati ed allenati, peraltro impiegati spesso in combattimenti, anche senza venire menzionati, in Oriente, o altrove, in difesa di terre o sovrani. Agli occhi dei templari, cinquecento anni sono bruscolini: l'epoca di Zagor non è nulla per loro.
Immaginando, ancora, che in epoca zagoriana uno dei loro capi, Graham Rosencrantz (il nome me lo sono inventato), da tutti chiamato Maestro, abbia visto a Londra i quadri di Catlin, assista a una delle sue conferenze, abbia letto il suo libro (le opere di Catlin furono diffuse a Londra solo dopo il '40, ma non stiamo a sottilizzare, è pur sempre epoca zagoriana), è facile supporre che i Templari si siano convinti di aver ritrovato le tracce della flotta scomparsa. L'ipotesi mia e del Maestro a questo punto diventa la seguente: dopo aver raggiunto il Nuovo Mondo e aver provveduto a costruire una fortezza per custodire al sicuro i tesori e il Graal, una delle navi riuscì a far ritorno e a portare notizie della flotta; solo che i suoi occupanti furono arrestati e finirono al rogo. Poi, dall'America non tornò nessuno e salvo sapere che una base era stata effettivamente costruita, nient'altro era stato possibile conoscere.
Il Maestro imbarca subito un contingente di uomini che giunge in America in incognito, in abiti borghesi. Lui li galvanizza sostenendo che è certo che la fortezza nel Nuovo Mondo fu costruita per nascondere il Graal, e che oggi i musulmani sono stati sostituiti dalle tribù indiane, selvagge e pagane al pari dei mori, che celano la fortezza nelle loro terre impedendo agli eredi dei Templari di raggiungerla. Se loro la ritroveranno, entreranno nella storia, e l'Ordine verrà riabilitato agli occhi del mondo. Contro i pellerossa devono combattere una nuova crociata. Nel Nuovo Mondo, il gruppo ha però le divise da Templari, belle e pittoresche come da illustrazione, e le indossa combattendo, anche se oltre alle spade hanno anche pistole e fucili. In realtà, Rosencrantz nasconde ai suoi uomini la verità.
A tutto ciò, ipotesi fantastiche legate a fatti storici, ho aggiunto e intrecciato tutti i possibili riferimenti alle leggende e al folklore. Per esempio quelli legati al demone
Bafometto, o Baphomet, parola probabilmente nata come deformazione in lingua provenzale di Maometto, in quanto le moschee venivano chiamate Baphomeris. Il Bafometto, pur idolo pagano, è raffigurato sul portale della chiesa di Saint-Marry a Parigi e su quello della chiesa di Sainte-Craix a Provins come diavolo barbuto, con corna, alato, con artigli ed ermafrodito. Ma uno dei personaggi de "I cavalieri del Graal" è costruito per essere un preciso rimando a
Parsifal, o Perceval. Ho trovato il modo di narrare sia le leggende riguardo alla sua infanzia e alla segregazione dal mondo a opera della madre che voleva impedirgli di diventare un cavaliere, sia il suo incontro con il
Re Pescatore, sofferente e ferito, di cui alla fine prende il posto come custode del Graal. Però, come sa chi ha letto la storia, mai in tutto l'albo si vede il Graal, mai si è certi che
Percy Knight (il personaggio in questione) sia davvero Perceval, mai si sa se il Bafometto sia davvero a difesa del Sacro Calice. L'unica cosa di cui si ha certezza è che i Templari hanno nascosto a Darkwood, in territorio Mandan, una parte dei loro tesori, che sono l'unica cosa che interessa davvero a Rosencrantz.
Se siete arrivati fin qui, avrete capito che, bella o brutta che sia, la storia de "I cavalieri del Graal" è nata da un certo sforzo di documentazione e da molte letture. Tuttavia, secondo me, si inserisce perfettamente nella tradizione zagoriana. E' questo il parere della maggior parte dei commentatori del forum SCLS,
che hanno dedicato uno topic allo Speciale. In particolare, Max scrive: "Il tema di questo episodio è la celeberrima ricerca del Graal, che vede i nostri protagonisti (si rivedono Beau e consorte) inseriti in una classicissima avventura, tipica zagoriana, che presenta una struttura caratterizzata da: la presentazione dei cattivi di turno; la tradizionale richiesta di aiuto a Zagor e Cico di qualche amico o conoscente, arricchita da spiegazioni e motivi che li spingono ad entrare nella dimensione-avventura; le consuete proteste di Cico; il lungo viaggio denso di pericoli e emozioni che conduce alla meta, a volte un tesoro,a volte la soluzione di un mistero,oppure la ricerca di una persona scomparsa... schema classico, che abbiamo visto tante volte,.ma che a mio avviso è una ricetta eterna, immortale, che è giusto non cambi mai. Ma oltre a questo, il buon Moreno, arricchendo la trema, e decorando la narrazione di elementi originali e inediti, aggiunge una misteriosa setta di invasati, che vorrebbero ereditare le tradizioni dei templari, antiche e misteriose tradizioni indiane, e la ricerca del mitico e leggendario Graal... tutto questo, condito con riferimenti e notizie giunte da un mondo fantastico, che si trova in uno strato sottile a confine tra mitologia e storia".
Tuttavia, è giusto dar conto anche delle critiche, che ho trovato concentrate soprattutto (se non quasi esclusivamente)
nella recensione di uBC, opera del bravo
Daniele Alfonso. Il quale, per fare un esempio legato a quanto abbiamo detto poco sopra a proposito del demone arabo e di Parsifal, scrive: "Difficile giustificare la presenza del Bafometto alla fine della storia: cos'ha a che fare un cristianissimo Percy Knight con una divinità pagana?". Ora, le critiche fondate sono sempre ben accette (e personalmente non mi inalbero in modo particolare neppure di fronte a quelle a mio avviso infondate), ma direi che sarebbe bastato leggere con più attenzione il racconto per capire che i Templari e Bafometto sono legati dalla tradizione e non uniti forzatamente insieme dal sottoscritto (una delle accuse che li riguardava era appunto di adorare un idolo pagano), e che in ogni caso alla fine della storia si dice che il demone era una entità evocata per proteggere il Graal, dunque con la stessa missione di Perceval. Del resto, allora, ci si potrebbe chiedere anche che cosa abbia a che fare il Bafometto, divinità pagana, con la chiesa di Saint-Marry a Parigi, sul cui portale è raffigurato.
Secondo Alfonso, però ci sarebbero altri elementi "che rendono la vicenda abbastanza improbabile". Prima di vedere quali sono, permettetemi di sorridere riflettendo sul fatto che qualcuno debba esercitarsi nell'arte di cogliere "l'improbabilità" di una storia zagoriana, nell'ambito cioè di una serie avventuroso-fantastica in cui ci sono robot alti come un palazzo, alieni akkroniani, uomini lupo e uomini tigre, mostri della Laguna Nera, draghi a tre teste, uomini delle caverne, vikinghi, vampiri, mummie viventi e chi più ne ha più ne metta. Insomma, l' "improbabilità" è un elemento di critica da cui, almeno su Zagor, si dovrebbe prescindere. Non tanto nelle mie storie (che anzi, cerco di rendere, per mia indole, le più plausibili possibili) quanto proprio in quelle nolittiane che hanno gettato le fondamenta della saga, perché se non potremmo cominciare con il dire che è "improbabile" persino "Odissea Americana".
Tuttavia, ecco quali sono le "improbabilità" di cui mi si accusa. Scrive Daniele Alfonso: "non convince, ad esempio, è che i Templari abbiano organizzato una spedizione in massa, e che vadano in giro bardati come guerrieri medievali, mulinando le spade contro i pellerossa della zona: sembra il modo migliore per attirare l'attenzione delle autorità militari. Passi lo sfrenato fanatismo, ma che i Templari di Rosencrantz vadano in giro per Darkwood con tanto di elmi, armature, mantelli e spadoni sembra francamente eccessivo (anche se i Conquistadores andavano bardati in modo simile). Rosencrantz è convinto che le divise siano un vantaggio, ma è difficile credergli. Oltretutto, pare strano che il comportamento dei templari non attiri l'attenzione delle autorità militari della zona". Sarebbe facile rispondere che nessuno sceneggiatore al mondo sano di mente, avendo ideato una storia con i templari (e per di più nel contesto di una serie come Zagor, dove si sono visti samurai, vikinghi, egiziani sui dromedari, guerrieri arabi), li faccia andare in giro vestiti come Lord Brummel. Vi immaginate la scena di copertina, in cui Zagor si spaventa vedendo arrivare a cavallo dei gentlemen inglesi? E' chiaro che il fascino del racconto è dato appunto nel vedere i templari vestiti da templari, e il narratore è obbligato a mettere in scena le classiche armature e i classici mantelli a beneficio peraltro di un Ferri che con queste cose ci va a nozze. Se non avessi fatto così, avrei deluso tutti (tranne Daniele Alfonso).
Tuttavia, proprio all'interno della storia, ho inserito una spiegazione (secondo me ragionevole) della faccenda (spiegazione di cui, peraltro, per i motivi detti sopra, non ci sarebbe stato neppure bisogno). Wolfram, il luogotenente di Rosencrantz, dice a un certo punto (a pagina 72) al Maestro: "Siete davvero convinto che queste uniformi addosso non ci daranno problemi lungo la strada?". E Rosencrantz risponde: "Al contrario... le divise ci saranno di vantaggio! Le terre che stiamo per attraversare sono ancora selvagge e quasi del tutto deserte. Con ogni probabilità incontreremo soltanto indiani, e maglie di ferro, spade ed elmi sembrano fatti apposta per incutere timore nei selvaggi. In più, servono a infondere spirito di corpo ai nostri uomini, soprattutto durante una missione come questa". E Wolfram annuisce: "Già... l'ultima ricerca del Graal, quella a cui ogni cavaliere del tempio ha sempre sognato di partecipare!". Mi pare che questo dialogo spieghi tutto (e poi qualcuno si meraviglia della necessità di fornire spiegazioni). Nelle terre dei Mandan e nelle regioni più occidentali di Darkwood non ci sono soldati ad ogni angolo, anzi, sono terre sterminate e selvagge, e i Templari intendono spaventare i pellerossa, che intendono o tenere alla larga o minacciare per ottenere informazioni (come si vede fin dalla scena iniziale).
Carlo Monni, sullo stesso forum citato prima, aggiunge: "Se c'è un luogo dove ormai siamo abituati a vederne di tutti i colori, quello è Darkwood. Se c'è una serie dove proprio di tutto può accadere, quella è Zagor Non ci siamo scandalizzati per gli scienziati pazzi che inventano mostri meccanici alti come palazzi e razzi teleguidati, alieni, entità ultraterrene, vampiri eccetera e la nostra sospensione dell'incredulità dovrebbe essere messa a dura prova da un gruppetto di fanatici che vanno in giro bardati come cavalieri medioevali con tanto di elmi, scudi e spadoni? Totò avrebbe commentato: 'Ma mi faccia il piacere!'. Permettetemi di dirlo, ma tra le tante cose che ho visto bazzicare per Darkwood, i presunti Templari mi sembrano proprio tra i più normali". E ancora: "Non perderò altro tempo a parlare della trama, piuttosto mi preme di sottolineare come Moreno sappia costruire una vicenda perfettamente coerente con le rivelazioni sul Graal fatte da Castelli su Martin Mystère anni fa. Perfino l'apparizione finale del Bafometto è perfettamente in linea con quella castelliana. A tutto ciò poi, Burattini aggiunge il suo tassello, ovvero: Percy Knight, novello Re Pescatore, alias Percival/Parsifal (ovvio che è lui)".
Ma c'è qualcos'altro che infastidisce Daniele Alfonso: "Un secondo elemento che fa storcere il naso è che il castello dei templari si trovi sommerso dalle acque di un lago a forma di croce: una ben strana coincidenza". Infatti non è una coincidenza: i Templari hanno costruito il loro castello lì proprio perché quel lago aveva quella forma. Erano alla ricerca di un luogo adatto e fra i tanti quello gli è parso un segno del destino. Se avessero trovato una rupe a forma di calice sarebbe stato lo stesso. Del resto, basta vedere i disegni di Ferri per capire come non sia poi una tipologia di lago così improbabile (basta riempire d'acqua l'incrocio fra due valli laterali e una principale) e mi è bastato fare un giro di due minuti su Google Maps per trovare in Minnesota il Jay Lake che oltre a somigliare a una croce sembra perfino l'aquila del simbolo sul petto di Zagor. "Una ben strana coincidenza!"."Terzo particolare a sfavore - conclude Daniele Alfonso - manca un qualsiasi tentativo di caratterizzazione dei personaggi. Si ha l'impressione che Whyndam, Kee-Noah e Bezukoff siano presenti solo perché devono esserci, visto che la storia tira in ballo gli indiani Mandan. Ma se al posto di Beau ci fosse stato un John Doe qualsiasi, la storia non sarebbe cambiata di una virgola. Bezukoff, poi, ha una parte quasi insignificante, ma anche lui deve esserci, perché se i lettori vedono Whyndam e non Bezukoff, hanno il diritto di chiedersi 'Che fine ha fatto quel grosso russo pelato?', e il meccanismo della storia, purtroppo, si inceppa. Rosencrantz, invece, fa la sua bella figura: un supercattivo classico, ma convincente". Ora, singolarmente, è lo stesso Daniele a evidenziare che Beau, Bezukoff e Kee-Noah ci dovevano essere in quanto legati ai Mandan. Sono fondamentali appunto per questo. Dunque come si può sostenere che se al posto di Whyndam ci fosse stato un altro sarebbe stato lo stesso? No, se ci fosse stato un "John Doe" qualsiasi la storia non sarebbe stata in piedi, altro che non sarebbe cambiata di una virgola. Quei tre personaggi ci volevano, e quei tre ho messo. Veniamo alla caratterizzazione. Beau, Bezukoff e Kee-Noah non li ho inventati io, ma Marcello Toninelli, che li ha usati in due sue belle storie. Li ha già caratterizzati lui a tutto tondo. Quello che io ero chiamato a fare era rispettare la perfetta caratterizzazione che già avevano. Mi si sarebbe potuto contestare, per esempio, di aver tradito questa caratterizzazione. Cosa che non ho fatto, evidentemente. C'è forse un punto in cui Beau, Bezukoff o Kee-Noah non si comportano da Beau, Bezukoff e Kee-Noah? No. Rispetto totale (e, lasciatemelo dire, professionale) dei personaggi. Dunque, che cosa mi si contesta? Con soltanto 128 tavole a disposizione per raccontare tutto e di più su Mandan, Graal e Templari avrei dovuto dedicare spazio a caratterizzare diversamente quel che Toninelli aveva già caratterizzato non in una ma in due storie (peraltro molto lunghe) e che tutti i lettori conoscevano a perfezione? Avrei dovuto rubare spazio alla ricerca del Graal per far vedere qualche gag di Cico con Bezukoff o qualche scena d'amore fra Beau e Kee-Noah? In realtà, sì: è esattamente quello che ho fatto. A pagina 14 c'è la famosa gag fra Cico e Bezukoff, a pagina 15 si ribadiscono tutti i titoli nobiliari di Whyndam, a pagina 71 c'è la scena d'amore fra Beau e Kee-Noah (ripetuta a pagina 129), e Kee-Noah non potrebbe essere nient'altro che una principessa Mandan, dato che è lei l'ultima custode del segreto della sua tribù che interessa a Rosencranz. Insomma, secondo me tutti i personaggi hanno il ruolo e la caratterizzazione che serve alla costruzione della trama e sono, come si suol dire, funzionali al racconto.
Mi conforta l'opinione del già citato Monni: "Mi ha fatto molto piacere vedere Burattini usare anche personaggi inventati da Toninelli, segno che lui, come del resto Boselli, ha una visione molto unitaria del mondo di Zagor. Certo, potrei lamentarmi del fatto che anche in questa storia continuano gli errori sull'uso e terminologia dei titoli nobiliari britannici, ma dopotutto non è una colpa esclusiva di Burattini e nel caso specifico è casomai colpa di Toninelli. Preferirei, certo, un po' più di accuratezza anche in questo, ma, a ben vedere, è un elemento fin troppo marginale in una storia per il resto venuta molto bene, mentre devo ammettere che io a volte so anche essere troppo pignolo". Non c'è comunque soltanto Kee-Noah come Mandan. Secondo me, sono interessanti i due personaggi iniziali, soprattutto il giovane che ha perso la fede negli dei. Ma Monni ne nota altri: "A qualcuno potrà sembrare strana quest'osservazione, ma mi sento di lodare Burattini per non aver ceduto alle lusinghe del buonismo. Le scene al piccolo insediamento di trappers sono un vero pugno nello stomaco, specie quando si scopre che se la madre è sopravvissuta, i suoi bambini no. Burattini ha il coraggio di violare una specie di codice non scritto per cui ai bambini non dovrebbe mai accadere nulla di male e quando poi anche l'unica superstite viene brutalmente uccisa dai cattivi costretti a rivelarsi, si arriva all'apice".
Ultima obiezione di uBC: "A p.62, Zagor, Cico e Bezukoff precipitano da notevole altezza, insieme ad un carro, in un fiume sottostante. La cosa strana è che non solo il carro non si sfascia, ma fortunatamente nemmeno sprofonda nell'acqua, e offre un riparo ai nostri eroi, formando una campana d'aria". Ohibò, un robusto carro di legno che cada nell'acqua di un fiume, si deve per forza sfasciare? Può darsi di sì, ma può darsi anche di no. Ci sono paracadutisti che sopravvivono alla mancata apertura del paracadute. Automobili che rimangono intere dopo essere cadute da un cavalcavia. Aerei miracolosamente illesi dopo gli ammaraggi. Però, secondo il mio critico, i carri dovrebbero inevitabilmente ridursi in mille pezzi se cadono in un fiume (evidentemente c'è qualche preciso studio fisico-ingegneristico-meccanico in proposito, di cui non sono a conoscenza, data la mia estrazione classico-letteraria). Su Zagor, ne capitano da sempre di tutti i colori: a me, però, si contesta la mancata disintegrazione di un carro a contatto con l'acqua. Non solo: il carro è di legno, ma mi si contesta anche che galleggi. Cioè, a detta dei miei detrattori, il legno dovrebbe inevitabilmente affondare. Che dire? Mi dichiaro colpevole: effettivamente, ho fatto galleggiare un pezzo di legno. Mi rimetto alla clemenza della corte.