lunedì 28 febbraio 2011

CIVITEX

La prima volta che ho letto il nome di Fabio Civitelli non è stato su un albo di Tex, e neppure su uno di Mister No. Forse non ci crederete, ma è stato su un albo di Alan Ford. Per l'esattezza, sul n° 16, intitolato "Un voto per Notax", dell'agosto 1970. E' lì sopra, infatti, che nella rubrica della "Posta" compare la lettera del quindicenne Fabio, che aveva inviato alcuni suoi disegni perchè Magnus li giudicasse. "Non sono malaccio" risponde il Raviola. Il destino ha voluto che poi Magnus e Civitelli (divenuto in seguito uno degli autori di punta della Sergio Bonelli Editore) si trovassero a disegnare lo stesso personaggio, Tex.

Naturalmente, della missiva pubblicata dalla Corno mi sono accorto soltanto molti anni dopo, quando ho riletto tutti gli albi della serie, Posta compresa, per scrivere con Francesco Manetti il mio "Alan Ford Index" (Paolo Ferriani Editore). All'epoca avevo già avuto modo di conoscere Fabio di persona, e anzi, di diventarne amico.





Non è un caso che, proprio di recente, ci siamo scambiati delle cortesie in pubblico: io ho scritto i commenti alle sue tavole pubblicate nel bel volume di Little Nemo "Il mio Tex", e lui ha firmato l'introduzione al libro mio e di Graziano Romani dedicato a Ticci (Coniglio Editore).


Durante lo scorso salone di Lucca ci siamo trovati a presenziare insieme alle rispettive presentazioni dei due titoli, e credo che, in coppia, chiacchieroni come siamo entrambi, abbiamo divertito il folto pubblico presente in entrambe le occasioni.


Nella foto più sotto ci vedete insieme a Stradella (Pavia) nell'edizione 2008 di "Oltrecomics"(e quello in mezzo a noi è Giovanni Battista Verger).


Oltre a incontrarlo in redazione o in occasione di manifestazioni fumettistiche in giro per l'Italia, rischio di imbattermi in Civitelli anche mentre faccio trekking sui crinali dell'appennino tosco-emiliano, e dico "rischio" perché mentre io arranco faticosamente a piedi, lui si getta dalle vette tra Modena e Pistoia in mountain bike, sport in cui è un asso riconosciuto, e dunque il pericolo è di venire travolti dalla sua due ruote.


Nato il 9 aprile 1955 a Lucignano, in provincia di Arezzo (città, quest'ultima, dove ancor oggi vive e lavora), Fabio Civitelli inizia giovanissimo a disegnare fumetti. I suoi primi lavori risalgono all'inizio degli Anni Settanta, quando cura per la Edifumetto di Renzo Barbieri la realizzazione di alcuni episodi di serie quali Terror e Lo Scheletro. Successivamente sostituisce Bruno Marraffa ai disegni di Zordon, della Ediperiodici, e illustra, su testi di Silverio Pisu, le storie del Dottor Salomon apparse sugli Albi dell'Intrepido della casa editrice Universo, per la quale collabora anche a L'Intrepido e Il Monello sotto lo pseudonimo di Pablo de Almaviva. Per la Mondadori cura alcune storie pubblicate su SuperGulp, cercando di riprodurre il tratto di Jack Kirby e di John Romita per realizzare i Fantastici Quattro e L'Uomo Ragno.


Nel 1979 approda alla Bonelli: l'esordio di Civitelli sugli albi bonelliani avviene con un nutrito gruppo di avventure di Mister No tra cui un paio considerate giustamente tra i classici del personaggio: "Ananga!" e "Alien", entrambe scritte da Tiziano Sclavi. Presto arriva la "promozione" alle tavole di Tex: il suo primo albo della testata leader di casa Bonelli è il 293. Da allora Civitelli si alterna con gli altri disegnatori della serie, con risultati che lo fanno annovare tra gli autori più significativi della nuova generazione di disegnatori dell'immarcescibile ranger.


Riconoscibile per il suo tratto pulitissimo, abilissimo nel gioco di contrasti fra bianco e nero, Fabio Civitelli dà il meglio di sè nella ricostruzione minuziosa di scenografie e di oggetti, fatta sempre alla luce di una ineccepibile documentazione. Da ricordare, a questo proposito, l'ottima e storicamente attendibile ricostruzione della New Orleans nella quale si muovono Tex e Carson nella storia "La città corrotta" (Tex 323).


Sempre pronto a sperimentare soluzioni grafiche, straordinario nella recitazione dei personaggi, Fabio è apprezzatissimo anche all'estero, come testimoniano gli omaggi tributatigli in Portogallo e in Brasile (al punto da aver disegnato alcune copertine per il mercato di questo Paese), Civitelli è anche stato l'autore del Tex a colori del sessantennale e, caso più unico che raro nella serie di Aquila della Notte, anche il soggettista di una storia. Si tratta anche di uno degli autori più intervistati in Rete, come dimostrano le sue risposte sul Tex Unofficial Site, il Tex Willer Blog, Collezioneggio, Amazing Comics, Fumetti di Carta e chi più ne ha più ne metta.


Saverio Ceri, l'impareggiabile curatore della rubrica "Diamo i Numeri", dedica proprio a lui la nuova puntata del suo spazio mensile. Gli cedo la parola. A seguire, per i più curiosi (dato che contiene gustose note autobiografiche), la prefazione scritta da Fabio per il libro "Giovanni Ticci, un 'americano' per Tex" .


Diamo i numeri 6



FABIO CIVITELLI: 30 E LODE
di Saverio Ceri


Molti hanno festeggiato nell’anno appena trascorso, i 25 anni di carriera Texiana di Fabio Civitelli. Pochi hanno notato che alcuni mesi or sono il disegnatore aretino ha festeggiato un altro importante traguardo: i trent’anni in Casa Bonelli. L’esordio di Civitelli per l’editore di Via Buonarroti risale infatti a Mister No n° 65 dell’ottobre 1980. Fu Alfredo Castelli a tenere a battesimo l’allora venticinquenne disegnatore, che in pochi anni divenne uno dei pilastri della testata dedicata al pilota amazzonico, per poi passare nel 1985 sulle pagine della serie ammiraglia della casa editrice: Tex.


In questi trent’anni bonelliani il nostro Fabio ha sfornato ufficialmente 4918 tavole; a queste andrebbero aggiunte per rimanere in ambito bonelliano le 16 pagine de “Il duello” una delle rare storie fuori-serie di Tex, realizzata completamente in technicolor in coppia con Nizzi per il settimanale Specchio nel 1998 e “Segnali di fumo” una tavola autoconclusiva sempre di Tex, sempre con Nizzi per il volume “il riposo del guerriero” delle Edizioni Hazard nel 2004.


Ma veniamo alle cifre ufficiali.

Quattro le testate che hanno ospitato le tavole di Civitelli (lasua foto qui a destra è copyright della brava Rita Carioti): Tex, Mister No, Collana Almanacchi e Orient Express.



3572 le tavole di Tex,



1334 quelle di Mister No



e 12 quelle di “Pomeriggio Cubano”, episodio autoconclusivo pubblicato su Orient Express 15 nel 1983.



Diciassette, a oggi, le avventure di Tex nelle quali Fabio ha messo lo zampino, otto quelle di Mister No.



Curiosamente, al contrario di quello che si potrebbe pensare, la “carriera” più lunga è quella su Mister No. Se infatti la prima tavola risale all’80, l’ultima è apparsa 26 anni dopo nel corso dell’ultima lunghissima avventura di Jerry Drake.


Primato quello dell’anti eroe nolittiano destinato ad essere presto battuto: se è vero, infatti, che la “carriera” di Civitelli su Tex è ferma a 24 anni (1985-2009), è anche vero che con la prossima avventura del ranger che verrà pubblicata a firma del nostro Fabio, le gerarchie verranno ristabilite e Aquila della Notte tornerà ad essere il personaggio sul quale Civitelli ha lavorato per una arco temporale maggiore.

Nove gli sceneggiatori che hanno scritto le sue storie; eccoli in rigoroso ordine di quantità:


Nizzi 3418
Castelli 377
Sclavi 303
Bonelli G.L. 268

Manfredi 220

Missaglia E. 198
Boselli 94
Nolitta 28
Ferrandino 12




Due considerazioni: di gran lunga Claudio Nizzi è stato il compagno d’avventure preferito da Civitelli, il 70% delle sue tavole sono state scritte dallo sceneggiatore di Fiumalbo; inoltre Civitelli è l’unico disegnatore bonelliano a poter vantare la collaborazione con i cinque più prolifici sceneggiatori di tutti i tempi della casa editrice, ha infatti lavorato su sceneggiature di G.L. Bonelli, Nizzi, Nolitta, Castelli e Boselli.


L’avventura più lunga realizzata da Fabio è “Gli spiriti della notte” (Tex 346-369), 369 pagine su testi di Nizzi, la più breve è “Pomeriggio Cubano”, 12 pagine sceneggiate da Ferrandino per Orient Express 15.



L’anno più prolifico per il nostro è stato il 1982 con 465 tavole pubblicate, seguito dalle 406 tavole del 1983 e dalle 369 del 1989. Il quinto posto è la posizione più alta raggiunta da Civitelli nella graduatoria annuale di tavole pubblicate dai disegnatori bonelliani; è successo tre volte nel’82, nell’86 e nell’89.



Ovviamente il minor numero di tavole annuale è 0, ed è accaduto per dieci volte. Il periodo di astinenza maggiore per i suoi fan è stato di due anni e mezzo, tra il 1997 e il 2000, tra Tex 445 e 475.


Le 4918 tavole realizzate hanno portato, ad oggi, Civitelli ad essere il 20° più prolifico disegnatore di tutti i tempi della casa editrice e, il 7° disegnatore di Tex e il 7° disegnatore di Mister No. Risultati di tutto rispetto,destinati a migliorare nei prossimi anni che consacreranno, grazie a un Texone da lui disegnato, Fabio Civitelli come uno dei grandi del fumetto, non solo italiano.
Saverio Ceri


UN DISEGNATORE “AMERICANO”
Di Fabio Civitelli



PREFAZIONE PER

"GIOVANNI TICCI, UN AMERICANO PER TEX"
di Moreno Burattini e Graziano Romani
(Coniglio Editore)


Sul finire degli anni sessanta ero un adolescente innamorato dei fumetti. Vivevo in un piccolo paese della Val di Chiana, Lucignano, situato esattamente al confine delle province di Arezzo e Siena. Fin dalle elementari mi ero appassionato alle avventure di Tex, personaggio che reputavo più avvincente e più “adulto” dei tanti eroi ragazzini che affollavano le edicole del tempo.


Eppure il mio interesse per il fumetto non si era fermato agli autori nostrani: il Nembo Kid della Mondadori, che altri non era se non l’americanissimo Superman, e soprattutto il Tarzan della Cenisio, testata che pubblicava fior di autori come Burne Hogarth, Joe Kubert e soprattutto Russ Manning (il mio preferito in assoluto) avevano spostato il mio gradimento dai pur bravissimi Galleppini, Letteri, Bignotti, eccetera, a questi disegnatori così dinamici e realistici al tempo stesso.Eppure quando andavo in edicola non mancavo di sbirciare il Tex Gigante, dato che le mie modestissime finanze non mi permettevano di acquistarlo tutti i mesi: quando aprii il numero 91 “Vendetta Indiana” rimasi stupefatto! Tutto quello che mi affascinava dei disegnatori americani lo ritrovavo nel nostro Tex! Un dinamismo incredibile, dei cavalli che sembravano schizzare fuori dalla vignetta, e soprattutto un’inchiostratura a pennino tagliente come la lama di un rasoio!


Da quel giorno tenni sempre da parte un soldino per acquistare le storie di questo talentuoso disegnatore di cui non sapevo nulla: lo stile lo classificava tra gli autori d’oltreoceano ma il nome, italianissimo, mi mandava in confusione. Non potevo certo immaginare che il mio idolo abitasse a Siena, a meno di 40 chilometri da casa mia!Soltanto più di quindici anni dopo, quando anch’io fui chiamato a realizzare le avventure di Aquila della notte, riuscii a conoscere lui e la sua collaboratrice più fidata, la moglie Monica, che si incaricava di scrivere il lettering, con precisione svizzera, su quelle tavole meravigliose. Da quel giorno divenne anche la mia letterista e grazie al fatto di doverle portare le mie tavole mese per mese, le mie visite si fecero via via più frequenti, e così negli anni ho potuto seguire in anteprima il lavoro di Giovanni e ho provato a carpirne i segreti.


Ticci è un disegnatore realistico. Eppure il suo non è un West fotografico. Nonostante possieda una imponente documentazione, è riuscito negli anni a realizzare una sua personalissima visione del mondo della frontiera. Prendiamo le rocce: in Arizona il vento, le intemperie, la sabbia hanno levigato le pietre e le pareti dei canyon, ma le rocce che lui disegna ne sono una idealizzazione, troppo rotonde, troppo levigate, troppo belle per essere vere. Però si percepiscono come tali, e il lettore si sente catapultato nella scena tanto da sentire la polvere, l’aria secca, il sole cocente!Le sue ombre rifuggono dalle mille sfumature delle fotografie: assimilata negli anni giovanili la lezione di Milton Caniff, i suoi colpi di pennello scolpiscono le pieghe degli abiti e il manto dei cavalli come Michelangelo scolpiva il marmo! E che dire del volto di Tex: uno sguardo di ghiaccio, un sorriso appena accennato, degli zigomi prominenti su delle guance tese, un collo come una colonna dorica!


Un capitolo a parte lo meriterebbero i suoi cavalli: è l’unico disegnatore che io conosca che riesce a far piegare i cavalli in curva come delle moto da Gran Premio e a fargli sollevare tanta polvere che nemmeno una divisione di carri armati potrebbe! Eppure grazie alla sua abilità, non solo vengono visti come realistici al massimo grado, ma sono diventati un modello di riferimento imprescindibile per qualunque disegnatore (me compreso) che si avvicini al fumetto western.
Potrei parlare a lungo di come Giovanni realizza gli ambienti, potrei descrivere i mattoni di adobe con cui sono costruiti i poveri villaggi messicani e le travi di legno dei villaggi dei bianchi, mai uguali, mai troppo levigate, sempre piene di nodi e imperfezioni, poteri parlarvi delle spartane abitazioni dei Navajos e delle tende degli indiani delle pianure, disegnate con tanti oggetti e suppellettili e che ci fanno entrare nella vita quotidiana dei loro abitanti.


Quello che invece mi preme sottolineare è la capacità di raccontare. Ognuno di noi si trova davanti un foglio bianco, generalmente formato A3, e di lato ha una paginetta dattiloscritta con una descrizione sommaria delle vignette, corredate dai dialoghi. Entro questa gabbia si deve muovere il disegnatore e Giovanni con assoluta naturalezza trova sempre la prospettiva giusta e l’inquadratura più adatta per raccontare la scena: se poi la sceneggiatura prevede una scena d’azione il Nostro si scatena e riesce a infondere un dinamismo tale da lasciare a bocca aperta: i cavalli si impennano, gli zoccoli visti in primissimo piano scagliano la polvere verso il lettore, i colpi di pistola escono dalle vignette e sconfinano in quelle vicine, i banditi colpiti cadono a terra in pose scomposte!


Una vignetta dopo l’altra le sue storie scorrono davanti ai nostri occhi leggibili e comprensibili anche senza leggere il testo: sembra tutto molto semplice, ma non lo è. Con modestia, con un pennino, un pennello e un po’ di china, Giovanni Ticci ci snocciola davanti questo piccolo, affascinante film. E fatichiamo a immaginare quanto sia invece difficile costruire un flusso di immagini così armoniche, così ben collegate, finché magari non ci troviamo a leggere le storie di qualche autore meno dotato. Allora riprendiamo in mano una sua storia e ci accorgiamo di tutte le sue qualità, della sua sofisticata abilità nel raccontare e della sua capacità di farci sognare un West più vero del vero.

sabato 26 febbraio 2011

FINCHE' MORTE NON VI SEPARI

Gli oggetti più costosi del mondo rispetto al loro effettivo valore sono le bomboniere, cioé quei gadget assolutamente inutili che parenti e amici ci consegnano insieme ai confetti in occasione del loro matrimonio. Si tratta in genere di piccoli soprammobili che costano l'ira di Dio a chi li compra, lasciano indifferente chi li riceve, e fanno imbestialire chi li spolvera sul ripiano su dove poi finiscono.

Avvicinandosi la data delle mie nozze con una fanciulla, tanto sconsiderata da accettarmi come consorte nonostante gli evidenti errori di fabbricazione del sottoscritto, pensai, a suo tempo (e cioè nel 1992), che la cosa più importante da fare fosse evitare come la peste l'acquisto, il confezionamento e la distribuzione delle orrende cianfrusaglie. Detto fatto, progettai di donare agli altri la bomboniera che da sempre avrei voluto ricevere io: una bomboniera a fumetti!

L'idea fu quella di chiedere a una trentina di autori italiani di fumetti un disegno inedito riguardante in qualche modo l'amore o il matrimonio, raccogliere il materiale in un elegante libretto a tiratura limitata, e confezionarlo insieme ai confetti di rito in un cofanetto di cartone. A commento delle immagini, una scelta di aforismi in tema, selezionati dalla mia collezione di citazioni citabili (peraltro, ho io stesso scritto qualche sentenza sull'argomento, come potete vedere nella sezione "Aforis My" di questo blog).
Apro una parentesi per dire che, nonostante la vastità della raccolta, ho faticato a trovare, fra tanti aforismi che mettevano alla berlina in matrimonio, qualcuno che ne parlasse bene. Sull'amore in senso lato, nessun problema; ma su quello coniugale, peste e corna (corna, soprattutto). Anzi, a dire la verità ne ho trovato uno solo, che non é neppure tanto favorevole. E' di Amiel, risale all'Ottecento, e dice: "Il matrimonio è una cosa ben strana, ma dopotutto non si é riusciti finora a trovare di meglio". Il tono degli altri é in genere disperante, basti pensare che il più paradigmatico, uno settecentesco opera del Pananti, recita: "Un epigramma secco: ogni marito é becco". Scoprii soltanto dopo che Gesualdo Bufalino aveva fatto qualcosa del genere in occasione delle sue nozze, compilando una raccolta di detti memorabili della letteratura universale, a cui diede la forma di libro, un testo che mi sono faticosamente procurato, dal titolo "Il matrimonio illustrato". Chiudo la parentesi.

In tutto, sono stati 27 i disegnatori che, all'epoca, mi fecero avere un loro schizzo. Che cosa é venuto fuori? Dante Bastianoni ha fatto sposare Martin Mystere e Diana; Francesco Gamba ha messo il velo nuziale a Claretta e al Piccolo Ranger; Roberto Diso ha costretto all'altare Mister No, Aurelio Galleppini ha mostrato Tex intento a lavare i piatti mentre la moglie indiana riposa in poltrona. Brindisi, Caracuzzo e Pepe hanno combinato matrimoni gay fra Dylan Dog e Groucho, Martin Mystere e Java, Zagor e Cico. Gallieno Ferri e Francesco Bastianoni hanno immaginato per il sottoscritto un abito da sposo identico al costume dello Spirito con la Scure. E poi, ancora tante trovate romantiche e divertenti da parte di tutti gli altri. Lina Buffolente ha disegnato un casto bacio fra Mark e Betty; Emanuele Barison fa guardare negli occhi Alex il Britanno e una dolce fanciulla; Massimo Bonfatti si é sbizzarrito raffigurando a modo su un tipico invitato al pranzo nuziale (di quelli che a ogni pié sospinto incitano al "ba-cio, ba-cio"); Giorgio Sommacal si é autoraffigurato accanto a Cattivik durante la cerimonia; Luigi Coppola fa vedere quanto sia ardente l'amore fra il Detective dell'Impossibile e la sua fida compagna (lei lo lega sul rogo e minaccia di dargli fuoco per costringerlo a sposarlo); Ivo Milazzo e Leone Frollo hanno stilizzato, alla loro inimitabile maniera, dei cuori palpitanti. E poi ancora si sono cimentati nell'impresa (in ordine alfabetico): Stefano Andreucci, Luca Boschi, Alfredo Castelli, Pietro Dall'Agnol, Mauro Laurenti, Fabrizio Mazzotta, Giacomo Michelon, Paolo Ongaro, Massimo Pesce, Giuliano Piccininno, Roberto Piere.I disegni sono stati tutti raccolti in un opuscoletto stampato in sole 200 copie a cura della Glamour International Production di Antonio Vianovi (fu il suo regalo di nozze).

Ignoro se il libriccino abbia raggiunto quotazioni stratosferiche sul mercato del collezionismo (bisognerebbe che qualcuno dei 200 beneficati abbia pensato di fare mercimonio del prezioso cadeau). In ogni caso, non è prevista una nuova edizione e di sicuro, dopo la fine del primo matrimonio (allo scadere del fatidico settimo anno), non è previsto in tempi brevi un mio nuovo convolare in seconde nozze. Peraltro, incarognendo con l'età, mi sono fatto molto scettico sull'effettiva utilità e sulla bontà del senso ultimo dell'istituzione matrimoniale, dato che secondo me ci si dovrebbe sposare ogni mattino (a fatti e non a parole), scegliendosi al risveglio e dicendo, come Umberto Tozzi in "Brava" (testo di Mogol): "ma guarda ancora chi c'è". Alla fine della vita si può dire: "Toh, stiamo insieme da cinquant'anni", ma non è il caso di promettere, a trent'anni, "giuro che staremo insieme fino alla morte", perché non si può sapere. La frase di rito "finché morte non vi separi" si riferisce, ovviamente, alla morte dell'amore.

Ma perché vi racconto tutto questo? Perché c'è un collegamento con l'articolo precedente. Vi ho infatti parlato, raccontando il mio incontro con Antonio Tubino, del Campionato Italiano della Bugia organizzato ogni anno a Le Piastre, una ridente località della montagna pistoiese. Ho anche citato un volume, uscito nel luglio 1998, che raccoglie una mole ponderosa di scritti e disegni sull'argomento, di Autori Vari, pubblicati a cura di Carlo Bartolini sotto il titolo "I campioni della bugia" (Tipografia Dami, 280 pagine).


Si spiega in quarta di copertina:"In questo volume potrete scoprire come Le Piastre, in passato paese di fantasiosi raccontatori, per una volta all'anno diventa il regno delle bugìe. Il libro infatti raccoglie, unendo al ricordo dei mitici novellieri piastresi di un tempo la satira degli odierni umoristi italiani, quanto di più significativo espresso nelle varie edizioni del Campionato Italiano della Bugìa. Le vignette ed i testi dei numerosi amici dell'Alta Valle del Reno ci parlano di personaggi, di storie incredibili e delle tante bugìe che in questo paese della montagna pistoiese, fin dal 1966 e nel segno del buonumore, riescono persino a vincere un premio: il Bugiardino d'Oro". Il volume, di formato quadro, ben stampato e dalla grafica accattivante, raccoglie alcune decine di vignette inviate a Le Piastre da disegnatori di nome (Tubino, Congiu, Ghino, Contemori, Dal Vaglio) e da altri dilettanti talvolta anche più spiritosi; insieme a testi commissionati ad alcuni amici della Pro Loco piastrigiana, tra cui il sottoscritto, autore (con qualche sbavatura di troppo in un testo scritto frettolosamente) di un elzeviro sulle bugie nel matrimonio. Ci sono anche molte bugie raccontate a voce durante le varie edizioni del Campionato, più un lungo, interessante, scritto di Luciano Corsini su alcuni personaggi delle Piastre di un tempo, formidabili frottolatori legati ad aneddoti pittoreschi qui ben descritti dalla buona penna dell'articolista, con il corredo di foto d'epoca. Un libro che si legge con divertimento e curiosità, e che, soprattutto, con la sua ultima parte rappresenta un documento sulla montagna che fu e sui suoi personaggi, davvero d'altri tempi. Dato che il volume, a distanza di dodici anni, sarà irraggiungibile per quasi tutti voi, riporto qui sotto il mio contributo. Rileggendolo, l'ho trovato divertente. Leggetelo, se vi va, e poi fatemi sapere. A seguire, un po' degli aforismi sul matrimonio che erano contenuti nella mia "bomboniera a fumetti".


DOPPIA BUGIA
di Moreno Burattini

"Non ho mai capito come certuni, dopo sposati, riescano a rimediare alle frottole che hanno raccontato alla propria donna quando erano fidanzati", si domandava P.A. Soldini, nel 1910. Semplice, rispondo io: continuando a raccontarne delle altre. Il matrimonio si basa sulle frottole. Senza di quelle, le unioni andrebbero a rotoli. E quelle che a rotoli ci vanno è proprio perché o lui o lei o tutti e due non hanno saputo raccontarne di abbastanza convincenti.
Del resto, alla base del contratto matrimoniale non c'è forse una doppia, pubblica e clamorosa bugia? "Prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, e di amarti e rispettarti tutti i giorni della mia vita". Recita più o meno così, se non sbaglio, quello che siamo chiamati a giurare a voce alta, allo scambio dell'anello. Scusate se non cito con esattezza ma è una promessa tanto importante che me la sono già dimenticata. Insomma, chi si sposa dice una bugia del genere e lo fa davanti a un folto pubblico, che trattiene le risa e finge di crederci perché in fondo si tratta di una frottola istituzionalizzata. Come quando nei tribunali c'è scritto che "la legge è uguale per tutti". E' una bugia anche quella che vuole dare il nome di "fede" all'anello nuziale. Fede, abbreviativo di fedeltà. La stessa che nel Così fan tutte di Mozart viene messa alla berlina dal librettista Lorenzo da Ponte: "E' la fede delle femmine / come l'araba fenice / che ci sia ciascun lo dice / dove sia nessun lo sa".

Adesso non mi scambiate per un cinico. Come (quasi) tutte le promesse, anche quelle fatte all'altare sono (abbastanza) sincere nel momento in cui vengono pronunciate. Il punto è che impegnano per la vita e non per i seguenti cinque minuti. E fatalmente, come si fa ad amare e rispettare la consorte (o il consorte) tutti i santi giorni che Dio mette in terra? Del resto si sa che l'amore è eterno finché dura. Qualche volta poi, fatalmente, saltano le madonne e il rispetto va a farsi benedire. Magari poi ci si riappacifica e ci si rispetta più di prima, ma - ahimé - il giuramento è ormai infranto. Insomma, ci si sposa dicendo una bugia e si continua a raccontarle (a fin di bene). "Caro, sei stato in lavanderia a ritirarmi il bolerino come ti avevo detto?" chiede lei al ritorno a casa di lui, che naturalmente ha pensato a tutto tranne che al bolerino. "Certo che ci sono stato - risponde il consorte dopo un attimo di sussulto - ma non era ancora pronto". Meglio rimediarla così, che passare da acido menefreghista privo di attenzioni verso la moglie. Viceversa, dite la verità e il matrimonio comincerà a incrinarsi. "Come mi stanno queste ciglia finta che mi sono fatta mettere dall'estetista?", chiede lei. Cosa volete dirle, che sembrano le spazzole di una lucidatrice e che a ogni sbattimento di palpebre provoca una ventata? "Divinamente bene, mia cara". Così bisogna rispondere, è giocoforza. Sarà pure una bugia, ma sempre meglio che farsi accusare di insensibilità e mancanza di gusto, o di essere un ipercritico o uno che apprezza certe cose solo addosso alle mogli degli altri o alle attrici in TV. Non a torto, un proverbio scozzese recita: "chi racconta tutto alla moglie, è sposato da poco".

Andando a pescare nel torbido (appena un po'), non è forse una bugia quella che lei dice a lui quando, dopo l'amore, le viene chiesto: "Ti è piaciuto?". Un sorriso falso come un Giuda, un sospiro di circostanza ed ecco fornita la risposta che il partner si aspetta: "Eccome, caro". Invece, mentre lo facevano lei pensava a quella definizione delle parole crociate che non gli era riuscita nel pomeriggio. Ma è giusto così: meglio fingere il piacere, piuttosto che provocare al povero consorte tremendi sensi di colpa e complessi di inferiorità che poi potrebbero creargli problemi anche sul lavoro. E ancora: che dire, di tutte le volte che lei ha mal di testa? Noi uomini preferiremmo forse sentirci dire che fare l'amore con noi è divertente come avere il mal di pancia? O che dopo aver visto Brad Pitt e Leonardo Di Caprio la nostra pancetta o le nostre gambette bianche danno loro il voltastomaco? Del resto lo sanno tutti che il matrimonio inizia con un principe che bacia un angelo, e finisce con un uomo calvo che guarda schifato una donna grassa, e viceversa. Molto meglio il mal di testa che la nuda e cruda verità.

Il geniale Christopher Ward ha scritto un saggio intitolato Il Libro delle Scuse, in cui vengono suggerite tutte le giustificazioni da portare a nostra discolpa nelle più svariate circostanze: in pratica, le bugie da raccontare per toglierci d'impaccio. Il capitolo più corposo è appunto dedicato alle frottole con cui rifiutarsi di fare l'amore. Si va dall'accusare un fastidioso prurito sicuramente contagioso proprio in quel punto lì, al dare la colpa ai pesci rossi che stanno guardando e che infastidiscono, passando naturalmente per il bambino che potrebbe svegliarsi. Ce ne sono, naturalmente, anche per lui: dai preservativi che sono finiti all'avere una dolorosa lussazione all'anca per cui è indispensabile una notte di riposo. Insomma, ripeto, sono le bugie che salvano il matrimonio.Dory Hollander è invece autrice di un altro manuale, intitolato Le 101 Bugie che Uomini Dicono alle Donne. La tesi, abbastanza sbilanciata dal punto di vista femminile, è che gli uomini sono più mentitori delle donne perché pur essendo rospi pretendono di apparire come principi azzurri. E allora sparano balle millantando credito. Secondo la Hollander, fra le più classiche bugie dei maschi ci sono le frasi "Stasera resterò in ufficio fino a tardi" e "Tu sei la sola". In realtà, uomini e donne mentono allo stesso modo, e se i lui sembrano farlo di più è perché di solito le lei sono disposte a lasciarsi sedurre da partner con certi requisiti (conto in banca, prospettive di carriera, prestazioni sessuali da guinness, fedeltà). E se per arrivare al dunque ci vuole un po' di finzione, perché non accontentarla? E perché mai deluderla, una volta che al dunque si sia arrivati? Meglio senz'altro continuare a fingere.

Non voglio, a questo punto, assolvere la pratica dell'adulterio: mi limiterò a ricordare come sia in uso dalla notte dei tempi. Nella mitologia greca Zeus riempiva di corna la moglie Era - o, se preferite, in quella latina Giove cornificava Giunone. A distanza di millenni, comunque, il tradimento gode tuttora di molta popolarità. E che cos'è l'adulterio se non una bugia un po' più grossa delle altre? Una volta il sommo Zeus (quello ricordato prima), affacciandosi dall'alto dell'Olimpo, vide la bella Leda fare il bagno nuda in un laghetto e la concupì. Onestà avrebbe voluto che prima di scendere a possederla, dicesse chiaro e tondo alla divina consorte: "Mia cara, scusami tanto ma mi voglio togliere uno sfizio". Del resto, lui era onnipotente e che cosa mai gli poteva ribattere Era? Invece, per non farsi scoprire, Zeus prese le sembianze di un cigno e così travestito si fondò nel laghetto. Ricorse a un sotterfugio, insomma, la fece sporca di nascosto. Bell'esempio, da parte di un dio, per i comuni mortali. E quello non fu neppure un caso isolato. Vi dice niente il nome di Anfitrione? Costui era un guerriero sposato con la bella Alcmena. Una volta, partì per la battaglia lasciando la consorte a casa. Il solito Zeus la vide e, naturalmente, ebbe subito voglia di portarsela a letto. Che cosa fece, allora? Zot! Un pizzico di magia ed eccolo prendere le sembianze di Anfitrione e bussare alla porta di Alcmena. La donna vide il marito, pensò che la guerra fosse finita e ci fece l'amore per tutta la notte (che fu anche piuttosto lunga perché Zeus fermò le stelle per spassarsela ancora di più). Chissà, magari al mattino lei gli avrà pure detto: "Stanotte sei stato un dio". Va detto che Era, la moglie di Zeus, era gelosissima e cercava sempre di vendicarsi delle donne con cui il marito la cornificava e dei figli nati da quelle unioni (Ercole, per esempio, frutto appunto del tradimento con Alcmena). Vi chiederete: perché Era non si limitava a tradire a sua volta Zeus, rendendole così pan per focaccia, senza fare tanto la vipera? Semplice: la poveretta era la protettrice del matrimonio monogamico e fedele e non poteva comportarsi diversamente. Così, non potendo sfogarsi altrimenti, faceva vedere i sorci verdi alle sue rivali. Ecco perché Zeus cercava sempre tutti gli stratagemmi per non far scoprire le proprie marachelle, e raccontava bugie.

A parte la dea Era, non è che le mogli siano meno fedifraghe dei consorti. Un aforisma settecentesco del Pananti recita testualmente: "Un epigramma secco: ogni marito è becco". Un proverbio popolare, del resto, non è da meno: "Novantanove mariti fanno cento cornuti". Per proseguire con gli aforismi, Feydeau diceva che "il matrimonio è una catena così pesante che per portarla bisogna essere almeno in tre". E il poeta Carlo Innocenzo Frugoni metteva pure in rima il seguente assioma: "Cosa al mondo più giovevole / più soave, più pregevole / non vi fu, non vi sarà / della bella Infedeltà". Il francese Molière, nella Scuola delle Mogli, avvisava: "Per non essere cornuti, l'unico modo è non sposarsi". E il caustico, viennese, Karl Krauss concludeva da par suo: "C'è poco da fidarsi di una donna fedele. Oggi fedele a te, domani a un altro".Resta comunque una consolazione: per quanto le bugie siano, in amore, un male necessario, è pur vero che l'Arte tutta è finzione. Un qualunque romanzo, ma anche un quadro, una poesia, un film, una musica, perfino una fotografia, sono interpretazioni della realtà e non coincidono mai con essa. Proprio come le bugie. Il Manzoni ci racconta balle con i Promessi Sposi. E Dante non è mai stato con Virgilio all'Inferno. Figuriamoci poi se Astolfo ha davvero cavalcato l'Ippogrifo. C'è un termine inglese serve a indicare tutto quanto è frutto artistico della fantasia romanzesca, dell'invenzione narrativa: fiction. L'etimologia rimanda pari pari al latino fictio, che significa sia "composizione" o "creazione" dell'ingegno umano quanto menzogna, frode, finzione. Ecco: è bello pensare che la bugia è, in fondo in fondo, una forma d'arte alla portata di tutti. E che tutti, quando ne inventiamo una, attingiamo a quella segreta capacità del nostro cervello di inventare storie, o come si suol dire, di affabulare. Ditelo a vostra moglie, o a vostro marito, quando una delle vostre frottole verrà scoperta: non ho mentito, ho voluto dedicarmi all'Arte.


AFORISMI SUL MATRIMONIO
scelti da M0reno Burattini

Un uomo che dichiara di conoscere le donne, mente anche in altre circostanze.
Anonimo.


Un celibe è un uomo che ha perso l'occasione di rendere infelice una donna.
Garland Pollard

Un uomo non dovrebbe mai avere segreti per la propria moglie. Lei li scopre invariabilmente.
Oscar Wilde

Amante: la seconda delusione per una donna, dopo il marito.
Anonimo.


La maggior parte dei mariti mi ricorda un orangutan che cerchi di suonare il violino.
Honorè de Balzac

Del primo amante, ha sempre colpa il marito.
Fedor Dostoevskij

Perché esistono gli uomini? Perché i vibratori non falciano il giardino.

dal film "Occhi di serpente"

Il matrimonio è una cosa ben strana, ma dopotutto non si é riusciti finora a trovare di meglio.
F. Amiel

L'esempio più convincente di tolleranza è l'anniversario delle nozze d'oro.
Anonimo


Il maschio scelto dalla femmina non è colui che le sembra più attraente, ma colui che la disgusta di meno.
Charles Darwin


Nel matrimonio i più duri sono i primi venti o trent'anni. Poi tutto s'accomoda.
P.Hervieu

Il matrimonio è come un pranzo al ristorante: credi sempre di aver scelto bene, finchè non vedi ciò che ha ordinato il cliente del tavolo accanto.
H.F.M.

Angelo è la donna che si vorrebbe, demonio quella che si ha.
Decourcelle

Se Laura fosse stata la moglie del Petrarca, pensate che lui le avrebbe scritto sonetti per tutta la vita?
Lord Byron

C'è un solo amore che dura fino alla morte: l'ultimo.
Miquelarena

Il matrimonio inizia con un principe che bacia un angelo, e finisce con un uomo calvo e che guarda schifato una donna grassa.
Anonimo

Io sposerei piuttosto una donna piccola che una grande e grossa. Fra due mali conviene scegliere il migliore.
Commerson

Gli scapoli conoscono le donne meglio degli sposati: altrimenti si sarebbero sposati anche loro.
Coward

Prima del matrimonio, tenete aperti gli occhi. Dopo, chiudetene uno.
Franklin

Il matrimonio ci insegna molte cose. Soprattutto che potevamo farne a meno.
Roberto Gervaso

La bigamia consiste nell'avere una moglie di troppo. La monogamia, anche.
Heywood

Il vedovo è un condannato che ha ottenuto una riduzione di pena.
P.Veron

I giovani vorrebbero essere fedeli, e non lo sono; i vecchi vorrebbero essere infedeli, e non lo possono.
Oscar Wilde

Una volta un uomo si costruì una casa nuova e scrisse sulla soglia: "Che nessun male possa mai entrarvi". Passò il filosofo Diogene, e gli disse: "E come farà a entrare tua moglie?".
Ibn Zabara

Al mondo c'è solo una donna cattiva. Peccato che ogni marito creda che si tratti di sua moglie.
Lessing

Sposarsi è una cosa seria: conviene pensarci a lungo. Possibilmente tutta la vita.
De Maucroix

Per fare un buon matrimonio bisogna accoppiare una cieca con un sordo.
Montaigne

A ciascuno di noi il fato ha destinato una donna. Se riusciamo a sfuggirle, siamo salvi.
New York Times

I preti si consolano del loro celibato ascoltando le confessioni delle donne sposate.
Salacrou

Non ho mai capito come certuni, dopo sposati, riescano a rimediare alle frottole che hanno raccontato alla propria donna quando erano fidanzati.
P.A.Soldini

martedì 22 febbraio 2011

NOI TANTO BUONI

C'è un rito irrinunciabile a cui mi sottopongo ogni sabato: risolvere il Bartezzaghi. Chi è un cultore, come me, della "Settimana Enigmistica", sa di che cosa sto parlando. Si tratta di un appuntamento fisso della rivista, il più insidioso dei cruciverba a schema libero. Oggi, il Bartezzaghi in questione si chiama Alessandro, ed è uno dei figli del più celebre Piero (nato nel 1933, morto nel 1989), storico autore di schemi di parole crociate, pubblicati per tradizione, a partire dagli anni Cinquanta, a pagina 41 della "Settimana".
Per decenni, spuntarla contro il Bartezzaghi è stata la sfida preferita dei più abili solutori e oggi che non c'è più il padre, che era decisamente diabolico nelle sue definizioni, il figlio ne continua l'opera e anche lui non scherza. C'è poi un altro Bartezzaghi, Stefano, fratello di Alessandro, curatore della rubrica "Lessico & Nuvole" su "Repubblica" e da qualche tempo insegnante di Semiotica dell'enigma presso lo Iulm di Milano.


Proprio di Semiotica dell'Enigma si occupa il suo libro che sto leggendo in questi giorni, "Incontri con la Sfinge" (Einaudi), pieno di incredibili bizzarrie letterarie come il palindromo inglese "Madam, I'm Adam", che il primo uomo avrebbe detto presentandosi alla prima donna, e quello italiano dedicato ai carcerati: "alle carte t'alleni nella tetra cella". Un terzo fratello, Paolo Bartezzaghi, è un giornalista sportivo e non si occupa di enigmistica se non, forse, per risolvere i quiz dei congiunti.

Altri giochi della "Settimana" di cui sono appassionato sono le "cornici concentriche" e il cruciverba senza schema. Me la cavo con i rebus quel tanto che basta a sorprendere i miei figli e trovo facile la Pagina della Sfinge, tranne che per le crittografie mnemoniche di cui non riesco mai, invece, a venire a capo. Mi rifiuto, però, di annerire gli spazi, unire i puntini e trovare le differenze.


Il mistero più misterioso resta comunque quello della foto tessera del personaggio famoso che compare in copertina. Che rapporto c'è fra quel ritratto e il resto della rivista? Nel cruciverba in prima pagina non c'è nessuna definizione che riguardi il VIP in questione. All'interno, non saprei dove possa essere evocato. Dunque? Se qualcuno ha una spiegazione, si faccia avanti.

Non so se anche voi siate acquirenti abituali o occasionali della rivista che vanta il maggior numero di imitazioni, ma qualche fascicolo vi sarà pur capitato fra le mani. In quel caso, so per certo che sarete tutti d'accordo con me nel ritenere comunque sempre divertenti le vignette che riempiono le pagine fra un enigma e l'altro.
Personalmente, ne vado matto e ho finito per riconoscere alcuni autori che preferisco a certi altri, nonostante l'anonimato a cui la "Settimana" li costringe, evitando di riprodurre le firme e non indicandone comunque i nomi.
Ci sono gli americani Tom Wilson e Gary Larson, per esempio, che ho individuato ricordando le loro vignette di Ziggy e di The Far Side viste altrove. C'è Mario Bortolato, l'autore delle mitiche "Ultime parole famose". E c'è, infine, il più divertente di tutti: Antonio Tubino. Che noi tanto buoni non possiamo non amare, non fosse altro perché "noi tanto buoni" è appunto l'anagramma del suo nome (ebbene sì, lo confesso: vorrei tanto collaborare anch'io con la "Settimana Enigmistica", ma quando ho mandato giochi e vignette non mi hanno neppure risposto).

Il caso ha voluto che io e Antonio Tubino finissimo per incontrarci di persona. Naturalmente, è accaduto in una occasione ludica. Dovete sapere che non lontano dal paese dove sono nato, sulle montagne pistoiesi, c'è una località chiamata Le Piastre dove, ogni anno, si svolge il Campionato Italiano della Bugia. Praticamente, la prima domenica di agosto (o giù di lì) tutti coloro che ritengono di avere una buona frottola da raccontare si iscrivono al concorso e la sparano grossa di fronte al pubblico. Un esempio che mi è rimasto impresso? "La mia automobile va così piano, ma così piano, che i moscerini si spiaccicano di dietro invece che davanti".
Io e Antonio Tubino (lui invitato per i suoi meriti umoristici, io non lo so) ci siamo trovati a fare da giuria in una edizione di questo concorso. Quell'anno, gli organizzatori diedero alle stampe anche un ponderoso volume che raccoglieva il meglio delle bugie delle edizioni precedenti, corredato di vignette (fra cui anche alcune di Tubino) e di scritti, fra cui anche uno mio (ma ce n'era uno anche di Luca Boschi, pistoiese come me e dunque della zona). Il titolo del libro era "I campioni della bugia". Magari ve ne parlerò un'altra volta (forse), dato che sulle bugie ci sarebbe molto da dire. Torniamo ad Antonio Tubino. Lo incontro e scopro una persona simpaticissima (non potrebbe essere altrimenti).


Di recente l'ho di nuovo sentito al telefono, recente perché a Pistoia è stato realizzato un calendario dei vigili urbani con alcune sue vignette in tema, mi è stato omaggiato e così mi sono rimesso in contatto con lui.
Gli ho chiesto: "Antonio, ma perché non raccogli in un volume antologico il meglio delle tue barzellette grafiche?". Mi ha risposto che lui le conserva tutte, ma non ha mai pensato di farne un libro. A dire il vero, ci dovrebbero pensare gli Editori con la E maiuscola, a partire dalla Casa editrice della " Settimana Enigmistica", oppure la Rusconi, per le cui riviste Tubino disegna vignette sempre nuove. Perché non c'è un libro che raccolga "Le ultime parole famose" di Bortolato? O c'è e io non lo so?


In ogni caso, se siete curiosi (come lo sono io), Antonio Tubino è nato a Sestri Ponente (Genova) nel 1938, e tifa Sampdoria. Non lo dico per caso: è proprio sulla rivista "Calcio illustrato" che pubblica la sua prima vignetta, nel 1956. Ma già le sue battute circolavano da anni nel Liceo Artistico "Barbino" da lui frequentato. Dal 1962 al 1997 ha lavorato come tecnico nel Servizio Patrimonio del Comune di Genova ma intanto, a partire dal 1970 inizia a collaborare con la "Settimana Enigmistica", e non ha ancora smesso. A tutt'oggi, sono oltre seimila le vignette del disegnatore apparse su quella rivista. A partire dal 1978 comincia anche la collaborazione con la Corrado Tedeschi Editore, casa editrice fiorentina che pubblica molte riviste di enigmistica su cui finora sono state addirittura trentacinquemila le vignette apparse. A queste ne vanno sommate altre cinquemila pubblicate su "Domenica Quiz", "Telesette", "RadioCorriere" e molte altre testate.


Di lui, Luigi Pulcini scrive: "Tratto inconfondibile, sobrio, garbato, essenziale, così come la battuta: sono queste le caratteristiche rilevanti di Tubino. Si direbbe una banalità definire il suo come 'british style' e del resto si sa, Genova è considerata la città più inglese d'Italia e incontrando Antonio Tubino si ha l'impressione di avere di fronte proprio un gentleman britannico, cortese, misurato, ironico".


Confermo. D'ora in poi, fateci caso e, sulla "Settimana Enigmistica", giocate a riconoscere le sue vignette anche se non sono firmate.










































PAROLE E MUSICA

Ho un po' esitato prima di accingermi a dedicare un articolo al Festival di Sanremo. Non perché, giammai, io sia uno di quelli snob con la puzza sotto il naso che se la tirano e schifano a priori la canzone italiana. Anzi, sono lieto di ribadire senza il minimo imbarazzo che preferisco il pop di casa di nostra a qualunque altra forma di espressione musicale.
No, l'esitazione derivava soltanto dal fatto che, insomma, chi frequenta questo blog si aspetta che parli di fumetti o di argomenti limitrofi e dunque che ci azzecca Sanremo?
Ma ecco che di colpo i collegamenti hanno cominciato a fioccarmi in testa in bella evidenza, per cui parlerò senza alcun ritegno proprio del Festival della Canzone italiana e, in modo particolare, del vincitore dell'edizione 2011: Roberto Vecchioni.


A rigor di logica non servirebbero giustificazioni, dato che questo il mio blog e posso scrivere di quel che accidenti mi pare (infatti ho parlato di poesia, erotismo e caccia al cinghiale). Però, la prima scusa che mi viene in mente è che guardando il Festival ho lasciato gli occhi addosso a Nathalie (la più bella in assoluto fra le fanciulle che hanno calcato il palcoscenico in questa edizione) e la cantautrice veniva dalla vittoria a X-Factor, programma che oltre ad aver rubato il titolo a una serie a fumetti americana è stato oggetto del puntuale commento di Diego Cajelli nel suo blog (commento di cui non mi sono mai perso una sola puntata). Dunque se Diego, blogger di grido e sceneggiatore alla moda, parla di gare fra cantanti italiani, perché io dovrei esitare a farlo? Non sia mai detto.

Di fronte alla vittoria di Roberto Vecchioni, il primo pensiero che ho avuto è stato: ecco, ora tutti compreranno il suo nuovo disco e chissà quante volte "Chiamami ancora amore" passerà per radio. Il che mi fa un po' rabbia perché vorrei sapere in quanti hanno comprato il sui precedente album di inediti, "Di rabbia e di stelle", come ho fatto io, e quante radio hanno passato, che so, "Il violinista sul tetto" con il duetto fra lui e Teresa De Sio. Io seguo Vecchioni ininterrottamente dal 1979, anno in cui uscì "Robinson" (con "Signor Giudice" in apertura). Ricordo perfettamente quando comprai quel vinile, che devo aver consumato sul giradischi a forza di sentirlo. E guarda caso, di chi era la bella illustrazione che faceva da doppia copertina? Di Andrea Pazienza. Altro collegamento con i fumetti. Sempre di Pazienza furono le cover di alcuni dei successivi album quali "Hollywood Hollywood" e "Il grande sogno" (in allegato a quest'ultimo c'era anche un libro con poesie dello stesso Vecchioni illustrate da Hugo Pratt e Moebius).

C'è pure un collegamento fra il nuovo disco del cantautore milanese e questo blog: più volte vi ho parlato del mio elenco delle "cose che tutti fanno e io no", in cui sono contenute rivelazioni incredibili sul sottoscritto. Non ho mai visto un film in 3D, non ho mai giocato alla playstation, non ho mai visto una partita di coppa, non ho mai ascoltato il discorso di fine anno del Presidente della Repubblica, e ora aggiungeteci pure che non ho mai scaricato una sola canzone dalla rete. Ho quasi ottomila brani nel mio iPod, ma di tutti ho anche la versione su CD regolarmente comprata in negozio. E dunque sappiate che acquisterò prestissimo anche il CD "Chiamami ancora amore", insieme a un altro che non posso perdermi, il nuovo disco di Max Pezzali. Altro collegamento con questo blog: una volta ho conosciuto, grazie ad Ade Capone, proprio Max Pezzali, andandolo a trovare nel suo camerino dopo un concerto. Gli ho portato in regalo un disegno di Zagor realizzato da Mauro Laurenti che è stato molto apprezzato.

Ho citato Pezzali già una volta in occasione del mio compleanno, e ricordo che su un forum di Zagor qualcuno si è scandalizzato perché mi piacesse proprio lui, invece che, non so, qualche nume del rock internazionale o qualche gruppo messo sugli altari da coloro che se ne intendono. A questa cosa dell'essere deriso per i miei gusti musicali ormai ci ho fatto il callo, ma ai tempi della scuola ci rimanevo piuttosto male. Ero un fan (e lo sono ancora) di Umberto Tozzi, i Pooh e Renato Zero, e i miei compagni mi sbeffeggiavano perché loro ascoltavano i Van Halen. La differenza fra me e loro è questa: di fronte a ogni manifestazione di visibilio dei miei amici riguardo ai dischi che sentivano, io chiedevo di poter ascoltare anch'io tanta meraviglia, e li pregavo di prestarmi i vinili o farmi avere una cassetta, e pendevo dalle loro labbra mentre mi spiegavano perché una certa schitarrata dei Deep Purple doveva procurarmi un orgasmo. Se però io mi offrivo di contraccambiare registrando loro una compilation dei miei cantautori tanto amati, o cercavo di spiegare la bellezza di un testo che mi commuoveva, ottenevo sberleffi, risate sarcastiche, le mimiche dei conati di vomito.


Non ho mai capito perché chi ascolta certa musica si debba ritenere superiore e si consideri in diritto di guardare con disprezzo noi poveri sanremesi, ma tant'è: ormai me ne faccio una ragione. Continuo a non cogliere il motivo per cui "L'isola che non c'è" di Edoardo Bennato debba essere snobbata in favore, non so, di un qualunque pezzo di Bob Dylan. Non si possono ammirare entrambi? Peraltro, chi disprezza Tozzi o i Pooh (dico due nomi a caso) non sembra conoscere davvero la produzione di quei musicisti, di cui pare saper citare a malapena soltanto un qualche remoto successo, per cui magari si prende in giro "Ti amo" (che pure a me sembra un capolavoro) senza nulla sapere de "Il fiume dentro il mare" e senza essere in grado di sostenere una discussione sull'evoluzione dell'autore e della differenza fra i testi scritti per lui da Mogol piuttosto che da Giancarlo Bigazzi.

E qui scatta un altro collegamento con la letteratura disegnata: la stessa cosa sembra accadere quando si parla di fumetti Bonelli e di Zagor in particolare con qualcuno che legge quelli alternativi, o quelli sperimentali, o quelli underground, o quelli americani, o persino i manga, e mi sembra che si sentano tutti superiori. Mi sono trovato una volta a parlare con un autore italiano (si dice il peccato ma non il peccatore) di quelli che lavorano per l'estero e si ritengono, giustamente, degli artisti. Mi è capitato di dire che, secondo me, le copertine di Gallieno Ferri sono fra le più belle del fumetto mondiale e lui ha sgranato gli occhi replicando: "Starai scherzando, spero". No, non scherzavo. Lo penso davvero. Mi devo vergognare?

Ma torniamo a Roberto Vecchioni (che peraltro ha scritto anche, come autore, canzoni estremamente leggere come "Donna felicità" dei Nuovi Angeli, e ha tutta la mia ammirazione anche per quelle). Conosco praticamente tutte le sue composizioni ed è l'unico in gradi di scrivere pezzi perfino su Alessandro Magno o Vincent Van Gogh, ma anche sul culo di una donna dicendo ciò che tutti gli uomini pensano, senza essere in alcun modo volgare.
Alcune sono dedicate invece a dei poeti, come "A.R." (le iniziali di Arthur Rimbaud) o "Canzone per Alda Merini". Ma ce n'è una, temo sconosciuta ai più, dedicata proprio a chi poeta per mestiere. Si tratta de "La corazzata Potemkin" e comincia così:

Siamo i poeti, i nani sui giganti,
non si direbbe, eppure siam viventi;
metaforiamo, metaforiamo tutto,

da non capirci più se c'era un senso sotto.

Abbiamo in testa idee meravigliose,
che raramente coincidon con le cose:
voliamo alto, se non capite niente
peggio per voi, mica scriviamo per la gente...

Più avanti, la satira colpisce ancor di più.

Non hanno scampo le goffe imitazioni
di 4 o 5 scribacchini di canzoni:
loro non sanno scavare la parola
fino a ridurla come un torsolo di mela!


Caro Roberto, hai perfettamente ragione. I veri poeti del nostro tempo sono proprio gli scribacchini di canzoni. Non soltanto perché, a tutti gli effetti, i loro testi sono versi di poesia. C'è di più. La poesia, quella di coloro che non scrivono per la gente, non raggiunge quasi più il cuore di nessuno. Sono i testi delle canzoni che hanno assunto il compito della poesia, nella società: sono loro che descrivono i moti dell'animo, che assolvono una funzione catartica o liberatoria, o che incitano a reagire, o illuminano di nuova luce il reale o veicolano idee o semplicemente fanno sognare. Sono i versi dei parolieri e dei cantautori che passano di bocca in bocca, vengono imparati a memoria, ripetuti nelle riunioni fra amici, rimuginati nei momenti di solitudine. Ognuno ha la sua canzone che almeno una volta lo ha fatto piangere.

La letteratura italiana nasce dopo che i trovatori provenzali, tra il XII e il XIV secolo, hanno cominciato a scrivere versi in volgare, in un neolatino chiamato lingua d'oc (oggi scomparsa, dato che il francese moderno deriva da un altro neolatino, la lingua d'oil). Ebbene, i versi di quei trovatori erano scritti per essere cantati. Non sappiamo esattamente quali fossero le melodie, ma la nostra storia letteraria nasce da lì. E i cantastorie che giravano per i borghi medievali, lo facevano aiutandosi con dei disegni che raffiguravano le scene delle loro canzoni. Mi pare che come collegamento finale con il fumetto non ci sia male.

giovedì 17 febbraio 2011

RITORNO A DARKWOOD

Da almeno un anno sulla mailing list "Ayaaak", che seguo regolarmente, si discute (a più riprese) di una eventuale ristampa di Zagor in occasione del cinquantennale. Nello scorso febbraio sono persino intervenuto con un paio di messaggi. Ancora oggi, sul sito di riferimento del gruppo si possono leggere i risultati di un sondaggio che chiede: "quale ristampa bonelliana vi piacerebbe trovare in edicola?". In testa nelle risposte, con il 76% dei voti (1147 per l'esattezza) c'è proprio la serie dello Spirito con la Scure. Al secondo posto, giusto per far capire il distacco, con l'8% (120 preferenze), il Piccolo Ranger. Terzo, Martin Mystère (5% dei consensi). Poche ore fa, ho trovato altri commenti sull'argomento: "Perché non un Zagor Collezione Book per i suoi 50 anni?", chiede Stefano.
Anche in alcuni commenti su questo blog la questione è stata più volte sollevata, e addirittura è stato fatto cenno a una petizione che sta girando in tutta Italia e anche all'estero, con centinaia di firme che già sarebbero state raccolte (se l'iniziativa verrà confermata e giungerà qualcosa in redazione non mancherò di dare notizie più precise). Per finire, una delle domande più frequenti che vengono fatte nelle lettere che arrivano in Bonelli, nelle mail che mi giungono sul computer, nelle telefonate che ricevo dai lettori, e più in generale in tutti gli incontri con gli zagoriani è sempre la stessa: a quando la ristampa? Oppure: dopo il Tex di Repubblica, ci sarà una Collezione Storica anche di Zagor?

Che un certo interesse ci sia, mi pare innegabile. Peraltro, è l'interesse per il cinquantennale in generale che è abbastanza palpabile: continuano ad arrivare in redazione richieste per manifestazioni e festeggiamenti da tutta Italia e anche dall'estero, al punto che se tutte le iniziative andranno in porto avrei qualche difficoltà a essere presente dappertutto (cercherò di fare miracoli). Una testimonianza di questo clima di attesa è anche un recente articolo del bravo Cristian Di Clemente su uBC che addirittura fantastica su quali potrebbero essere i possibili sviluppi della trasferta in Sud America, che noi abbiamo progettato proprio per far vedere come, nonostante le cinquanta primavere, Zagor abbia ancora entusiasmo e idee da vendere.

Dunque, la ristampa del cinquantennale si fa o non si fa? Troverete, se non proprio una precisa risposta, almeno un paio di certezze, in fondo a questo pezzo. Prima, lasciatemi fare qualche considerazione e alcune proposte. Innanzitutto, al di là delle celebrazioni dei cinque lustri, chiediamoci: perché si sente il bisogno di questa ristampa? Secondo me, una ristampa oltre che necessaria è doverosa. E' facile constare, semplicemente visitando il sito della Sergio Bonelli Editore o scorrendo l'elenco arretrati pubblicato sulla collana Zenith, come la maggior parte dei titoli di Zagor non sia più disponibile da parecchio tempo.

La collana di ristampe "TuttoZagor" (che ha ripubblicato gli albi dal n° 1 al n° 235, e si è interrotta nel 1998) non è più disponibile. Gli originali sono tutti sold out fino al n° 318 (1992) ma anche in seguito sono decine e decine i numeri esauriti che non si possono richiedere. Per esempio: non sono disponibili più neppure le prime mie storie disegnate da Ferri ("Pericolo Mortale", "L'abbazia del mistero", "Il sangue dei Cheyenne", "L'indiana bianca" e perfino "Il diabolico Mortimer" e "La vendetta di Mortimer"). Ma anche i classici boselliani con Hellingen, il kraken, Capitan Midnight, il ritorno del vampiro, solo per citare alcuni episodi, sono ormai fuori catalogo, benché non più vecchi di una quindicina di anni. Insomma, tutte le storie più importanti di Zagor, che ne hanno creato la leggenda, quelle di Nolitta, e le principali del cosiddetto "rinascimento zagoriano" (per usare una espressione coniata dal critico Daniele Bevilacqua), sono irraggiungibili.


Ora, Zagor non è un personaggio qualsiasi, ma un eroe che sta per festeggiare (accadrà nel giugno 2011) i cinquanta anni di ininterrotta permanenza in edicola, ancora estremamente popolare nell'immaginario collettivo (tutti sanno chi è, anche coloro che di solito non lo leggono) e che gode di un invidiabile successo, in Italia e in vari Paesi del mondo. Non solo: è anche stato creato, nel 1961, dallo stesso editore Sergio Bonelli (con lo pseudonimo di Guido Nolitta): dunque è il portabandiera della bonellianità. Gallieno Ferri, che è ininterrottamente da cinquanta anni il copertinista ufficiale e il principale illustratore della testata, è anche il disegnatore con più tavole all'attivo in assoluto nella storia della Casa editrice bonelliana. Sembra strano, perciò che i classici di Nolitta & Ferri si possano in pratica cercare solo sulle bancarelle o nei polverosi negozi di fumetti usati. E' quasi uno scandalo che dei loro capolavori non esista una edizione "definitiva" che resti a futura memoria come patrimonio della storia del fumetto.

Esiste anche il problema del deterioramento delle fonti di riproduzione. Le tavole originali non esistono più: sono state restituite agli autori e molte si sono disperse sul mercato del collezionismo. Da dove attingere, dunque, per recuperare le pagine di cinquant'anni fa? Non esistono copie digitali dei primi albi. Molte delle pellicole delle collana Zenith sono, mi si dice, ormai pericolosamente sciupate (gli acetati si sono incollati fra loro e sono ingialliti). In ogni caso, non esistono quasi più le attrezzature per stampare dalle pellicole. Probabilmente sopravvivono soltanto le copie su carta, le cosiddette "patinate", tenute da parte in qualche deposito segreto: sarebbero tutte da scansionare di nuovo. Approntare una ristampa permetterebbe il restauro (la ripulitura) dei disegni e metterebbe al sicuro le storie digitalizzandole per l'eternità. Se non si fa, tutto ciò che è affidato alla sola carta si sfalderà: è soltanto questione di tempo.

Di recente, è sotto gli occhi di tutto il successo della "collezione storica" di Tex realizzata settimanalmente da Repubblica e L'Espresso. Si tratta di una ristampa cronologica e brossurata delle avventure di Tex, colorate, di grande formato, a numero di pagine fisso. Certo, potrebbe essere un buon modello per realizzare anche per Zagor qualcosa di simile. Ma anche no: ci sono almeno una decina di ottime idee alternative e, nei dibattiti su Internet, ci si è sbizzarriti a proporne di cotte e di crude. C'è chi vorrebbe una riedizione in bianco e nero (dato che i disegni di Ferri del primo periodo, molto densi di nero, mal si prestano alla policromia), chi esige dei cartonati, chi pretende delle anastatiche, chi sogna il colore, chi vagheggia volumi autoconclusivi, chi auspica una selezione delle sole storie migliori. Dato che ognuno dice la sua, anch'io dirò la mia (a titolo puramente personale).

Quel che mi pare davvero fondamentale è che la ristampa abbia un apparato critico. Oltre a ripubblicare le storie (comunque restaurate) bisognerebbe commentarle, con il supporto di un corredo iconografico che metta in risalto per esempio le fonti di ispirazione e la tecnica di lavoro degli autori. Su Zagor c'è da scrivere fin che si vuole, e lo dimostrano i corposi "Zagor Index" dell'editore Paolo Ferriani (dove ogni storia è commentata punto per punto), lo dimostrano i tanti saggi usciti sul personaggio (almeno una decina), lo dimostrano le discussioni sui forum. Ma oltre a commentare le storie del volume si possono presentare le copertine delle strisce, le copertine degli albi giganti, le copertine scartate, le illustrazioni varie realizzate per le rubriche di Tutto Zagor o per le firme alle mostre.

Non mi pare il caso di fare edizioni anastatiche: già ci sono, e interessano soltanto pochi puristi. Mi pare preferibile, poi, un formato più grande di quello dei tradizionali albi Bonelli, che valorizzi la bellezza dei disegni. Colore o non colore? Secondo me, sì: se ha funzionato per Tex, funzionerebbe anche per Zagor. Inoltre, potrebbero aprirsi le porte per mercati nuovi, sia fra i lettori più giovani, sia per edizioni estere in Paesi dove il bianco e nero non ha successo. A me piacerebbero volumi cartonati, come quelli del Dylan Dog Book, però anche qualcosa del tipo "cartonatura flessibile" come certi volumi Mondadori (vedi per esempio la recente riedizione di Kriminal) potrebbe andare più che bene.

Poi, la serie non dovrebbe avere "ristampa" scritto in copertina (secondo me, questa è una parola da evitare), ma, senza che la definizione sia meno onesta, "edizione definitiva", o "collezione storica". Non dovrebbe essere mensile, ma settimanale, se no per arrivare al numero cento ci metteremmo otto anni.Inoltre i volumi di una ristampa di Zagor dovrebbero raccogliere storie complete e soddisfare così anche i lettori occasionali: ogni volume si potrebbe leggere separatamente dagli altri.

Come fare per raggiungere questo risultato se è vero, com'è vero, che le storie dello Spirito con la Scure non hanno una lunghezza fissa ma una lunghezza variabile? Si stabilisce una foliazione standard, che può essere di 250 o 300 o 350 pagine o quello che si vuole (anche 400: un Oscar Mondadori dedicato a Zagor superava le 500 pagine). Poi, si riempie ogni volume con le storie in ordine cronologico. Le prime storie di Zagor sono tutte abbastanza brevi, tra le 50 e le 150 tavole (ce ne sono anche di venti, trenta, settanta, ottanta eccetera). Con tre o quattro storie, ammettiamo, si riempie il primo volume (la prima storia "La foresta degli agguati", conta 152 tavole, le successive sono molto più brevi). Diciamo che siamo arrivati a pagina 320 del primo volume: trenta pagine di redazionali lo riempiono fino alla lunghezza prevista di 350 (se 350 è la lunghezza prevista). Insomma: stabilita una lunghezza, si mettono le storie che ci stanno e poi si fa pari con i redazionali. Oppure, si fanno volumi di lunghezza diversa. Se poi si vuol fare una riedizione con le storie a puntate come per il Tex di Repubblica, ovviamente va bene lo stesso.

C'è un'idea per differenziare le copertine e attirare nuovi lettori senza riproporre quelle classiche, ed è un'idea di Graziano Romani. Va detto che i lettori di Zagor sono estremamente tradizionalisti e molto legati alle cover di Gallieno Ferri. Ferri è il disegnatore più amato, quasi venerato, e se le copertine fossero fatte ex-novo con disegni altrui la cosa potrebbe essere vissuta come un "tradimento". Del resto, le classiche copertine di Zagor sono viste e riviste. Come se ne esce? Zagor in origine usciva nel formato "a striscia" tipico delle pubblicazioni degli anni Cinquanta e dei primi anni Sessanta. Ferri ha disegnato ben 239 copertine "a striscia", prima di passare alle quasi seicento della serie regolare attualmente in edicola. Le copertine a striscia sono molto belle ma sono state viste pochissimo e sono note solo ai collezionisti più accaniti. Sarebbe molto semplice "verticalizzare" alcune di quelle copertine "orizzontali" e ottenere copertine inedite nel classico stile di Ferri dell'epoca (il miglior Ferri). Vedete un esempio artigianale del possibile risultato, con un montaggio fatto in casa, per diletto, da me e da Graziano Romani (la cui passione zagoriana è senza limiti e sarebbe un perfetto curatore dell'eventuale ristampa).

Tutto questo è solo un sogno? Non capisco perché. Si sono viste ristampe di tutti i tipi, da Mister No al Comandante Mark, da Alan Ford alla Collana Eroica, perché non potrebbe essercene una di Zagor? Uno dei motivi addotti per raffreddare gli entusiasmi è quello delle vendite. Ricordo di aver letto su Internet questa obiezione: "Non credo che sarà possibile una ristampa a colori di Zagor. Il motivo è semplice, Zagor non ha i numeri di Tex. Il Tex di Repubblica vende sulle centomila copie. Ho paura che Zagor non arriverebbe a tanto, non per la qualità ovvio, ma per mancanza di acquirenti". Rispondo così: non ho la sfera di cristallo e non ho la minima idea di quanto potrebbe vendere una ristampa a colori di Zagor, tuttavia, non seguo il ragionamento. Perché mai dovrebbe essere considerato il venduto del Tex di Repubblica il break even per un'altra ristampa? Ciò che serve per fare una ristampa non è una previsione di vendita di centomila copie, ma una previsione di vendita di tante copie quanto bastano a pareggiare i conti. Non bisogna affatto pensare a raggiungere Tex, ma a raggiungere il punto di pareggio. Magari diecimila bastano a non rimetterci.
In realtà si può sperare che una "edizione definitiva" di un personaggio molto popolare e ben presente come icona nell'immaginario collettivo, qual è Zagor, potrebbe incuriosire anche qualcun altro oltre ai quarantamila acquirenti della collana mensile. In particolare, potrebbe interessare qualcuno dei duecentoventimila dei tempi di Nolitta, che si ritroverebbero riproposte le mitiche storie della loro giovinezza. Se poi, faccio solo per dire, Zagor "collezione storica" si collegasse direttamente alla riedizione di Tex fatta da Repubblica, potrebbe esserci un effetto traino, per cui qualcuno degli acquirenti texiani potrebbe proseguire senza soluzione di continuità, trasformandosi anche in acquirente zagoriano. Non basta: se ci fosse un minimo battage pubblicitario che promuovesse l'operazione come il ritorno delle storie più importanti di Sergio Bonelli in persona, e di caposaldi della storia del fumetto italiano, ecco che anche gente che non legge né Zagor né Tex ma anche i vecchi lettori di Mister No o chi è interessato al fumetto bonelliano o agli eroi di carta in generale o ai fenomeni di costume o alla fiction in senso lato potrebbe essere coinvolto.

In ogni caso, quelle che sono andato facendo sono soltanto riflessioni a ruota libera scritte da uno che di mestiere non fa (per fortuna) né l'editore né l'esperto di marketing. Mi sono semplicemente messo nei panni del semplice lettore e ho fatto i conti della serva. Soprattutto, non c'è nessuna ristampa di Zagor in cantiere, per quel che ne so io, allo stato attuale delle cose. Posso dire soltanto che, fino a oggi, quelli di Repubblica non hanno ancora fatto precise richieste riguardo a un'eventuale "collezione storica" dello Spirito con la Scure, dato che ancora per alcuni mesi il Tex a colori proseguirà la sua marcia trionfale. E' evidente che non verranno messe in cantiere iniziative concorrenti (e una ristampa di Zagor lo sarebbe) finché continuerà la collana di Aquila della Notte. Tuttavia, non è escluso che proprio l'eroe di Darkwood venga preso in considerazione per proseguire la collaborazione con la Bonelli.


Perciò, si tratta di restare in attesa degli eventi. Pare comunque che ci siano anche altre offerte e, in ogni caso, potrebbe essere la Bonelli stessa, alla fine, a realizzare una ristampa. Insomma: i giochi sono aperti. Se può consolare, però, ci sono delle chance che qualcosa venga fatto. Incrociamo le dita e speriamo.