Uno degli eventi del 2010 è stata la chiusura di Magico Vento. Tutta la serie di Gianfranco Manfredi, del resto, si può considerare un evento nella storia del fumetto italiano, per una lunga serie di elementi innovativi e caratteristici, a partire dall'autorialità del prodotto, firmato peraltro da un autore decisamente multimediale, scrittore, cantautore, regista e attore. Nel mio ipod figurano alcune canzone da lui scritte per Ricky Gianco, e ricordo di averlo visto in pellicole molto divertenti come "Amore in prima classe" (con Enrico Montesano), "Colletti bianchi" (con Giorgio Faletti), "In camera mia" (con Nastassja Kinski e Ricky Tognazzi) e "Kamikaze" (in cui era il protagonista).
Sono stato con lui a Istanbul e si è rivelato, più ancora di quanto già sapevo, una persona colta e divertente al tempo stesso, sempre acuta e mai banale nei giudizi e nei commenti. All'epoca dell'uscita del primo numero di Magico Vento ebbi la ventura di intervistarlo per una anteprima della serie pubblicata su Dime Press, di cui sono stato uno dei fondatori. Quasi a voler chiudere il cerchio, Saverio Ceri, un'altra delle colonne di quella rivista e prezioso collaboratore di questo blog, ha dedicato a Ned Ellis la quinta puntata della sua rubrica "Diamo i numeri". Dopo le sue statistiche, interessanti come sempre, troverete proprio l'intervista a Manfredi da me realizzata nel 1997.
Sono stato con lui a Istanbul e si è rivelato, più ancora di quanto già sapevo, una persona colta e divertente al tempo stesso, sempre acuta e mai banale nei giudizi e nei commenti. All'epoca dell'uscita del primo numero di Magico Vento ebbi la ventura di intervistarlo per una anteprima della serie pubblicata su Dime Press, di cui sono stato uno dei fondatori. Quasi a voler chiudere il cerchio, Saverio Ceri, un'altra delle colonne di quella rivista e prezioso collaboratore di questo blog, ha dedicato a Ned Ellis la quinta puntata della sua rubrica "Diamo i numeri". Dopo le sue statistiche, interessanti come sempre, troverete proprio l'intervista a Manfredi da me realizzata nel 1997.
NUMERI AL VENTO
Diamo i numeri 5
di Saverio Ceri
Poco più di due mesi or sono si è interrotta, come da tempo annunciato, la saga di Magico Vento, il primo personaggio creato da Gianfranco Manfredi per la Sergio Bonelli Editore. La serie iniziata nel 1997 rappresentò per l’editore, dopo anni di stasi, la prima di ben otto nuove collane che furono lanciate nel giro di poco tempo.
La carriera di Magico Vento si chiude dopo 13 anni a quota 131 albi. I primi 100 con cadenza mensile, poi bimestrale. Il cambio di periodicità coincide anche con l’aumento della foliazione degli albi che passano da 94 a 124 tavole; caso particolare il numero di chiusura, che pur mantenendo ufficialmente la numerazione regolare presenta chiaramente in copertina e in costola elementi che lo contraddistinguono come albo speciale, e che presenta 206 pagine a fumetti.
In totale di Magico Vento sono state pubblicate 13.326 tavole che posizionano Ned Ellis, questo il nome di battesimo del protagonista, solidamente al 12° posto nella classifica dei personaggi bonelliani di sempre.
Gli sceneggiatori che hanno legato il loro nome allo sciamano bianco sono solamente cinque, questo l’ordine in base al contributo in tavole dato al personaggio.
1° Manfredi 12578 tavole
2° Queirolo 372
3° Faraci 188
4°Segura 141
5° Lugano 47
La parte del leone la fa ovviamente il “padre” del personaggio che ha realizzato oltre il 94% delle storie. Una doverosa segnalazione anche per Renato Queirolo, lo “zio” di Magico Vento, si potrebbe dire, vista la cura con cui lo ha seguito fin dalla nascita. Queirolo, per Ned Ellis è tornato, eccezionalmente, a scrivere in prima persona: tre le storie da lui sceneggiate.
Decisamente più folto il gruppo dei disegnatori che si sono alternati sulla pagine della testata; ventotto il loro numero. Di questi ben dodici sono poi (o prima) transitati sulle pagine di Tex, a testimonianza anche dell’alta qualità degli illustratori della serie. Qui li trovate elencati in ordine di tavole realizzate:
1° Ramella 1761,5 tavole
2° Barbati 1503,67
3° Frisenda 1316
4° Perovic 1090
5° Milazzo 1034
5° Parlov 1034
7° Biglia 970,17
8° Siniscalchi 620
9° Ortiz 564
10° Mastantuono 376
10° Milano 376
12° Talami 350,5
13° Volante 334,83
14° Piccatto 282
15° Di Vincenzo 250
16° Leomacs 218
17° Giez 188
17° Sicomoro 188
19° Spadoni 186
20° Nespolino 124
20° Della Monica 124
22° Marcello 94
22° Roi 94
22° Spadavecchia 94
25° Pezzi 61
26° Raffaelli 47
27° Copello 31,33
28° Matteoni 14
Vince Bruno Ramella, creatore grafico del personaggio e autore di riferimento per molti dei disegnatori che gli sono succeduti ai pennelli. I numeri decimali derivano del fatto che alcune storie sono state firmate a sei o addirittura a otto mani.
Tre i copertinisti che si sono avvicendati sulla testata: Venturi all’esordio, poi Frisenda e infine Mastantuono. L’ordine della quantità delle cover disegnate è inverso all’ordine di apparizione:
1° Mastantuono 56 cover
2° Frisenda 44
3° Venturi 31
Per chiudere alcune curiosità.
La storia più lunga è “La guerra di Toro Seduto” di 500 pagine, pubblicata sui numeri dal 97 al 101, la più breve “Memorie del tempo perduto”, ovvero le 14 pagine di raccordo tra i tre episodi dell’ultimo numero.
Barbati e Ramella sono gli unici disegnatori dello staff iniziale ad aver accompagnato il personaggio fino alla chiusura: ogni anno, tra il 1997 e il 2010, è stata pubblicata almeno una loro storia. Alla prossima.
Saverio Ceri
TERZO GRADO
INTERVISTA A
GIANFRANCO MANFREDI
a cura di Moreno Burattini
dalla rivista "Dime Press" n° 16 (1997)
Sembra quasi impossibile che possa esistere uno come Gianfranco Manfredi. Cioè, si può benissimo immaginare che ci sia qualcuno in grado di scrivere trecento canzoni, incidere dischi e scrivere perfino saggi di critica musicale. E' pensabile che uno sceneggiatore di film e serie televisive possa recitare o aver recitato come attore in qualche pellicola. Si può supporre che uno scrittore di romanzi sia in grado di passare con disinvoltura ai testi dei fumetti, proponendosi sia come interprete di personaggi altrui sia come creatore di serie proprie. Ma che ci sia una sola persona in grado di fare tutto ciò, ha dell'incredibile. Se poi si aggiunge che la persona in questione è anche autore di scritti di filosofia ("L'amore e gli amori in J.J.Rousseau") e che pur proponendosi come sceneggiatore unico di una nuova serie bonelliana non ha intenzione di mollare Nick Raider e continua anche a coltivare a tempo perso anche le altre attività, beh... allora, c'è un mistero sotto. Tutto lascia supporre che il Mister Jinx di Martin Mystère esista davvero, e che Manfredi frequenti la base di Tempo Zero, dove l'orologio si rallenta e ventiquattro ore si dilatano a un mese. Nato a Senigallia (Ancona) nel 1948, Manfredi si è laureato in Filosofia a Milano, città dove tuttora risiede. Lì, Dime Press lo ha rintracciato e ha ottenuto un'interessante intervista su Magico Vento.
Dime Press - Magico Vento: per ora soltanto un nome, anche se molto evocativo. Prima ancora che la serie si sviluppi, può descriverci brevemente chi è questo nuovo personaggio e quali saranno le sue principali caratteristiche?
Gianfranco Manfredi - Magico Vento è quello che i Sioux chiamano un "Uomo Strano". In altre parole, non è soltanto un uomo della medicina, ma uno sciamano e un guerriero con il dono della "visione" e capacità che vanno al di là della normale ritualità indiana. L'Uomo Strano, insomma, sfugge a ogni regola e da lui ci si può aspettare di tutto. Tra l'altro, Magico Vento non è un indiano, ma un bianco passato con i Sioux a seguito di una misteriosa vicenda che sarà raccontata nel primo episodio. A causa di una scheggia di metallo conficcata nella sua testa, Magico Vento ha perso la memoria e dunque ignora del tutto il suo passato da bianco. D'altro canto quello stesso trauma gli ha dischiuso le porte del futuro, nel senso che Magico Vento riesce a intuirlo attraverso drammatiche visioni profetiche. Magico Vento, dunque, non è un eroe "tutto d'un pezzo". La sia personalità è in qualche modo scissa.
DP - Accetta la definizione di "western" per la sua nuova serie, oppure ne preferisce un'altra?
GM - La serie Magico Vento è sicuramente western per ambientazione e attenzione storica e geografica, ma mi piace pensarla "oltre" il genere. Risente infatti di influenze e sviluppa temi che il pubblico non è abituato a trovare nel western classico.
DP - In che cosa, soprattutto, Magico Vento si distinguerà dalla tradizionale letteratura (a fumetti, su pellicola e in prosa) della mitologia e dell'epopea del West e della Frontiera?
GM - L'idea di un personaggio del genere mi era venuta qualche anno fa, riflettendo sul declino del cinema western (che a parte sporadici episodi tipo Balla coi Lupi o L'Ultimo dei Mohicani ancora ricalca pedissequamente le orme di Sergio Leone). Quello che mi chiedevo era: si può trovare un modo nuovo per raccontare il west? Allora sono tornato alle fonti e ho scoperto l'acqua calda, anzi bollente: cioè che per i primi scrittori della frontiera, il west rappresentava "i confini della realtà". Le storie ad opuscoli pubblicate da Buffalo Bill sono piene di fantasmi e di manifestazioni soprannaturali, e persino le memorie del Generale Custer ci presentano le Grandi Pianure come il regno dell'ignoto, terra di miraggi e apparizioni. Del resto basta leggere una cartina geografica del West per rendersi conto di questo modo "fantastico" di interpretare la realtà e di trasfigurarne i luoghi: Wounded Knee (Ginocchio ferito), Dust Bowl (Palla di polvere), Loup Fork (Cappio da Forca), Devil's Tower (Torre del Diavolo)... l'elenco potrebbe durare per pagine. Qui ho trovato il fondamento per raccontare il West coniugando storia reale e leggenda, e sfruttando una certa mia propensione per l'horror e il magico. Un tentativo del genere del resto lo avevo già fatto nel mio libro di racconti Ultimi Vampiri, che raccontava eventi cruciali della storia europea dal punto di vista dei vampiri, cioè della leggenda. A quel tempo Grazia Cherchi, un critico letterario che stimavo moltissimo e che rimpiango, aveva definito questa mia inclinazione come "realismo visionario", una definizione che mi va ancora benissimo.
DP - Qual è, o qual è stato, il suo rapporto con il western in passato? Ne era un appassionato cultore, un critico selezionatore, un fruitore distratto, o addirittura un detrattore?
GM - Il primo film western che ho visto da bambino era Kociss. Ricordo che mi emozionò molto la scena in cui Kociss veniva legato a una graticola sui carboni ardenti. Da allora sono sempre stato dalla parte degli indiani. Dunque, più avanti, i film western che ho gradito di più sono stato Il Piccolo Grande Uomo e Un Uomo chiamato cavallo. Mi è suonato quasi offensivo che Sergio Leone si sia sempre altamente fregato degli indiani. Tra i western "bianchi" metto tra i memorabili: La Leggenda del Generale Custer con Erroll Flynn, attore che mi folgorò da piccolo per la sua leggerezza e ironia, L'Uomo che uccise Liberty Valance e Il mucchio selvaggio. Anche questi sono western che parlano insieme della storia e della leggenda del West.
DP - Crede anche lei che, comunque, il genere western sia definitivamente al tramonto?
GM - Non credo che la grandezza del cinema western di un tempo possa tornare. Oggi i film western che diventano dei grandi successi non funzionano perché sono dei western, ma perché sono dei bei film. E questo non vale solo per i film. Condivido l'opinione di Sergio Bonelli, secondo il quale Tex è ancora un fumetto popolarissimo non perché sia un western, ma perché è Tex. Ciò che decide dei destini di una serie a fumetti, insomma, è il personaggio, anzitutto, e poi il clima creato dalle storie e la qualità della realizzazione. Il genere viene molto, ma molto dopo. Non è più la cosa fondamentale.
DP - Le tavole viste in anteprima mostrano una impostazione molto classica e tradizionale (in senso bonelliano) della scansione e del montaggio. La struttura è quella classica su tre strisce, la narrazione sembra molto fluida. Non ci sono scomposizioni dirompenti dell'impaginazione standard o ricerche di effetti grafici sofisticati come, per esempio, in Nathan Never. E' stato lei a scegliere questo tipo di impostazione? Se sì, perché?
GM - Questa impostazione credo sia la cosa più importante e notevole della tradizione Bonelli che, unico editore al mondo, ha tenuto fede a un programma molto impegnativo di fumetto popolare e narrativo. La condivido appieno ed è perfetta per Magico Vento, perché le storie di questa serie sono molto ricche di situazioni, svolte impreviste e legami interni. Non voglio che i lettori si distraggano e perdano il senso della storia, cosa che succederebbe inevitabilmente se li costringessimo a dover decifrare ad ogni momento qual è l'ordine giusto delle vignette, o a perdersi nei labirinti di tavole che anneghino il "fucking point" (cioè il gesto decisivo e centrale) tra mille altri dettagli.
DP - Magico Vento sarà un personaggio più avventuroso o più problematico? In altre parole, che tipo di storie andrà proponendo? Saranno racconti soprattutto pieni d'azione (o di mistero), o punteranno anche sull'introspezione dei personaggi e sull'approfondimento di temi e problemi quali, per esempio, la questione indiana (o quelli più eterni del "chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo?")?
GM - Non voglio anticipare le storie per non rovinare la sorpresa, tantomeno le mie intenzioni perché, come si sa, di buone intenzioni è lastricato l'inferno. Non credo comunque che l'avventura, se è buona avventura, possa oggi permettersi di trascurare la "problematicità". Non voglio presuntuosamente affrontare questioni "metafisiche", cosa che sarebbe del tutto ridicola in un fumetto, ma questo non toglie che non si possa nel dovuto modo alludere anche a temi importanti. Per "dovuto modo" intendo riferirmi alla buona regola del cinema e della letteratura (e dovrebbe valere anche per il fumetto) di non svelare troppo le metafore. Se Melville ci avesse spiegato che Moby Dick rappresenta Dio, o il Diavolo, o il Destino Umano, il suo romanzo di sarebbe rimpicciolito. Dobbiamo credere che sia una balena perché il racconto possa reggere e appassionarci. Sta poi alla nostra sensibilità di lettori coglierne i significati simbolici.
DP - Gli episodi di Magico Vento saranno autoconclusivi e ciascuno a sé stante, al punto da poter essere interscambiabili come accade in Dylan Dog o in Nick Raider, tanto per fare degli esempi, o ci sarà una continuity interna come in Ken Parker?
GM - Le storie sono episodi conclusivi ma "in progress", cioè c'è nella serie quella continuity che gli autori di fumetto hanno sempre sognato e molto di rado sono stati messi in grado di realizzare. Io ho potuto farlo grazie al lavoro della casa editrice e in particolare di Renato Queirolo che ha studiato un adeguato piano di uscite che permettesse di rispettare questo disegno generale. Quindi il personaggio di Magico Vento in qualche modo sarà segnato dalle esperienze che attraverserà e maturerà nel tempo, scoprendo gradatamente nuove cose di sé e nuovi modi per affrontare le situazioni. A questo si aggiunge una vera folla di personaggi collaterali che tornano periodicamente nelle storie. Insomma ho trattato i singoli episodi come capitoli di un "romanzone", cercando di stare bene attento a non farlo diventare mai un "polpettone". Il lettore potrà cioè seguire i singoli episodi senza dover necessariamente essere informato dei precedenti, ma quello che mi auguro è che resti affezionato alla serie proprio perché le situazioni non si replicano, ma sono in sviluppo e lasciano sempre aperta la porta alla curiosità sul futuro.
DP - Quale crede che sarà, soprattutto, il pubblico di Magico Vento? Si è prefisso un target particolare? Da quali "bacini d'utenza" attingerà?
GM - Non lo so. E' il pubblico dei fumetti e questo mi basta. Ho la fortuna di lavorare in una casa editrice che non fa indagini di mercato prima di muoversi e non insegue le mode del momento. Ho sperimentato sia nel cinema che in televisione che con l'ossessione di seguire i gusti e le presunte richieste del mercato non si ottiene altro che produrre per il "mercato che non c'è più", o di quello che "c'è sempre", servendo così cibi muffiti o la solita minestra. Quanto al "target", chi fissa troppo a lungo il bersaglio di solito non lo centra. Nel West poi, finisce regolarmente per essere centrato lui, da tiratori più veloci e più sciolti.
DP - Lo staff dei disegnatori è di eccezionale caratura. Che cosa ne pensa? Li ha scelti lei? C'è qualcuno non ancora arruolato che vorrebbe avere fra i suoi?
GM - Nella scelta dei disegnatori è stato fondamentale Renato Queirolo, che ha capito perfettamente, anche più di me, che il senso di questa serie non sarebbe arrivato ai lettori se tradito nel segno, nella capacità dei personaggi di recitare e nella fluidità delle azioni. In questa serie non si tratta soltanto di illustrare una sceneggiatura, ma di farla vivere sulla pagina e renderne appieno le sfumature. Per quanto mi riguarda, i disegnatori esigo di conoscerli personalmente uno per uno. Seguo il loro lavoro con scrupolo, non per spirito di "sorveglianza", ma per poter imparare a utilizzare al meglio il loro talento e assecondare, nella distribuzione delle storie, le loro diverse caratteristiche. Ce ne servono altri, naturalmente. L'importante è che siano giusti per la serie e condividano questa reciproca disponibilità, possibilmente con entusiasmo. Mi piacerebbe che non fossimo semplicemente dei professionisti che lavorano insieme, ma un vero Mucchio Selvaggio.
DP - Sarà sempre e soltanto lei a scrivere le storie o già è previsto l'arrivo di altri sceneggiatori a darle man forte?
GM - Da quel che ho detto prima credo sia evidente che per il momento (e sarà un momento che durerà a lungo) devo scrivere le storie da solo, proprio perché i singoli episodi sono collegati e inseriti in uno sviluppo generale. Del resto non c'è adesso nessuna urgenza di sceneggiatori perché ho la fortuna di "scrivere veloce" e, soprattutto se mi diverto, come in questo caso, produco a gran ritmo.
DP - Qual è il contributo di Renato Queirolo, curatore della serie?
GM - Queirolo sa rendere il mio lavoro di scrittura meno solitario. Verifico e discuto con lui le singole sceneggiature e le linee di sviluppo della serie. Renato dedica a Magico Vento un impegno raro e particolare, e sa cogliere persino il "suono" delle mie idee e valutare con me il modo più giusto per farlo arrivare, proprio come un ottimo arrangiatore sa fare con una canzone non scritta da lui: rispettandola fino in fondo, ma cercando di dare sempre il suo contributo per migliorarla.
DP - Dovendo scrivere Magico Vento, abbandonerà Dylan Dog e Nick Raider?
GM - Tutte le volte che sento il bisogno di prendermi una pausa dal West e dai misteriosi sentieri della magia, mi metto a scrivere una storia di Nick Raider. Scrivere un plot giallo mi viene naturale e lo trovo rilassante come uscire a fare una passeggiata. Dylan Dog, per sua natura, è molto meno distensivo e dunque non potrò continuare a collaborarci. Ma le storie scritte da me usciranno lo stesso, dato che nei primi due anni del mio lavoro per la Bonelli ne ho consegnate parecchie.
DP - Lei è arrivato alla Sergio Bonelli Editore dopo l'esperienza di Gordon Link con la Dardo. Quali differenze ha riscontrato fra le due case editrici e come si è trovato nel passaggio?
GM - L'esperienza con Casarotti alla Dardo è stata molto importante per me, in un certo senso la mia nave scuola, per quanto riguarda il fumetto. La collaborazione è nata per caso (dopo aver scritto la serie di telefilm di Valentina, progettavo una serie TV sul Grande Blek). E' stato Casarotti a suggerirmi di scrivere direttamente a fumetti, visto che li amavo tanto, e di non limitarmi a cercare di trasferirli sullo schermo. Così, devo il mio debutto nel fumetto a lui. Alla Bonelli ho trovato una struttura redazionale e organizzativa che mi ha permesso di lavorare al meglio. Quello che sinceramente non mi sarei aspettato, era di scoprire in una grossa casa editrice lo spirito artigianale ed entusiasta di gente che crede in quello che fa e ci si appassiona, cosa senza la quale il lavoro di scrivere è di una insostenibile pesantezza. La sorpresa è stata così piacevole che per la prima volta nella mia vita ho finito per passare al misurino gli altri (e tanti) lavori che facevo. Ho mantenuto quelli che considero ancora importanti per la mia crescita, e scartato tutte le offerte "di commissione" che non riuscivo più a sopportare, grazie all'esperienza felice con la Bonelli. Sergio Bonelli in persona, poi, mi ha sempre mostrato grande stima e amicizia ancor prima che mi "trasferissi" da lui, invitandomi, tanto per fare un esempio, a moltissime iniziative nate attorno a Dylan Dog, per parlare del mio Gordon Link. Finché mi ha dato fiducia per una serie nuova, Magico Vento, appunto, anche se tra i suoi collaboratori ero l'ultimo arrivato. Scusate se è poco.
DP - Lei è un autore singolarmente multimediale: autore di canzoni, critico musicale, sceneggiatore cinematografico e televisivo, attore, saggista e scrittore di romanzi. Normalmente, il fumetto viene considerato la cenerentola dei media, l'ultimo dei possibili modi di comunicare. Lei non pare di questo avviso, visto che accanto ai suoi tanti interessi vi si sta dedicando da tempo, con ottimi risultati.
GM - Non mi pare affatto che i comics siano tanto negletti. Tanto per dirne una, mi è capitato dopo la pubblicazione di una delle prime storie che ho scritto per Dylan Dog, di poter leggere una recensione di quattro colonne di Giulio Giorello sulle pagine culturali del Corriere della Sera. Tra l'altro Giorello aveva colto una serie di aspetti matematico-filosofici che nella storia avevo messo del tutto sullo sfondo. Ora, nei miei romanzi ho infilato sempre una messe di elementi filosofici (dopotutto sono laureato in filosofia) e in molta maggiore evidenza. Se ne fosse accorto qualcuno!
DP - Lei è stato lo sceneggiatore dei telefilm ispirati al personaggio di Crepax, Valentina, impersonata da Demetra Hamptom. Dunque, si è già occupato della trasposizione per lo schermo di storie a fumetti. Pensa che agli eroi di carta giovi il passaggio al cinema o in TV?
GM - Io ho scelto il fumetto dopo molte esperienze professionali. Sento l'orgoglio del fare fumetti forse più di tanti che questo lavoro lo fanno da anni e anni e che magari non hanno mai fatto altro. Il fumetto deve essere felice di essere se stesso. Se da un fumetto qualcuno vuole ricavare un film, può anche andar bene, ma è una specie di valore aggiunto. Insomma: anche se la televisione ha reso più popolare Valentina, la vera Valentina resta sempre quella di Crepax, quella dei fumetti.
DP - Dovendo presentarsi al pubblico dei lettori bonelliani come autore di "altro" dal fumetto, quali fra i suoi dischi, i suoi film e i suoi libri consiglierebbe di rintracciare? Quali suoi lavori extrafumettistici, insomma, lei considera i suoi migliori biglietti da visita?
GM - I miei dischi sono irrintracciabili. Non dico quali meriterebbero di essere rintracciati se no poi i lettori ne chiedono una copia a me, e non potrei accontentarli. I miei libri sono rintracciabili gratis nelle biblioteche pubbliche e saranno, spero, ristampati, ma non prima che io ne abbia pubblicato uno nuovo. Non faccio graduatorie tra loro perché sarebbe come preferire un figlio all'altro. Ciascuno significa ancora qualcosa per me. I film che ho fatto da attore, vi prego: non vedeteli! La maggior parte li ho fatti per amicizia, per divertimento, o per pagare l'affitto. Quelli che ho fatto come sceneggiatore, ad eccezione del primo, Liquirizia di Samperi, tutti o quasi gli altri sono stati lavori puramente professionali scritti su commissione. Qualcuno è venuto carino. Qualche volta mi sono pure divertito. Della maggior parte dei lavori non sono affatto contento. Le storie che ho creato io non si sono mai realizzate, e sempre "per un pelo". Dunque, la cosa che devo di più al cinema è la duttilità e la misura nel lavoro di sceneggiatore.
DP - Oltre Nick Raider e Magico Vento, sta continuando le altre sue attività? Quali progetti ha nel cassetto o in lavorazione in questo momento?
GM - Sto lavorando a due romanzi. Al primo, lavoro già da quattro anni. E' un romanzo storico molto impegnativo (per documentazione, per stile, per argomento). Non ho fretta di finirlo, né di pubblicarlo, perché è un lavoro da condurre con estrema ponderazione. L'altro, dovrebbe uscire l'anno prossimo: è una storia molto nera, molto italiana e molto contemporanea. Da brivido, insomma.
INTERVISTA A
GIANFRANCO MANFREDI
a cura di Moreno Burattini
dalla rivista "Dime Press" n° 16 (1997)
Sembra quasi impossibile che possa esistere uno come Gianfranco Manfredi. Cioè, si può benissimo immaginare che ci sia qualcuno in grado di scrivere trecento canzoni, incidere dischi e scrivere perfino saggi di critica musicale. E' pensabile che uno sceneggiatore di film e serie televisive possa recitare o aver recitato come attore in qualche pellicola. Si può supporre che uno scrittore di romanzi sia in grado di passare con disinvoltura ai testi dei fumetti, proponendosi sia come interprete di personaggi altrui sia come creatore di serie proprie. Ma che ci sia una sola persona in grado di fare tutto ciò, ha dell'incredibile. Se poi si aggiunge che la persona in questione è anche autore di scritti di filosofia ("L'amore e gli amori in J.J.Rousseau") e che pur proponendosi come sceneggiatore unico di una nuova serie bonelliana non ha intenzione di mollare Nick Raider e continua anche a coltivare a tempo perso anche le altre attività, beh... allora, c'è un mistero sotto. Tutto lascia supporre che il Mister Jinx di Martin Mystère esista davvero, e che Manfredi frequenti la base di Tempo Zero, dove l'orologio si rallenta e ventiquattro ore si dilatano a un mese. Nato a Senigallia (Ancona) nel 1948, Manfredi si è laureato in Filosofia a Milano, città dove tuttora risiede. Lì, Dime Press lo ha rintracciato e ha ottenuto un'interessante intervista su Magico Vento.
Dime Press - Magico Vento: per ora soltanto un nome, anche se molto evocativo. Prima ancora che la serie si sviluppi, può descriverci brevemente chi è questo nuovo personaggio e quali saranno le sue principali caratteristiche?
Gianfranco Manfredi - Magico Vento è quello che i Sioux chiamano un "Uomo Strano". In altre parole, non è soltanto un uomo della medicina, ma uno sciamano e un guerriero con il dono della "visione" e capacità che vanno al di là della normale ritualità indiana. L'Uomo Strano, insomma, sfugge a ogni regola e da lui ci si può aspettare di tutto. Tra l'altro, Magico Vento non è un indiano, ma un bianco passato con i Sioux a seguito di una misteriosa vicenda che sarà raccontata nel primo episodio. A causa di una scheggia di metallo conficcata nella sua testa, Magico Vento ha perso la memoria e dunque ignora del tutto il suo passato da bianco. D'altro canto quello stesso trauma gli ha dischiuso le porte del futuro, nel senso che Magico Vento riesce a intuirlo attraverso drammatiche visioni profetiche. Magico Vento, dunque, non è un eroe "tutto d'un pezzo". La sia personalità è in qualche modo scissa.
DP - Accetta la definizione di "western" per la sua nuova serie, oppure ne preferisce un'altra?
GM - La serie Magico Vento è sicuramente western per ambientazione e attenzione storica e geografica, ma mi piace pensarla "oltre" il genere. Risente infatti di influenze e sviluppa temi che il pubblico non è abituato a trovare nel western classico.
DP - In che cosa, soprattutto, Magico Vento si distinguerà dalla tradizionale letteratura (a fumetti, su pellicola e in prosa) della mitologia e dell'epopea del West e della Frontiera?
GM - L'idea di un personaggio del genere mi era venuta qualche anno fa, riflettendo sul declino del cinema western (che a parte sporadici episodi tipo Balla coi Lupi o L'Ultimo dei Mohicani ancora ricalca pedissequamente le orme di Sergio Leone). Quello che mi chiedevo era: si può trovare un modo nuovo per raccontare il west? Allora sono tornato alle fonti e ho scoperto l'acqua calda, anzi bollente: cioè che per i primi scrittori della frontiera, il west rappresentava "i confini della realtà". Le storie ad opuscoli pubblicate da Buffalo Bill sono piene di fantasmi e di manifestazioni soprannaturali, e persino le memorie del Generale Custer ci presentano le Grandi Pianure come il regno dell'ignoto, terra di miraggi e apparizioni. Del resto basta leggere una cartina geografica del West per rendersi conto di questo modo "fantastico" di interpretare la realtà e di trasfigurarne i luoghi: Wounded Knee (Ginocchio ferito), Dust Bowl (Palla di polvere), Loup Fork (Cappio da Forca), Devil's Tower (Torre del Diavolo)... l'elenco potrebbe durare per pagine. Qui ho trovato il fondamento per raccontare il West coniugando storia reale e leggenda, e sfruttando una certa mia propensione per l'horror e il magico. Un tentativo del genere del resto lo avevo già fatto nel mio libro di racconti Ultimi Vampiri, che raccontava eventi cruciali della storia europea dal punto di vista dei vampiri, cioè della leggenda. A quel tempo Grazia Cherchi, un critico letterario che stimavo moltissimo e che rimpiango, aveva definito questa mia inclinazione come "realismo visionario", una definizione che mi va ancora benissimo.
DP - Qual è, o qual è stato, il suo rapporto con il western in passato? Ne era un appassionato cultore, un critico selezionatore, un fruitore distratto, o addirittura un detrattore?
GM - Il primo film western che ho visto da bambino era Kociss. Ricordo che mi emozionò molto la scena in cui Kociss veniva legato a una graticola sui carboni ardenti. Da allora sono sempre stato dalla parte degli indiani. Dunque, più avanti, i film western che ho gradito di più sono stato Il Piccolo Grande Uomo e Un Uomo chiamato cavallo. Mi è suonato quasi offensivo che Sergio Leone si sia sempre altamente fregato degli indiani. Tra i western "bianchi" metto tra i memorabili: La Leggenda del Generale Custer con Erroll Flynn, attore che mi folgorò da piccolo per la sua leggerezza e ironia, L'Uomo che uccise Liberty Valance e Il mucchio selvaggio. Anche questi sono western che parlano insieme della storia e della leggenda del West.
DP - Crede anche lei che, comunque, il genere western sia definitivamente al tramonto?
GM - Non credo che la grandezza del cinema western di un tempo possa tornare. Oggi i film western che diventano dei grandi successi non funzionano perché sono dei western, ma perché sono dei bei film. E questo non vale solo per i film. Condivido l'opinione di Sergio Bonelli, secondo il quale Tex è ancora un fumetto popolarissimo non perché sia un western, ma perché è Tex. Ciò che decide dei destini di una serie a fumetti, insomma, è il personaggio, anzitutto, e poi il clima creato dalle storie e la qualità della realizzazione. Il genere viene molto, ma molto dopo. Non è più la cosa fondamentale.
DP - Le tavole viste in anteprima mostrano una impostazione molto classica e tradizionale (in senso bonelliano) della scansione e del montaggio. La struttura è quella classica su tre strisce, la narrazione sembra molto fluida. Non ci sono scomposizioni dirompenti dell'impaginazione standard o ricerche di effetti grafici sofisticati come, per esempio, in Nathan Never. E' stato lei a scegliere questo tipo di impostazione? Se sì, perché?
GM - Questa impostazione credo sia la cosa più importante e notevole della tradizione Bonelli che, unico editore al mondo, ha tenuto fede a un programma molto impegnativo di fumetto popolare e narrativo. La condivido appieno ed è perfetta per Magico Vento, perché le storie di questa serie sono molto ricche di situazioni, svolte impreviste e legami interni. Non voglio che i lettori si distraggano e perdano il senso della storia, cosa che succederebbe inevitabilmente se li costringessimo a dover decifrare ad ogni momento qual è l'ordine giusto delle vignette, o a perdersi nei labirinti di tavole che anneghino il "fucking point" (cioè il gesto decisivo e centrale) tra mille altri dettagli.
DP - Magico Vento sarà un personaggio più avventuroso o più problematico? In altre parole, che tipo di storie andrà proponendo? Saranno racconti soprattutto pieni d'azione (o di mistero), o punteranno anche sull'introspezione dei personaggi e sull'approfondimento di temi e problemi quali, per esempio, la questione indiana (o quelli più eterni del "chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo?")?
GM - Non voglio anticipare le storie per non rovinare la sorpresa, tantomeno le mie intenzioni perché, come si sa, di buone intenzioni è lastricato l'inferno. Non credo comunque che l'avventura, se è buona avventura, possa oggi permettersi di trascurare la "problematicità". Non voglio presuntuosamente affrontare questioni "metafisiche", cosa che sarebbe del tutto ridicola in un fumetto, ma questo non toglie che non si possa nel dovuto modo alludere anche a temi importanti. Per "dovuto modo" intendo riferirmi alla buona regola del cinema e della letteratura (e dovrebbe valere anche per il fumetto) di non svelare troppo le metafore. Se Melville ci avesse spiegato che Moby Dick rappresenta Dio, o il Diavolo, o il Destino Umano, il suo romanzo di sarebbe rimpicciolito. Dobbiamo credere che sia una balena perché il racconto possa reggere e appassionarci. Sta poi alla nostra sensibilità di lettori coglierne i significati simbolici.
DP - Gli episodi di Magico Vento saranno autoconclusivi e ciascuno a sé stante, al punto da poter essere interscambiabili come accade in Dylan Dog o in Nick Raider, tanto per fare degli esempi, o ci sarà una continuity interna come in Ken Parker?
GM - Le storie sono episodi conclusivi ma "in progress", cioè c'è nella serie quella continuity che gli autori di fumetto hanno sempre sognato e molto di rado sono stati messi in grado di realizzare. Io ho potuto farlo grazie al lavoro della casa editrice e in particolare di Renato Queirolo che ha studiato un adeguato piano di uscite che permettesse di rispettare questo disegno generale. Quindi il personaggio di Magico Vento in qualche modo sarà segnato dalle esperienze che attraverserà e maturerà nel tempo, scoprendo gradatamente nuove cose di sé e nuovi modi per affrontare le situazioni. A questo si aggiunge una vera folla di personaggi collaterali che tornano periodicamente nelle storie. Insomma ho trattato i singoli episodi come capitoli di un "romanzone", cercando di stare bene attento a non farlo diventare mai un "polpettone". Il lettore potrà cioè seguire i singoli episodi senza dover necessariamente essere informato dei precedenti, ma quello che mi auguro è che resti affezionato alla serie proprio perché le situazioni non si replicano, ma sono in sviluppo e lasciano sempre aperta la porta alla curiosità sul futuro.
DP - Quale crede che sarà, soprattutto, il pubblico di Magico Vento? Si è prefisso un target particolare? Da quali "bacini d'utenza" attingerà?
GM - Non lo so. E' il pubblico dei fumetti e questo mi basta. Ho la fortuna di lavorare in una casa editrice che non fa indagini di mercato prima di muoversi e non insegue le mode del momento. Ho sperimentato sia nel cinema che in televisione che con l'ossessione di seguire i gusti e le presunte richieste del mercato non si ottiene altro che produrre per il "mercato che non c'è più", o di quello che "c'è sempre", servendo così cibi muffiti o la solita minestra. Quanto al "target", chi fissa troppo a lungo il bersaglio di solito non lo centra. Nel West poi, finisce regolarmente per essere centrato lui, da tiratori più veloci e più sciolti.
DP - Lo staff dei disegnatori è di eccezionale caratura. Che cosa ne pensa? Li ha scelti lei? C'è qualcuno non ancora arruolato che vorrebbe avere fra i suoi?
GM - Nella scelta dei disegnatori è stato fondamentale Renato Queirolo, che ha capito perfettamente, anche più di me, che il senso di questa serie non sarebbe arrivato ai lettori se tradito nel segno, nella capacità dei personaggi di recitare e nella fluidità delle azioni. In questa serie non si tratta soltanto di illustrare una sceneggiatura, ma di farla vivere sulla pagina e renderne appieno le sfumature. Per quanto mi riguarda, i disegnatori esigo di conoscerli personalmente uno per uno. Seguo il loro lavoro con scrupolo, non per spirito di "sorveglianza", ma per poter imparare a utilizzare al meglio il loro talento e assecondare, nella distribuzione delle storie, le loro diverse caratteristiche. Ce ne servono altri, naturalmente. L'importante è che siano giusti per la serie e condividano questa reciproca disponibilità, possibilmente con entusiasmo. Mi piacerebbe che non fossimo semplicemente dei professionisti che lavorano insieme, ma un vero Mucchio Selvaggio.
DP - Sarà sempre e soltanto lei a scrivere le storie o già è previsto l'arrivo di altri sceneggiatori a darle man forte?
GM - Da quel che ho detto prima credo sia evidente che per il momento (e sarà un momento che durerà a lungo) devo scrivere le storie da solo, proprio perché i singoli episodi sono collegati e inseriti in uno sviluppo generale. Del resto non c'è adesso nessuna urgenza di sceneggiatori perché ho la fortuna di "scrivere veloce" e, soprattutto se mi diverto, come in questo caso, produco a gran ritmo.
DP - Qual è il contributo di Renato Queirolo, curatore della serie?
GM - Queirolo sa rendere il mio lavoro di scrittura meno solitario. Verifico e discuto con lui le singole sceneggiature e le linee di sviluppo della serie. Renato dedica a Magico Vento un impegno raro e particolare, e sa cogliere persino il "suono" delle mie idee e valutare con me il modo più giusto per farlo arrivare, proprio come un ottimo arrangiatore sa fare con una canzone non scritta da lui: rispettandola fino in fondo, ma cercando di dare sempre il suo contributo per migliorarla.
DP - Dovendo scrivere Magico Vento, abbandonerà Dylan Dog e Nick Raider?
GM - Tutte le volte che sento il bisogno di prendermi una pausa dal West e dai misteriosi sentieri della magia, mi metto a scrivere una storia di Nick Raider. Scrivere un plot giallo mi viene naturale e lo trovo rilassante come uscire a fare una passeggiata. Dylan Dog, per sua natura, è molto meno distensivo e dunque non potrò continuare a collaborarci. Ma le storie scritte da me usciranno lo stesso, dato che nei primi due anni del mio lavoro per la Bonelli ne ho consegnate parecchie.
DP - Lei è arrivato alla Sergio Bonelli Editore dopo l'esperienza di Gordon Link con la Dardo. Quali differenze ha riscontrato fra le due case editrici e come si è trovato nel passaggio?
GM - L'esperienza con Casarotti alla Dardo è stata molto importante per me, in un certo senso la mia nave scuola, per quanto riguarda il fumetto. La collaborazione è nata per caso (dopo aver scritto la serie di telefilm di Valentina, progettavo una serie TV sul Grande Blek). E' stato Casarotti a suggerirmi di scrivere direttamente a fumetti, visto che li amavo tanto, e di non limitarmi a cercare di trasferirli sullo schermo. Così, devo il mio debutto nel fumetto a lui. Alla Bonelli ho trovato una struttura redazionale e organizzativa che mi ha permesso di lavorare al meglio. Quello che sinceramente non mi sarei aspettato, era di scoprire in una grossa casa editrice lo spirito artigianale ed entusiasta di gente che crede in quello che fa e ci si appassiona, cosa senza la quale il lavoro di scrivere è di una insostenibile pesantezza. La sorpresa è stata così piacevole che per la prima volta nella mia vita ho finito per passare al misurino gli altri (e tanti) lavori che facevo. Ho mantenuto quelli che considero ancora importanti per la mia crescita, e scartato tutte le offerte "di commissione" che non riuscivo più a sopportare, grazie all'esperienza felice con la Bonelli. Sergio Bonelli in persona, poi, mi ha sempre mostrato grande stima e amicizia ancor prima che mi "trasferissi" da lui, invitandomi, tanto per fare un esempio, a moltissime iniziative nate attorno a Dylan Dog, per parlare del mio Gordon Link. Finché mi ha dato fiducia per una serie nuova, Magico Vento, appunto, anche se tra i suoi collaboratori ero l'ultimo arrivato. Scusate se è poco.
DP - Lei è un autore singolarmente multimediale: autore di canzoni, critico musicale, sceneggiatore cinematografico e televisivo, attore, saggista e scrittore di romanzi. Normalmente, il fumetto viene considerato la cenerentola dei media, l'ultimo dei possibili modi di comunicare. Lei non pare di questo avviso, visto che accanto ai suoi tanti interessi vi si sta dedicando da tempo, con ottimi risultati.
GM - Non mi pare affatto che i comics siano tanto negletti. Tanto per dirne una, mi è capitato dopo la pubblicazione di una delle prime storie che ho scritto per Dylan Dog, di poter leggere una recensione di quattro colonne di Giulio Giorello sulle pagine culturali del Corriere della Sera. Tra l'altro Giorello aveva colto una serie di aspetti matematico-filosofici che nella storia avevo messo del tutto sullo sfondo. Ora, nei miei romanzi ho infilato sempre una messe di elementi filosofici (dopotutto sono laureato in filosofia) e in molta maggiore evidenza. Se ne fosse accorto qualcuno!
DP - Lei è stato lo sceneggiatore dei telefilm ispirati al personaggio di Crepax, Valentina, impersonata da Demetra Hamptom. Dunque, si è già occupato della trasposizione per lo schermo di storie a fumetti. Pensa che agli eroi di carta giovi il passaggio al cinema o in TV?
GM - Io ho scelto il fumetto dopo molte esperienze professionali. Sento l'orgoglio del fare fumetti forse più di tanti che questo lavoro lo fanno da anni e anni e che magari non hanno mai fatto altro. Il fumetto deve essere felice di essere se stesso. Se da un fumetto qualcuno vuole ricavare un film, può anche andar bene, ma è una specie di valore aggiunto. Insomma: anche se la televisione ha reso più popolare Valentina, la vera Valentina resta sempre quella di Crepax, quella dei fumetti.
DP - Dovendo presentarsi al pubblico dei lettori bonelliani come autore di "altro" dal fumetto, quali fra i suoi dischi, i suoi film e i suoi libri consiglierebbe di rintracciare? Quali suoi lavori extrafumettistici, insomma, lei considera i suoi migliori biglietti da visita?
GM - I miei dischi sono irrintracciabili. Non dico quali meriterebbero di essere rintracciati se no poi i lettori ne chiedono una copia a me, e non potrei accontentarli. I miei libri sono rintracciabili gratis nelle biblioteche pubbliche e saranno, spero, ristampati, ma non prima che io ne abbia pubblicato uno nuovo. Non faccio graduatorie tra loro perché sarebbe come preferire un figlio all'altro. Ciascuno significa ancora qualcosa per me. I film che ho fatto da attore, vi prego: non vedeteli! La maggior parte li ho fatti per amicizia, per divertimento, o per pagare l'affitto. Quelli che ho fatto come sceneggiatore, ad eccezione del primo, Liquirizia di Samperi, tutti o quasi gli altri sono stati lavori puramente professionali scritti su commissione. Qualcuno è venuto carino. Qualche volta mi sono pure divertito. Della maggior parte dei lavori non sono affatto contento. Le storie che ho creato io non si sono mai realizzate, e sempre "per un pelo". Dunque, la cosa che devo di più al cinema è la duttilità e la misura nel lavoro di sceneggiatore.
DP - Oltre Nick Raider e Magico Vento, sta continuando le altre sue attività? Quali progetti ha nel cassetto o in lavorazione in questo momento?
GM - Sto lavorando a due romanzi. Al primo, lavoro già da quattro anni. E' un romanzo storico molto impegnativo (per documentazione, per stile, per argomento). Non ho fretta di finirlo, né di pubblicarlo, perché è un lavoro da condurre con estrema ponderazione. L'altro, dovrebbe uscire l'anno prossimo: è una storia molto nera, molto italiana e molto contemporanea. Da brivido, insomma.