domenica 17 novembre 2019

ZAGOR: LE ORIGINI 1-6



Si è conclusa, con l'uscita del sesto e ultimo numero intitolato "L'eroe di Darkwood", la miniserie "Zagor: le Origini", presente in edicola dal mese di maggio a quello di ottobre del 2019. Sei albi di sessanta tavole ciascuno, tutti sceneggiati da me e illustrati da (in ordine di apparizione) Valerio Piccioni, Maurizio Di Vincenzo, Walter Trono, Giuseppe Candita, Giovanni Freghieri, Oskar. Le copertine sono state affidate a Michele Rubini. Tutti artisti straordinari, che ringrazio di cuore. Il taglio dei racconti è moderno e serrato, senza però che il lettore tradizionale possa restarne turbato. Ho atteso che la breve collana giungesse a compimento per parlarne anche qua, in modo da poter tirare delle somme. Mi pare di poter dire che l'esperimento sia stato un successo, sia per quanto riguarda la versione economica che quella cartonata da libreria. Infatti, i commenti che mi sono giunti mese dopo mese, sono sempre stati più che positivi, se non addirittura entusiastici. 

Nel corso della mia attività mi sono poi trovato più volte a inventare dei “passati” a nemici e amici dello Spirito con la Scure, come “Guitar” Jim e Robert Gray, ma anche come il capitano Fishleg e il professor Hellingen. Mi è successo persino di provare a dare spiegazioni direttamente ai lettori anche senza scrivere una storia in proposito: per esempio, essendomi stato richiesto di spiegare come fosse che il marinaio Zarkoff, dato per morto nello scontro con i pirati di Capitan Serpente, risultasse vivo e vegeto nelle apparizioni successive della ciurma della “Golden Baby”, ho fornito una ricostruzione degli eventi, giudicata plausibile dall’interrogante, pubblicandola sulle pagine di SCLS Magazine (là dove mi era stata gettata la sfida). Insomma, quando c’è da ricostruire fatti del passato, gettare nuova luce, indagare sui nodi irrisolti, per me è un invito a nozze. Perciò, ho sempre pensato che ci fossero dei lati oscuri nel classico dei classici “Zagor racconta…”, ma, ritenendo quella storia appunto un capolavoro, non ho mai preso in considerazione l’ipotesi di metterci le mani sopra. Ci sono dei capisaldi inviolabili, e “Zagor racconta…” è uno di questi. 



Tuttavia, , mi sono sempre fatto alcune domande. Per esempio: dov’è sepolto “Wandering” Fitzy? Possibile che Pat ne abbia lasciato il corpo nella capanna di Salomon Kinsky? O ancora: chi ha insegnato al giovane Wilding a volare di albero in albero, appeso a una liana o saltando di ramo in ramo? Si tratta di un talento che Fitzy non aveva, dunque il maestro non può essere stato lui. E allora chi è stato? Non credo esista un solo zagoriano che non abbia avuto voglia di scoprirlo, domandandosi perché Nolitta sia stato reticente sulla questione. 

In realtà, Sergio Bonelli ha architettato le cose facendo in modo che sia lo Spirito con la Scure ad apparire reticente. Infatti tutte le vicende di “Zagor racconta” non sono narrate dallo sceneggiatore in “presa diretta” ma risultano filtrate dal resoconto che l’eroe fa al suo amico Cico. Noi lettori “vediamo” solo quel che il Re di Darkwood dice. Le cose potrebbero persino essere andate diversamente. Magari c’è qualcosa che Zagor non sa. Magari c’è qualcosa che Zagor preferisce non dire. Magari c’è qualcosa che Zagor salta per brevità, per arrivare subito al punto successivo. Però, se mai a uno sceneggiatore fosse venuta in mente una possibile spiegazione appunto su come sia andata che Pat Wilding abbia imparato a volare tra gli alberi alla maniera di Tarzan, ci sarebbe stato da spiegare anche il perché lo Spirito con la Scure abbia taciuto su questo punto raccontando il proprio passato a Cico. 

Sappiamo tutti benissimo perché Nolitta non abbia voluto approfondire: il tema principale della sua storia era quello della vendetta che, una volta compiuta, non appaga il vendicatore ma apre anzi di fronte a lui un nuovo abisso. Perdersi in complicate ricostruzioni degli anni della crescita del piccolo Pat avrebbe voluto deviare dalla trama più importante, complicare inutilmente la vicenda. Una scelta intelligente, oltre che legittima. Resta tuttavia il “non detto”. Per quanto ci abbia riflettuto più volte su, però, ripeto, non ho mai pensato di provare a “dirlo” io. Ma, a un certo punto, mi è stato chiesto di farlo. E’ stato il direttore editoriale Michele Masiero, a invitarmi a sceneggiare una miniserie in sei albi di 60 tavole ciascuno che prendesse le mosse proprio da una sorta di “riscrittura” di “Zagor racconta…” e narrasse di nuovo le “origini” del personaggio. 


Lo scopo era principalmente quello di fornire a un pubblico più giovane, ma in generale ai lettori di tutte le età, italiani e dei mercati esteri, un punto di accesso nella serie nel caso non conoscessero già il personaggio e il suo passato. Il mettere a disposizione uno “starting point” per approcciarsi a un eroe dei fumetti con una lunga tradizione è un’operazione usata di frequente nel mondo dei superoeroi, le cui “origini” vengono periodicamente raccontate di nuovo, magari aggiornandole o rendendole meno implausibili. In certi  casi queste riscritture hanno rivoluzionato ciò si sapeva, in altri sono state, per quanto possibile, rispettose. Nel vedermi prospettare da Masiero un’operazione del genere ho subito pensato che avremmo dovuto battere questa seconda strada, quella ciò del massimo rispetto possibile di quanto rivelato da Nolitta. Questo perché, lo sapevo benissimo, non avremmo avuto soltanto un pubblico nuovo da accontentare, ma ci sarebbero state le schiere degli zagoriani da non scontentare. Accettando, mi sarei trovato di fronte il pubblico di privata fede nolittiana a cui dover poi rendere conto di ogni variazione rispetto a “Zagor racconta…”. Va detto che io stesso mi ritengo della stessa religione di costoro, per cui ero ben consapevole del problema. E confesso di aver avuto un brivido: mi avrebbero mai perdonato, gli zagoriani più ortodossi, la colpa di aver osato mettere le mani sulle origini della leggenda? 

Non ho esitato neppure un secondo. Ho risposto immediatamente di sì alla proposta di Michele. Non soltanto perché era meglio che a reggere il peso della prova fosse il sottoscritto, con le spalle rese larghe dall’esperienza, piuttosto che chiunque altro, ma anche perché io per primo ero curioso di leggere che cosa avrei scritto. Volevo sorprendere me stesso dandomi da solo le risposte alle domande che mi ero sempre posto. Volevo sapere dove era sepolto “Wandering” Fitzy. La voglia di cimentarmi nella prova ha superato, fin da subito, il timore di non riuscire. Una volta ho letto una intervista a un alpinista, uno di quelli più spericolati, che rischiano la pelle sulle pareti rocciose maggiormente insidiose. Gli veniva chiesto se non avesse paura di morire. “Ho più paura di non vivere”, era stata la risposta. Non che ci sia un paragone possibile, ovviamente, fra l’impresa di scrivere una miniserie a fumetti e scalare una montagna. Tuttavia le passioni arricchiscono la nostra vita e la rendono degna di essere vissuta. Dobbiamo tutti darci un traguardo, e dopo averlo raggiunto trovarne un altro. 


Ne “La leggenda di ‘Wandering’ Fitzy”, riuscii a dare a Zagor il nome di battesimo che avevo sempre immaginato avesse, anche se non ci era mai stato detto. Di fronte alla prospettiva di sceneggiare una miniserie intitolata “Le origini” ho capito che avrei potuto fare i più, sollevare altri veli, scoprire altri particolari che Nolitta ci aveva nascosto perché fossero lasciati alla nostra immaginazione, suscitando la nostra curiosità. Mi sono chiesto se fosse giusto, completare gli spazi lasciati in bianco da Sergio Bonelli, rendendo più definito il suo affresco. Mi sono risposto di sì, per più motivi. Innanzitutto, perché lo stesso Bonelli ha accettato che altri (io, Mauro Boselli, Maurizio Colombo) scrivessero storie collegate con “Zagor racconta…”. E’ il caso non soltanto de “La leggenda di ‘Wandering’ Fitzy” ma anche de “Il ponte dell’arcobaleno” e di “Darkwood anno zero”. Dopo la sua scomparsa si sono aggiunte “La storia di Betty Wilding” e “La giustizia di ‘Wandering’ Fitzy”. Poi, perché i lettori chiedono (hanno sempre chiesto) che il “non detto” sul passato dello Spirito con la Scure venisse rivelato: le tante domande che mi sono fatto io, se le sono fatte in tanti. E ancora, perché da “Zagor racconta…” sono passati cinquanta anni: la nostra curiosità è stata suscitata abbastanza a lungo, è giunto il momento di soddisfarla. Per finire, una miniserie resta comunque qualcosa di esterno alla serie: chi dovesse non apprezzate l’operazione può, giustamente, ignorarla. Per lui, tutto resta come prima. 





Nello stabilire le trame dei sei episodi di “Le origini”, mi è stato subito chiara la necessità di far confluire in una narrazione organica e lineare tutto quanto del passato dell’eroe era stata svelato non soltanto da Nolitta ma anche dagli autori delle storie citate poco sopra, quelle cioè collegate con “Zagor racconta…” ma scritte da altri. Ho subito stabilito che sarebbero entrati a far parte della miniserie anche elementi tratti dal romanzo di Davide Morosinotto “Zagor”, pubblicato dalla Sergio Bonelli Editore nel 2018. Siccome però ogni albo avrebbe contato soltanto sessanta tavole, tutto andava narrato in modo rapido, essenziale, veloce. Avrei avuto solo trecentosessanta pagine per raccontare una lunghissima serie di eventi che andavano dalla strage di pellerossa compiuta da Mike Wilding (il padre di Pat) fino alla prima apparizione di Zagor al raduno dei capitribù nella radura della Piccola Acqua, con tutto quello che c’è in mezzo (la scoperta del segreto nel passato di Fitzy, l’amicizia con Percy, l’incontro con Shyer).  

Volendo poi dare a tutta la complessa operazione un taglio moderno, ci sarebbe stato da prestare molta attenzione alla crescita fisica, psicologica ed emozionale di Patrick. Nolitta aveva saltato a pié pari, per i motivi che si sono detti, l’adolescenza del ragazzo. Io sarei stato costretto a raccontarne i turbamenti, i primi amori, i litigi con Fitzy (che di sicuro ci saranno stati). Ho cercato di fare tutto questo,sempre mettendomi nei panni del lettore desideroso sì di scoprire cose nuove ma anche di non veder contraddetto in modo clamoroso quel che già si sapeva. Soprattutto, non ho mai pensato che riscrivere “Zagor racconta…” avrebbe significato ritenere il classico nolittiano ormai superato. “Zagor racconta…” è un evergreen che non invecchia mai.