domenica 27 dicembre 2015

CICO ARCHEOLOGO


E' in edicola il n° 16  della collana a colori bimestrale dedicata dalle Edizioni If alla riproposta degli albi di Cico in ordine cronologico (quelli originariamente usciti, in bianco e nero, sotto il marchio Bonelli tra la fine degli anni Settanta e il 2007). Si tratta di "Cico Archeologo", con testi mie e disegni di Francesco Gamba. Rileggendolo, mi sono divertito molto (ogni scartoffone, del resto, è bello a mamma sua) e alcune gag mi sono sembrate ben riuscite, a cominciare da quelle con protagonista il bandito El Furibondo e i suoi aiutanti Sancho e Tonto.

La prima edizione di “Cico Archeologo”, targata Bonelli, risale al dicembre del 1997. Nel suo editoriale di introduzione, Mauro Boselli (all’epoca curatore della testata), sottolineava l’intento mio e di Francesco Gamba (rispettivamente autori dei testi e dei disegni) di fare la parodia delle avventure di Indiana Jones e, nello stesso tempo, di rendere omaggio a Martin Mystère, il character di Alfredo Castelli “citato” con il personaggio di Martin Riddle, l’archeologo a cui Cico fa da guida nella giungla dello Yucatan. “Riddle”, in inglese, significa appunto “enigma”, “mistero”. Il nome dell’assistente del professore, Jeeves, ricorda da vicino quello di Java, braccio destro del Detective dell’Impossibile (e nello stesso tempo fa riferimento al più celebre dei maggiordomi della letteratura inglese, il protagonista di molti divertenti romanzi di Pelham Grenville Wodehouse). Ci sono però, nell’albo che avete fra le mani, molti altri riferimenti. 

Uno è quello a Mac Leod, archeologo irlandese, personaggio creato da Guido Nolitta che lo rese protaginista, con Zagor, della prima avventura contro Kandrax. Lo studioso era giunto in America convinto di poter scoprire le tracce di un insediamento celtico nel Nuovo Mondo, in seguito a uno sbarco avvenuto duemila anni prima del viaggio di Cristoforo Colombo. La sua figura, tutto sommato, ricalca quella di tanti suoi colleghi protagonisti di film e romanzi basati sui misteri di antiche civiltà indagati attraverso scavi e ritrovamenti in terre esotiche come l’Egitto o la Mesopotamia. Tuttavia, Nolitta è, come al solito, molto abile nel caratterizzarlo e le sue conoscenze sui riti degli antichi druidi si rivela fondamentale nel corso dell’avventura contro il druidi redivivo,  Lo studioso è destinato a tre ritorni, due sulla serie regolare e uno, appunto (questa) in quella degli Speciali dedicati a Cico.

Ma il più importante personaggio è senza dubbio il nonno di Cico, Gonzales El Farmaceutico. Che questo avo esistesse era chiaro da una delle tipiche esclamazioni del nostro Felipe Cayetano, ovvero “per tutti gli intrugli di mio nonno farmacista!”, ideata da Guido Nolitta fin dagli inizi della serie e utilizzata di tanto in tanto dagli altri sceneggiatori. Ma Nolitta non aveva detto nulla sulla sua figura raccontando del parentado del messicano in “Cico Story”, allorché vennero mostrati i suoi genitori, zii e fratelli. Così, “Cico Archeologo” giunge a colmare una lacuna e a rivelare, in flashback, come Gonzales fosse non un vero e proprio farmacista ma una sorta di Dulcamara.  

Si tratta di un ciarlatano che compare nell’“Elisir d’amore” di Gaetano Donizetti, dove canta la celebre aria: “Udite, udite o rustici”. Un imbonitore, in pratica, alla ricerca di gonzi a cui vendere il suo intruglio dai millantati effetti prodigiosi. In un villaggio “del paese dei Baschi” i contadini hanno appena terminato la mietitura e si riposano sotto gli alberi, quand’ecco un suono di tromba annuncia l’arrivo di un carro dorato su cui viaggia un medico ciarlatano, appunto Dulcamara, che decanta le virtù di un suo filtro, presentandolo come miracolosa panacea per ogni male. Ciò che dice Gonzales cercando di imbrogliare i peones ricalca, in sintesi, il brillantissimo testo del librettista Felice Romani, godibile anche senza il brioso accompagnamento donizettiano: “E’ questo l’odontalgico, mirabile liquore, dei topi e delle cimici possente distruttore, i cui certificati (autentici, bollati) io far vedere e leggere a ciaschedun farò. Per questo toccasana, in breve settimana, più di una afflitta vedova di piangere cessò. O voi matrone rigide, ringiovanir bramate? Le vostre rughe incomode con esso cancellate! Volete voi donzelle ben liscia aver la pelle? Voi giovani galanti per sempre avere amanti? Comprate il mio specifico, per poco ve lo do! Rimuove i paralitici, spedisce gli apopletici, gli asmatici, gli stitici, gli isterici, i diabetici, guarisce il mal di fegato che in moda diventò”. Insomma: è questo il prototipo ispiratore di tutti i ciarlatani del genere visti e rivisti nei film, nei fumetti e nei romanzi, anche (e soprattutto) ambientati nel West. Di solito, imbroglioni del genere risultano simpatici, perché dimostrano talento istrionico da veri attori e poi perché, in fondo, non sono loro che imbrogliano la gente, ma la gente (stupida) che si fa imbrogliare.

sabato 26 dicembre 2015

INSACCATO DI CUOCO




Samuel Marolla, sceneggiatore di Zagor ma prima ancora talentuoso autore di racconti horror, da qualche tempo è anche editore di narrativa "di paura" con la sua etichetta di libri digitali "Acheron Books". Di recente ha curato una antologia di ricette i cui ingredienti principali dovevano essere mostri di tutti i tipi cucinati in tutte le salse. Mi ha chiesto un contributo. Ecco la mia ricetta horror pubblicata sulla pagina FB della sua Casa editrice.
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INSACCATO DI CUOCO
Ingredienti: un cuoco; sale e pepe.

Monsterchef Moreno Burattini

Questa ricetta si basa sulla mancanza quasi assoluta di ingredienti in quanto il suo scopo principale è evitare di dare la caccia a quelli di solito indicati dai libri di cucina e dai cuochi televisivi o dei blog culinari, generalmente mai sentiti prima e pressoché impossibili da trovare. Quindi niente berberé, malto d’orzo, melone candito, acqua di cocco, gomasio, cheddar cheese, colla di pesce e sciroppo di glucosio in polvere. Allo stesso tempo, il piatto ha l’effetto benefico di attenuare i danni causati dal travaso di bile susseguente alla caccia infruttuosa agli ingredienti bizzarri pretesi dagli chef, divorando (con immediati risultati catartici) i cuochi stessi. 

L’ingrediente principale è appunto un esperto di cucina di persona, mostro facilissimo da trovare in ogni dove. I programmi TV sono pieno di giudici e concorrenti che pontificano davanti ai fornelli. Su Internet imperversano i blogger emuli di Pellegrino Artusi, su Facebook girano video dimostrativi di come si preparino sformati e soufflé. In giro per le strade, in ufficio, fra i vicini di casa abbondano i dispensatori di ricette e di consigli sui piatti da cucinare. 

Avvicinarne uno è elementare: basta fingersi ammirati dell’arte gastronomica di cui sono palesemente padroni i masterchef di turno, e chiedere umilmente lumi. Al primo ingrediente insolito citato dall’interlocutore (siano pure il coriandolo o il rafano) si assesti una solenne mazzata fra capo e collo, come facevano i nostri nonni con i conigli – avendo cura di non causare morte immediata. Quindi si leghino e imbavaglino le prede, si tagliuzzino e si cospargano (vive) di sale e pepe, accertandosi che esse stesse di contorcano e dimenino a sufficienza da far penetrare la salatura nelle ferite. Si strappino con violenza peli e capelli. Si proceda quindi a lenta dissezione e scuoiamento, gettando ogni frammento (di pelle, grasso, muscolo o ossa che sia) in un tritacarne. La poltiglia ottenuta sia insaccata nelle budella della preda stessa, sapientemente ripulite in precedenza. L’insaccato così ottenuto sia lasciato insaporire in cantina fino al desiderato grado di stagionatura, e si consumi con l’accompagnamento di semplici fette di pane e bicchieri di Tavernello.

https://www.facebook.com/Acheron-Books-825547587505796/

lunedì 14 dicembre 2015

A BELGRADO, DI BUON GRADO!




Gli ultimi mesi sono stati, per il sottoscritto,  particolarmente ricchi di avvenimenti e di appuntamenti, al punto da non essere riuscito a render conto di tutti in questo spazio. Mi hanno infatti invitato per due volte all'estero (in Serbia e in Croazia), ho fatto anche il giro d'Italia (Rimini, Cosenza, Barga, Roma, Lucca, Senago, Piacenza), ho accompagnato varie volte visite guidate alla mostra sui miei 25 anni di attività allestita a Gavinana (in provincia di Pistoia - prorogata fino al 6 gennaio), così come ho presentato in più occasioni e in varie città i quattro libri con il mio nome in copertina da poco usciti. Di ogni evento ho dato conto sulla mia pagina Facebook, ma mancano qui sul blog le puntuali cronache fotografiche a cui in passato vi avevo abituato. 

Cercherò di porre rimedio cominciando con il resocontare il viaggio a Belgrado che si è svolto tra il 24 e il 27 settembre 2015, in occasione del tradizionale "Comic Stripa", il più importante Festival del Fumetto serbo. Erano con me Walter Venturi e Marcello Mangiantini, ma sul luogo si è unito al gruppo anche Bane Kerac, il disegnatore del Color "Il passato di Guitar Jim". In Serbia il nostro Zagor è popolarissimo e l'entusiasmo del pubblico è stato pari all'interesse di stampa e TV, che ci hanno dedicato grande attenzione. Le foto che seguono documentano i principali momenti della kermesse.
Qui di seguito, la notizia della manifestazione come è stata data dal sito Bonelli.

Un grazie agli amici di Belgrado che ci hanno invitati e ai nostri interpreti.


ZAGOR A BELGRADO!

Lo Spirito con la Scure e il Grande Belzoni sono tra i personaggi che animeranno la nuova edizione dell'International Comics Festival - Salon Stripa di Belgrado. Tra gli ospiti, Moreno Burattini, Marcello Mangiantini e Walter Venturi.

Dal 24 al 27 settembre, a Belgrado, si svolge la nuova edizione dell'International Comics Festival - Salon Stripa. Tanti gli ospiti internazionali, tra i quali i nostri Moreno Burattini e Marcello Mangiantini (in rappresentanza di Zagor) e Walter Venturi, che presenterà il suo "Il Grande Belzoni", nell'edizione pubblicata da Phoenix Press, e parteciperà ad alcuni workshop.
Diverse le occasioni d'incontro con i nostri autori. Vi segnaliamo, in particolare, sabato 26alle 19:00, l'incontro con Moreno Burattini, incentrato sull'uscita del seicentesimo albo di Zagor.
Per maggiorni informazioni e per il programma completo della manifestazione serba, visitate il sito ufficiale.



Il catalogo e il programma del Salon Stripa di Belgrado edizione 2015, con Zagor in copertina.


Il mio pass, la locandina e la targa che mi è stata assegnata per la partecipazione al Salon Stripa 2015.

Ci sono anche delle buste di carta zagoriane!

Lo Zagorone croato (in vendita in serbia) con la storia "Corsa disperata", variant cover di Joevito Nuccio.

La maglietta del Festival di Belgrado.


Zagor per le strade della capitale serba.

Zagor a Belgrado.

Marcello Mangiantini, Moreno Burattini e Walter Ventri ospiti a Belgrado

Aleksandar Petrović, leader degli Orthodox Celts, una band molto nota in Serbia

Standiste zagoriane

La sala degli incontri al Salon Stripa


I fan di Belgrado hanno Zagor nel cuore e, talvolta, sul braccio.

Il punto dove la Sava (che viene da Zagabria) si unisce al Danubio (che viene da Vienna e da Budapest) a Belgrado.

La Sava e il Danubio si uniscono sotto la fortezza di Belgrado.

Una trattoria tipica: ottima la cucina balcanica tradizionale.

Il celebre Hotel Moskva

L'albergo della Dolce Vita di Belgrado.

Dusan Mladenovic, il giovane editore di Zagor in Serbia, ci porta a cena.


A cena in ottima compagnia!

La sala piena per l'incontro zagoriano.


Io sul palco tra il conduttore e il mio interprete.

La firma degli autografi.

Le foto con i lettori.

L'opera di un artista locale.






Il mio interprete Goran Zevic.

La mostra su Zagor che ho curato scegliendo le tavole da esporre.


Vanità di vanità.


Il titolo dice: "Zagor ha un cuore serbo".


Sandra Knezevic, la nostra interprete. Traduce anche Tex in Serbia.
Alcuni espositori del Salon Stripa.


Fumetti in vendita a Belgrado.


La mostra su Zagor.


Walter Venturi firma copie del suo "Grande Belzoni".


Non sono convinto che sia la mia foto migliore, ma tant'è.


Goran Zevic, il nostro interprete.


La bella Helena.


Carri armati in mostra nella fortezza di Belgrado. Walter Venturi voleva portarsene uno a Roma per viaggiare nel traffico della capitale.

Magliette in un chiosco nel centro di Belgrado.


Vetrina di una libreria del centro di Belgrado.



martedì 8 dicembre 2015

FINALE DI PARTITA



E' in edicola  “Finale di partita”, l’albo di Zagor n° 605 (Zenith 656). I testi (che proseguono una storia iniziata ad agosto) sono miei,  la copertina di Gallieno Ferri.  All'interno, i disegni di Gianni Sedioli (matite) e di Marco Verni (chine) concludono la lunga avventura del ritorno di Hellingen (in tutto, 426 tavole, contando le 150 illustrate da Ferri).  

A pagina 55 del volume inizia una nuova avventura, intitolata "Uno studio in nero", testi sempre del sottoscritto che riportano sulle scene Edgar Allan Poe, disegni del bravo Fabrizio Russo (alla sua prima esperienza zagoriana). Almeno otto tavole di questo nuovo racconto servono da appendice alla storia precedente, per cui è come se gli eventi hellingeniani occupino in tutto 434 pagine: una lunghezza più che rispettabile, se non proprio eccezionale (un aspetto di cui torneremo a parlare tra poco). Tutte le precedenti puntate della vicenda (da "L'eredità di Hellingen" a "Mad Doctor") sono state da me commentate in questo blog nei mesi precedenti e potete,  volendo, andare a vedere che cosa ho scritto. Proseguendo la lettura di questo articolo potreste trovarvi di fronte ad alcune rivelazioni sul contenuto del racconto che forse non volete conoscere prima di aver letto il fumetto: perciò, occhio allo spoiler. 



Ai tanti che, contattandomi su Twitter o su Facebook o scrivendomi in privato, mi hanno fatto giungere il loro apprezzamento, ho poco da dire se non grazie. Posso soltanto aggiungere che per tutta la durata della saga, nel corso di cinque mesi, mi sono giunti quasi soltanto echi positivi: per cui se un autore riesce a interessare i suoi lettori per quattro puntate mensili mi sembrerebbe strano vederlo crocifiggere soltanto per le ultime venti pagine di una storia che, mi sembra abbia tenuto abbastanza con il fiato sospeso. Perciò sono fiducioso sul fatto che questo nuovo ritorno di Hellingen possa aver ottenuto almeno la sufficienza facendo la media dei giudizi del pubblico. Tuttavia, poiché l'esperienza mi permette di prevedere perfettamente le obiezioni dei soliti, immancabili detrattori, ecco quel che mi pare di poter rispondere.

1) La storia si conclude troppo presto.

Strana opinione, considerando le 434 tavole di durata: facendo un sondaggio fra cento persone scelte a caso per strada a cui chiedere se oltre 400 pagine di un racconto a fumetti sono tante o sono poche, immagino che quasi tutti risponderebbero che sono tante, anzi forse troppe. Per di più, e qui viene il bello, la storia non si conclude affatto. Chiunque l'abbia letta comprendendo quel che si racconta, è chiaro che ci sarà un seguito. Seguito che è stato rimandato proprio perché non si poteva tirare per le lunghe una saga già fin troppo estesa.

2) Non ci doveva essere un finale di tipo magico.

Strana opinione, considerando che proprio Guido Nolitta intitolò "Magia senza tempo" in finale della sua ultima storia con Hellingen. Siamo alle solite: i fuori dello Zagor senza magia non si ricordano mai che fu Sergio Bonelli a scrivere decine e decine di storie "magiche". Gli stessi smemorati, però, chiedono che le avventure dello Spirito con la Scure debbano essere il più possibile nolittiane. In pratica: se io ricorro, come sono ricorso, alle armi magiche di Rakum per sconfiggere Hellingen, non va bene. Però Nolitta ricorse alle armi magiche di Rakum per sconfiggere Hellingen, e in quel caso andava bene. Mi rendo conto che combattere contro la nostalgia verso Nolitta è improbo e praticamente impossibile. Ho già scritto su questo argomento o stesso ho la stessa malinconia pensando alle vecchie storie. Però Sergio Bonelli abbandonò Zagor  nel 1980, per sua scelta: sono 35 anni che altri autori cercano, come sanno e come gli riesce, di portare avanti il personaggio seguendo la sua lezione e il suo esempio. Se siamo ancora qui (mentre altri eroi hanno chiuso i battenti da tempo), e se ancora c'è dell'entusiasmo attorno a noi, è perché ci impegniamo mettendocela tutta. Se poi c'è chi avrebbe voluto veder chiudere Zagor dopo "Magia senza tempo" e non vede niente di bello e di buono in quel che è stato fatto dopo, mi dispiace per lui. Uno di costoro, figuriamoci, dopo un post precedente in cui riportavo i dati di una sorta di referendum in rete teso a stabilire quale fosse la mia storia meglio riuscita (e o ho tenuto a dire: o la meno peggio) ha voluto subito commentare, con malcelato rancore, di non illudermi: il "torneo" era solo fra le avventure scritte da me e se ci fosse stato Nolitta in gara non avrei vinto niente. Per carità: chi ha mai detto il contrario? La gara non l'ho organizzata io e ho spiegato le intenzioni degli organizzatori (che hanno fatto le cose a mia insaputa). Dunque perché voler fare una puntualizzazione del genere? Mah.

3) Non doveva tornare il Wendigo.

Strana opinione, visto che il Wendigo (che compare in una sola vignetta in "Finale di partita") fa parte integrante della saga di Hellingen dopo la precedente avventura scritta da Mauro Boselli.  Delle due l'una: o si finge che Boselli, e prima di lui Sclavi, non abbiamo scritto niente (e si censurano, non si sa perché, le storie di due fra i più grandi sceneggiatori del fumetto italiano fortunatamente facenti parte anche della storia zagoriana) o se ne tiene conto. Quale tra le due scelte sarebbe stata la più criticabile? La risposta è insita nella domanda, ed è di puro buonsenso. Peraltro, io ho trovato (o mi sono sforzato di trovare) una via di mezzo: ho condotto per oltre 400 tavole la mia storia senza Wendigo (personaggio boselliano) e senza Kiki Manito (personaggi sclaviano), riportando Hellingen a quello che era ai tempi di Nolitta (aspettandomi la gratitudine dei tradizionalisti per questo), e soltanto in un rapidissimo passaggio ho riallacciato la mia vicenda alle storie precedenti di Sclavi e Boselli. La presunta "brevità" del finale va a tutto vantaggio della "nolittianità" dell'avventura. Ma poi, perché non avrebbe dovuto tornare il Wendigo? Il mio Hellingen è un clone: il vero Hellingen è prigioniero del demone ultraterreno. Dunque ci sono due scienziati pazzi e non si poteva non tenerne conto: se il clone non si fosse domandato che fine avesse fatto l'originale, sarebbe stato un idiota. La reazione più logica del "mad dottor" una volta saputo del Wendigo è proprio quella di voler liberare l'Hellingen originale. In conclusione: il Wendigo doveva tornare per forza, i detrattori del demone dovrebbero essere contenti che la sua apparizione si limiti a una vignetta. Un lettore fra i soliti critici ha scritto che se l'Hellingen originale era stato mandato in esilio nell'iperuranio bisognava lasciarlo slì e non riesumarlo. Una obiezione davvero sconcertante, visto che l'Hellingen originale nella mia storia (quella di cui stiamo parlando) non si vede mai. Quando e dove è stato riesumato? Chi lo ha visto? Nella mia storia l'unico Hellingen che si vede è il clone tornato esattamente come lo aveva lasciato Nolitta. A volte i detrattori sembrano leggere cose diverse da quelle che io scrivo. Un fenomeno, questo, contro cui è difficile combattere, se ne converrà.


4) La base di Altrove non ci doveva essere.

Strana opinione, visto di c'era già si è vista molte volte nella serie e non si può immaginare che i macchinari degli Akkroniani possano esercitati portati in altri luoghi se non lì (se no, quante basi che studiano i reperti extraterrestri ci sono, negli Stati Uniti del 1830?).  Ho saputo di qualcuno che ha avuto da ridire su un particolare: va bene Altrove, ma Altrove non si occupa di far lavorare i suoi scienziati a progetti come quelli del Golem, il robot prototipo di Titan, costruito da Hellingen in un hangar della base. 

A parte il fatto che non spetta a un lettore stabilire che cosa potessero aver deciso di fare i dirigenti di Altrove di quegli anni (e men che mai riguardo alle iniziative di un genio folle come Hellingen), vorrei precisare che in una chiara didascalia viene detto come la tecnologia a cui lavorano gli scienziati della base dell'epoca riguarda i macchinari rinvenuti in siti atlantidei: dunque Hellingen non parte da zero nell'ideare apparecchi elettrici e onde radio ma sfrutta conoscenze giunte ad Altrove dalle antiche civiltà antidiluviane: esattamente il tipo di interesse stabilito da Alfredo Castelli fin dalle prime storie di Martin Mystère. Il quale, in un suo racconto, ha appunto a che fare con un robottone che risale ai tempi della guerra fra Atlantide e Mu: si veda l'avventura "Il mostro di acciaio".

E adesso?Adesso c'è il seguito della storia da raccontare. Sedioli e Verni si metteranno presto a lavorare sulla saga che racconterà il seguito del finale di partita: i tempi supplementari, o forse lo spareggio.




giovedì 3 dicembre 2015

RIVER CICO



E' in edicola da più di un mese, ormai,  il n° 15  della collana a colori bimestrale dedicata dalle Edizioni If alla riproposta degli albi di Cico in ordine cronologico (quelli originariamente usciti, in bianco e nero, sotto il marchio Bonelli tra la fine degli anni Settanta e il 2007). Si tratta di "River Cico", con testi mie e disegni di Francesco Gamba. A mio parere, ci sono alcune gag degne di nota: quello del ricco che cade in disgrazia, e quello della vedova inconsolabile del povero Pancrazio Parkinson, per esempio. A corredo del racconto a fumetti c'è, come di consueto, un mio commento. Eccolo qui di seguito.

River Cico” risponde a una delle domande lasciate senza risposta da Guido Nolitta all’epoca in cui scrisse la prima avventura di Zagor, “La foresta degli agguati” (1961). In quel racconto avviene il fatidico incontro fra lo Spirito con la Scure e il buffo messicano destinato a diventare suo inseparabile amico, ma al momento in cui comincia la narrazione, e le strade dei due non si sono ancora incrociate, il pancione è imbarcato come battelliere a bordo di una chiatta fluviale chiamata “Marybell”, su cui naviga in compagnia di un terzetto di colleghi. Come è finito là sopra? E chi sono quei tre che viaggiano con lui? Trentasei anni dopo, ecco il sottoscritto giungere a spiegare tutti i retroscena: ovviamente, dopo averli concordati con Sergio Bonelli (alias il Nolitta di cui si diceva). 

Anzi, a tal punto Sergio fu soddisfatto dalle gag che avevo imbastito, da convocarmi nel suo studio per consegnarmi un foglio su cui veniva raccontato, in poche parole, uno sketch che gli sarebbe piaciuto vedere inserito nell’albo che avevo cominciato a scrivere. Si tratta della scenetta in cui un certo Moses Moose giace ammalato e senza forze e viene rimesso in sesto proprio da Cico, il quale però ha poi motivo di dispiacersi dell’essersi prestato a fargli da infermiere. Inutile dire di quanto fui onorato di sceneggiare un pur breve spunto nolittiano. Oltre a questo intervento, un’altra annotazione che mi preme fare è quella riguardante Archimedes Zweinstein, lo stralunato ma geniale inventore che compare a più riprese in questo albo. Il nome Archimedes strizza l’occhio, com’è evidente, a Archimede Pitagorico, ovvero il Gyro Gearloose disneyano (fu Guido Martina a forgiare il nome italiano, con una fortunata invenzione). Altrettanto evidentemente, il cognome Zweinstein fa il verso a quello del grande fisico Albert Einstein (così come “ein” in tedesco vuol dire “uno”, “zwein” significa “due”). Mi divertii moltissimo a dar vita a questo personaggio, e mi è capitato di ricevere riscontri positivi anche da molti lettori: così, ho provveduto a farlo tornare, con ancora maggior rilievo, in un altro episodi della saga cichiana, “Cico & Company”, l’ultimo della serie.