giovedì 24 giugno 2010

Caccia al cinghiale



Ma vanno ancora di moda i blog?
Una volta, tutti ne avevano uno. Tutti tranne me, che non capivo non solo dove gli altri trovassero il tempo per scriverli, ma soprattutto quello per leggerli. Ogni blogger, mi dicevano, aveva decine di colleghi con cui linkarsi, e ognuno scambiava commenti quotidiani con gli altri. C'erano blog seguitissimi e ho sentito dire che gli autori dei più famosi sono andati in televisione. Io che non avevo il tempo di leggerli e non guardo la TV, chissà che cosa mi sono perso.
E oggi? E' ancora così, o si sono tutti trasferiti su Facebook o su Twitter? Impossibile saperlo, dato che io non ci sono, né di qua, né di là. Intanto, però, giusto per non restare del tutto indietro e sperando di recuperare il tempo perduto, eccomi approdare almeno qui, senza avere la minima idea di quali siano le usanze e le regole del genere.
Ho provato a sbirciare che cosa scrivono sugli altri blog: in alcuni casi, non sono riuscito a leggere niente (testi viola su sfondo marrone, o scritte al neon tipo Las Vegas), in altri non ho capito di che cosa si stesse parlando (alla maniera di chi si intromette in una conversazione già iniziata), in altri ancora mi sono meravigliato che si parlasse di quello, come quando a una festa scoprii il gruppo degli uomini infervorarsi discutendo di caccia al cinghiale. Poi ci sono i blog incazzati, di gente che ce l’ha con il resto del mondo, o con la parte sbagliata del resto del mondo, fermamente convinta, ovviamente, di essere in quella giusta. Io che ce l’ho soltanto con me stesso e penso sempre di essere nel torto, che devo fare? E quelli che tengono diari in pubblico senza essere Vittorini, o elzevirano sulla pioggia nel pineto senza essere D'Annunzio, davvero trovano chi sia interessato a leggerli?
Mi sono imbattuto perfino nel blog di un prete che predica la buona novella da un pulpito telematico. Probabilmente avrà più uditori che in chiesa. Però, siccome non aveva nemmeno un commento, mi sono sentito in dovere di lasciarne uno io per fargli coraggio. Spero che adesso anche lui venga da me a fare altrettanto, per spirito di compassione.
Insomma, alla fine ho deciso di non tener conto di ciò che scrivono gli altri e assecondare l’istinto.
Già, ma perché farlo? Perché ho pubblicato un sacco di cose, ma quasi tutte su carta: chi fosse interessato, potrebbe non trovarne traccia facendo una ricerca su Google.
Poco tempo fa è uscito un libro intitolato “L’avventurosa storia del fumetto italiano”, opera di Renato Genovese (Castelvecchi). Gran parte del testo è ricavato grazie a un collage di citazioni da saggi, articoli e interviste di sceneggiatori, disegnatori, critici e storici del fumetto. Un collega, dopo averlo sfogliato, mi ha detto, con un’espressione sorpresa: “Accidenti! Sei l’autore più citato”. Ho risposto: “Beh, sai, ho scritto parecchio negli ultimi trent’anni”. La meraviglia del mio interlocutore mi ha spinto a pensare che, effettivamente, di molto di ciò che si fa si rischia di perdere la memoria, se non si lascia un appunto da qualche parte. Per carità, non mi illudo di aver combinato niente di davvero importante, ma in fondo anche agli artigiani che fabbricano le borse o scolpiscono la pietra serena piace scattare una foto per ricordo ai loro pezzi migliori, prima di venderli. Così, cercherò di mettere a disposizione qualche nota a beneficio di chi (hai visto mai?) volesse ricercarne le tracce in un motore di ricerca. In questo modo, quando qualcuno un giorno digiterà “caccia al cinghiale”, scoprirà che ero io, a quella festa, il tipo che ascoltava basito senza proferire parola.

mercoledì 23 giugno 2010