domenica 30 marzo 2014

OTTANTACINQUE PRIMAVERE


Il 21 marzo 2014, Gallieno Ferri ha festeggiato i suoi primi ottantacinque anni. Qualche giorno prima, nel corso della kermesse fumettistica milanese di Cartoomics, una affollatissima platea di lettori gli aveva cantato in coro "tanti auguri a te" durante l'incontro di presentazione di un nuovo libro a lui dedicato. Scrivo "nuovo" perché a questo punto le biografie artistiche del Maestro ligure sono numerose: escludendo i saggi dedicati a Zagor, e limitandoci a quelli che parlano esclusivamente del suo creatore grafico, troviamo un primo volume intitolato "Gallieno Ferri, quarant'anni con Zagor", opera mia e di Stefano Priarone, pubblicato nel 1999 dalla Glamour International Production. Poi c'è un libro della collana "Lezioni di Fumetto" della Coniglio Editore, intitolato "Gallieno Ferri, una vita con Zagor", uscito nel 2009, con in copertina le firme del sottoscritto e di Graziano Romani. Proseguendo, nell'edizione 2013 di Lucca Comics, il solo Graziano Romani ha presentato "L'arte di Ferri", edito da Panini, con una mia prefazione dal titolo "Un maestro per amico". Infine, nel marzo di quest'anno, ecco il tomo di cui sto per parlarvi, intitolato "Gallieno Ferri Photobook", a cura di Marco Grasso e Stefano Grasso (casualmente omonimi nel cognome, ma non imparentati),  uscito con il marchio Forum ZTN, anch'esso con mio testo introduttivo, "Vita d'artista". Marco e Stefano, oltre a essere grandi appassionati, sono anche ottimi organizzatori di eventi, essendo l'uno nello staff di Etna Comics e l'altro in quello di Albissola Comics, due mostre fra le più effervescenti nel calendario degli appuntamenti fumettistici del Bel Paese.




Prima di approfondire l'argomento, vorrei segnalare che gli ottantacinque anni di Ferri non sono passati inosservati neppure sul Web, dato che il sito Dime Web (erede telematico della rivista cartacea "Dime Press" di cui fui a suo tempo uno dei fondatori) ha dedicato a Gallieno un esaustivo dossier in cui si elencano tutte le cifre da record della sua incredibile carriera, che proprio nel mese del suo compleanno numero 85 lo vede uscire in edicola con la sua copertina gigante numero 800 (escludendo dal conto quelle delle strisce). Ma anche il sito della Sergio Bonelli Editore ha dedicato all'evento un ampio spazio, pubblicando fra le altre cose un mio articolo. Credo del resto di essere la persona al mondo che ha scritto di più riguardo al disegnatore genovese, che conosco ormai da venticinque anni e che considero un mio secondo padre. Anche su questo blog, per esempio, ne parlato a lungo, in più occasioni, in una delle quali ho perfino postato la cronaca fotografica della nostra discesa in gommone delle rapide del fiume Stura, in Piemonte. Non starò però a ripetermi, per non annoiarvi. Una cosa però posso fare. Un paio di anni fa, esattamente nel 2014, la Rizzoli mi ha commissionato le schede biografiche di cinque importanti autori italiani da inserire nel volume "Fumetto!", a cura di Gianni Bono e Matteo Stefanelli. Fra queste, una era appunto dedicata a Ferri. La propongo in fondo a questo post, a beneficio degli interessati.




Ma veniamo al "Gallieno Ferri Photobook".  136 pagine a colori, formato 20x24 cm., brossurato, elegantemente confezionato con una grafica impeccabile, il volume si distingue da tutti i saggi precedenti dedicati all'artista di Recco perché limita i testi scritti a una breve sequenza di introduzioni (quella mia, quelle dei due autori e una del figlio di Ferri, Gualtiero) e passa poi a raccontare la vita e la carriera di Gallieno attraverso oltre centocinquanta scatti fotografici che narrano perfettamente tutto, l'uomo e il fumettista, senza bisogno di ulteriori parole. Sfogliare una dopo l'altra le pagine del libro è assolutamente emozionante. Anche quando le immagini non sembrano parlare di Zagor, ma di momenti famigliari del disegnatore, il lettore si rende conto che invece le tavole ferriane dello Spirito con la Scure sono nate proprio in quel clima, e ne sono imprescindibili. Del resto, quando l'autore viene mostrato intento a fare surf o navigare un canoa o in barca a vela si capisce quanto la fisicità dell'eroe di Darkwood sia debitrice di quelle esperienze. Colpisce poi la doppia foto di Ferri ragazzino raffigurato su uno scoglio di Nervi confrontata con uno scatto recente in cui Gallieno si è messo nella stessa identica posa sullo stesso identico scoglio. Ma fanno palpitare il cuore anche gli scatti che mostrano Ferri con Sergio Bonelli, o attorniato dai fan in giro per il mondo.



Il volume, davvero imperdibile per chiunque conosca e ami l'opera dell'artista ligure, viene offerto insieme ad altre due pubblicazioni, così da formare quello che gli autori chiamano un "trittico". Si tratta di un albetto, davvero delizioso, di 16 pagine, spillato, in formato bonelliano, in cui quindici altri disegnatori dello staff zagoriano hanno voluto fare i loro auguri illustrati al loro maestro ideale. Al gruppo mi sono aggregato anche io, con un mio disegnetto affettuoso. La copertina è di Marco Verni. In più, acquistando il libro e l'albetto, si ottiene in omaggio un poster inedito a colori, opera di Ferri: si tratta di una versione alternativa della copertina di "Indian Circus". Come se non bastasse, gli amici di PostCardCult hanno voluto realizzare una cartolina che festeggia il libro e il compleanno, data in regalo a chi visitava il loro stand a Cartoomics (ma che, credo, si può ricevere per posta, magari insieme alle tante altre loro cartoline zagoriane, scrivendo al loro sito). Il Photobook, purtroppo, non è in vendita in edicola né in libreria, si può soltanto ordinare per posta (costa 20 euro) a questo indirizzo emai: tommasar@yahoo.it. Altre informazioni sul sito ZTN. Un complimento a tutti gli autori, ma soprattutto: AUGURI GALLIENO!

L'albetto allegato al volume "Gallieno Ferri Photobook"


Il poster allegato al volume "Gallieno Ferri Photobook"

La cartolina realizzata da PostCardCult


Gallieno Ferri
Genova, 21 marzo 1929
di Moreno Burattini

Il nome di Gallieno Ferri, disegnatore genovese diviso fra la passione per i fumetti e quella per il mare, dato che è un eccellente velista e windsurfista, è legato indissolubilmente a quello di Zagor. Nel 1960, egli si presentò all’editore Sergio Bonelli portando la sua esperienza di dieci anni di lavoro per il mercato francese che rendevano il suo segno già maturo, e diede vita con lui, che firmava sceneggiature con lo pseudonimo di Guido Nolitta, al personaggio più longevo del fumetto italiano, tra quelli ininterrottamente in edicola, dopo Tex Willer. Se Tex è sulla breccia dal 1948, irraggiungibile outsider, lo Spirito con la Scure è buon secondo, essendo apparso nel giugno del 1961. Da allora, Ferri ha disegnato ininterrottamente decine di migliaia di pagine dell’eroe. Le sue storie hanno portato intere generazioni di lettori (italiani e stranieri) attraverso mondi sospeso fra sogno e realtà, come un regno fantastico è Darkwood, la foresta in cui vive Zagor, grande invenzione sia grafica che letteraria, dato che consente di avere a disposizione tutti gli scenari dell’avventura. Schivo, e pronto a definirsi un artigiano piuttosto che un artista, in realtà Ferri si è dimostrato perfettamente in grado di competere con i grandi autori sia del fumetto avventuroso come di quello horror, fantastico e umoristico, assecondando il desiderio di Nolitta di rendere la serie zagoriana il regno della contaminazione e della trasversalità fra i generi. Il segno ferriano, nasce da colpi di pennello modulati con istintiva maestria e posti al servizio della storia, tesi a raccontare nel modo più chiaro ed efficace possibile: una caratteristica, questa, che si è andata affinando dopo i primi albi di Zagor, ancora molto carichi di neri, fino alla maggiore sintesi della maturità. Oltre ad aver creato graficamente lo Spirito con la Scure, infatti, il disegnatore ligure ha dato vita alla figura di Cico, protagonista di esilaranti sequenze comiche, e a un microcosmo di indimenticabili personaggi e caratteristi. Una menzione particolare merita la sua attività di copertinista, che lo colloca tra i recordmen mondiali per aver realizzato le cover di Zagor per oltre cinquant’anni senza interruzioni. Straordinariamente efficaci nella composizione, per dinamicità e per efficacia, le più di mille copertine ferriane hanno superato la prova del tempo. Tra esse, ci sono anche le prime 115 cover di Mister No, un altro personaggio nolittiano, di cui Ferri ha disegnato l’avventura di esordio.



Gallieno Ferri nasce a Genova il 21 marzo 1929, da una famiglia di origine parmense. Dopo aver esercitato per alcuni anni la professione di geometra, viene chiamato dall’editore Giovanni De Leo a realizzare "Il fantasma verde" e "Piuma Rossa", due personaggi da lui siglati con lo pseudonimo di "Fergal". Nel 1949 illustra la prima serie di "Maskar" e inaugura una nutrita serie di collaborazioni con l'Atelier Mouchott, un editore di Lione: è in Francia, infatti, che riscutono grande successo "Tom Tom" e "Thunder Jack", datati 1954. In questi anni, Ferri si occupa anche di pubblicità, attività questa che serve ad affinare il suo talento di copertinista. Inoltre, pubblica sul Vittorioso le storie di "Jolly" e "Capitan Walter". Nel 1961, Ferri inizia a collaborare con la Casa editrice di Sergio Bonelli, insieme al quale dà vita a Zagor. Da allora il disegnatore non ha più lasciato il personaggio, di cui ha illustrato moltissime storie tra le più significative e tutte le copertine, cimentandosi anche (nei primissimi tempi, per un totale di sette avventure) come sceneggiatore in proprio del personaggio. Nel 1975 disegna anche la prima avventura di "Mister No", e prosegue la collaborazione alla nuova testata firmando 115 cover. Nel 2009, a Roma, gli è stato assegnato il premio Romics d’Oro. 


LA FRASE: “Non ho mai disegnato senza sentirmi coinvolto in ciò che facevo”. Dall’intervista sul n° 194/195 di Fumo di China, luglio/agosto 2011.


mercoledì 26 marzo 2014

RISVEGLI




E' in edicola da qualche giorno lo Speciale Zagor n° 26, intitolato "Risvegli". I testi sono miei, i disegni di Emanuele Barison. Di Emanuele vi avevo già parlato in questo spazio, presentandolo in un post dal titolo "L'ultimo arrivato", datato 3 maggio 2011. Per foto d'epoca, curiosità e retroscena del suo arruolamento in Casa Bonelli vi rimando a quell'articolo.

Adesso che, dopo tre anni di lavoro insieme, il nostro primo lavoro arriva nelle mani dei lettori, non posso che aggiungere la mia soddisfazione per aver potuto collaborare con un professionista del genere, un vero e proprio fuoriclasse del fumetto, noto in Italia e all'estero per la sua trentennale e poliedrica attività.  In seconda di copertina dell'albo, lo stesso Barison così si presenta al pubblico zagoriano: “A chi mi chiedeva quale fosse il personaggio bonelliano che mi sarebbe piaciuto disegnare, io ho sempre risposto: Zagor!  Quando ero bambino, negli anni Settanta, in casa mia giravano diversi fumetti che, anche se  erano più o meno disprezzati dai vari benpensanti, mio padre mi permetteva di leggere visto che lui era appassionato di Tex: così mi capitarono fra le mani anche gli albi dello Spirito con la Scure. Ne rimasi affascinato e divenne subito il mio personaggio preferito. Ho sempre considerato Zagor una sorta di super eroe italiano, sia per il suo look in costume (geniale il marchio con l’aquila), sia per le sue gesta al limite delle possibilità umane. Mi ha sempre affascinato il fatto che le storie del Re di Darkwood potessero spaziare in tutti i generi dal western all’horror, arrivando fino alla fantascienza, ma soprattutto amo il respiro avventuroso, onirico, epico e leggero al tempo stesso che traspira dalle sue storie (e della leggerezza del sogno di questi tempi c’è molto bisogno). Il mio appuntamento creativo con lo Spirito con la Scure è sempre stato rimandato per gli impegni, gli imprevisti e i casi della vita. Poi un giorno, in occasione del cinquantennale zagoriano, realizzai un disegno a colori per una fanzine e lo inviai anche a Sergio Bonelli, che da tempo seguiva il mio lavoro in Francia e in Italia. Nacque l’idea di realizzare una storia, quella che avete fra le mani. Mi dispiace che Sergio non abbia potuto vederla finita, ed è lui che la dedico, con tutto il cuore”.



Ricordo che quando si andò concretizzando la possibilità di realizzare un albo dello Spirito con la Scure insieme, chiesi a Emanuele che cosa gli sarebbe piaciuto disegnare. "Vorrei una storia in cui a Cico si rizzano i capelli in testa dalla paura". Detto fatto, ho sceneggiato le prime cinque tavole di un racconto in cui un uomo esce da una tomba in una notte di tempesta, e Barison le ha illustrate da par suo con l'entusiasmo di un invitato a nozze. Da quel momento la sceneggiatura è stata elaborata sulla base dei suoi ritmi, lenti perché Ema era (ed è) impegnato anche con Diabolik e la produzione per il mercato francese. Peraltro, proprio in questi giorni è uscito in Francia un volume cartonato di 150 pagine, intitolato "Orfea" (edito da Dargaud, su testi di  Francois Corteggiani) che è uno spettacolo a vedersi. Insomma, il nostro nuovo acquisto zagoriano è una star internazionale. 



I lettori più affezionati al tipo di disegno ferriano sapranno, spero, apprezzare la chiave di lettura di un ospite illustre, che peraltro viene presentato in un numero extra fuori serie, come si conviene a questo tipo di interpretazioni autoriali di un personaggio storico del fumetto italiano. Ospite, è vero, ma invitato a trattenersi. Barison si è detto felicissimo dell'esperienza bonelliana e si è offerto di proseguirla. Perciò ho cominciato a scrivergli una nuova storia, questa volta di fantascienza. Sarà un altro Speciale, che se tutto va bene potrete vedere tra un paio di anni. 



Due parole sulla trama della nostra prima fatica. Si tratta di un racconto horror, che parla di morti che ritornano in vita. Zombi, potremmo dire, ma non macilenti e putrefatti: poiché il "risveglio" giunge a poche ore dal decesso, i "ritornanti" hanno più o meno l'aspetto che avevano in vita, salvo il fatto che sono dotati di straordinaria forza e resistenza, oltre che di belluina aggressività. A me gli zombi hanno sempre fatto più paura dei vampiri, e ho chiesto di essere cremato per evitare di risvegliarmi nella bara, sperando di non risvegliarmi proprio nel forno crematorio. Ho cercato di fare il verso a Nolitta quanto a reazioni di Cico di fronte alle situazioni paurose. C'è un aspetto "giallo" riguardante la spiegazione del mistero, e per ora chi ha letto l'avventura (a cominciare dal letterista Omar Tuis, il primo a farmi  - bontà sua - i complimenti) riferisce di essere rimasto sorpreso dalla soluzione finale. Non mi illudo di riscuotere l'apprezzamento di tutti, però ho fatto ogni sforzo per mescolare le carte e differenziare questa mia prova (con la quale supero la quota di ventimila tavole zagoriane pubblicate dal 1991 a oggi) da le innumerevoli altre proposte fatte per venire incontro ai gusti di tutti.







domenica 23 marzo 2014

CINEMA AL CINEMA 17




Proseguono le recensioni cinematografiche di Giorgio Giusfredi, mio personale consulente, nonché scrittore, sceneggiatore di fumetti e cuoco sopraffino. I pareri che esprime sono sua responsabilità, ma di solito li condivido. In ogni caso, i complimenti e le critiche vanno indirizzate a lui.

CINEMA AL CINEMA 17
febbraio/marzo 2014
di Giorgio Giusfredi


CAPTAIN AMERICA - THE WINTER SOLDIER

Un film di Anthony Russo, Joe Russo. Con Chris Evans, Sebastian Stan, Scarlett Johansson, Samuel L. Jackson, Anthony Mackie, Robert Redford. Titolo originale Captain America: The Winter Soldier. Azione, durata 136 min. - USA 2014 - Walt Disney

E' senza dubbio il miglior film realizzato su di un super eroe Marvel. Non si tratta dell’apologo fascista dei film DC di Nolan & C., né degli smielati ultimi Disney-Marvel. C’è un cattivo, anzi un’organizzazione criminale con in testa un cattivo che è interpretato da Robert Redford (inutile girarci intorno, è chiaro dal primo fotogramma del film), e c’è una filosofia di base che, come nel fumetto, è quella propria del personaggio. Proprio il protagonista, coinvolto in quella che comunque è una spy-story e che ricorda il “Mission Impossible” di DePalma, rispetta i suoi canoni. È molto semplice: l’eroe del fumetto ha avuto il successo su carta per un certo carattere. Pur modernizzato e pur infarcito di effetti speciali, è proprio il carattere del Capitano, un uomo che fa della forza di volontà la sua arma più potente, la cosa che affeziona il pubblico. Diciamo anche subito che c’è l’Hydra. Come ci può essere il Capitano senza Hydra? La maniera di riportarla in auge dopo la morte del Teschio Rosso, avvenuta nel primo episodio cinematografico, è convincente. Si ha la reale sensazione di pericolo dietro il controllo, la privazione di libertà come forma di società (fascista, appunto) più evoluta. Tutto questo sconvolgimento inizia con la riabilitazione dell’immagine del capo dello SHIELD, ovvero Nick Fury, che muore nelle prime scene. Potrebbe sembrare complicato ma la trama scorre via senza arrovellamenti cervellotici, tra esplosioni e battute. Chris Evans, che interpreta Capitan America, ricorda per livello di situazioni “bordeline”, al limite dell’impresa, Bruce Willis in uno qualsiasi dei suoi action movie. Si sottintende anche che cosa prova la bella Scarlett Joahnson, nei panni della Vedova Nera, nei confronti dell’eroe senza macchia (lei che di macchie ne ha, eccome). Il bello è che, questo flirt, non si risolve come tutte le coppiette innamorate vorrebbero. C’è anche Black Falcon, come in alcune storie a fumetti: da quel tocco di buddy buddy movie che non guasta mai. E c’è il Soldato d’Inverno, il cattivo ambiguo. Ovviamente (basta vedere il cast per rendersene conto), è quel Bucky che muore nel primo film cadendo dal treno sulle montagne innevate. La soluzione delle controversie tra lui e il capitano è il vero colpo di scena del film e avviene attraverso una mastodontica citazione  de “L’Impero colpisce ancora”. Il film è un continuo citare, infatti, della storia del cinema, da inquadrature a location a battute nei dialoghi (che son ben scritti). La più riuscita è quella che farà scoppiare la sala, formata da un pubblico attento, in una fragorosa risata. È incisa su di una pietra tombale e omaggia il citazionista per eccellenza: Quentin Tarantino.


SNOWPIERCER

Un film di Bong Joon-ho. Con Chris Evans, Kang-ho Song, Ed Harris, John Hurt, Tilda Swinton. Titolo originale Seolguk-yeolcha. Azione, durata 126 min. - Corea del Sud, USA, Francia 2013 - Koch Media

Questa pellicola, sempre con Chris Evans protagonista, è un grosso insieme di stilemi di nuova fantascienza. Un minestrone tratto da un fumetto dove possiamo riconoscere l’aroma di film come “Matrix”, “Atto di Forza”, “Apocalypse Now" e quello di certi nuovi slasher francesi truculenti e visionari. Benché ogni ingrediente sia riconoscibile, il sapore generale è senz’altro e quello di una nuova pietanza. È un bel prodotto strutturato su più livelli. L’apocalisse polare ha congelato la Terra e l’umanità sopravvissuta conserva l’esistenza su  un treno che è in moto perpetuo, autoalimentato, che gira il mondo su di una ferrovia costruita dal visionario ingegnere poco prima del disastro. Questo recente futuro distopico ricorda Ron Hubbard e la sua religione (frutto di un romanzo di successo) nella quale gli eletti verranno salvati su di una fantomatica arca che, da Noè in poi, fa sempre la sua porca figura nei cuori dei creduloni. Persino certi ritornelli e certi alienanti stereotipi degli abitanti del treno ricordano sette religiose ed elevano l’ingegnere (che alla fine scopriremo essere Ed Harris) a una sorta di mistico messia. Ovviamente gli abitanti di testa (ovvero prima classe) sono i ceti alti della società. In coda troviamo i reietti, gli emarginati costretti prima al cannibalismo e poi a mangiare blocchi composti da insetti neri pressati. Il tema del cannibalismo e il concetto di quanto sia giusto l’ordine e la severità per mantenere una società, sono il fulcro e la soluzione della trama. Un cast tutto inglese al servizio del visionario regista coreano, a eccezione di Kang-ho Song (presente anche nei precedenti lavori del cineasta) vanta oltre al sopracitato e “dark” Chris Evans, anche stelle del calibro di Jamie bell, John Hurt e Tilda Swinton, tutti bravissimi. Ricco di scene potenti e visionarie lascia un unico grande dubbio: da dove salta fuori quel cappottino su misura nel finale?


12 ANNI SCHIAVO

Un film di Steve McQueen. Con Chiwetel Ejiofor, Michael Fassbender, Benedict Cumberbatch, Paul Dano, Paul Giamatti. Titolo originale 12 Years a Slave. Biografico, durata 134 min. - USA 2013 – Bim

E' il film vincitore del premio Oscar. Tarantino aveva riaperto il filone schiavismo con il suo western, ma purtroppo questo nuovo lavoro di Steve McQueen non è altrettanto divertente. Il mio amico critico Maurizio Colombo lo definirebbe il Django degli intellettuali. Niente di nuovo sotto il sole. Le bellissime ambientazioni del sud degli Stati Uniti pieno di case eleganti e di salici maestosi, i fantastici costumi, i campi coltivati a granturco, a canna da zucchero a cotone, la splendida fotografia, insomma, se pur condita con gli schizzi di sangue della violenza che, come nella realtà, inzuppava quelle terre, non riesce a divertire. La storia , scritta dal vero protagonista in un romanzo da cui il film è tratto, prosegue lineare, mancano molti piccoli dettagli narrativi che renderebbero interessanti i personaggi. I padroni e gli schiavi recitano il loro compitino, insomma. La coppia più cattiva impersonata dal feticcio Michael Fassbander e da Sarah Paulson, sovrarecita creando dei personaggi ridondanti. Lupita Nyong'o (vincitrice dell’Oscar come non protagonista) è l’unica attrice riesce ad approfondire il dramma partorendo vere espressioni di lucida follia tipiche di una donna vessata e senza speranza di fuga. Durante le frustate non ci vengono risparmiate urla e brandelli di pelle mentre nelle scene collettive di bagni ogni posa e rivolta da tre quarti per coprire le nudità genitali come se dietro la macchina da presa si annidasse un guardone. Bisognava deciderci: o cinema verità o pudico feuilleton. 



SOTTO UNA BUONA STELLA

Un film di Carlo Verdone. Con Carlo Verdone, Paola Cortellesi, Tea Falco, Lorenzo Richelmy, Eleonora Sergio. Commedia, durata 106 min. - Italia 2014 - Universal Pictures

Purtroppo, è un film inferiore agli ultimi lavori di Verdone. L’autore ha comunque sempre uno sguardo molto interessante sulla società. Tutto il cast lavora bene (a parte l’attrice che interpreta l’avida seconda moglie, che sembra non indovinare  i tempi di battuta), ma il film non riesce mai a decollare, a fare quel saltino in avanti, nella commedia o nel dramma, necessario per far uscire dal cinema lo spettatore rigonfio di qualcosa di più che pop corn secco. Carlo Verdone stesso è un ottimo attore, anche la regia, con il classico stile essenziale, è funzionale al tipo di storia che pare volesse raccontare. Manca forse una sceneggiatura potente, una di quelle che, per esempio, arricchiva, anzi rendeva un successo, ogni commedia all’italiana che si rispetti. Tea Falco è strepitosamente sexy, la sua aria “bohemienne”, dovuta a una somiglianza con la cantante Françoise Hardy, è accentuata dei suoi atteggiamenti traboccanti di rude fragilità.


giovedì 20 marzo 2014

GRIDO DI PIETRA






Vi ho raccontato quasi tutto, manca soltanto il finale. Ho cominciato, infatti, parlandovi del mio viaggio da Roma fino a Buenos Aires, iniziato il 13 gennaio 2014, del mio soggiorno in quella città e del mio successivo trasferimento in aereo, dopo tre giorni, verso Ushuaia, il capoluogo della Terra del Fuoco, la landa abitata più australe del mondo. Mi sono quindi intrattenuto e dilungato nel descrivere quel posto, sia mostrandovi foto del porto, che del Canale del Beagle, che del Parco Naturale al confine fra Cile e Argentina. Sono passato poi a narrare quel che ho visto nella zona di El Calafate, nella Patagonia continentale, e cioè i ghiacciai Perito Moreno e Upsala. Non ho mancato di sottolineare come il desiderio di questo tour ai confini del mondo mi sia nato dopo aver letto tutto quel che mi è servito leggere per documentarmi nello scrivere una avventura di Zagor ambientata proprio in Terra del Fuoco. Adesso, eccomi a farvi vedere le foto dell'ultima tappa patagonica: El Chalten, alle pendici del Cerro Torre e del Cerro Fitzroy, la capitale argentina del trekking. Il racconto procederà commentando le foto che seguono.



Per arrivare a El Chalten da El Calafate bisogna percorrere oltre tre ore di strada in mezzo al nulla. Ovvero, in mezzo a colline erbose che prima seguono la riva del lago Argentino, poi quelle del lago Viedma, e sono attraversate dai fiumi che vi si gettano o che ne escono, caratterizzati dall'acqua lattiginosa tipica dello scioglimento dei ghiacciai (il cosiddetto "latte glaciale", di cui abbiamo già parlato). Per superare la distanza io ho preso un comodo autobus di linea, dai cui finestrini ho potuto ammirare un susseguirsi di panorami western mozzafiato.



La strada verso El Chalten è recintata a destra e a sinistra da un ininterrotto reticolato. Serve a proteggere gli automobilisti dai guanachi che pascolano ai lati della strada e che, se non ci fosse la rete a impedirglielo, attraverserebbero di corsa. Un urto contro un guanaco a cento all'ora, magari di notte quando non si può neppure tentare di frenare, potrebbe costare caro a chi guida. Anche al guanaco, indubbiamente. Si tratta di animali simili ai lama andini, ma molto più aggraziati, al punto che se non fossero camelidi potrebbero essere paragonati a delle gazzelle. I guanachi tentano lo stesso di saltare la protezione e talvolta restano appesi con le gambe di qua e di là sul filo di ferro, senza più riuscire a scendere, e muoiono. Ho visto alcune carcasse passandoci accanto.







Dicevo degli scenari western offerti dalla parte meno piovosa della Patagonia, cioè tutta quella che si distacca dalle Ande (la Cordigliera intercetta le nuvole e le fa piovere o nevicare sulle sue cime, lasciando all'asciutto ciò che c'è più a Est). Guarda caso, il pullman che fa la spola tra El Catalafate ed El Chalten si ferma per una breve sosta nella locanda "La Leona", a 13.802 chilometri da Roma, quella che vedete nella foto sottostante, in cui un cartello posto all'interno avverte che lì soggiornarono per un mese Butch Cassidy e Sundance Kid nel corso della loro fuga sudamericana.



La locanda "La Leona" è posta in corrispondenza di un fiume che va a gettarsi nel vicino lago Viedma (un bacino paragonabile per dimensioni al lago Argentino). Fino al 1975 per attraversare quel fiume c'era un traghetto costituito da una zattera che, tirata da delle corde, portava i viaggiatori da una riva all'altra. Poiché in passato i turisti non erano numerosi quanto adesso, spesso si trattava di pastori che spostavano i loro greggi: il traghetto portava fino a sessanta pecore per volta, e quando ce n'erano da trasbordare mille o duemila c'era da mettersi in fila e aspettare.


Poco prima di entrare in città a El Chalten, il bus viene fatto fermare presso la direzione del Parco Nazionale, nel punto che vedete nella foto qui sopra. Ci si trovano davanti le magiche cime del gruppo del Fitzroy, che per quanto mi riguarda sono le montagne più belle del mondo, per quanto superino di poco i tremila metri. Il guardaparco raduna i passeggeri e tiene un discorso molto bello e molto deciso il cui senso è: questo posto è un patrimonio comune e va salvaguardato, se vi becco a sporcare vi faccio un culo così. In particolare il rude ranger argentino dice una frase del genere: "Quando vi incontrerò nel parco, vorrò vedere la spazzatura nei vostri zaini: se non avete rifiuti al seguito vorrà dire che li avete lasciati in giro, e pagherete una di quelle multe che ve ne ricorderete tutta la vita". Al che io decido di portarmi un sacchetto pieno di immondizia da casa, perché non si sa mai.



El Chalten è un posto decisamente sperduto, che sta crescendo grazie al turismo, ma che è facile immaginare molto più piccolo e povero qualche decina di anni fa. Comunque sia, è piccolo e povero anche adesso. Nessun albergo di lusso, strutture piccole e quasi tutte a gestione famigliare, pochi negozi, poche case lungo poche vie battute dal vento, sulla riva del rio Fitzroy. Non prendono i telefonini, quasi non c'è connessione web: l'unico Internet Point è preso d'assalto dagli escursionisti che fanno la fila per poter comunicare con il mondo. Escursionisti, appunto, perché la maggior parte dei visitatori sono giovani e sportivi, zaino in spalla e scarponi ai piedi, giunti qui per fare trekking.













Le cime del Cerro Torre e del Cerro Fitzroy sono continuamente a rischio nubi. Al mio arrivo, erano meravigliosamente scoperte, poi il tempo è cambiato e sono state avvolte dalle nuvole. Il vento, tipico della Patagonia, si è fatto fortissimo al punto che era difficile camminare per strada. Tante le escursioni possibili, partendo da El Chalten, comprese quelle alpinistiche o per i free climber. Ma anche per chi, come me, vuole solo camminare, ci sono "mirador" (cioè punti panoramici) di tutti i tipi da raggiungere: si possono osservare condor e aquile, cascate, laghi, ghiacciai. A me interessa il Cerro Torre, immortalato da Werner Herzog nel 1991 nel film "Grido di Pietra" (su un soggetto scritto da Reinhold Messner): la pellicola non è granché, ma la montagna è spettacolare: una lama di pietra verticale che mozza il respiro.



Questo fiume è il rio Fitzroy, dalle acque fredde e veloci, attraversato a El Chalten da un ponte di assi. La parete di pietra dalla parte opposta rispetto alla cittadina è scalata da free climber.






Nei piccoli locali di El Chalten si beve questa birra artigianale, di cui io ho scelto (apprezzandola) la versione rossa.




Per un giorno intero le condizioni atmosferiche non consigliano di mettersi in cammino verso le montagne. Poi, il secondo giorno, poco dopo l'alba, decido di partire. La destinazione è la base del Cerro Torre, in un punto chiamato "Mirador del Torre". In albergo mi spiegano che il sentiero è pulito e ben segnalato, e così infatti è.



La pulizia nel parco è totale. Non c'è una cartaccia o una cicca di sigaretta. I metodi bruschi del guardaparco evidentemente funzionano.





Nei punti più ripidi del sentiero ci sono dei gradini e talvolta delle catene: la salita non è difficile da superare, anche se serve un minimo di allenamento.











Il tempo è bello alle spalle e brutto davanti. Procedo lo stesso e mi godo così una serie di spettacolari arcobaleni.













Questo cartello avverte della presenza degli huemules, cioè una specie di cervi tipici della zona. E' vietato perciò agli escursionisti portare al seguito dei cani, perché pare che nei cani, sentendo l'odore della preda, si scateni un istinto innato che li porta a sfuggire ai padroni, inseguire i cervi e ucciderli.









Dopo alcune ore di cammino, arrivo infine al "Mirador del Torre". Ma il Cerro Torre ha deciso di non farsi vedere: resto a lungo in attesa, ma le nubi non si sollevano, non si spostano. Peccato!




Non resta che tornare a El Chalten e da lì, il giorno dopo, prima a El Cafalate, poi a Buenos Aires e quindi in Italia. Il mi viaggio è finito. Voi, se volete, potete cominciare il vostro.