lunedì 29 novembre 2010

LA VITA E' TUTTA UN QUIZ

Della mia passione per l'enigmistica ho già parlato. Ma, oltre a cimentarmi in quella tradizionale, ideando e risolvendo sciarade, anagrammi e palindromi, mi è sempre piaciuto ideare e risolvere quiz. In passato, partecipando a feste di San Silvestro o di compleanno, gli amici mi chiedevano di organizzare dei giochi a squadre con questionari a tema e di solito ci si divertiva (io a condurre la gara, gli altri a parteciparvi). Chissà se è stato per questo che, una quindicina di anni fa, mi venne in mente di proporre ad alcune case editrici l'idea di quello che io definii un "Libro Gioco sui Fumetti". Di che cosa si trattava? Sostanzialmente, di un volumetto pieno di domande in stile "Chi vuol essere milionario" (ma all'epoca Gerry Scotti non aveva ancora importato il format in Italia), con un quiz e quattro risposte tra cui scegliere, tutte incentrate sugli eroi di carta.
Il lettore doveva divertirsi a indovinare la soluzione giusta, da solo o in gara con gli amici. La risposta esatta sarebbe stata segnalata in appendice. Quando qualcuna delle risposte errate avesse comunque un certo grado di vicinanza alla risposta corretta, avrei fornito anche delle indicazioni sui perché e i percome la soluzione fosse invece un'altra (ad esempio: il cane di Mister Bluff non è Diavolo, ma Flok, perché Diavolo è il cane dell'Uomo Mascherato).
Ho ideato qualche quiz di prova, e ho sottoposto ad alcuni editori il mio progetto. Risultato: niente da fare. Nessuno ne voleva sapere. Peccato. Dopo un po', ho chiuso la proposta in un cassetto e non ci ho pensato più. Qualche giorno fa, il file con le domande è tornato fuori quasi per caso. L'ho riletto, mi sono divertito pensando a quando mi ero galvanizzato per quell'idea e non ho potuto fare a meno di notare quanto sembrassero "vecchie" e datati i miei quiz, e soprattutto calibrati sui miei gusti e le mie letture. Peraltro, mi rendo conto che oggi farei fatica ad aggiornarmi su mille cose che sono uscite negli ultimi quindici anni, in particolare su quel tipo di produzioni che non seguo da vicino. Ma, in realtà, già all'epoca della proposta pensavo che il libro gioco potesse essere diviso in sezioni, affidate magari ad autori diversi, o che ci potessero essere più volumi dedicati ciascuno a un particolare genere. In ogni caso, mi sembra divertente pubblicare adesso e qui il testo del mio vecchio progetto e, soprattutto, i primi quiz da me ideati. Non li ho ricontrollati confidando nella mia documentazione dell'epoca. Pubblicherò le soluzioni in un messaggio a parte nei "commenti", che chi vuole potrà andare a verificare. Non si vince niente, se non la soddisfazione di tornare con la memoria a letture dei bei tempi che furono. Esattamente quella che mi sono goduto io nel ritrovare questo vecchio testo.


Il Libro Gioco dei Fumetti

Un progetto di Moreno Burattini

Il libro-quiz verrà realizzato su commissione, nel senso che avrà tante domande quante decideremo che ne debba contenere, in base agli spazi a mia disposizione (decisi dall'editore). Il testo potrà essere disponendo le domande in settori distinti e secondo diversi gradi di difficoltà, dando modo ai lettori di selezionare l'aerea di gioco da cui attingere i quiz con cui cimentarsi. Inoltre, possiamo far ricorso a delle immagini e non basarci soltanto sui testi.
Perché può funzionare? Oltre al divertimento dell'eterno gioco delle domande e delle risposte (lo stesso che è alla base del fascino millenario degli indovinelli, come del successo dei quiz televisivi o del Trivial Porsuit), sarà ideato un sistema di punteggi per dar modi ai lettori di organizzare delle vere e proprie gare fra amici, o solo con sé stessi. Le domande prenderanno in oggetto non solo il fumetto classico ma anche super-eroi e manga, per cui anche i lettori più giovani troveranno pane per i loro denti, e giocheranno a superarsi con i propri compagni. Ma la vicinanza con settori contigui spingerà anche i monomaniaci filonipponici o i Marvel-fan a cimentarsi con altri tipi di fumetto, e dunque il nostro libro sarà veicolo di maggiori conoscenze e risulterà di stimolo per tutti a trasformarsi in lettori più onnivori.
L'ordine delle domande prevede una divisione per argomenti, secondo sezioni da stabilire. Si può pensare a una sezione finale o iniziale onnicomprensiva, in cui le domande saranno mescolate e spazieranno a caso su tutti gli argomenti, mettendo alla prova i lettori più enciclopedici. All'interno di ogni argomento, le domande saranno disposte secondo un crescente grado di difficoltà. Il giocatore potrà quindi iniziare con quiz elementari e misurare la propria preparazione procedendo domanda dopo domanda verso quelli più difficili. Il grado di difficoltà sarà indicato da un simbolo.
Soprattutto, concordando un certo numero di illustrazioni, potremmo proporre domande basate su immagini tratti da vari fumetti, chiedendo chi sia il disegnatore di una certa vignetta, o da quale celebre storia sia tratta, o chi sia il personaggio visto di spalle, eccetera. Le possibilità sono infinite. Per le immagini sussiste il problema del copyright, dunque dovremo parlarne prima (ed eventualmente chiedere delle autorizzazioni).
In copertina, vedrei bene un'immagine di Martin Mystere. Non solo perché si tratta di un libro di domande, dunque di enigmi da risolvere, ma anche perché l'opera farà parte di quel genere di pubblicazioni "trivia" che sono da sempre la passione di Castelli e del BVZM.

Esempi di domande
Le domande che seguono
* non sono in ordine di difficoltà
* non sono formulate nella maniera definitiva
* non comprendono quelle riguardanti immagini

BONELLI

1) In quale anno è uscito in edicola il primo episodio di Zagor?

a) 1960
b) 1961
c) 1965
d) 1966

2) Qual è il nome del cuoco cinese del Forte dove presta servizio Kit Teller, alias Il Piccolo Ranger?

a) Mao Miao
b) Cin Lao
c) Fon Su Ghin
d) China Kid

3) In quale città messicana è nato Cico, l'inseparabile compagno d'avventure di Zagor?

a) Mexico City
b) Chihuahua
c) Sancta Magdalena
d) Veracruz

4) Di quale città degli Stati Uniti è originario Ken Parker?

a) Buffalo, Wyoming
b) Omaha, Nebraska
c) Greensburg, Indiana
d) Hamilton, Montana


5) Chi è il creatore grafico di Dylan Dog?

a) Angelo Stano
b) Claudio Castellini
c) Rupert Everett
d) Claudio Villa


6) Zagor è l'abbreviazione di Za-gor-te-nay che, nell'invenzione degli autori, significa "Lo Spirito con la Scure" in lingua indiana. In quale lingua, per la precisione?

a) Mohawk
b) Algonkina
c) Dakota
d) Creola

7) Qual è il nome del cane di Mister Bluff, fedele compagno d'avventura (insieme a Gufo Triste) del Comandante Mark?

a) Fido
b) Buck
c) Flok
d) Diavolo

8) Qual è il vero nome di Mister No?

a) Icaro La Plume
b) Jerome Drake
c) Peter Parker
d) Terry Blake

9) Qual è il vero nome di Esse-Esse, il più fido amico di Mister No?

a) Otto Kruger
b) Hans Kruger
c) Helmut Kaiser
d) Adolf Kroizer




10) Se "Aquila della Notte" è il soprannome indiano di Tex Willer, qual è quello di suo figlio Kit?

a) Piccola Aquila
b) Piccolo Falco
c) Giovane Aquila
d) Falco del Mattino

CLASSICI AMERICANI

11) Quale grande scrittore di gialli scrisse per Alex Raymond le Avventure dell'Agente Segreto X-9?

a) Raymond Chandler
b) Dashiell Hammett
c) Ellery Quenn
d) Ernie Stanley Gardner

12) Che cos'è la Cronosfera, marchingegno utilizzato da Brick Bradford nelle sue avventure?

a) una macchina del tempo
b) un orologio da polso di forma sferica che funge anche da ricetrasmittente
c) un apparecchio che viaggia nel tempo e nello spazio può rimpicciolirsi con il suo equipaggio e penetrare all'interno delle molecole
d) una nave spaziale costruita sul pianeta Kronos, di cui Brick è pilota

CURIOSITA'

13) Quale caratteristica hanno gli animali della giungla di Akim, il tarzanide di Roberto Renzi e Augusto Pedrazza, che li differenzia da quelli del vero Tarzan?

a) parlano
b) odiano Akim e cercano di ucciderlo
c) fra loro non ci sono animali feroci
d) sono tutti sudditi fedeli che obbediscono agli ordini

14) Quale di queste quattro affermazioni è vera?

a) Nella serie di Alan Ford, il Numero Uno non ha mai raccontato la storia di Beethoven
b) L'eroina sexy Barbarella è stata creata avendo come modella l'attrice Jane Fonda
c) Nella collana "Il comandante Mark" ci sono due albi con lo stesso titolo
d) Calvin & Hobbes di Bill Watterson sono, rispettivamente, un bambino e un leone di pezza


FUMETTO ARGENTINO E SPAGNOLO

15) Chi sono i creatori del poliziotto privato Alack Sinner, nato in Italia sulle pagine di "Alter" nel 1975?

a) Antonio Segura e Josè Ortiz
b) Carlos Trillo e Carlos Meglia
c) Carlos Sampayo e Josè Munoz
d) Enrique Sanchez Abuli e Jordi Bernet


16) Quali sono le caratteristiche di Custer, personaggio creato da Carlos Trillo e Jordi Bernet?


a) Si tratta della discendente di George Armstrong Custer, il colonnello di Little Big Horn
b) E' un poliziotto privato transessuale
c) E' un giornalista televisivo che si muove armato di telecamera e finisce sempre nei guai a causa delle sue inchieste
d) E' una donna che ha venduto la propria vita a una rete televisiva che riprende tutto quello che fa, ventiquattro ore su ventiquattro

FUMETTO FRANCO-BELGA

17) Perché Obelix non ha bisogno di bere la pozione magica del druido Panoramix che rende forzuti Asterix e gli altri guerrieri galli del suo villaggio?

a) è falso: in realtà anche lui deve berne
b) Perché ne è talmente ghiotto da averne bevuta troppa, e adesso gli effetti su di lui sono prolungati nel tempo
c) Perché da piccolo cadde dentro il pentolone dove Panoramix la stava preparando, divenendo forzuto in pianta stabile
d) Perché è forte di suo, ed è allergico alla pozione


18) Quale celebre umorista italiano, incaricato di tradurre le prime storie di Asterix, coniò l'acrostico "Sono Pazzi Questi Romani" sulla base delle iniziali SPQR - creando un originale gioco di parole che in francese non ha riscontro?


a) Achille Campanile
b) Marcello Marchesi
c) Giovanni Guareschi
d) Giovanni Mosca



FUMETTO D'AUTORE ITALIANO

19) Su quale rivista apparve a puntate "Una Ballata del Mare Salato", la prima avventura di Corto Maltese?

a) Linus
b) Corto Maltese
c) Sgt. Kirk
d) Comic Art

20) In che anno apparve su rivista "Una Ballata del Mare Salato", la prima avventura di Corto Maltese?

a) 1965
b) 1967
c) 1972
d) 1975


21) Perché Corto Maltese porta questo nome?

a) perché é basso
b) in dialetto maltese, "corto" significa "marinaio"
c) Corto è un tipico nome usato a Malta
d) in argot significa "ladro"

22) Che significato ha il fatto che Corto Maltese porti un anello all'orecchio sinistro?

a) che appartiene alla marina mercantile, se fosse appartenuto alla marina militare lo avrebbe portato all'orecchio destro
b) nessun significato, è solo un ornamento
c) era la fede nuziale di sua madre, l'unico ricordo di lei
d) lo porta per una promessa fatta alla sua prima donna


23) Chi è l'autore dei testi della storia "Vendetta Macumba" disegnata da Magnus nel 1979?

a) lo stesso Magnus
b) Max Bunker
c) Ennio Missaglia
d) Renzo Barbieri


24) Su quale rivista sono comparse la prima volta le puntate di Maxmagnus, capolavoro di Magnus & Bunker?

a) Linus
b) Eureka
c) Tommy
d) Off-Side


MANGA

25) Quali fra questi personaggi è stato disegnato da Ryoichi Ikegami?

a) Lamù
b) Crying Freeman
c) Gon
d) Ken il Guerriero

26) Qual era il mestiere di Crying Freeman, quando con il nome di Yo Hinomura non era ancora stato condizionato a diventare un killer?

a) ceramista
b) monaco
c) poliziotto
d) falegname

27) Chi è Lupin Sansei?

a) Un simpatico ladro giapponese che rifacendosi alle gesta del francese Arsenio Lupin, si spaccia per essere un suo discendente
b) Un bizzarro poliziotto giapponese che dà la caccia ai ladri utilizzando ogni sorta di congegni elettronici
c) Un agente segreto che, grazie a un fantascientifico apparecchio, riesce a clonare altre due copie di sé stesso: in caso di bisogno i Lupin Sensei divengono perciò tre, chiamati Lupin I, Lupin II e Lupin III
d) Il vero nipote di Arsenio Lupin che continua le imprese del nonno con il nome di Lupin III


NERI ITALIANI

28) Qual è il nome dell'isola artificiale su cui Kriminal ha il suo covo?

a) Bunker
b) Molok
c) Thule
d) Crab Key

29) Come si chiama la donna di Ginko, il poliziotto rivale di Diabolik?

a) Altea
b) Gloria
c) Eva
d) Ginko non ha una compagna


UMORISTICI AMERICANI


30) Qual è il nome del buffo cover-boy di Mad, che pur non essendo un vero e proprio personaggio dei fumetti, compare con il suo faccione ebete su gran parte delle copertine della rivista umoristica statunitense?

a) Martin Mad
b) Alfred E. Neuman
c) Norman Mingo
d) Crazy Klutz






31) Qual è il nome dell'autoritaria fidanzata di Alley Oop, il cavernicolo di Vincent T. Hamlin?

a) Oola
b) Lucy
c) Daisy Mae
d) Geena

32) Chi sono Arcibaldo e Petronilla, la coppia creata nel 1913 da George Mc Manus?

a) Due contadini americani alle prese con pestiferi nipotini
b) una coppia di immigrati irlandesi arrichitisi improvvisamente per a una vincita alla lotteria, divenuti perciò benestanti pur restando dei cafoni
c) due provinciali senza un quattrino che cercano di scimmiottare lo stile di vita dei ricchi benestanti
d) Arcibaldo è uno spiantato che ha sposato la ricchissima ma taccagna Petronilla, a cui cerca continuamente di spillare soldi

33) Come si chiama il formichiere che compare spesso nelle strisce di BC?

a) Shirley
b) Benedict
c) Antoine
d) Curls

UMORISTICI ITALIANI

34) Nei fumetti di Geppo, il diavolo buono, qual è il nome del serpente tentatore, con cilindro e farfallino, che lo esorta senza successo a fare il male?

a) Eugenio
b) Caligola
c) Giuleppe
d) Salvatore








35) Qual è il nome dei due fantasmini nipoti di Eugenio, il fantasma pauroso imitazione italiana del celebre Caspar?

a) Zip e Zap
b) Crick e Crock
c) Castore e Polluce
d) Piff e Puff

36) Qual è il cognome di Geremia, il vecchietto lamentoso ed eterno moribondo del Gruppo TNT, sulle pagine di Alan Ford?

a) Limone
b) De Lamentis
c) Lettiga
d) Siringa

37) Qual è il vero nome di Superciuk, il più celebre super-nemico di Alan Ford e del Gruppo TNT?
a) Ebenezer Snare
b) Ezechiele Bluff
c) Timothy Dust
d) Terence Trash


38) Perché Superciuk ruba ai poveri per dare ai ricchi?

a) Perché è un ricco borghese e odia i proletari
b) Perché è uno spazzino e i poveri insudiciano più dei ricchi
c) Perché una famiglia povera lo abbandonò da piccolo in un orfanotrofio sovvenzionato da ricchi desiderosi di scaricare dalle tasse i loro lasciti
d) Perché è un bastian contrario



SUPER-EROI

39) Di quali super-poteri è dotato Batman?

a) ha un senso radar come i pipistrelli
b) vola e ha la super-forza
c) ha una tuta-armatura piena di congegni
d) nessun superpotere


40) Luke Cage, il super eroe di colore creato dalla Marvel nel 1972, deve i suoi super poteri a...
a) un'antica magia africana
b) un esperimento a cui viene sottoposto in carcere
c) un filtro di sua ideazione
d) suo padre, T'Challa, il super-eroe Pantera Nera.
Buon divertimento!

sabato 27 novembre 2010

I CAVALIERI DEL GRAAL

Mi è capitato a volte di veder segnalare alcune mie storie su giornali, riviste e perfino programmi radiofonici e televisivi non specificamente dedicati ai fumetti. Il che, ovviamente, fa molto piacere. Da questo punto di vista, tutti i record di interesse sono stati battuti dal Maxi Zagor "Agenti Segreti", uscito nel luglio del 2005, dove lo Spirito con la Scure incontra il filosofo francese Alexis de Tocqueville, autore del saggio "La democrazia in America", che realmente compì un celebre viaggio negli Stati Uniti in epoca zagoriana (attraversando proprio i territori dove idealmente viene collocata la foresta di Darkwood). Poiché in quell'anno ricorreva il bicentenario della nascita dello scrittore, con grande sorpresa della Casa editrice (ma non mia) abbiamo avuto un ricco campionario di articoli di giornale dedicati all'evento, con intere pagine di quotidiano che ne parlavano. Uno dei pezzi più interessanti, firmato da Vittorio Macioce, lo potete leggere qui.

Altri casi del genere si sono ripetuti con la storia alpinistica de "Il gigante di pietra", di cui si sono interessati RAI 2, la rivista degli Alpini e l'Adige di Trento, e con lo Speciale "I cavalieri del Graal", finito addirittura in un informatissimo saggio sulle trasposizioni fatti storici nella fiction, "Historic Park", di Matteo Sanfilippo (Ed. Elleu, 2004) dove la mia ipotesi sulla possibile attuale collocazione della reliquia è stata riportata e commentata a pag. 115. Qual era questa ipotesi? Ne parlo volentieri, dato che mi è stato esplicitamente chiesto di farlo (per esempio da Devilmax, intervenuto a commentare un precedente post su un altro Speciale, quello dedicato a Cristoforo Colombo). Dato che, per affrontare l'argomento, dovrò trattare di temi di interesse generale, come appunto la leggenda del Re Pescatore e la storia dei Templari, ma anche di George Catlin e dei Mandan, non dubito che la cosa possa incuriosire anche i non-lettori di Zagor (e magari convincerli a leggerlo, hai visto mai). Scrivere su "I cavalieri del Graal" mi permetterà anche di rispondere (mi si perdonerà ogni tanto un po' di vena polemica) a qualche critica a mio avviso ingiustificata, letta qua e e là in mezzo, per fortuna, a tanti apprezzamenti. Non sarò breve, ma spero di non essere troppo noioso.

Cominciamo con il dire che lo Speciale "I cavalieri del Graal", il decimo della serie, è datato 1998 e disegnato da Gallieno Ferri. All'epoca gli speciali bonelliani contavano ancora soltanto 128 tavole, ma avevano allegato un albetto di altre 32, dedicato a un comprimario. Quell'anno, sempre io e Ferri realizzammo una breve storia con prot agonista Trampy, intitolata "Il colpo della pistola", vale a dire l'albetto di quel tipo che io preferisco fra quelli scritti da me, e di cui un giorno mi piacerebbe tornare a parlare.
Zagor, per tradizione, dipana le sue storie su duecento, trecento o anche quattrocento pagine. E' sempre difficile, per qualunque sceneggiatore, concentrare un racconto avvincente dello Spirito con la Scure in un centinaio di tavole o poco più, dato che l'eroe di Darkwood ha bisogno di spazi epici, di combattimenti fisici, di fughe e inseguimenti tra gli alberi e sui fiumi, di lunghi spostamenti, di gag comiche. Dunque, per me, dodici anni fa, non fu facile concentrare in poco spazio la tradizionale avventura zagoriana con il rimando ad albi precedenti, il riferimento a un sacco di fatti e di personaggi storici e la narrazione di diverse leggende facendo in modo che tutto risultasse comunque comprensibile all'interno della storia senza bisogno di dare per scontato che i lettori avessero nel proprio bagaglio culturale tutte le informazioni necessarie.

E' chiaro che l'idea di dedicare alla storia alla ricerca del Graal mi venne riflettendo sul fatto che l'argomento era un classico dei classici (nel 1989 era stato al centro anche del terzo film di Indiana Jones, per esempio) ma su Zagor, che pure era la testata bonelliana avventurosa per eccellenza e quella più aperta alle contaminazioni fantastiche, non se ne era mai parlato. Cominciai così a documentarmi, leggendo davvero di tutto. Le leggende sul Graal sono complicatissime e piene di agganci con altri miti, da quello dell'Arca dell'Alleanza, a quello della Lancia di Longino, a quello del Re Pescatore, a quelli dei Cavalieri della Tavola Rotonda, a quelli dei Templari, del Bafometto e della Setta degli Assassini. Ma, riflettendo su come potessi trasportare il Graal a Darkwood dando una parvenza di plausibilità alla cosa, mi capitò di collegare le mie letture sul Sacro Calice con quella di un altro libro che stavo facendo in quel periodo, e cioè con "Il popolo dei pellerossa" di George Catlin.

Chi era George Catlin? Come molti sanno, fu un pittore statunitense nato nel 1796 che, dopo aver compiuto un lungo viaggio tra le tribù indiane prima che cominciasse la conquista del West, poté dipingere i pellerossa così come vivevano quando ancora non erano i signori della Grandi Praterie, non erano stati sterminati dalle guerre e dalle epidemie o non si trovavano costretti nelle riserve. Oltre a realizzare centinaia di dipinti, Catlin descrisse i nativi americani anche in importanti articoli e saggi che costituiscono una preziosa testimonianza della loro storia. Come si vede ne "I cavalieri del Graal", in cui il pittore compare in una decina di tavole, Catlin portò i suoi quadri in giro per il mondo e li espose anche a Londra. Le sue opere sono fondamentali soprattutto per quanto riguarda i Mandan, un popolo indiano che si dedicava prevalentemente all'agricoltura e che viveva in quello che oggi è il North Dakota. Catlin visitò la tribù nel 1832 e la descrisse approfonditamente. Però, i Mandan scomparvero pochi anni dopo che lui li ebbe incontrati, sterminati nel 1837 dal vaiolo, una malattia da cui furono contagiati proprio a causa del contatto con i bianchi. In pratica, i racconti e i dipinti di Catlin sono una delle pochissime fonti che abbiamo per sapere qualcosa su questa misteriosa tribù.


Nella saga di Zagor, la tribù dei Mandan è legata a Richard "Beau" Whyndam, a sua moglie Kee-Noah e al fido Piotr Bezukoff, trapper di origine russa e zio di Kee-Noah. Nelle due avventure con Beau Whyndam, scritte da Marcello Toninelli, i Mandan sembrano indiani come gli altri, senza particolarità degne di nota, eccetto per lo storico sterminio causato dal vaiolo, evento tragico ma niente affatto singolare, avendo riguardato molte altre popolazioni. Dopo l'avventura "Zagor l'implacabile" (di Toninelli & Pepe) i Mandan non esistono più, o meglio, sopravvivono all'epidemia pochi individui ospitati presso altre tribù (come si vede appunto all'inizio de "I cavalieri del Graal").

Visitando i Mandan, George Catlin notò qualcosa di misterioso che li riguardava. Così, con l'occhio del pittore, li descriveva nel 1832 in Letters and Notes on the North American Indians, appunto il suo voluminoso tomo noto in Italia con il titolo "Il popolo dei pellerossa": "Un forestiero che arriva in un villaggio Mandan è a prima vista colpito dalle differenti sfumature d'incarnato, dal vario colore dei capelli... ed è quasi portato a esclamare: 'Questi non sono indiani!'. Molti Mandan sono di corporatura minuta, e soprattutto fra le donne ve ne sono diverse di carnagione quasi bianca, ben proporzionate e di forme aggraziate. Hanno occhi marroni, grigi o anche azzurri, un'espressione dolce e mite, si comportano con grande pudore, il che le rende gradevoli e addirittura belle. Non conosco il perché di tali peculiarità fisiche, né essi stessi mi sanno dire qualcosa. Le loro tradizioni, per quanto fino ad ora ho saputo, non forniscono informazioni su un eventuale incontro con l'uomo bianco avvenuto prima della spedizione di Lewis e Clarke, risalente a una trentina di anni fa. E anche da allora, ben pochi bianchi si sono spinti fin qua e certamente non in numero sufficiente per influire sull'aspetto e sulle usanze di questa nazione. Ricordo perfettamente che il Governatore Clark mi disse, prima che partissi, che avrei trovato un popolo strano, mezzo bianco. La diversità nel colore dei capelli è altrettanto evidente. In un folto gruppo di Mandan (e soprattutto fra le donne, che mai si curano di cambiare il colore dei loro capelli, come invece fanno sovente gli uomini) si possono notare tutte quelle sfumature che si riscontrano dalle nostre parti, fatta eccezione per il rosso e il color rame".


E ancora: "I Mandan (See-poosh-kah-nu-mah-kah-kee, 'il popolo dei fagiani' come si chiamano nella loro lingua) sono probabilmente una delle tribù più antiche, la loro origine è avvolta nel mistero e nelle tenebre del tempo. Ci troviamo di fronte a una razza peculiare, separata dalle altre". Per spiegarne l'origine, Catlin propose una suggestiva e fantasiosa teoria: i Mandan discendevano da una spedizione di gallesi agli ordini del principe Madoc, che erano salpati in cerca di nuove terre in pieno Medioevo, con dieci navi, e non erano più tornati.
Chi era esattamente Madoc? Madoc o Madog ab Owain Gwynedd fu un principe gallese che, raccontano le leggende, fece vela verso l'America nel 1170, più di trecento anni prima di Cristoforo Colombo. Durante l'era elisabettiana, la tradizione secondo cui Madoc sarebbe sopravvissuto al viaggio e avrebbe preso possesso di una nuova terra fu usata per sostenere che l'America era proprietà del regno d'Inghilterra. In ogni caso, ci sono state per secoli molte ipotesi sul fatto che un viaggio del genere abbia davvero avuto successo e ovviamente la storia ha fornito materiale per poeti e romanzieri di ogni epoca. Alcune di queste ipotesi erano comunque basate su testimonianze concrete e su fatti reali. Già nel corso dei Seicento, alcuni esploratori riferirono di indiani che parlavano una lingua stranamente simile all'antico gallese. Nel 1810, per dirne un'altra. John Sevier, primo governatore del Tennessee, riferì di una sua conversazione con un vecchio capo Cherokee, Oconostota, a proposito di alcune antiche fortificazioni lungo il fiume Alabama che, secondo il pellerossa, sarebbero state costruite da un popolo dalla pelle bianca chiamato "Welsh", identificabile con i Mandan, una tribù molto diversa da tutte le altre per lingua, cultura e aspetto fisico. In effetti Catlin fu sorpreso, come abbiamo visto, nello scoprire che i Mandan avevano tratti somatici simili agli occidentali e talora occhi azzurri, capelli rossi o addirittura biondi, e pelle chiara. Per lui, non c'erano dubbi. Discendevano dai gallesi di Madoc. Altri, in seguito, come Paul Hermann, si dissero invece convinti che alla loro origine ci fossero i vikinghi che avevano colonizzato Terranova (da loro ribattezzata "Vinland"), evidentemente spintisi poi anche verso Sud, incontrando le popolazioni indiane. Un'altra ipotesi, più recente, è che giacimenti di uranio abbiano alterato nel tempo i lineamenti della tribù. La spiegazione più probabile è comunque quella che io ho messo in bocca a Zagor ne "I cavalieri del Graal". A pagina 18 gli faccio dire, infatti: "Notai anch'io alcuni individui del genere, ma pensai che si trattasse di individui albini, o nati dal matrimonio tra squaw e trapper".


A sostegno della sua tesi, Catlin portava alcune affinità linguistiche tra il gallese e la lingua Mandan: Grande Spirito, per esempio, si dice Maho Peneta in gallese e Mawr Peneathir in Mandan. Inoltre, gli strani pellerossa sapevano modellare la creta, abitavano in case di forma circolare, in parte sotterranee, e le loro canoe erano rotonde e in pelle come i canotti usati nel Galles occidentale (le vedete nel dipinto qua a fianco). C'è da notare che le capanne con le piante circolari usate dai Mandan non erano le semplici costruzioni chiamate wigwam delle altre tribù, ma avevano fondamenta profonde costruite secondo tecniche architettoniche piuttosto insolite. Va sottolineato il fatto che gli edifici a pianta circolare erano tipici dell'architettura dei Templari, e di questo parleremo ancora in seguito. Pochi anni dopo la visita di Catlin, i Mandan furono contagiati dal vaiolo. Nel giro di pochi mesi l'intera tribù fu annientata. Non è mai stato possibile verificare se davvero i Mandan avessero un aspetto così "occidentale" o se soltanto alcuni individui spiccavano per caratteristiche somatiche diverse da quelle del tipico pellerossa.


Nel 1939 George Catlin si imbarcò a New York diretto a Liverpool, allo scopo di trasferire a Londra la sua "Indian Gallery", cioè la raccolta di quadri con soggetti indiani realizzati dal vero durante i suoi viaggi. Il 1° febbraio 1940 la Gallery aprì al pubblico in Piccadilly Circus, per uno scellino a persona. Catlin restò nelle sale a disposizione di chi chiedeva ulteriori informazioni, e a sera teneva delle conferenze. Il successo fu clamoroso. Nel 1841 uscì la prima edizione de "Il popolo dei pellerossa". Le recensioni furono favorevolissime. Anche questo particolare (cioè, la divulgazione in Europa delle caratteristiche dei Mandan) è stato da me sfruttato nel corso della mia storia. A proposito, guardate il dipinto qua accanto in cui Catlin raffigura se stesso mentre disegna e confrontatelo con la vignetta iniziale di pagina 17 de "I cavalieri del Graal". Anche tutti i quadri del pittore che si vedono nelle tavole di Ferri sono ispirate alle vere tele dell'americano, così come gli scorci del villaggio Mandan.



Preso atto del mistero dei Mandan e della spiegazione che ne dava Catlin, passiamo adesso a occuparci dei Templari. I Templari furono un Ordine religioso e cavalleresco, costituito nel 1118 da Hugh de Payns e Geoffrey de Saint-Omer dietro esortazione di San Bernardo da Chiaravalle, con lo scopo di proteggere i pellegrini che si recavano in Terra Santa.


In realtà, sospettano molti (è la tesi, per esempio, di Graham Hancock, autore de "Il mistero del Sacro Graal"), il vero motivo della loro esistenza fu la ricerca dell'Arca dell'Alleanza e del Sacro Graal (che per Hancock coinciderebbero, sarebbero la stessa cosa). Baldovino II, Re latino di Gerusalemme, li ospitò nell'ala orientale del proprio palazzo che sorgeva sulle rovine del Tempio, da qui gli appartenenti all'ordine presero il nome di templari.
All'ordine aderirono subito molti nobili cavalieri, e i Templari diventarono ben presto una potenza militare ed economica. Accumularono immense ricchezze e una grande quantità di terreni, ed edificarono circa novemila castelli, chiese e edifici (caratterizzati da una pianta circolare) in tutta Europa. Il potere dei Templari finì, con gli anni, a non risultare gradito né all'impero né al papato, e così, nel 1307, Filippo IV di Francia (detto Filippo il Bello) li accusò di eresia (i Templari avrebbero adorato l'idolo chiamato Bafometto) e nel 1312, in occasione del Concilio di Vienna, il papa Clemente V soppresse l'ordine. Benché ci siano spiegazioni più dietrologiche (Hancock sostiene che i Templari stessero per riportare in Francia l'Arca dell'Alleanza scovata in Etiopia e questo avrebbe accresciuto a dismisura il loro prestigio e il loro potere, oscurando imperatore e papa), si sostiene che Filippo il Bello volesse soprattutto impadronirsi delle ricchezze dell'Ordine per rimpinguare le sue casse. Venerdì 13 ottobre 1307 tutti i Templari che risiedevano in Francia vennero arrestati. A sera, erano 15000 le persone finite in catene. Da allora, proprio per questo, la data di venerdì 13 è considerata foriera di sfortuna. Il Gran Maestro Jacques de Molay e altri cavalieri che non vollero ammettere le proprie colpe furono condannati al rogo. Come previsto, comunque, Filippo il Bello fece confiscare i loro beni.

Secondo alcuni, i Templari erano depositari di molti segreti iniziatici, e, fra l'altro, possedevano certe carte geografiche che indicavano la rotta per le Americhe. Nel volume "I Templari in America", Jacques de Mahieu afferma che essi avrebbero raggiunto di nascosto il Nuovo Continente tre secoli prima di Colombo, partendo dal porto di La Rochelle. Dalla Setta degli Assassini avrebbero ricevuto perfino il Santo Graal, che corrisponderebbe al Bafometto (potrebbero essere la stessa cosa). Nel 1962, Gerard De Sède scrisse il libro "I Templari sono fra noi" in cui si sostiene che, lungi dall'essere stati distrutti da Filippo il Bello, i Templari si sono riorganizzati, dopo aver nascosto la maggior parte dei loro tesori a Gisors, o addirittura nel Nuovo Mondo.
Nel già citato "Il Mistero del Sacro Graal", Graham Hancock scrive così: "I Templari furono una ricca e potente confraternita internazionale di guerrieri religiosi: in quanto tali, dunque, malgrado gli sforzi di Re Filippo IV e di papa Clemente V, non si rivelarono affatto facili da distruggere. In Francia la soppressione dell'Ordine fu portata a termine in maniera radicale ed efficace; eppure anche qui alcuni confratelli riuscirono a sfuggire alla cattura, come per esempio l'intera flotta dei Templari che salpò dal porto atlantico di La Rochelle la mattina degli arresti e nessuno ne seppe mai più nulla". Il mistero della flotta templare scomparsa pone appunto le basi per la mia storia. Ma prima di scoprire perché, ci sono altre premesse da fare.

Che cos'è il Graal? Lo sanno tutti: il calice che, secondo le leggende medievali, fu usato da Cristo nell'Ultima Cena; oppure la coppa in cui Giuseppe d'Arimatea avrebbe raccolto il sangue di Cristo crocifisso (secondo talune leggende si tratterebbe dello stesso calice, che sarebbe stato adoperato nelle due occasioni). In realtà, in un'epoca contrassegnata dalle crociate e da intensi contatti fra Occidente e Medio Oriente (intorno al 1100), le leggende anglosassoni e celtiche dei "calderoni magici" (basti pensare ad Asterix), o anche quelle latine (la Cornucopia), si mescolano con elementi pagani, orientali e paleocristiani dando vita a un mito connotato cristianamente solo in superficie.


In ogni caso, il Graal è considerato un oggetto sacro e misterioso che veniva custodito in un tempio o castello in Bretagna, la cui scomparsa scatenò il "wasteland" e la sua ricerca da parte dei cavalieri più arditi e più puri. I mortali che riescano ad arrivarvi conquisteranno la felicità terrena e celeste, ma solo ai puri è dato raggiungerlo. Il Graal è un oggetto materiale e spirituale assieme. Non si conosce esattamente la sua natura, forse è una pietra, forse è un libro, forse un contenitore; può guarire le ferite, dona una vita lunghissima, garantisce l'abbondanza, ma è anche dotato di poteri devastanti. Secondo altri, come tutti sanno dopo "Il Codice da Vinci", il Sacro Graal potrebbe essere in realtà il Sang Real, cioè la discendenza di Gesù Cristo attraverso il grembo di Maria Maddalena. Ma su questo (che pure è un argomento interessante su cui mi piacerebbe tornare), sorvoliamo.

La leggenda del Graal è una delle creazioni poetiche più alte del Medioevo europeo. Inserita nel ciclo arturiano, essa trova la sua prima grande espressione letteraria nel Perceval ou le conte du Graal di Chrétien de Troyes (databile circa 1180), poema cavalleresco rimasto incompiuto e continuato da altri poeti. In questo racconto il Graal non viene mai definito "santo" e non ha nulla a che vedere con la coppa che avrebbe contenuto il sangue di Cristo. Fondamentale anche il Perzival del tedesco Wolfram von Eschenbach, secondo il quale il Graal sarebbe una pietra magica (lapis exillis) che produce ogni cosa che si possa desiderare sulla tavola in virtù della sua sola presenza. Non sfugga che ho dato il nome di Wolfram a un templare della mia storia. Scrive Mauro Boselli nell'introduzione a "I cavalieri del Graal": "Andatevi a leggere i romanzi medievali di Chretien de Troyes, ragazzi! Sono fantastici: i fumetti dell'era feudale!".


Dunque il Graal, in origine, prima della "contaminazione" cristiana che lo trasforma nella coppa dell'ultima cena, è qualcosa dotato di poteri mistici (usato inizialmente assieme ad altri con poteri simili). E' oggetto di una ricerca che ponga fine al "wasteland", ovverosia alla "devastazione" sia fisica che spirituale della condizione umana. Sembra che Merlino avesse come missione somma quella di recuperare il Graal, per riportare la salvezza e la prosperità sulla Terra. Il processo di sublimazione religiosa della tematica cavalleresco-mondana comincia attorno al 1200, e si compie nelle numerose versioni in prosa della leggenda, di cui si ricordano il Lancelot (1220-25) e la Queste dou Saïnt Graal (circa 1220), dove ormai la ricerca del Graal s'identifica con la ricerca di Dio. Fu Robert de Boron, nel suo Joseph d'Arimathie composto tra il 1170 e il 1212 ad aggiungere il dettaglio che il Graal sarebbe la coppa usata nell'Ultima Cena.

Ma occupiamoci della versione cristiana della leggenda del Graal, che su Zagor non comunque non è sostenuta (anzi, si raccontano soprattutto le versioni laiche ed anglosassone), ma che è fondamentale per capire il senso della mia storia. Giuseppe d'Arimatea, secondo i vangeli, era un ricco mercante di Gerusalemme membro del Sinedrio: offrì la stanza dove si tenne l'Ultima Cena, si oppose alla crocifissione senza riuscire a impedirla, raccolse il sangue di Cristo nella coppa usata nel cenacolo per la prima Eucaristia. Dopo la resurrezione di Gesù, si cominciò a organizzare la predicazione del vangelo nel mondo e, secondo la tradizione, fra gli altri, dodici uomini partirono per cercare di convertire i Galli. Il capo di questi missionari fu appunto Giuseppe d'Arimatea. Costui portò con se la coppa santificata dal sangue della croce, convinto di trarne forza e coraggio. Dopo varie peripezie, dalla Gallia Giuseppe passò in Britannia. Esistono, in effetti, numerose tracce leggendarie del suo passaggio in molte leggende della Provenza, dell'Aquitania, della Bretagna e del Galles.

Il punto di arrivo di Giuseppe sarebbe l'odierna Glastonbury: lì si appoggiò sul suo bastone per pregare ed esso si trasformò in un biancospino. Ancora oggi un albero di duemila anni che fiorisce due volte, per Pasqua e per l'Epifania, cresce a Glastonbury e viene considerato sacro. Nei pressi, Giuseppe edificò la prima chiesa cristiana dell'Inghilterra. E vi depose il Graal. Ci sarebbero altre leggende che parlano di un passato inglese di Giuseppe d'Arimatea ancora precedente a questo viaggio (si dice che fosse un britanno, e che avrebbe addirittura portato Gesù in Inghilterra durante i diciotto anni dell'infanzia segreta del Cristo) ma lasciamo perdere: ciò che ci interessa è sapere che il Graal risulta essere, sulla base delle leggende, finito nelle isole inglesi. Da lì, però scomparve. Cosa risaputa, visto il fiorire delle leggende con Re Artù e i cavalieri che davano la caccia alla sacra coppa. Finì di nuovo in Medio Oriente, almeno stando alle leggende della "Materia di Bretagna", e probabilmente ci ritornò per via del Prete Gianni (il cui regno si ritiene essere stato in Arabia o in Etiopia). Dal Medio Oriente fu recuperato (secondo alcuni) proprio dai Templari.

C'è da segnalare che lo storico Gerard De Sede, l'autore di "I Templari sono fra noi" sostiene che Filippo il Bello non riuscì a impossessarsi che di una parte dei tesori dei Templari, e che fra quelli su cui non poté mettere le mani c'è anche il Graal. Secondo De Sede i tesori (e i Graal) sarebbero nascosti nel castello di Gisors, ma a noi importa sapere che è possibile che i Templari possedessero il Graal. Lo avrebbero ottenuto in Terra Santa, dalla Setta degli Assassini con cui erano, stranamente (e forse proprio per via del Graal) in contatto. Prima di essere sterminati, gli Assassini affidarono il loro Bafometto ai Templari, e il Bafometto potrebbe essere appunto il Graal. Da notare che fra le accuse utilizzate da Filippo il Bello contro i Templari c'era appunto quella di essere adoratori del Bafometto. Del resto il Wofram, l'autore del poema "Parzival", da cui si ricavano molte notizie sul Graal, datato 1210, scrive che i cavalieri che custodivano il Graal erano certi misteriosi "templeisen", e il nome alluderebbe appunto ai Templari.

Comunque sia, il Graal scomparve. Si sono fatte decine di ipotesi sulla sua sorte. C'è chi dice che è ancora in Inghilterra, chi dice che è in Francia, chi dice che è in Italia (a Castel del Monte, a Bari, a Torino), chi dice che è in Oriente. La mia ipotesi romanzesca è invece questa: e se invece di essere discendenti del principe di Madoc e i suoi transfughi, i Mandan discendessero dalla flotta dei Templari fuggiti il 13 ottobre 1307 da La Rochelle?

Se davvero, come si dice, i Templari erano a conoscenza di carte geografiche che mostravano le rotte verso il Nuovo Mondo, è possibile ipotizzare che la flotta di La Rochelle fosse pronta a partire per mettere in salvo quanti più Templari poteva e soprattutto quanto più oro fosse possibile, in attesa di tempi migliori. Poiché la persecuzione derivava, oltre che da Filippo il Bello, anche dal papa avignonese Clemente V, i Templari sarebbero stati perseguitati in tutto il mondo cristiano: dunque, cercare un nascondiglio in terre sconosciute come l'America (a loro invece note) poteva essere la scelta migliore, sempre attendendo lo sviluppo degli eventi.

I Mandan con i capelli biondi e la pelle chiara visti da Catlin, potrebbero essere dunque i discendenti di quei Templari sbarcati in America quasi trecento anni prima di Cristo, e mai più riusciti a tornare indietro. Le case circolari con profonde fondamenta tipiche dei Mandan, sarebbero reminiscenze dell'antica origine (la pianta circolare è caratteristica dell'architettura templare). L'ipotesi non è che i Templari abbiano fondato una colonia e si siano poi imbarbariti perdendo la memoria delle loro origini, cosa improbabile in soli trecento anni. Però, magari, sono stati sterminati dai pellerossa, o uccisi dalle malattie o dalle difficoltà. Alcuni di loro, o dei loro servi o dei loro marinai, ultimi superstiti, potrebbero essersi uniti alle tribù locali o comunque aver avuto figli da delle squaw, e così i lineamenti "occidentali" di alcuni Mandan visti da Catlin sarebbero spiegati. I Templari si sono estinti, ma il loro tesoro è stato nascosto in attesa che qualcuno venisse a recuperarlo.

Per gran parte del mio racconto, alcuni personaggi danno una caccia forsennata al Graal, nascosto in America nella regione abitata dai Mandan. Alla fine scopriremo che la caccia viene data, in realtà, a qualcos'altro. I personaggi in questione sono dei cavalieri templari. Possibile che ne esistessero ancora nell'Ottocento? Come si è visto, si ritiene da più parti che i Templari non sia scomparsi dopo la persecuzione iniziata nel 1307. Ufficialmente, una parvenza di Ordine esiste ancora. Gli eredi più accreditati, anche se in linea indiretta, dell'Ordine dei Templari sono i Cavalieri di Malta, già Ospitalieri di San Giovanni (che non c'entrano nulla con la storia zagoriana di cui ci stiamo occupando). Umberto Eco ha dedicato alla sopravvivenza dei Templari fino ai nostri giorni il suo romanzo più bello, "Il pendolo di Foucauld". Quasi sicuramente, i Templari sono alla base della massoneria. Hancock, l'autore del "Mistero del Sacro Graal" riferisce che nelle isole inglesi i Templari non furono perseguitati come altrove e che lì riuscirono a riorganizzarsi piuttosto bene.

Non andiamo a impelagarci in altre questioni storiche: limitiamoci a immaginare che in Inghilterra, appunto, alcuni cavalieri più convinti che altri abbiano continuato a tramandare le tradizioni templari e, facendo affidamento sui tesori imboscati prima della confisca, abbiano mantenuto basi segrete e strutture efficienti. In particolare, agendo contro gli infedeli durante le lunghe guerre del basso medioevo e del Rinascimento contro sultani ed emiri (il loro scopo era difendere la cristianità, in fondo) e sempre cercando il Sacro Graal e l'Arca dell'Alleanza, simboli che se fossero finiti di nuovo in mano loro avrebbero potuto garantire il ritorno in auge dell'Ordine, macchiato dalle infamanti accuse di Filippo in Bello e del Concilio di Vienna. Convinti di dover lottare contro gli arabi per riprendersi l'Arca, l'Ordine rimasto segreto ha sempre potuto contare su gruppi armati attrezzati ed allenati, peraltro impiegati spesso in combattimenti, anche senza venire menzionati, in Oriente, o altrove, in difesa di terre o sovrani. Agli occhi dei templari, cinquecento anni sono bruscolini: l'epoca di Zagor non è nulla per loro.

Immaginando, ancora, che in epoca zagoriana uno dei loro capi, Graham Rosencrantz (il nome me lo sono inventato), da tutti chiamato Maestro, abbia visto a Londra i quadri di Catlin, assista a una delle sue conferenze, abbia letto il suo libro (le opere di Catlin furono diffuse a Londra solo dopo il '40, ma non stiamo a sottilizzare, è pur sempre epoca zagoriana), è facile supporre che i Templari si siano convinti di aver ritrovato le tracce della flotta scomparsa. L'ipotesi mia e del Maestro a questo punto diventa la seguente: dopo aver raggiunto il Nuovo Mondo e aver provveduto a costruire una fortezza per custodire al sicuro i tesori e il Graal, una delle navi riuscì a far ritorno e a portare notizie della flotta; solo che i suoi occupanti furono arrestati e finirono al rogo. Poi, dall'America non tornò nessuno e salvo sapere che una base era stata effettivamente costruita, nient'altro era stato possibile conoscere.

Il Maestro imbarca subito un contingente di uomini che giunge in America in incognito, in abiti borghesi. Lui li galvanizza sostenendo che è certo che la fortezza nel Nuovo Mondo fu costruita per nascondere il Graal, e che oggi i musulmani sono stati sostituiti dalle tribù indiane, selvagge e pagane al pari dei mori, che celano la fortezza nelle loro terre impedendo agli eredi dei Templari di raggiungerla. Se loro la ritroveranno, entreranno nella storia, e l'Ordine verrà riabilitato agli occhi del mondo. Contro i pellerossa devono combattere una nuova crociata. Nel Nuovo Mondo, il gruppo ha però le divise da Templari, belle e pittoresche come da illustrazione, e le indossa combattendo, anche se oltre alle spade hanno anche pistole e fucili. In realtà, Rosencrantz nasconde ai suoi uomini la verità.


A tutto ciò, ipotesi fantastiche legate a fatti storici, ho aggiunto e intrecciato tutti i possibili riferimenti alle leggende e al folklore. Per esempio quelli legati al demone Bafometto, o Baphomet, parola probabilmente nata come deformazione in lingua provenzale di Maometto, in quanto le moschee venivano chiamate Baphomeris. Il Bafometto, pur idolo pagano, è raffigurato sul portale della chiesa di Saint-Marry a Parigi e su quello della chiesa di Sainte-Craix a Provins come diavolo barbuto, con corna, alato, con artigli ed ermafrodito. Ma uno dei personaggi de "I cavalieri del Graal" è costruito per essere un preciso rimando a Parsifal, o Perceval. Ho trovato il modo di narrare sia le leggende riguardo alla sua infanzia e alla segregazione dal mondo a opera della madre che voleva impedirgli di diventare un cavaliere, sia il suo incontro con il Re Pescatore, sofferente e ferito, di cui alla fine prende il posto come custode del Graal. Però, come sa chi ha letto la storia, mai in tutto l'albo si vede il Graal, mai si è certi che Percy Knight (il personaggio in questione) sia davvero Perceval, mai si sa se il Bafometto sia davvero a difesa del Sacro Calice. L'unica cosa di cui si ha certezza è che i Templari hanno nascosto a Darkwood, in territorio Mandan, una parte dei loro tesori, che sono l'unica cosa che interessa davvero a Rosencrantz.

Se siete arrivati fin qui, avrete capito che, bella o brutta che sia, la storia de "I cavalieri del Graal" è nata da un certo sforzo di documentazione e da molte letture. Tuttavia, secondo me, si inserisce perfettamente nella tradizione zagoriana. E' questo il parere della maggior parte dei commentatori del forum SCLS, che hanno dedicato uno topic allo Speciale. In particolare, Max scrive: "Il tema di questo episodio è la celeberrima ricerca del Graal, che vede i nostri protagonisti (si rivedono Beau e consorte) inseriti in una classicissima avventura, tipica zagoriana, che presenta una struttura caratterizzata da: la presentazione dei cattivi di turno; la tradizionale richiesta di aiuto a Zagor e Cico di qualche amico o conoscente, arricchita da spiegazioni e motivi che li spingono ad entrare nella dimensione-avventura; le consuete proteste di Cico; il lungo viaggio denso di pericoli e emozioni che conduce alla meta, a volte un tesoro,a volte la soluzione di un mistero,oppure la ricerca di una persona scomparsa... schema classico, che abbiamo visto tante volte,.ma che a mio avviso è una ricetta eterna, immortale, che è giusto non cambi mai. Ma oltre a questo, il buon Moreno, arricchendo la trema, e decorando la narrazione di elementi originali e inediti, aggiunge una misteriosa setta di invasati, che vorrebbero ereditare le tradizioni dei templari, antiche e misteriose tradizioni indiane, e la ricerca del mitico e leggendario Graal... tutto questo, condito con riferimenti e notizie giunte da un mondo fantastico, che si trova in uno strato sottile a confine tra mitologia e storia".


Tuttavia, è giusto dar conto anche delle critiche, che ho trovato concentrate soprattutto (se non quasi esclusivamente) nella recensione di uBC, opera del bravo Daniele Alfonso. Il quale, per fare un esempio legato a quanto abbiamo detto poco sopra a proposito del demone arabo e di Parsifal, scrive: "Difficile giustificare la presenza del Bafometto alla fine della storia: cos'ha a che fare un cristianissimo Percy Knight con una divinità pagana?". Ora, le critiche fondate sono sempre ben accette (e personalmente non mi inalbero in modo particolare neppure di fronte a quelle a mio avviso infondate), ma direi che sarebbe bastato leggere con più attenzione il racconto per capire che i Templari e Bafometto sono legati dalla tradizione e non uniti forzatamente insieme dal sottoscritto (una delle accuse che li riguardava era appunto di adorare un idolo pagano), e che in ogni caso alla fine della storia si dice che il demone era una entità evocata per proteggere il Graal, dunque con la stessa missione di Perceval. Del resto, allora, ci si potrebbe chiedere anche che cosa abbia a che fare il Bafometto, divinità pagana, con la chiesa di Saint-Marry a Parigi, sul cui portale è raffigurato.





Secondo Alfonso, però ci sarebbero altri elementi "che rendono la vicenda abbastanza improbabile". Prima di vedere quali sono, permettetemi di sorridere riflettendo sul fatto che qualcuno debba esercitarsi nell'arte di cogliere "l'improbabilità" di una storia zagoriana, nell'ambito cioè di una serie avventuroso-fantastica in cui ci sono robot alti come un palazzo, alieni akkroniani, uomini lupo e uomini tigre, mostri della Laguna Nera, draghi a tre teste, uomini delle caverne, vikinghi, vampiri, mummie viventi e chi più ne ha più ne metta. Insomma, l' "improbabilità" è un elemento di critica da cui, almeno su Zagor, si dovrebbe prescindere. Non tanto nelle mie storie (che anzi, cerco di rendere, per mia indole, le più plausibili possibili) quanto proprio in quelle nolittiane che hanno gettato le fondamenta della saga, perché se non potremmo cominciare con il dire che è "improbabile" persino "Odissea Americana".

Tuttavia, ecco quali sono le "improbabilità" di cui mi si accusa. Scrive Daniele Alfonso: "non convince, ad esempio, è che i Templari abbiano organizzato una spedizione in massa, e che vadano in giro bardati come guerrieri medievali, mulinando le spade contro i pellerossa della zona: sembra il modo migliore per attirare l'attenzione delle autorità militari. Passi lo sfrenato fanatismo, ma che i Templari di Rosencrantz vadano in giro per Darkwood con tanto di elmi, armature, mantelli e spadoni sembra francamente eccessivo (anche se i Conquistadores andavano bardati in modo simile). Rosencrantz è convinto che le divise siano un vantaggio, ma è difficile credergli. Oltretutto, pare strano che il comportamento dei templari non attiri l'attenzione delle autorità militari della zona". Sarebbe facile rispondere che nessuno sceneggiatore al mondo sano di mente, avendo ideato una storia con i templari (e per di più nel contesto di una serie come Zagor, dove si sono visti samurai, vikinghi, egiziani sui dromedari, guerrieri arabi), li faccia andare in giro vestiti come Lord Brummel. Vi immaginate la scena di copertina, in cui Zagor si spaventa vedendo arrivare a cavallo dei gentlemen inglesi? E' chiaro che il fascino del racconto è dato appunto nel vedere i templari vestiti da templari, e il narratore è obbligato a mettere in scena le classiche armature e i classici mantelli a beneficio peraltro di un Ferri che con queste cose ci va a nozze. Se non avessi fatto così, avrei deluso tutti (tranne Daniele Alfonso).

Tuttavia, proprio all'interno della storia, ho inserito una spiegazione (secondo me ragionevole) della faccenda (spiegazione di cui, peraltro, per i motivi detti sopra, non ci sarebbe stato neppure bisogno). Wolfram, il luogotenente di Rosencrantz, dice a un certo punto (a pagina 72) al Maestro: "Siete davvero convinto che queste uniformi addosso non ci daranno problemi lungo la strada?". E Rosencrantz risponde: "Al contrario... le divise ci saranno di vantaggio! Le terre che stiamo per attraversare sono ancora selvagge e quasi del tutto deserte. Con ogni probabilità incontreremo soltanto indiani, e maglie di ferro, spade ed elmi sembrano fatti apposta per incutere timore nei selvaggi. In più, servono a infondere spirito di corpo ai nostri uomini, soprattutto durante una missione come questa". E Wolfram annuisce: "Già... l'ultima ricerca del Graal, quella a cui ogni cavaliere del tempio ha sempre sognato di partecipare!". Mi pare che questo dialogo spieghi tutto (e poi qualcuno si meraviglia della necessità di fornire spiegazioni). Nelle terre dei Mandan e nelle regioni più occidentali di Darkwood non ci sono soldati ad ogni angolo, anzi, sono terre sterminate e selvagge, e i Templari intendono spaventare i pellerossa, che intendono o tenere alla larga o minacciare per ottenere informazioni (come si vede fin dalla scena iniziale).

Carlo Monni, sullo stesso forum citato prima, aggiunge: "Se c'è un luogo dove ormai siamo abituati a vederne di tutti i colori, quello è Darkwood. Se c'è una serie dove proprio di tutto può accadere, quella è Zagor Non ci siamo scandalizzati per gli scienziati pazzi che inventano mostri meccanici alti come palazzi e razzi teleguidati, alieni, entità ultraterrene, vampiri eccetera e la nostra sospensione dell'incredulità dovrebbe essere messa a dura prova da un gruppetto di fanatici che vanno in giro bardati come cavalieri medioevali con tanto di elmi, scudi e spadoni? Totò avrebbe commentato: 'Ma mi faccia il piacere!'. Permettetemi di dirlo, ma tra le tante cose che ho visto bazzicare per Darkwood, i presunti Templari mi sembrano proprio tra i più normali". E ancora: "Non perderò altro tempo a parlare della trama, piuttosto mi preme di sottolineare come Moreno sappia costruire una vicenda perfettamente coerente con le rivelazioni sul Graal fatte da Castelli su Martin Mystère anni fa. Perfino l'apparizione finale del Bafometto è perfettamente in linea con quella castelliana. A tutto ciò poi, Burattini aggiunge il suo tassello, ovvero: Percy Knight, novello Re Pescatore, alias Percival/Parsifal (ovvio che è lui)".

Ma c'è qualcos'altro che infastidisce Daniele Alfonso: "Un secondo elemento che fa storcere il naso è che il castello dei templari si trovi sommerso dalle acque di un lago a forma di croce: una ben strana coincidenza". Infatti non è una coincidenza: i Templari hanno costruito il loro castello lì proprio perché quel lago aveva quella forma. Erano alla ricerca di un luogo adatto e fra i tanti quello gli è parso un segno del destino. Se avessero trovato una rupe a forma di calice sarebbe stato lo stesso. Del resto, basta vedere i disegni di Ferri per capire come non sia poi una tipologia di lago così improbabile (basta riempire d'acqua l'incrocio fra due valli laterali e una principale) e mi è bastato fare un giro di due minuti su Google Maps per trovare in Minnesota il Jay Lake che oltre a somigliare a una croce sembra perfino l'aquila del simbolo sul petto di Zagor. "Una ben strana coincidenza!"."Terzo particolare a sfavore - conclude Daniele Alfonso - manca un qualsiasi tentativo di caratterizzazione dei personaggi. Si ha l'impressione che Whyndam, Kee-Noah e Bezukoff siano presenti solo perché devono esserci, visto che la storia tira in ballo gli indiani Mandan. Ma se al posto di Beau ci fosse stato un John Doe qualsiasi, la storia non sarebbe cambiata di una virgola. Bezukoff, poi, ha una parte quasi insignificante, ma anche lui deve esserci, perché se i lettori vedono Whyndam e non Bezukoff, hanno il diritto di chiedersi 'Che fine ha fatto quel grosso russo pelato?', e il meccanismo della storia, purtroppo, si inceppa. Rosencrantz, invece, fa la sua bella figura: un supercattivo classico, ma convincente". Ora, singolarmente, è lo stesso Daniele a evidenziare che Beau, Bezukoff e Kee-Noah ci dovevano essere in quanto legati ai Mandan. Sono fondamentali appunto per questo. Dunque come si può sostenere che se al posto di Whyndam ci fosse stato un altro sarebbe stato lo stesso? No, se ci fosse stato un "John Doe" qualsiasi la storia non sarebbe stata in piedi, altro che non sarebbe cambiata di una virgola. Quei tre personaggi ci volevano, e quei tre ho messo. Veniamo alla caratterizzazione. Beau, Bezukoff e Kee-Noah non li ho inventati io, ma Marcello Toninelli, che li ha usati in due sue belle storie. Li ha già caratterizzati lui a tutto tondo. Quello che io ero chiamato a fare era rispettare la perfetta caratterizzazione che già avevano. Mi si sarebbe potuto contestare, per esempio, di aver tradito questa caratterizzazione. Cosa che non ho fatto, evidentemente. C'è forse un punto in cui Beau, Bezukoff o Kee-Noah non si comportano da Beau, Bezukoff e Kee-Noah? No. Rispetto totale (e, lasciatemelo dire, professionale) dei personaggi. Dunque, che cosa mi si contesta? Con soltanto 128 tavole a disposizione per raccontare tutto e di più su Mandan, Graal e Templari avrei dovuto dedicare spazio a caratterizzare diversamente quel che Toninelli aveva già caratterizzato non in una ma in due storie (peraltro molto lunghe) e che tutti i lettori conoscevano a perfezione? Avrei dovuto rubare spazio alla ricerca del Graal per far vedere qualche gag di Cico con Bezukoff o qualche scena d'amore fra Beau e Kee-Noah? In realtà, sì: è esattamente quello che ho fatto. A pagina 14 c'è la famosa gag fra Cico e Bezukoff, a pagina 15 si ribadiscono tutti i titoli nobiliari di Whyndam, a pagina 71 c'è la scena d'amore fra Beau e Kee-Noah (ripetuta a pagina 129), e Kee-Noah non potrebbe essere nient'altro che una principessa Mandan, dato che è lei l'ultima custode del segreto della sua tribù che interessa a Rosencranz. Insomma, secondo me tutti i personaggi hanno il ruolo e la caratterizzazione che serve alla costruzione della trama e sono, come si suol dire, funzionali al racconto.

Mi conforta l'opinione del già citato Monni: "Mi ha fatto molto piacere vedere Burattini usare anche personaggi inventati da Toninelli, segno che lui, come del resto Boselli, ha una visione molto unitaria del mondo di Zagor. Certo, potrei lamentarmi del fatto che anche in questa storia continuano gli errori sull'uso e terminologia dei titoli nobiliari britannici, ma dopotutto non è una colpa esclusiva di Burattini e nel caso specifico è casomai colpa di Toninelli. Preferirei, certo, un po' più di accuratezza anche in questo, ma, a ben vedere, è un elemento fin troppo marginale in una storia per il resto venuta molto bene, mentre devo ammettere che io a volte so anche essere troppo pignolo". Non c'è comunque soltanto Kee-Noah come Mandan. Secondo me, sono interessanti i due personaggi iniziali, soprattutto il giovane che ha perso la fede negli dei. Ma Monni ne nota altri: "A qualcuno potrà sembrare strana quest'osservazione, ma mi sento di lodare Burattini per non aver ceduto alle lusinghe del buonismo. Le scene al piccolo insediamento di trappers sono un vero pugno nello stomaco, specie quando si scopre che se la madre è sopravvissuta, i suoi bambini no. Burattini ha il coraggio di violare una specie di codice non scritto per cui ai bambini non dovrebbe mai accadere nulla di male e quando poi anche l'unica superstite viene brutalmente uccisa dai cattivi costretti a rivelarsi, si arriva all'apice".

Ultima obiezione di uBC: "A p.62, Zagor, Cico e Bezukoff precipitano da notevole altezza, insieme ad un carro, in un fiume sottostante. La cosa strana è che non solo il carro non si sfascia, ma fortunatamente nemmeno sprofonda nell'acqua, e offre un riparo ai nostri eroi, formando una campana d'aria". Ohibò, un robusto carro di legno che cada nell'acqua di un fiume, si deve per forza sfasciare? Può darsi di sì, ma può darsi anche di no. Ci sono paracadutisti che sopravvivono alla mancata apertura del paracadute. Automobili che rimangono intere dopo essere cadute da un cavalcavia. Aerei miracolosamente illesi dopo gli ammaraggi. Però, secondo il mio critico, i carri dovrebbero inevitabilmente ridursi in mille pezzi se cadono in un fiume (evidentemente c'è qualche preciso studio fisico-ingegneristico-meccanico in proposito, di cui non sono a conoscenza, data la mia estrazione classico-letteraria). Su Zagor, ne capitano da sempre di tutti i colori: a me, però, si contesta la mancata disintegrazione di un carro a contatto con l'acqua. Non solo: il carro è di legno, ma mi si contesta anche che galleggi. Cioè, a detta dei miei detrattori, il legno dovrebbe inevitabilmente affondare. Che dire? Mi dichiaro colpevole: effettivamente, ho fatto galleggiare un pezzo di legno. Mi rimetto alla clemenza della corte.

mercoledì 24 novembre 2010

LE ULTIME PAROLE FAMOSE

"Ci sono due cose che non si possono fissare a lungo: - ammoniva La Rochefoucauld - il sole e la morte". A parte il fatto che io sono portato a dare sempre ragione a La Rochefoucauld, uno degli autori di aforismi che più amo (con Karl Kraus), in questo caso il buon François dice una verità tanto vera da fare quasi male. E' difficile pensare alla morte troppo a lungo. E' quasi intollerabile soffermarsi a riflettere sul fatto che anche noi (anche io) dovremo (dovrò) morire. Bisogna inevitabilmente distogliere lo sguardo, come quando si fissa il sole. Però, personalmente sono attratto dall'argomento e raccolgo libri che ne parlano. Di uno, divertente e consigliato, vedete la copertina poco più sotto.

Della morte, però, probabilmente non ne avrei scritto qui, se qualche giorno fa non avessi letto un post sul blog di Patrizia Mandanici, intitolato "La fine". Un post, peraltro, ispirato dall'ultimo numero della rivista "Le scienze", di cui anch'io, come ho già avuto modo di dire, sono un puntuale lettore. Il numero di novembre è monografico e si intitola significativamente "The end".

Se Patrizia ha infranto il tabù, la seguo a ruota. Anzi, siccome so già che avrei molto da dire, può darsi pure che tornerò a parlarne. Però, per il momento, preferisco farlo in modo lieve e ilare, approfittandone anche per spiegare come sia possibile (anzi, più facile di quanto sembri) leggere cento libri l'anno, come ho dichiarato di fare, divorando più o meno due volumi a settimana.

Basta, semplicemente, che qualcuno sia un testo moto agile e divertente come "Meglio qui che in riunione", a cura di Eugenio Alberti Schatz e Marco Vaglieri (Rizzoli), prima edizione novembre 2009. Di che si tratta? Lo spiega abbastanza bene il sottotitolo: "224 autoepitaffi di italiani celebri e non del nostro tempo". In pratica, i curatori hanno chiesto ad alcune centinaia di persone più o meno illustri, contattandole una per una, di scriversi da soli il proprio epitaffio, vale a dire la frase da incidere sulla propria pietra tombale. Le risposte giunte sono state raccolte in un volume. Ora, a me non l'hanno chiesto (ma non gliene faccio una colpa). Peccato, perché finora di epitaffi me ne sono già scritti quattro (tutti rigorosamente elencati nella sezione "Aforis my" di questo blog), e non escludo di compilarne altri da qui al momento dell'effettivo trapasso, allo scopo, è ovvio, di scegliere il migliore sul letto di morte. Per ora, il mio preferito è "Fate come se non ci fossi". Prego Alberti Schatz e Vaglieri di tenerlo presente nel caso di un secondo volume o di una ristampa rivista e corretta del primo.

Tuttavia, leggere le oltre duecento frasi contenute nel libro è estremamente divertente (peraltro, tre o quattro dei personaggi sono effettivamente morti nel frattempo, come Candido Cannavò). Il volume si divora in mezz'ora, al termine del quale si può però dire di aver letto a tutti gli effetti un libro, e anche un libro in grado di far riflettere, colto, divertente, commovente e persino poetico. Cito alcuni degli epitaffi. Il giornalista Viviano Domenici: "Nato per soffrire, non ne volle sapere". La scrittrice Elena Loewenthal: "Si farà viva lei". Lo scrittore Aldo Nove: "Dopo una vita da precario, ha trovato il posto fisso". Il regista Riccardo Piferi: "Volevo scrivere qualcosa di intelligente, ma la morte mi ha colto di sorpresa". L'illustratrice Chiara Rapaccini: "Finalmente so che cosa c'era dopo. Ma non ve lo dico". Il viaggiatore Augusto Golin: "Qui si ferma per un po' Augusto Golin, almeno sapete dove trovarlo".

Ma, fra i miei libri sulla morte, ce n'è uno un po' più vecchio e, temo, non troppo facile da reperire. Si tratta di "Morire... dormire... sognare forse", di Marco Scatasta (Granata Press), prima edizione settembre 1992. L'autore ha raccolto in una specie di dizionario in ordine alfabetico le ultime parole pronunciate appena prima di morire da una gran quantità di personaggi famosi. Di solito, vengono anche raccontate le circostanze della morte. Leggere questa lunga carrellata di momenti fatali, mette un po' di ansia e di magone. Mi viene da chiedermi che cosa dirò io, prima di salutare e andarmene, ammesso di rendermene conto.

Anche in questo caso, ecco alcune delle frasi raccolte nel libro. Il filosofo Calvino: "Mi schiacci, Signore. Ma mi basta sentire che è la tua mano". Lo scrittore Joseph Conrad, alla moglie: "Ehi, Jess, mi sento meglio stamattina. Posso sempre farcela a stuzzicarti un po'". Il cantante Bing Crosby: "E' stata una grande partita a golf, gente". La poetessa Emily Dickinson: "Devo andare, la nebbia sta salendo". Il poeta Heine Heinrich: "Che Dio mi perdoni. E' il suo mestiere". Il musicista Franz Lehar: "Ho finito con tutti gli affanni terreni, ed era ora". Lo scrittore Oscar Wilde: "O se ne va quella carta da parati, o me ne vado io".

Mi hanno colpito le ultime parole di Renan: "Morire è la cosa più naturale del mondo. Accettiamo le leggi dell'universo".

Con l'età è questo il tipo di atteggiamento che sto maturando.

lunedì 22 novembre 2010

UNA FANTASTICA INTERVISTA

Più o meno un mese fa ho pubblicato una intervista piuttosto dissacrante fatta ai danni di Zagor, lo Spirito con la Scure. Nel presentarla, avevo spiegato di come fosse stata tratta dalle pagine di una fanzine, da me realizzata più di venti anni da con un gruppo di amici, chiamata "Collezionare". Erano i tempi in cui le fanzine erano fatte battendo i testi con la macchina da scrivere, e stampate con il ciclostile o la fotocopiatrice, e in offstet soltanto se andava davvero bene. Niente computer, niente stampanti laser, niente Internet.

Sui rapporti di diretta discendenza che sussistono con "Dime Press" abbiamo detto qualche post fa. "Collezionare" nacque come fanzine fiorentina, e circolava inizialmente in un ambito piuttosto ristretto proprio sulle rive all'Arno e del suo affluente Bisenzio, che bagna Prato. Niente di strano, dunque, che volendo vivacizzare con un po' di umorismo le sue pagine pensammo di ricorrere al vernacolo fiorentino.
Spiegavo, nel mio articolo prevedente, che "sul numero 7, datato marzo 1986, Enrico Cecchi (con il suo formidabile sense of humor che sempre rimpiangeremo, dato che lui, purtroppo, non c'è più) iniziò a prendere in giro Tex e Diabolik. Sul numero 8 (gennaio 1987) io e lui insieme proseguimmo con una intervista in vernacolo a Zagor, e quindi sul 9 (maggio 1987) io da solo firmai quella al Comandante Mark. Per la cronaca, sul numero 10 fu la volta dei Fantastici Quattro, e lì ci fermammo perché Collezionare cominciava a essere venduta in tutta Italia e il vernacolo, a torto o a ragione, ci pareva troppo provinciale". Sbagliavo. Il numero in cui comparve l'intervista ai Fantastici Quattro era il'undicesimo, del gennaio 1988, che aveva una copertina realizzata apposta per noi da Dante Bastianoni, disegnatore di Martin Mystère e Nathan Never che, guarda caso, anni dopo avrebbe disegnato una serie Marvel intitolata "Fantastic Force", collegata con il mitico Quartetto del Baxter Building. Vedete qui accanto la cover in questione.

Dato che con Zagor abbiamo rotto il ghiaccio, incoraggiato dagli apprezzamenti per il precedente testo, propongo adesso quello dedicato a Reed, Susan, Johnny e Ben, conservando il vernacolo fiorentino delle origini, certo che venga compreso perfettamente in ogni regione d'Italia (del resto, se capite Massimo Ceccherini, potete capire anche me). Chiaramente, essendo l'intervista vecchia di ventidue anni, i riferimenti sono ai Fantastici Quattro delle origini, quelli di Stan Lee e Jack Kirby. Per quanto riguarda il mio cuore, non ce ne sono altri. La ragione, può ammettere invece qualche altro periodo felice e fortunato.

INTERVISTA A' FANTASTICI QUATTRO
di Moreno Burattini


Signore e signori, bongiorno. Vi parlo in diretta da Niù Yorche, dove mi sono recato pe' incontrammi co' celebri Fantastici Quattro. Mi trovo proprio davanti al portone d'i' loro grattacelo, i' famoso Body Bilding, a m'accingo a sonare i' campanello, se solo lo trovassi che ce n'è dumila. Eccolo, mi dicono di salire, ma a piedi perché l'ascensore gl'è guasto! E vabbè, pur di fare quest'intervista a que' quattro son disposto a fammi in quattro, anche se poi a i' giornale mi danno quattro soldi e mi leggano in quattro gatti. Per fortuna, almeno, quando arrivo all'ultimo piano, viene a aprimmi la Torcia Umana e mi fa un'accoglienza calorosa.


Intervistatore - Bongiorno, signora torcia.
Torcia Umana - Signorina, prego. 'Un sono ancora sposato. La s'accomodi. Icchè la gradisce? Un po' di vin brulè? Una banana flambè?

La Torcia mi fa sedere e ecco arrivare anche Rid Riciar e la Cosa. Su Storm invece la manca all'appello, 'un dev'essere ancora arrivata.

Intervistatore - 'Un c'è la ragazza invisibile?
Torcia Umana - No, 'un s'è ancora vista!

Comincio l'intervista colla Cosa.

Intervistatore - Scusi, Cosa, posso chiederle una cosa?
Cosa - Cosa?
Intervistatore - Cosa l'ha fatto per diventa' così?
Cosa - Coso, lì, i' mi' amico Rid, mi fece cosare su un di que' cosi che cosano sulla Luna, ma ci fu un casino: i raggi cosi mi cosarono e così, pe' caso, tornato a casa, diventai la Cosa.
Intervistatore - Che cose!

Passiamo ora a intervistare la Torcia Umana.
Intervistatore - Lei ci ha la faccia d'i' ragazzo per bene. 'Un ci ha proprio nessun vizio?
Torcia Umana - Eh, sì: uno, purtroppo. Fumo! A proposito, la 'un ci ha mica da accendere?
Intervistatore - Un bel giovane come lei ci avrà di certo un monte di donne.
Torcia Umana - Eccome! Basta m'avvicini a una, e quella l'è belle cotta!
Intervistatore - Icchè la faceva prima di fare il Fantastico Quattro?
Torcia Umana - Lavoravo in un'impresa di pompe funebri: allestivo le camere ardenti!
Intervistatore - Lei l'è un giovane un po' troppo focoso, una testa calda, la si butta a capofitto ne' pericoli. 'Unn'ha mai pensato che qualche volta la ci rimane?
Torcia Umana - Ci ho pensato sì, e gl'ho anche fatto testamento.
Intervistatore - E che disposizioni gl'ha lasciato?
Torcia Umana - Voglio esse' cremato.




N'i' mentre discorro colla Torcia, ecco arrivare Su Storm.


Intervistatore - Toh! Guarda chi si vede! La ragazza invisibile! Mi dica: qual è stato i' vostro nemico più cattivo e irriducibile?
Ragazza Invisibile - I' Dottor Destino! Ce l'ha a morte co' noi! ...Me, poi, 'un m'ha mai potuto vedere!
Intervistatore - A lei che è una donna, posso chiederlo: qual è i' supereroe più bello?
Ragazza Invisibile - E come fo a sapello? Son tutti mascherati!
Intervistatore - Via, l'ammetta, co' l'Omo Ragno la ci andrebbe, l'è uno spiritoso.
Ragazza Invisibile (schifata) - Iiiiiih! Che schifo! Ragni, piattole e millepiedi 'un l'ho mai potuti sopportare! A casa mia do sempre i' DDT!
Intervistatore - Come mai l'ha sposato Rid Riciar, che l'è dimolto più anziano di lei, 'unn'è punto simpatico e anzi pare un po' troppo saccente e pedante?
Ragazza Invisibile - Sì, ma a letto gl'è un fenomeno pe' via del su' superpotere: la lo saprà, lui può allungare tutte le parti d'i' corpo che vole.
Intervistatore - Icchè c'entra i' su' superpotere con i' letto?
Ragazza Invisibile (maliziosa) - C'entra, c'entra... eccome se c'entra!


Pe' concludere 'un ci resta che rivolgere qualche domanda a i' capo de' Fantastici Quattro, Mister Fantastic, Rid Riciar.


Intervistatore - Signor Riciar, la ci racconti d'i' su' amore colla Ragazza Invisibile. Pe' esempio, cosa le disse a i' termine d'i' vostro primo incontro?
Rid Riciar - Le dissi: cara, quando potrò rivederti?
Intervistatore - E come l'ha convinta a fare de' figli, nonostante gl'impegni de' Fantastici Quattro?
Rid Riciar - Le dissi: cara, mi garberebbe fare un po' di quattrini.
Intervistatore - Ma quando l'è invisibile, come fa a sapere in dov'è?
Rid Riciar - 'Un c'è verso sbagliassi: le puzzano i piedi che si sentano lontano un miglio!
Intervistatore - A che punto è l'inchiesta sull'Omo Sabbia?
Rid Riciar - Gl'è stata insabbiata.
Intervistatore - E quella su Submariner?
Rid Riciar - Ancora in alto mare.
Intervistatore - A lei che gl'è i' capo del quartetto gli voglio fare una domanda che da anni assilla tutti i lettori de' supereroi: gl'è più forte Hulche o la Cosa?
Rid Riciar - Una volta Hulche e la Cosa facero una sfida a braccio di ferro.
Intervistatore - E chi vinse?
Rid Riciar - Braccio di Ferro!




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PS - Due parole sulle illustrazioni: sono tutte copyright Marvel o degli aventi diritto. La vignetta qua sopra è opera mia, e corredava l'intervista su "Colezionare". La vignetta migliore però non è pubblicabile su un blog per bene come questo, ma si può andare a vedere, soltanto se siete maggiorenni, cliccando qui.