"Ci sono due cose che non si possono fissare a lungo: - ammoniva La Rochefoucauld - il sole e la morte". A parte il fatto che io sono portato a dare sempre ragione a La Rochefoucauld, uno degli autori di aforismi che più amo (con Karl Kraus), in questo caso il buon François dice una verità tanto vera da fare quasi male. E' difficile pensare alla morte troppo a lungo. E' quasi intollerabile soffermarsi a riflettere sul fatto che anche noi (anche io) dovremo (dovrò) morire. Bisogna inevitabilmente distogliere lo sguardo, come quando si fissa il sole. Però, personalmente sono attratto dall'argomento e raccolgo libri che ne parlano. Di uno, divertente e consigliato, vedete la copertina poco più sotto.
Della morte, però, probabilmente non ne avrei scritto qui, se qualche giorno fa non avessi letto un post sul blog di Patrizia Mandanici, intitolato "La fine". Un post, peraltro, ispirato dall'ultimo numero della rivista "Le scienze", di cui anch'io, come ho già avuto modo di dire, sono un puntuale lettore. Il numero di novembre è monografico e si intitola significativamente "The end".
Se Patrizia ha infranto il tabù, la seguo a ruota. Anzi, siccome so già che avrei molto da dire, può darsi pure che tornerò a parlarne. Però, per il momento, preferisco farlo in modo lieve e ilare, approfittandone anche per spiegare come sia possibile (anzi, più facile di quanto sembri) leggere cento libri l'anno, come ho dichiarato di fare, divorando più o meno due volumi a settimana.
Basta, semplicemente, che qualcuno sia un testo moto agile e divertente come "Meglio qui che in riunione", a cura di Eugenio Alberti Schatz e Marco Vaglieri (Rizzoli), prima edizione novembre 2009. Di che si tratta? Lo spiega abbastanza bene il sottotitolo: "224 autoepitaffi di italiani celebri e non del nostro tempo". In pratica, i curatori hanno chiesto ad alcune centinaia di persone più o meno illustri, contattandole una per una, di scriversi da soli il proprio epitaffio, vale a dire la frase da incidere sulla propria pietra tombale. Le risposte giunte sono state raccolte in un volume. Ora, a me non l'hanno chiesto (ma non gliene faccio una colpa). Peccato, perché finora di epitaffi me ne sono già scritti quattro (tutti rigorosamente elencati nella sezione "Aforis my" di questo blog), e non escludo di compilarne altri da qui al momento dell'effettivo trapasso, allo scopo, è ovvio, di scegliere il migliore sul letto di morte. Per ora, il mio preferito è "Fate come se non ci fossi". Prego Alberti Schatz e Vaglieri di tenerlo presente nel caso di un secondo volume o di una ristampa rivista e corretta del primo.
Tuttavia, leggere le oltre duecento frasi contenute nel libro è estremamente divertente (peraltro, tre o quattro dei personaggi sono effettivamente morti nel frattempo, come Candido Cannavò). Il volume si divora in mezz'ora, al termine del quale si può però dire di aver letto a tutti gli effetti un libro, e anche un libro in grado di far riflettere, colto, divertente, commovente e persino poetico. Cito alcuni degli epitaffi. Il giornalista Viviano Domenici: "Nato per soffrire, non ne volle sapere". La scrittrice Elena Loewenthal: "Si farà viva lei". Lo scrittore Aldo Nove: "Dopo una vita da precario, ha trovato il posto fisso". Il regista Riccardo Piferi: "Volevo scrivere qualcosa di intelligente, ma la morte mi ha colto di sorpresa". L'illustratrice Chiara Rapaccini: "Finalmente so che cosa c'era dopo. Ma non ve lo dico". Il viaggiatore Augusto Golin: "Qui si ferma per un po' Augusto Golin, almeno sapete dove trovarlo".
Della morte, però, probabilmente non ne avrei scritto qui, se qualche giorno fa non avessi letto un post sul blog di Patrizia Mandanici, intitolato "La fine". Un post, peraltro, ispirato dall'ultimo numero della rivista "Le scienze", di cui anch'io, come ho già avuto modo di dire, sono un puntuale lettore. Il numero di novembre è monografico e si intitola significativamente "The end".
Se Patrizia ha infranto il tabù, la seguo a ruota. Anzi, siccome so già che avrei molto da dire, può darsi pure che tornerò a parlarne. Però, per il momento, preferisco farlo in modo lieve e ilare, approfittandone anche per spiegare come sia possibile (anzi, più facile di quanto sembri) leggere cento libri l'anno, come ho dichiarato di fare, divorando più o meno due volumi a settimana.
Basta, semplicemente, che qualcuno sia un testo moto agile e divertente come "Meglio qui che in riunione", a cura di Eugenio Alberti Schatz e Marco Vaglieri (Rizzoli), prima edizione novembre 2009. Di che si tratta? Lo spiega abbastanza bene il sottotitolo: "224 autoepitaffi di italiani celebri e non del nostro tempo". In pratica, i curatori hanno chiesto ad alcune centinaia di persone più o meno illustri, contattandole una per una, di scriversi da soli il proprio epitaffio, vale a dire la frase da incidere sulla propria pietra tombale. Le risposte giunte sono state raccolte in un volume. Ora, a me non l'hanno chiesto (ma non gliene faccio una colpa). Peccato, perché finora di epitaffi me ne sono già scritti quattro (tutti rigorosamente elencati nella sezione "Aforis my" di questo blog), e non escludo di compilarne altri da qui al momento dell'effettivo trapasso, allo scopo, è ovvio, di scegliere il migliore sul letto di morte. Per ora, il mio preferito è "Fate come se non ci fossi". Prego Alberti Schatz e Vaglieri di tenerlo presente nel caso di un secondo volume o di una ristampa rivista e corretta del primo.
Tuttavia, leggere le oltre duecento frasi contenute nel libro è estremamente divertente (peraltro, tre o quattro dei personaggi sono effettivamente morti nel frattempo, come Candido Cannavò). Il volume si divora in mezz'ora, al termine del quale si può però dire di aver letto a tutti gli effetti un libro, e anche un libro in grado di far riflettere, colto, divertente, commovente e persino poetico. Cito alcuni degli epitaffi. Il giornalista Viviano Domenici: "Nato per soffrire, non ne volle sapere". La scrittrice Elena Loewenthal: "Si farà viva lei". Lo scrittore Aldo Nove: "Dopo una vita da precario, ha trovato il posto fisso". Il regista Riccardo Piferi: "Volevo scrivere qualcosa di intelligente, ma la morte mi ha colto di sorpresa". L'illustratrice Chiara Rapaccini: "Finalmente so che cosa c'era dopo. Ma non ve lo dico". Il viaggiatore Augusto Golin: "Qui si ferma per un po' Augusto Golin, almeno sapete dove trovarlo".
Ma, fra i miei libri sulla morte, ce n'è uno un po' più vecchio e, temo, non troppo facile da reperire. Si tratta di "Morire... dormire... sognare forse", di Marco Scatasta (Granata Press), prima edizione settembre 1992. L'autore ha raccolto in una specie di dizionario in ordine alfabetico le ultime parole pronunciate appena prima di morire da una gran quantità di personaggi famosi. Di solito, vengono anche raccontate le circostanze della morte. Leggere questa lunga carrellata di momenti fatali, mette un po' di ansia e di magone. Mi viene da chiedermi che cosa dirò io, prima di salutare e andarmene, ammesso di rendermene conto.
Anche in questo caso, ecco alcune delle frasi raccolte nel libro. Il filosofo Calvino: "Mi schiacci, Signore. Ma mi basta sentire che è la tua mano". Lo scrittore Joseph Conrad, alla moglie: "Ehi, Jess, mi sento meglio stamattina. Posso sempre farcela a stuzzicarti un po'". Il cantante Bing Crosby: "E' stata una grande partita a golf, gente". La poetessa Emily Dickinson: "Devo andare, la nebbia sta salendo". Il poeta Heine Heinrich: "Che Dio mi perdoni. E' il suo mestiere". Il musicista Franz Lehar: "Ho finito con tutti gli affanni terreni, ed era ora". Lo scrittore Oscar Wilde: "O se ne va quella carta da parati, o me ne vado io".
Mi hanno colpito le ultime parole di Renan: "Morire è la cosa più naturale del mondo. Accettiamo le leggi dell'universo".
Con l'età è questo il tipo di atteggiamento che sto maturando.
Anche in questo caso, ecco alcune delle frasi raccolte nel libro. Il filosofo Calvino: "Mi schiacci, Signore. Ma mi basta sentire che è la tua mano". Lo scrittore Joseph Conrad, alla moglie: "Ehi, Jess, mi sento meglio stamattina. Posso sempre farcela a stuzzicarti un po'". Il cantante Bing Crosby: "E' stata una grande partita a golf, gente". La poetessa Emily Dickinson: "Devo andare, la nebbia sta salendo". Il poeta Heine Heinrich: "Che Dio mi perdoni. E' il suo mestiere". Il musicista Franz Lehar: "Ho finito con tutti gli affanni terreni, ed era ora". Lo scrittore Oscar Wilde: "O se ne va quella carta da parati, o me ne vado io".
Mi hanno colpito le ultime parole di Renan: "Morire è la cosa più naturale del mondo. Accettiamo le leggi dell'universo".
Con l'età è questo il tipo di atteggiamento che sto maturando.