Una recente discussione su una mailing list a cui sono iscritto ha riguardato l'annosa questione dell'ira funesta del pelide Max Bunker contro Sergio Bonelli, rinfocolata (anche se, per quel che so, unilateralmente) da un nuovo intervento di Secchi sull'ultimo Alan Ford. Qualche mese fa, a un precedente attacco bunkeriano aveva fatto seguito una risposta pubblicata in rete da Maria Grazia Perini, della quale mi sono già occupato in un mio post, limitatamente a una piccola questione che mi tirava in ballo (nella foto più in basso si vedono Piffarerio, Bunker, Magnus e la Perini al Salone dell'Umorismo di Bordighera negli anni Settanta, in quella qui accanto Secchi e Raviola nel 1967: le immagini sono tratte dal volume della Glittering Images dedicato a Magnus la cui cover è riprodotta più avanti).
Della faccenda, peraltro, mi capita spesso di sentirmi chiedere, sia in pubblico che in privato, venendo ritenuto persona informata sui fatti (cosa che in realtà non sono, o almeno non lo sono più di molti altri che leggono o sentono dire). Una delle domande che più spesso mi fanno è se io mi senta in "imbarazzo" dato che, pur lavorando in casa Bonelli, sono anche da più di un anno l'autore delle introduzioni e delle postfazioni della collana mondadoriana Alan Ford Story.
A titolo di esempio, ecco che cosa scrive Nico-Te-Nay, un frequentatore del forum zagoriano SCLS nel "filo diretto" a me dedicato: "Ciao Moreno, sto per porti una domanda sicuramente scomoda, quindi puoi anche mandarmi a quel paese e non rispondermi. Oggi sfogliando le ristampe di Alan Ford, mentre leggevo la tua prefazione, mi è venuto in mente che ovviamente devi conoscere Max Bunker. Pensando alle ultime uscite di quest'ultimo riferite a Bonelli, mi sono domandato come deve essere 'collaborare', sempre che sia così, con tutti e due, e se puoi darci delucidazioni sulla cosa. Non sto chiedendo informazioni personali o gossippate, solo mi piacerebbe capire di più la situazione".
Ovviamente, non ho avuto nessun problema a rispondere a stretto giro di posta (come non ne avrò nel proseguire la conversazione approfondendo più sotto l'argomento). Ecco che cosa ho scritto: "Il mio primo incontro con Max Bunker risale al 1989, dunque lo conosco da vent'anni (di persona, intendo - come lettore, da quasi quaranta!). I miei rapporti con Bonelli sono, ovviamente, non solo più antichi (la prima stretta di mano è avvenuta nel 1987, ma per lettera e per telefono eravamo in contatto da molto tempo), ma anche più stretti, dato che fra noi c'è un rapporto professionale diretto e una continua frequentazione quasi quotidiana sul luogo di lavoro. Posso dire di essere in buoni rapporti con entrambi, e ne sono felice perché tutti e due, con i loro fumetti, hanno segnato e arricchito la mia vita. Ovviamente ho letto, probabilmente più in ritardo di altri, ciò che Bunker ha scritto nella posta di Alan Ford a cui tu fai riferimento. Sono anche a conoscenza di altre punzecchiature fatte in precedenza, e probabilmente ci saranno altri episodi che non conosco in cui la cosa si sarà ripetuta. Ne sono dispiaciuto e, come tutti, mi interrogo sull'accaduto. Ognuno ha il suo carattere, e a tutti abbiamo, in certe occasioni, lati spigolosi e sassolini nelle scarpe. Tutti conosciamo, inoltre, personaggi più estrosi di altri di cui magari non condividiamo gli eccessi, che riusciamo a perdonargli soltanto compensandoli con altri aspetti positivi della loro compagnia. Ovviamente, a ogni azione corrisponde una reazione, per cui ciò che viene detto e fatto ha una conseguenza, in ogni circostanza della vita. Credo che quanto è successo (e non è certo un fulmine a ciel sereno) riguardi la sfera privata di Bunker, nella quale, com'è logico, non voglio entrare. Non dimentichiamoci che Secchi è un autore satirico, abituato a provocare, a creare scandalo; d'altro canto, per fortuna, Bonelli è altrettanto abituato a un signorile fair play per cui immagino (e fortemente spero) che tutto si esaurisca qui. In ogni caso, la mia collaborazione (che mi riempie di soddisfazioni) con Alan Ford Story è una collaborazione con la Mondadori, per la quale scrivo, nella mia veste di competente in materia, commenti a un classico del fumetto riguardo a storie degli anni Settanta, e dunque non mi sento in particolare imbarazzo. E' evidente che io non c'entro nulla. Del resto, prima di iniziare a vestire i panni del chiosatore mondadoriano ho informato Sergio che mi ha detto che non c'erano problemi, e anzi ha aggiunto: 'Se diventerai famoso, ne saremo tutti contenti'".
Tutto ciò è stato scritto prima dell'ultimo intervento di Secchi. Ora, io figuro (con mia stessa sorpresa) nell'elenco dei dieci sceneggiatori più pubblicati dalla Bonelli in tutta la sua storia, e sono stato anche il quarto nella classifica del 2010. Sono un aziendalista convinto, come dimostra la stessa grafica di questo blog, e un collaboratore con oltre vent'anni di attività bonelliana alle spalle. Ho scritto decine e decine di articoli e libri sulla produzione di via Buonarroti, là dove lavoro anche come interno da più di un decennio. Più che "imbarazzato" sono dispiaciuto della situazione. In ogni caso, dopo aver scambiato qualche commento in redazione, la cosa è finita lì.
Mi pare non ci possano essere dubbi sul fatto che le considerazioni bunkeriane su Sergio siano frutto di un risentimento personale e non possano interessare chi considera il fumetto un argomento, divertente ma serio, di dibattito culturale. E' proprio questo l'atteggiamento che ho scrivendo i miei pezzi per Alan Ford Story: mi occupo di storie diventate classici della narrativa disegnata e segnalo tutti gli agganci con la realtà, la società, il costume, il pensiero, talvolta la politica. Ma non mi occupo, scrivendo nelle vesti di critico e di saggista, della vita privata degli autori, se non quando questo abbia un chiaro impatto a livello di testi e di disegni o, comunque, quando essa possa essere storicizzata svincolandosi dal pettegolezzo. Nei miei rapporti personali, invece, è ovvio che partecipi ai problemi anche intimi dei miei amici e colleghi. Peraltro, il mio modo di essere rifugge dalla polemica astiosa e gratuita. Sono invece sempre disponibile al confronto e alla discussione (come dimostrano i miei interventi dovunque siano stati pubblicati e i miei atteggiamenti nei dibattiti, pubblici o privati, dovunque avvengano). Sono lieto che qualcuni chi mi abbia definito "costruttivo" in un recente scambio di post su "ayaaaak". Piero scrive: "Io trovo che nella disponibilità al dialogo, nella semplicità con cui affronta le questioni proposte, critiche all'editoria comprese, ci sia da parte di Moreno un atteggiamento straordinario. E' costruttivo". Tarlo risponde: "Moreno è un ottimo elemento e sono convinto non sfigurerebbe affatto come editore. Oltre a conoscere bene il media è una persona di grande umiltà e professionalità". Grazie di cuore, e mi auguro che essermi fatto vanto di questi commenti non faccia ricredere l'autore circa la mia umiltà.
In ogni caso, pur non essendo a conoscenza di tutti i retroscena, non ho potuto fare a meno di notare l'improvvisa scomparsa di un forum dedicato ad Alan Ford presente in rete. E' facile collegarla alle recenti polemiche, ed è ovvio che io non sia affatto contento della faccenda. Spero con tutto il cuore che la cosa si risolva quando gli animi si saranno rasserenati (se mai accadrà) e di certo non giova alimentare il fuoco per spegnere l'incendio (tenetene conto in un eventuale vostro commento). La Rete è un grande strumento per veicolare idee: autori ed editori dovrebbero considerarla una risorsa e non un pericolo. Certo, bisogna imparare a destreggiarsi, ignorando i provocatori e combattendo gli abusi (che nessuno però chieda consiglio a me su come fare, però), ma approfittando della possibilità di far parlare del proprio lavoro e dunque di farlo conoscere. Non tutti lo capiscono (e ci sono anche indoli e caratteri diversi), e in ogni caso è sempre triste quando, per un motivo o per un altro, si chiudono degli spazi di discussione o si pongono degli inaccettabili paletti alla medesima.
Ci sono però altre cose che mi preme aggiungere. Innanzitutto, quando ho cominciato a collaborare, Bonelli d'accordo, con la Mondadori per Alan Ford Story, il progetto prevedeva soltanto trenta volumi, che avrebbero ristampato sessanta episodi, tutti del periodo Magnus & Bunker. Soltanto in seguito ho visto prima raddoppiare e poi triplicare il mio impegno. Sono stato contento del successo dell'iniziativa, come lo sono sempre quando qualcosa a fumetti va bene in edicola o in libreria, e come quando qualcosa a cui anch'io ho dato il mio contributo riceve un riconoscimento. Però, inizialmente ero lieto di poter, soprattutto, saldare un mio debito con una delle mie letture d'infanzia di cui, insieme con Zagor, conservo il più bel ricordo: appunto, il Gruppo TNT del periodo magnusiano. Sul fatto che i primi 75 episodi siano dei capolavori nessuno, credo, ha dei dubbi. Anche su Magnus ho scritto molte cose, cominciando da alcuni articoli apparsi su Collezionare nella seconda metà degli anni Ottanta, passando a un saggio su Il Fumetto dell'ANAFI dove ho stilato una delle prime e più complete cronologie ragionate e proseguendo con mie cose pubblicate un po' dappertutto (da Fumo di China a If). Tant'è vero che persino la signora Raviola, in una prefazione a un libro dedicato all'opera magnusiana, mi ha citato fra i critici che più hanno dedicato attenzione al marito. A forza di scrivere, ho finito anche per essere considerato un esperto della produzione bunkeriana ed è appunto per questo che collaboro con Alan Ford Story.
Bene: se dunque in questa veste dovessi dare un parere riguardo alla leggenda urbana che vorrebbe Magnus impegnato nel riscrivere personalmente le sceneggiature di Bunker intervenendoci pesantamente, come ho letto di nuovo, pochi giorni fa, proprio su "Ayaaaak", mi sentirei di dover smentire. Fermo restando che io non ho letto le sceneggiature originali in questione, e dunque esprimo un parere solo da attento conoscitore dell'opera dei due artisti, secondo me l'humor di Alan Ford è chiaramente e tipicamente bunkeriano e Magnus di suo ci ha messo (cosa che è più che abbastanza per farlo onorare nell'olimpo dei fumettisti) soltanto la sua stupefacente genialità grafica. E' appunto quella che costituisce il valore aggiunto fra le avventure del Gruppo TNT disegnate da lui, e tutto il resto della serie. L'idea che Raviola intervenisse nelle sceneggiature, che io sappia fu sostenuta per la prima volta nel 1982 da Stefano Tamburini (co-autore di Ranxerox, morto nel 1986) in una intervista sul n° 14 di Fumo di China, dove affermava che il disegnatore avrebbe riscritto di sua iniziativa molte delle sceneggiature di Bunker. Questa bizzarra idea è stata più volte smentita dallo stesso Magnus (non ho mai letto una sua intervista in cui lo dica, mentre ne ho lette alcune in cui afferma il contrario), ma in ogni caso risulta priva di fondamento a chiunque abbia occhi per vedere. Infatti, non solo lo spirito bunkeriano si manifesta a ogni piè sospinto anche nelle storie pre-alanfordiane e post-alanfordiane illustrate da altri oltre che da Raviola, ma anche costituisce il fondamento di tutta la produzione letteraria di Secchi. Basti pensare al personaggio di Riccardo Finzi, il detective milanese protagonista di una decina di romanzi gialli scritti da Secchi e non illustrati da alcuno. Ecco un passo davvero paradigmatico: "Si trattava di un donnone grosso come un ippopotamo, dalla mascella quadrata e dal naso che le cadeva in bocca. Non solo, ma sulla punta della proboscide c'era un porro grosso come una ciliegia che abbelliva ulteriormente il già grazioso visino". Senza nulla togliere agli indiscutibili meriti di Magnus, in questa descrizione c'è tutto Alan Ford.
Il fatto che poi, in pizzeria, ridendo e scherzando fra loro (come è stato più volte raccontato da loro stessi) Magnus & Bunker fossero protagonisti di scambi di battute che potevano servire da spunto per delle gag, o che si discutessero insieme alcune storie, è normale (capita anche a me con i mie amici disegnatori), ma poi, nella divisione dei compiti, è pacifico che uno sceneggiasse e uno illustrasse. Appunto in questo ambito, però, Magnus era Magnus e dunque riusciva a visualizzare da par suo la situazione proposta dall'autore dei testi, valorizzandola al massimo. La stessa gag disegnata da Raviola o da Piffarerio (piuttosto che da uno qualunque dei suoi successori) non aveva la stessa efficacia. Ecco perché, andandosene Magnus, ad Alan Ford è mancata la marcia in più che il talento del bolognese sapeva dare. Rileggendo gli episodi piffareriani mi rendo conto di come sarebbero state più efficaci se alle matite ci fosse stato il suo predecessore (senza nulla togliere al buon Piff, che onestamente ha fatto del suo meglio). Raviola era in sintonia perfetta con Secchi, aveva il senso della gag, interpretava in modo perfetto la vignetta e di suo ci aggiungeva appunto la convinzione e la partecipazione che Piffarerio non ha mai avuto del tutto. Del resto, anche quando Magnus si è messo a fare l'autore in proprio, i suoi personaggi non avevano più l'impronta bunkeriana, neppure quelli della Compagnia della Forca, che più di altri possono essere paragonati agli agenti del Gruppo TNT.
Per finire, dopo l'abbandono di Raviola è esploso il successo di Alan Ford in "SuperGulp!", che ha fatto raggiungere alla testata il massimo della sua diffusione e popolarità, a costo però di un abbassamento del target: l'arrivo di un nuovo pubblico giovanissimo giunto a sostituire quello più adulto che seguiva Magnus & Bunker fin dai tempi dei fumetti neri, ha convinto lo sceneggiatore (a torto o ragione) a realizzare storie più semplici e più "televisive" rispetto alle precedenti, ed ecco perché non si sono avuti più episodi di una sconvolgente maturità quali "Golpe" ma sono arrivati "Gommaflex" o "Il pescecane parlante". Piffarerio, dal canto suo, ha reso ancor più da cartone animato (lui che lavorava nello studio Gavioli appunto come animatore) le tavole alanfordiane che una volta erano disegnate con lo stile di Kriminal e Satanik o, se vogliamo, di Maxmagnus. Va detto che l'attuale titolare (ormai da molto tempo) delle matite, Dario Perucca (nella foto), è bravissimo e se fosse stato lui il primo erede di Magnus, forse la differenza con il predecessore si sarebbe vista meno (ma all'epoca era troppo giovane per venire preso in considerazione).
Per finire, visto che ho citato il mio "filo diretto" sul forum SCLS, riporto un paio di altri miei interventi sull'argomento. Mi ha chiesto un lettore: "Moreno ho scoperto che sei un grande appassionato ed esperto dei lavori di Magnus & Bunker, apprezzo molto le tue introduzioni sui volumi Mondadori. Ti chiedo questo: come mai fra i tanti personaggi di gran livello ideati dal duo, nessuno ha resistito al tempo? Solo Alan Ford è ancora in edicola, ma direi che vivacchia con un numero di copie davvero esiguo. Come mai, nessun personaggio ha avuto la longevità che invece ha caratterizzato diversi altri personaggi bonelliani?". Ho risposto: "Le mie introduzioni ai volumi della collana Alan Ford Story sono impegnative da scrivere, ma mi danno molte soddisfazioni: quando le rileggo a distanza di tempo mi piacciono e penso che sarebbe bello poter campare scrivendo soltanto articoli e saggi di quel genere, senza dover affrontare le forche caudine dei lettori critici verso il mio lavoro di sceneggiatore. Ricevere uno stipendio per scrivere elzeviri migliorerebbe la qualità della mia vita e mi restituirebbe qualche sonno tranquillo. Il lavoro più bello in assoluto potrebbe essere il recensore di libri: chi può pagarsi le bollette facendo soltanto quello, ha trovato la chiave della felicità. Sono gli altri a fare la fatica di inventare storie o elaborare teorie, e chi recensisce può limitarsi a pontificare e dare giudizi, peraltro temuto o vezzeggiato dagli stessi scrittori che pendono dalle sue labbra. A dire il vero, sarebbe ancora più bello poter vivere solo scrivendo il proprio blog. Uno si alza la mattina, guarda il cielo, scrive: 'L'azzurro sopra di me, oggi, mi fa capire quanto siamo piccoli in confronto all'universo'. E per quel giorno siamo a posto (purché, davvero, qualcuno elargisca uno stipendio). Ma, non potendo sopravvivere in questa maniera (e anzi, essendo del tutto incapace di aprire tecnicamente un blog anche per farlo gratis), sono felice di sfuggire ogni tanto dall'incubo della sceneggiatura per rifugiarmi negli elzeviri alanfordiani. Ho appena scritto l'introduzione al volume 19, intitolata Il grande complotto e mi sono molto divertito. Immagino che sarà ancora più divertente scrivere la prossima, dovendo addirittura scegliere se approfondire di più il tema della legione straniera o dell'inquinamento imperversante negli anni Settanta. Riguardo alla tua domanda, il discorso sarebbe lungo. Ma credo che la risposta si possa riassumere così: gli eroi di Magnus & Bunker non hanno proseguito a lungo (Alan Ford escluso) quanto la maggior parte degli eroi bonelliani perché, secondo me, erano così tipicamente legati all'inconfondibile stile dei due autori da non aver retto il confronto quando sono stati affidati ad altri. Basta sfogliare Kriminal per accorgersi che solo gli albi scritti a Bunker e disegnati da Magnus sono dei capolavori, tutto il resto si può tranquillamente dimenticare (copertine di Corteggi a parte). Il successo di Alan Ford assorbì così tanto le energie del duo da distoglierli, inevitabilmente, da Kriminal e Satanik. Gli eroi bonelliani hanno sempre potuto contare su una scuderia di autori in grado di alternarsi ai creatori o ai titolari, cosa che non è avvenuta per molti, troppi eroi Corno, indissolubilmente legati al carisma di Secchi e Raviola. Va anche detto che la produzione di Magnus & Bunker è durata un decennio, grossomodo: erano anni in cui il mercato era molto diverso da quello odierno, i ritmi imposti agli autori erano serratissimi, anche Magnus lavorava con consegne da stakanovista, i personaggi avevano normalmente vita breve, si tentava una serie, se non andava se ne apriva un'altra ma anche se andava se ne sfruttava il successo per allargare la produzione e il bacino d'utenza. Grandi idee come quelle di Gesebel o di Satanik (due eroine particolarmente originali) avrebbero meritato una maggiore cura se i tempi lo avessero consentito (erano gli anni dei neri e tutto sommato i ritmi erano quelli)".
Al che, l'amico critico ed esperto Giampiero Belardinelli è intervenuto così: "Su Kriminal e Satanik potrebbe rispondere, se utilizzasse Internet, Paolo Ferriani, autentico esperto dei due personaggi. Da parte mia, avendo letto attentamente i due volumi su Kriminal, editi e scritti dallo stesso Ferriani, una certa idea me la sono fatta. Kriminal e Satanik, oltre al fatto di essere visceralmente legati a Magnus & Bunker, erano personaggi in sintonia con l'anelito di trasgressione che aleggiava negli anni Sessanta. Erano personaggi forse troppo legati alle pulsioni di quel periodo e, una volta lasciati ad altri autori, quella carica trasgressiva è venuta meno. E poi, negli anni, con una più diffusa emancipazione dei costumi, il pubblico ha iniziato a disaffezionarsi ai due personaggi, ritenendo forse superate quelle emozioni. Anche Diabolik era molto legato all'estro delle sorelle Giussani, le quali non hanno mai abbandonato il proprio personaggio; le due donne hanno seguito i cambiamenti avvenuti nella Società italiana e di conseguenza hanno apportato le giuste modifiche alla serie, che si è mantenuta al passo coi tempi".
Io ho replicato: "Non sono del tutto d'accordo nel senso che le tue giuste considerazioni andrebbero integrate da alcune altre. Innanzitutto va detto che la carica trasgressiva di Kriminal e Satanik andò scemando per colpa dei sequestri, delle denunce e dei processi che Bunker e la Corno dovettero subire negli anni Sessanta. Basta leggere l'editoriale sul n° 100 di Kriminal per rendersene conto: si intuisce tutto lo sconforto dell'autore chiamato ad adeguarsi a un rigido elenco di paletti da non oltrepassare che praticamente gli impediva qualunque movimento. Ciò nonostante le trame da telefilm che lo sceneggiatore riuscì a imbastire anche in seguito (con l'avvento di mister Ypsilon e del Triangolo Isoscele, per esempio) riuscirono a far raggiungere e superare comunque il numero 400. Però, certo, se a un personaggio come Satanik alla fine si fa dare una 'patente speciale' di tutrice della legge, come accade a un certo punto appunto per le imposizioni moralistiche di giudici, magistrati e censori vari, è chiaro che il gioco è finito. Anche Diabolik, del resto, si è adeguato e ha addolcito di molto i suoi toni: a un certo punto non uccideva quasi più a sangue freddo e le sue vittime erano solo altri criminali che se lo meritavano (non sono un fan delle uccisioni a sangue freddo, mi limito a constatare che se uno si chiama Diabolik dovrebbe essere diaboliko). Però, la differenza di Kriminal e Satanik rispetto a Diabolik era che i primi conservavano sulla loro pelle le cicatrici dei drammi vissuti, Diabolik invece viene restituito integro all'avventura successiva. Diabolik vive in una città immaginaria fuori del tempo, Kriminal e Satanik fanno i conti con la realtà fatta di sesso, droga, corruzione politica, intrighi d'amore. A Kriminal uccidono un figlio, distruggono il covo, ha una tresca con la fidanzata del suo nemico (il commissario Milton), eccetera: insomma, Kriminal ha una continuity serrata (nelle storie di Bunker), Diabolik no. La continuity serrata porta a una maggiore usura di un personaggio, più di uno sempre più o meno uguale a se stesso come Diabolik. Se a tutto ciò si aggiunge che, appunto, lo staff della Corno, tolti Magnus & Bunker, non era in grado di competere con la qualità dei due creatori, ecco che dieci anni (che comunque non sono pochi) sono stati il limite per Tuta di Scheletro e per Marny Bannister". E con ciò, mi pare che possa bastare.