sabato 21 gennaio 2017

DOMANDE E RISPOSTE



Durante uno degli ultimi incontri con il pubblico a cui sono sempre lieto di partecipare (come ben sanno coloro che, di solito numerosi, vi affluiscono), un lettore mi ha chiesto perché mai, nella rubrica “I tamburi di Darkwood” che gestisco ogni mese sulla collana Zenith, non dedichi più spazio alle risposte degli zagoriani che scrivono. “Sergio Bonelli lo faceva”, mi è stato ricordato, “ed era una soddisfazione poter vedere il proprio nome citato sulla pagina della Posta”. Avrei potuto replicare facendo notare come in effetti la rubrica firmata da Sergio si intitolasse “Postaaa!” mentre la mia no, per cui da una rubrica diversa ci si possono attendere contenuti diversi (se la logica non inganna). Ma la verità è un’altra: non rispondo più alle lettere perché di lettere non ne arrivano, se non pochissime, e quasi mai riguardano questioni di interesse generale. 

Ho fatto riflettere il mio interlocutore su questo elementare dato di fatto: negli ultimi cinque anni (scegliendo appunto come punto di partenza per l’indagine il 2011 in cui è scomparso Bonelli) quante lettere su carta lui ha ricevuto da parte di amici e conoscenti (bollette della luce e ingiunzioni di Equitalia a parte)? E quante lettere su carta lui ha personalmente scritto a mano e imbucato, previa affrancatura, nella cassetta dell’ufficio postale? Risposta del lettore: nessuna.  Non è certo perché a nessuno interessa più niente di Zagor, ovviamente, che le buste con il loro bel francobollo e la lista delle domande non giungono più in Via Buonarroti: è che tutti, ormai, cerchiamo risposte su Internet.

Fermo restando che rispondo comunque personalmente su carta a tutti quelli che su carta scrivono (almeno a coloro che indicano l’indirizzo), non si può certo dire che il sottoscritto si sottragga al dibattito: sono un presenzialista in mostre e convegni, gestisco un blog di argomenti zagoriani (questo), ho una pagina FB intitolata “Moreno ‘Zagor’ Burattini” in cui il confronto con i lettori è quotidiano, mi si trova su Twitter, fornisco articoli e materiali al sito Bonelli. Se poi c’è qualche detrattore che non vuol leggermi, non occorre che lo faccia: Zagor ha una pagina FB ufficiale tutta sua, ci sono gruppi di Facebook, c’è il blog “Zagor e altro”, ci sono i forum e i siti di informazione (Comicus, Lo Spazio Bianco, Sbam!... e chi più ne ha, più ne metta), a cui volentieri anticipo notizie e rilascio interviste. Dunque non sono io che non voglio più rispondere alle lettere ma siete voi che avete smesso di scriverne (perciò non datemi colpe che non ho). Domande e risposte si sono, non per scelta mia, trasferiti sul Web per la naturale evoluzione della rete dei media. 



Ma dato che stiamo parlando di risposte, mi pizzicano le dita dalla voglia di fornirne un paio (perché quando ci vuole ci vuole).  Cominciamo con la questione più semplice. Un amico mi ha riferito che, non so dove su Internet, ci sarebbe un gran numero di persone che si sono sentiti offesi per una frase da me scritta in un post dello scorso ottobre, pubblicato qui su questo blog, quando ho parlato dell’albo a colori “Zenith 666”. Sembra che certe mie parole abbiano scatenato un vespaio. Non ne so nulla, comunque vediamo di che si tratta. Stavo spiegando come la storia di Luigi Mignacco voleva essere una celebrazione del grande Tiziano Sclavi in occasione dei trenta anni di Dylan Dog, visto che Sclavi è stato per dieci anni anche uno sceneggiatore di Zagor. Per inciso, i festeggiamenti per Dylan e per Tiz sono stati fatti dovunque e in ogni occasione con mostre, eventi, dibattiti, pubblicazioni speciali, documentari (non li ho inventati io, insomma). Visto che però qualcuno degli zagoriani sembrava non aver gradito quell’albo celebrativo a colori, ho fatto presente che si trattava solo di un episodio destinato a esaurirsi nello spazio di un numero e si poteva anche accettare che i disegni appartenessero a una linea grafica diversa dal solito, dato che erano stati eseguiti da un illustratore ospite, spostato dalla serie dell’Indagatore dell’Incubo per coinvolgere anche il pubblico dylandoghiano. Il fatto che uno dei principali disegnatori della serie di Craven Road abbia accettato (e di buon grado) di mettersi al servizio dello Spirito con la Scure in qualche modo si configurava come un omaggio anche all’eroe di Darkwood: gli zagoriani omaggiano Dylan, un autore di Dylan omaggia Zagor. Tutto ciò mi pare chiaro, logico e ineccepibile, ma a quanto pare così non è. Sapendo di avere a che fare con detrattori talvolta anche molto feroci, ho cercato di sdrammatizzare con una battuta e ho scritto quanto segue (fate attenzione):

Chi poi non vuole celebrare Tiz e non gradisce gli omaggi verso il Re di Darkwood dal mio punto di vista non è una bella persona, ma pazienza. Con il  numero 667, "Vampiri!", tutto rientra comunque nella normalità.

Come interpretare queste parole (che sono, con tutta evidenza, una battuta)? I detrattori (per insipienza o malafede) hanno ritenuto che volessero dire: colori ai quali “Zenith 666” non è piaciuto sono delle brutte persone. Mi dispiace, non c’è scritto così. Fate uno sforzo e leggete meglio, sono certo che ci potete arrivare. C’è scritto: se ritenete che Tiziano Sclavi non dovesse essere celebrato e che nessun disegnatore di altri staff debba fare un omaggio con il suo stile al Re di Darkwood, non siete belle persone. L’espressione “non essere una bella persona” la si legge in Rete (soprattutto su Twitter) tutti i giorni in chiave umoristica, in ogni caso il senso ironico e sdrammatizzante mi sembra evidente. Ma evidentissimo è che si parlasse appunto di “non voler celebrare Tiz e non gradire gli omaggi verso Zagor”, e non di altro. Se un qualunque partecipante a un qualunque incontro fumettistico si alzasse in piedi e dicesse: “a me non sembra giusto celebrare Tiziano Sclavi!” o “Io non voglio che a Zagor venga reso omaggio”, secondo voi, prenderebbe fischi o applausi? Mah. Fatemelo sapere, mi raccomando.

E ora la ciliegina sulla torta. Mi è stato fatto notare come un frequentatore di un forum, nell’occasione dell’uscita del Maxi Zagor “Le strade di New York”, sia andato a ripescare la rubrica della Posta di un albo del  settembre1998 (“Il segreto di Frida Lang”, Zenith 449), dove veniva pubblicata la seguente missiva di un lettore: “Caro Sergio, ma dove siamo finiti? Zagor ha perso tutto il suo leggendario fascino di uomo dei boschi per trasformarsi in una specie di antenato di Dylan Dog! Io odio le città anche se ci sono nato e vissuto e dieci anni fa ho deciso di trasferirmi in campagna. Quindi puoi figurarti, quando vedo Zagor aggirarsi tra le varie Boston, Chicago, New York ecc... come mi si aggroviglino le budella!". Ed ecco la risposta di Sergio Bonelli (la prendo per buona senza controllare): "Sono d'accordo con te a proposito delle città, e mi è stato detto che non ci saranno altre visite a Boston e New York (la mia storia ambientata a Chicago tanti anni fa doveva restare unica)". 

Dunque il forumista condivide l’aggrovigliamento delle budella di chi aveva scritto a Sergio nel 1998, e ritiene che Zagor non dovrebbe mai andare in città. Usa poi la risposta di Bonelli per avvalorare questa sua convinzione, ritenendosi unico depositario della verità e solo autentico interprete del pensiero bonelliano nei secoli dei secoli. Mi spiego meglio: il forumista scartabellatore di vecchie “Poste” (che evidentemente non ha niente di meglio da fare) crede che ancora oggi Sergio la penserebbe come nel 1998: una cosa detta en passant vent’anni fa (non in una direttiva o in un testamento, ma nella rubrica di un albo) dovrebbe essere ancora valida oggi e per sempre. Questo, indipendentemente dal valore oggettivo delle storie. 

Ammettiamo pure che Nolitta abbia detto: “A me non piace Zagor in città”. Siamo sicuri che dopo vent’anni, di fronte a un progetto convincente e a una bel racconto, l’editore non potrebbe dire: “Beh, dopo tanto tempo in effetti possiamo pure farlo tornare a Chicago (o  Boston, o New York)”? Come si può pretendere di usare una frase del 1998 per sostenere che una persona che oggi non c’è più sosterrebbe la stessa cosa ai giorni nostri? Ma vi faccio notare qualcosa ancora di più clamoroso. Come si intitolava lo Zenith 449 in cui compare la risposta di Bonelli? “Il segreto di Frida Lang”. Ebbene: sapete quante volte io ho sentito Sergio dire e ripetere che mai e poi Frida avrebbe dovuto tornare? “Frida si rivedrà solo nell’ultimo numero, quando si sposerà con Zagor e la serie finirà”. Giuro di aver sentito con le mie orecchie queste parole. E poi che cosa è successo? A distanza di tempo, di fronte al progetto convincente di Mauro Boselli, Frida è tornata. 

Vogliamo parlare dello Zagorone? Quante volte Bonelli ha detto di no? Per quanto lo ha rimandato? E poi, proprio l'anno della sua morte, ha dato il via libera, E quante altre volte Sergio ha accettato di sperimentare formule editoriali che non rientravano nelle sue corde, nel tentativo di intercettare i gusti del pubblico? C’è qualcosa di nolittiano, forse, nelle miniserie degli “Orfani”? Eppure sono stati voluti da lui stesso, quando era vivo. E tornando a ritroso, non sono forse lontani dai suoi gusti i team-up contro cui si è espresso cento volte? Eppure, eccolo addirittura a scriverne uno (con Castelli) mettendo insieme Mister No e Martin Mystère, dopo averne accettati altri fra lo stesso Martin e Dylan Dog e Nathan Never. Insomma: come si può spacciarsi per portavoce di un editore aperto alle innovazioni, e pronto a cambiare idea di fronte ai cambiamenti dei tempi, facendolo “parlare” per se stesso (come fa il forumista) ad anni di distanza dal rilascio di una dichiarazione e dalla morte del dichiarante? Mi sgomenta che ci sia qualcuno che pensi soltanto di poterlo fare, figuriamoci poi vedendoglielo fare sul serio. 

Ci sono altre cose da dire, ovviamente. Chiunque abbia conosciuto Sergio sa di quanto lui fosse “geloso” (in senso buono) dei propri eroi e dei propri personaggi. Se una cosa l’aveva scritta lui, ci teneva che rimanesse un unicum. Il bacio di Zagor con Frida doveva essere il solo, la storia di Supermike non doveva avere un seguito, i nemici da lui inventati era meglio non toccarli (“fate tornare i vostri!”, ci diceva fra il serio e il faceto). Poi, in cento occasioni ha acconsentito che ci fossero altri baci o altri ritorni. Anche perché i baci e i ritorni erano chiesti a gran voce dai lettori e lui ai lettori cedeva.

In più, lui per primo (per sua scelta) ha affidato la sua serie ad altri curatori (Decio Canzio, Renato Queirolo, Mauro Boselli, il sottoscritto). E affidandola ad altri si accetta che gli altri ci mettano del proprio. Se Sergio avesse voluto che tutto, ma proprio tutto, fosse fatto a modo suo, poteva conservare la cura della testata in prima persona. Chi delega, deve accettare le iniziative del delegato. 

Ma poniamo il caso che si stabilisca di usare Nolitta come punto di riferimento da cui non si può deviare (e per quanto mi riguarda, questa regola la tengo presente, nonostante il parere diverso di taluni: sono certo di essere molto più nolittiano di Boselli, per esempio). Bene: il canone nolittiano ha forse stabilito che Zagor non debba mai uscire dalla sua foresta? No di certo: Nolitta lo ha fatto viaggiare per mare, lo ha spedito in Messico, fatto arrivare nei Caraibi, mandato tra i ghiacci del Nord, fatto incontrare con i vichinghi e mandato, guarda caso, anche in città.  Dunque da Darkwood ci si può muovere e si può andare in una metropoli. A quali condizioni? Il punto di partenza per la storia “Solo contro tutti”, dove lo Spirito con la Scure va a Chicago, è un film del 1942 intitolato “Tarzan a New York”, con Johnny Weissmuller, in cui vediamo l’uomo scimmia vestito con la giacca che si tuffa dal ponte di Brooklyn (guarda caso anche Zagor in città indossa la giacca e si tuffa da un palazzo nel lago Michigan).


Alla base del film e del fumetto nolittiano c’è la curiosità di vedere un uomo dei boschi che si muove alla sua maniera in un contesto urbano (in tempi più recenti è successo anche a Crocodile Dundee). La lezione che se ne deve trarre è dunque la seguente: Zagor può andare a Chicago a patto che resti un uomo dei boschi. L’unica domanda da farsi è se questa lezione è stata rispettata ne “Le strade di New York”, perché fanno testo le storie a fumetti, non le rubriche: ci mancherebbe altro se ci dovessimo dimenticare dei racconti per basarci su una risposta accomodante di due righe date a un lettore che esprime un parere peraltro molto discutibile. 

Già, perché poi non può sfuggire a nessuno (tranne ai detrattori) come Sergio abbia scritto “Sono d’accordo con te a proposito della città”, e dunque non sul resto. Infatti Zagor non ha perso affatto il suo fascino di uomo dei boschi, e ci mancherebbe altro se, per compiacere uno che ha voluto andare a vivere in campagna, si dovessero scrivere solo storie agresti. Ma davvero lo Spirito con la Scure dovrebbe non muoversi mai dalla palude? Mah.