Per quasi dieci anni ho risposto alle domande di un "filo diretto" sul forum zagoriano SCLS (esiste comunque una rubrica analoga anche sul forum degli amici di ZTN), fornendo notizie e anticipazioni riguardanti lo Spirito con la Scure, oppure esprimendo il mio punto di vista su qualche questione attinente al tema. Confesso di essere stato un po' latitante in quello spazio negli ultimi mesi, soprattutto per mancanza di tempo, ma il blog, Facebook e Twitter mi hanno comunque permesso di dare tutte le informazioni del caso.
Dato che alcune delle risposte fornite in passato continuano ad avere un qualche interesse ancor oggi, ho raccolto in questo post quel che mi è capitato di scrivere nei mesi di marzo e di aprile del 2004, dopo che qualche tempo fa ho fatto lo stesso per quelli di gennaio e febbraio dello stesso anno. Le mie parole vanno, ovviamente, contestualizzate in quel periodo: Sergio Bonelli era ancora vivo, io non era ancora ufficialmente il curatore della testata, eccetera. Tuttavia, rileggerle a distanza di nove anni risulta stimolante. Ogni tanto, cercherò di raccogliere in altri articoli come questo le dichiarazioni del passato.
Dato che alcune delle risposte fornite in passato continuano ad avere un qualche interesse ancor oggi, ho raccolto in questo post quel che mi è capitato di scrivere nei mesi di marzo e di aprile del 2004, dopo che qualche tempo fa ho fatto lo stesso per quelli di gennaio e febbraio dello stesso anno. Le mie parole vanno, ovviamente, contestualizzate in quel periodo: Sergio Bonelli era ancora vivo, io non era ancora ufficialmente il curatore della testata, eccetera. Tuttavia, rileggerle a distanza di nove anni risulta stimolante. Ogni tanto, cercherò di raccogliere in altri articoli come questo le dichiarazioni del passato.
FILO DIRETTO CON MORENO BURATTINI
Marzo - Aprile 2004
Per mantenere in vita
Zagor è sempre più necessario organizzare viaggi, immettere nella collana nuovi
personaggi che diano forti scossoni (nuovi supernemici, tipo Mortimer, Nat
Murdo, Wendigo), insomma ripartire sempre come nel 1994 e
questo farlo sempre più frequentemente, riducendo i tempi di stasi a Darkwood. Questo però mi preoccupa molto perché costringe te, Mauro Boselli e gli altri a fare un lavoro sovrumano che diventerà presto quasi
impossibile. Forse è il prezzo da pagare per un personaggio
meraviglioso che sta vivendo troppo a lungo (io spero che non muoia mai). E' difficile tenerlo
in vita con storie avvincenti?
Credo che oggi sia difficile sempre e comunque scrivere storie in
grado di far breccia nel cuore dei lettori, e non solo quelli zagoriani. Per
qualunque personaggio è così: storie di "ordinaria
amminstrazione" che andavano benissimo una volta oggi sarebbero giudicate
noiose, o banali. Credo che lo stesso valga anche per la fiction televisiva,
per i romanzi, per il cinema. Tuttavia, chiunque scriva sa di dover cercare
sempre nuove idee o nuovi stratagemmi per catturare l'interesse del pubblico, e
siccome questo è il nostro lavoro cerchiamo di farlo, tenendoci al
passo con i tempi ma, contemporaneamente, rispettando la tradizione. Ora, una cosa che vorrei far notare a tutti è
come su Zagor ci sia una incredibile varietà di
situazioni e di generi. Negli ultimi anni abbiamo visto Zagor lottare contro un
drago, risolvere un giallo alla Agatha Christie in un castello, scongiurare una
guerra indiana, arrestare dei naufragatori di navi, lottare contro dei Thugs e
una terribile strega, andare in un'altra dimensione dove il tempo si è
fermato, assistere alle incredibili trasformazioni di uomini in bestie,
affrontare dei cangaceiros, venire assalito da insetti assassini, fare amicizia
con un alieno, sventare i piani del Tessitore facendo il gioco di Mortimer...
insomma, un'idea dopo l'altra, sempre diversa, e so già che la
stessa varietà di temi, di situazioni, di personaggi ci sarà
anche nei prossimi anni. Credo che pochi lettori, oltre a quelli di Zagor,
abbiano la fortuna di godersi uno spettacolo così imprevedibile e variegato.
Riusciremo, noi autori (non necessariamente io) a tirare fuori dal cilindro
idee sempre nuove? E a raccontarle nel modo giusto? Me lo auguro. Non resta che
stare a guardare. Per ora, vi assicuro che in un modo o nell'altro, per
miracolo o con fatica, le storie arrivano. Poi, il futuro è
un'ipotesi. Continuate a leggere.
Ormai le storie ambientate a Darkwood sono periodi di transizione, non paragonabili al livello di quelle dei viaggi. Possibile che a Darkwood (ritorni
eccellenti a parte) ormai ci siano solo avventure senza "picchi"?
Sono
perplesso di fronte alla definizione "periodo di transizione". Di
solito, non scrivo e non scriviamo storie con l'idea che siano destinate a un
"periodo di transizione", che siano "minori", che siano fill in. Scrivo e scriviamo convinti di scrivere cose comunque buone,
sperando che piacciano ai lettori. Allo stesso modo, scrivendo storie con
ritorni di vecchi nemici o vecchi amici, o storie di viaggi, nessuno
sceneggiatore può essere certo di stare scrivendo un capolavoro. Tant'è
vero che spesso i "ritorni" deludono. Io non credo nemmeno che a
Darkwood non si possa più ambientare nessuna storia perché si è già
raccontato tutto. Proprio non ci credo. Secondo me, i periodi di transizione
non esistono. Su Tex, allora? Le storie sono molto più sullo stesso livello, e
se può essere un evento il ritorno di Mefisto o l'albo a colori, tutto il resto va considerato di "transizione"? La verità è che le
storie dei ritorni e dei viaggi possono essere brutte e le storie
"normali" a Darkwood possono essere molto belle. Quando scriviamo,
speriamo sempre che le nostre storie, una volta disegnate, siano bellissime.
Poi, i giudizio spetta ai lettori. E la verità ultima e assoluta è che nessuna storia piace a tutti. Leggo sempre giudizi così disparati e discordanti
sulla stessa storia, che fatico a capire che cosa vogliano i lettori. C'è chi vorrebbe sempre storie ambientate a Darkwood, chi solo racconti western. chi dice di aver smesso di
leggere Zagor deluso da una trasferta o da un ritorno eccellente. Ogni storia è e deve essere un caso a parte
e non appartenere a una categoria, sarà bella o brutta perché così sembra a chi la legge. Del resto la realtà
non esiste ma esiste solo la percezione che ne abbiamo.
Quando inserite
elementi magici e arcani vi ispirate a leggende indiane o vi affidate solo alla
fantasia?
Ogni storia fa testo a sé. A volte c'è alla base una vera leggenda indiana (come quella raccontata, per esempio,
all'inizio dell' "Ombra Sul Sole"), o qualche autentico elemento della spiritualitα
pellerossa (come in "Darkwood Anno Zero"), più spesso si inventa ciò che ci
serve, sempre però tenendo presente il contesto antropologico-culturale (cioè
non si possono attribuire ai pellerossa usanze o credenze estrane alla loro
tradizione).
Quello che è
sicuramente indispensabile nelle trasferte (dare un ordine cronologico alle varie storie che le compongono) non
lo è per le avventure ambientate a Darkwood e questo crea inevitabilmente nei lettori il (falso) sentore
della "transitorietà" delle storie darkwoodiane. Non è possibile creare una continuity anche a Darkwood?
Ci sono tre problemi. Il primo è che la
concatenazione fra le storie richiede un grosso lavoro di organizzazione e di
coordinamento a livello di realizzazione delle medesime, per cui dovremmo
sempre sapere ogni singola storia in che punto esatto della concatenazione andrà
inserita (come se gli anelli di una catena fossero numerati e non
intercambiabli). Siccome la lavorazione delle storie richiede a volte un anno,
a volte due, a volte tre, e siccome in un così lungo arco di tempo possono
succede intoppi, imprevisti, malattie, basta poco perché la
concatenazone venga mandata a carte quarantotto. Per non parlare poi delle
storie ghα
giacenti, tutte scollegate fra loro. Poi c'è il problema che la tradizione
zagoriana è comunque basata al novanta per cento sulle storie
"scollegate" fra di loro. Dobbiamo cambiare improvvisamente una
impostazione vecchia di quarant'anni? E infine: non tutti i lettori sono
aficionados come noi. Ce ne sono di quelli che apprezzano la "non
concatenazione" che permette loro di distrarsi e saltare anche una storia,
riuscendo comunque a capire cosa succede quando riprendono.
E' possibile aspettarsi una storia in cui zagor non
c'è
quasi del tutto (perché rapito o altro), e in cui protagonisti sono suoi
amici... ad esempio una storia di due/tre albi in cui Tonka e cico o altri
cercano zagor rapito da qualche losco figuro.
A me personalmente l'idea non dispiace, e del resto,
cercando di esplorare l'esplorabile io stesso a volte ho pensato a storie del
tipo che Zagor viene trasferito per magia nel corpo di un altro o perde la
memoria e non si comporta più da Zagor, ma poi ho sempre accantonato l'ipotesi
e temo che si tratti di espedienti non praticabili perché Zagor non è Ken Parker. Abbiamo avuto storie di Ken in cui Lungo Fucile compare solo nelle
ultime trenta pagine ("Adah") o non c'è del tutto ("Le avventure
di Teddy Parker"). In Zagor queste sperimentazioni non sono possibili
perché si tratta di un eroe di stampo più tradizionale e i lettori se comprano un albo
dello Spirito con la Scure si aspettano di trovare avventure dello Spirito con
la Scure. Sergio Bonelli sembra particolarmente convinto di ciò, al punto da
contestare sempre le storie in cui Zagor tarda a entrare in scena (se compare
dopo pagina 20, non va bene) o quegli albi in cui lo Spirito con la Scure è
presente in un numero di pagine non abbastanza alto. Si temono forse le proteste di quei lettori che si sentono deufradati se
acquistano un albo, cominciano a leggerlo e a pagina dieci ancora l'eroe non c'è.
Il che è plausibile. L'eroe deve
essere l'eroe, presente e riconoscibile e in quanto tale rassicurante.
Perché quando Zagor dialoga con qualcuno che ricopre qualche carica (sceriffo,
ufficiale o simili), dà rispettosamente del "voi" mentre quelli
gli danno regolarmente del "tu"?
Credo di aver ereditato la tendenza di Zagor a dare del
voi alle persone con una carica o un titolo di studio (se non gli sono proprio
intime) dalla tradizione risalente a Nolitta. Si potrebbe disquisire a lungo
sul perché negli albi Bonelli (tranne Julia) si usa il "voi" anziché il "lei", ma limitandoci a Zagor mi pare che lo Spirito con la Scure
abbia da un lato rispetto, dall'altro voglia di mantenere comunque le distanze
(e dunque la propria indipendenza), nei confronti di sceriffi, ufficiali e
professori. Se gli altri gli danno del
tu, lui si tiene sobriamente sul voi. Zagor non è un ribelle a priori contro
l'autorità
costituita, ritiene che la legge serva e serva chi la fa rispettare, ma se c'è un suo assenso verso le istituzioni in quanto punto di riferimento in terre di
frontiera dove rischia di vigere, altrimenti, la legge del più forte, bisogna
poi vedere chi queste istituzioni fisicamente rappresenta.
Perché mentre parlano con Zagor, sceriffi e ufficiali dell'esercito si accendono sempre un sigaro o una sigaretta? Ma a Darkwood sono tutti tabagisti?
Riguardo al tabacco, io non fumo e non ho mai fumato e il
fumo mi dà
fastidio, ma so di per certo
che le campagne contro la nicotina sono cosa recente e che nel West
(come in Italia fino agli anni Cinquanta o Sessanta) tutti fumavano senza porsi
il minimo problema. Se vogliamo ricostruire un clima d'epoca, una scenografia
realistica, far fumare la gente è il minimo. Peraltro, i gesti
dell'accensione dei sigari, dello spengimento del fiammifero, del soffiare il
fumo, del tenere la sigaretta fra le dita, sono belli da disegnare e
vivacizzano le vignette dove se no tutti parlerebbero con le mani ferme.
Immagino che se c'è gente che parla, nel West fosse normali che
fumassero e bevessero, e così come facciamo gli abiti ottocenteschi addosso ai
personaggi dobbiamo anche mettere quelle sigarette che di sicuro c'erano nelle
loro bocche e nelle loro mani, senza che questo significhi una istigazione al
tabagismo (come mettere al fianco di Zagor una pistola non significa una
istigazione all'uso delle armi). Peraltro, Zagor non fuma, a differenza di Tex,
e questo mi pare giα un vantaggio dal punto di vista del salutismo.
Ho iniziato a leggete il romanzo "I delitti del
Mondo Nuovo" di Leonardo Gori. Nella pagina introduttiva dedicata principalmente
ai ringraziamenti ho letto con sorpresa il tuo nome "per la storia della
Montagna Pistoiese". Puoi dirmi qualcosa di più riguardo
l'aiuto/collaborazione data all'autore?
Troverai il mio nome anche all'interno, dato a una
comparsa (un montanaro di cui si parla in un passaggio). E se leggerai con attenzione una storia di Zagor da me
scritta in cui si parla di malaria e di chinino, "La terra della libertà", troverai un personaggio che si
chiama Gary Leonard, cioè appunto Leonardo Gori. Questo perché
Gori, di cui sono amico di vecchia data (è un grandissimo esperto di
fumetti), mi aveva fornito la consulenza medica per quel racconto (lui è
un farmacista, per la precisione, e si intende di chinino) Nel caso dei "Delitti del Nuovo Mondo", poiché
la trama porta molti dei personaggi, e soprattutto il Granduca di Toscana
Pietro Leopoldo, su per le strade e i sentieri della Montagna Pistoiese dove io
sono nato e che conosco bene, ho fornito a Leonardo libri, documentazione,
dritte e consigli sulla topografia dei luoghi.
So che a volte Sergio Bonelli cancella qualche battuta dalle tue storie per Cico. Perché? Ce ne puoi dire qualcuna?
E' un argomento delicato. Cico è un personaggio a cui Sergio
tiene parecchio e che controlla e corregge vignetta per vignetta, intervenendo
molto di più, credo, di quanto intervenga su altre testate magari più
importanti. Sergio, peraltro, è uno straordinario umorista e
dunque è
difficile, se non impossibile, competere con lui scrivendo Cico. Come se non
bastasse, l'umorismo in sé è un terreno
minato, perché non tutti ridono per le stesse cose, e se una cosa
che dovrebbe far ridere non fa ridere lo si vede subito: non si ride punto e
basta. Personalmente credo di essere uno che ride tanto e di un po' di tutto,
per cui mi raggomitolo dalle risate di fronte ai film di Stanio e Ollio come
davanti a quelli di Roberto Benigni, e leggo volentieri Achille Campanile come
Paolo Villaggio, Stefano Benni come Daniele Luttazzi. Non tutti però sono di
gusti così facili come i miei, e Sergio è severo riguardo a ciò che,
secondo lui, non è cichiano o peggio non fa ridere (è ovvio che quello che su cui lui interviene fa ridere me, ma io non conto: Cico è
un suo personaggio). Dopo quasi venti speciali scritti, ho cominciato a
censurarmi da solo, preventivamente, perché capisco da solo che scrivendo
sketch e gag di un certo tipo o su un determinato argomento non lo
accontenterò. Questo però preclude un sacco di possibilità
e alla fine è difficile inventare cose nuove, ma inventare cose
nuove è
il mio lavoro e cerco di farlo comunque come so e come posso.
Per tornare alle battute bocciate in corso di realizzazione
dei vari Cico, sono così tante che tutte le non ricordo neppure. E se sono
state bocciate, probabilmente è perché non erano
buone. Per cui, meglio averle dimenticate. Una, comunque, l'avevo scritta per "Cico
Cowboy".
Dunque, il pancione é stato assunto come cowboy ma non ha un cavallo. Il soprastante del ranch allora invita alcuni uomini a condurre Cico nella stalla e a dargli un quadrupede. Uno dei cowboy dice a Cico:
Dunque, il pancione é stato assunto come cowboy ma non ha un cavallo. Il soprastante del ranch allora invita alcuni uomini a condurre Cico nella stalla e a dargli un quadrupede. Uno dei cowboy dice a Cico:
- Seguici alle scuderie e ti daremo un pezzato! ...Anzi,
un baio!
E Cico:
- No, no... me ne basta uno.
Il mio amore per il messicano non è evidente fin dalla mia prima avventura zagoriana con la lunga gag
d'altri tempi di "Cico Rubacuori" e ho sceneggiato addirittura una ventina di
Speciali di 128 tavole ciascuno tutti dedicati al pancione, per cui sono
probabilmente lo sceneggiatore che ha scritto più gag di Cico di tutti (anche più di Nolitta). Se fosse dipeso solo da me avrei cominciato
tutte le storie di Zagor della serie regolare con dieci, venti o trenta pagine
dedicate al messicano (e a volte l'ho fatto, basti pensare all'inizio di
"Tragedia a Siver Town" o del "Sangue dei Cheyenne"), ma
fui subito bloccato da Renato Queirolo che impose la regola degli inizi serrati
che entravano subito in medias res, e poi questa consuetudine fu mantenuta
anche in seguito. I ritmi di oggi sono diversi da
quelli dei tempi di Nolitta e che anche la commistione fra dramma e umorismo
che a lui riusciva così bene è difficile da gestire in tempi
di cupo post-moderno.
In quasi tutte le altre
testate bonelliane, uno disegnatore è libero di non "rispettare" la
regola delle tre strisce a tavola, in molte delle tavole di ogni albo. In
Zagor e Tex questo non succede. Perché?
Zagor e Tex sono gli
unici due personaggi ancora in edicola nati non per la pubblicazione sull' albo
bonelliano così come lo si conosce oggi, ma per la pubblicazione sugli albetti
a striscia. Questo significa che quando iniziarono a essere stampati gli albi
del formato odierno si trattò di ristampe di storie già apparse
nel vecchio formato. Tutti i primi settanta albi di Zagor (salvo alcuni inserti)
sono ristampe di storie a striscia. Questo ha creato una "tradizione"
di impostazione della tavola, o di gabbia, che è rimasta tale anche quando in
tempi più recenti l'esempio di altri fumetti (francesi, americani o latino/americani)
ha portato il pubblico ad accettare, e a volte addirittura gradire o
pretendere, strutture meno rigide. Ma mentre personaggi come Nathan Never o
Dylan Dog, nati in tempi recenti, hanno fin dall'inizio sperimentato gabbie
diverse da quelle su tre strisce e dunque hanno una tradizione in questo senso,
Tex e Zagor si sono sempre mantenuti fedeli alla vecchia impostazione, che
corrisponde peraltro al loro modo più classico di concepire e rappresentare
l'avventura. La forma è collegata, dunque, in qualche modo, alla sostanza.
La semantica e la semiotica vanno a braccetto. Faccio notare che Julia, un
personaggio molto più recente di Zagor, ha una "gabbia" più rigida
della nostra, segno che non è detto che la rigidità
di impostazione sia necessariamente segno di calcificazione e sclerosi. Nessun grande autore ha mai avuto la minima difficoltà a dimostrare la sua grandezza negli spazi delle tre strisce.
Mi sembra che
tu abbia detto che ogni tanto alcuni tuoi soggetti vengano
bocciati (e quindi noi lettori non le vedremo mai). Vorrei sapere: 1) che fine fanno? 2) che percentuale del
tuo lavoro effettivamente vediamo?
In effetti vengono bocciati (a me come a tutti) molti soggetti. In passato l'ecatombe era costante e
dolorosa: presentavo cinque soggetti e ne passava uno. Non erano bocciati
direttamente da Bonelli ma dai supervisori, o Queirolo o Boselli, che cercavano
comunque, giustamente, sulla base della loro esperienza, di prevenire le
obiezioni che avrebbero fatto Canzio o Bonelli. In alcuni casi, comunque, anche
Sergio o Decio hanno bocciato certe mie proposte quando, per qualche motivo, le
hanno esaminate preventivamente. Oggi la bocciatura è meno dolorosa perché,
grazie al fatto che lavoro in redazione, parlo prima a voce delle idee che ho
oppure faccio soggetti stringati molto essenziali: se anche vengono bocciati,
almeno non ci ho lavorato sopra troppo. Naturalmente lavoro poi sulle idee
approvate. Credo che un soggetto approvato su cinque presentati sia
la media giusta. Di solito, ogni autore dice sempre che vengono bocciate
le idee migliori e passano le peggiori. Probabilmente non è
così, visto che nessun autore è il miglior giudice del
proprio lavoro, ma questa è l'impressione che ha il
soggettista sotto esame. Che fine fanno i soggetti bocciati? Nella maggior parte
dei casi, finiscono in una cartelletta con su scritto: soggetti bocciati, e
restano lì solo perché nessun autore ha il coraggio di gettarli via (io
ho almeno una cinquantina di soggetti scartati su cui piango ogni tanto, e
altri invece che se li rileggo piango pensando a come ho potuto scrivere
scemenze del genere e avere il coraggio di presentarle). In qualche altro caso,
dopo un po' di tempo vengono in mente correzioni che possono risolvere le
aporie riscontrate dal supervisore o migliorare la storia e si ripresentano
(con delle significative varianti). In altri casi, diventano altre cose, tipo
"Le mura di Jericho", soggetto scartato che è stato
trasformato in romanzo.
Volevo chiederti
sulla genesi del personaggio Mortimer, e sono molto curioso di sapere se hai già une mezza idea sul suo prossimo utilizzo...
Con Mortimer mi é successo quello che sapevo
succedere in certi casi dai racconti di altri sceneggiatori, ma che non mi era
mai capitato di sperimentare di persona (adesso posso confermare che é vero): é un personaggio che si scrive da solo le avventure, vive di vita propria, non
sono io che lo faccio parlare ma é lui che parla e io devo solo
trascrivere. A metα della prima storia avevo giα capito che
avevo a che fare con una "creatura" assolutamente particolare. Com'é nato? Mi era capitato di
leggere un libro straordinario, dal titolo "La grande rapina al
treno", di Michael Crichton (un romanzo assai meno noto degli altri dello
stesso autore, come "Jurassic Park", "Sfera" o
"Timeline"). Pensai subito che potevo trarne uno spunto per una
storia di Zagor. Nel romanzo di Crichton, peraltro ispirato a una storia vera,
il protagonista è però un ladro di genio e l'autore ci porta a
"tifare" per lui, mentre io avevo l'esigenza di trasformarlo in un
"cattivo" in quanto il "buono" doveva essere Zagor. Perciò,
in Mortimer non c'é poi rimasto molto dell'Edward Pierce, protagonista
del romanzo di Crichton. Ma lo spunto viene da lui (e si tratta di un
personaggio storico). Pensando a un genio del crimine "cattivo", mi è venuto in mente senza troppo sforzo il Sordo, vale a dire il nemico più celebre
dell'Ottantasettesimo Distretto nei romanzi di Ed McBain. Come il Sordo,
Mortimer ama storpiare il proprio nome quando me inventa di falsi. Ma anche del
Sordo, poi, c'è rimasto poco. Ho pensato anche a Diabolik, ed ecco
Sybil Kant (citazione che è stata apprezzata dai
redattori della Gazzetta di Clerville, la rivista del Diabolik Club, che hanno
dedicato a Mortimer un dossier). Dunque Mortimer nasce dalle suggestioni di
Edward Pierce, il Sordo e Diabolik anche se poi comincia subito a fare di testa
sua fino a trasformarsi in un personaggio "zagoriano" anche se si
confronta con lo Spirito con la Scure in un modo del tutto diverso da quello
degli altri avversari: nella prima storia, addirittura, Zagor non lo vede mai. Circa il ritorno, ho una mezza idea ma aspetto che sia
lui a tornare da Caraibi e a raccontarmi quello che ha in mente.
Ecco un elenco di sceneggiatori zagoriani: Nolitta, G.L. Bonelli, Castelli, Canzio, Sclavi, Toninelli, Capone, Russo, Colombo e Boselli. Qual è la caratteristica nel modo di
scrivere che ammiri di più e quale invece la cosa che, da lettore prima che da autore, ti piace di meno?
Parlo da semplice lettore, e cioè recuperando sensazioni emotive a pelle senza la necessità di trovare
giustificazioni razionali. Lo sceneggiatore che, fra quelli dell'elenco, meno
apprezzo alle prese con Zagor è (e qui un fulmine mi
incenerirà) G.L.Bonelli. E' chiaro che davanti a Bonelli Padre autore di Tex (e
di altri personaggi) non si può che levarsi tanto di cappello e godersi ammirati
la lettura delle sue storie, insuperabili. Però Zagor non era un suo
personaggio, e per di più all'epoca delle storie scritte da G.L. lo Spirito con
la Scure non aveva ancora raggiunto maturità e spessore tali da farsi
valere anche rispetto alla forte personalità di quel tizzone d'inferno.
Per cui Bonelli senior scrisse Zagor senza mettersi al servizio del
personaggio, ma forgiandolo a modo suo.
Degli altri sceneggiatori, spero che mi si creda sincero
e non si sospetti la piaggeria, se dico quello che è scontato:
il migliore in assoluto è Nolitta, e non c'è bisogno che spieghi il perché.
Ho perfino grosse difficoltà a trovare qualcosa che non mi
sia piaciuto. Potrei dire che non mi è piaciuto il fatto che abbia
smesso di scrivere. Poi, Castelli mi ha sempre molto divertito, è
stato il migliore a usare Cico, gli posso rimproverare solo il ritorno di
Supermike come personaggio ambiguo (per me doveva restare cattivo). Canzio è stato, tutto sommato, una
meteora, con alcune storie molto buone (il Destroyer, Pugni e Pepite, Pericolo
Biondo), una da dimenticare (Terremoto a Darkwood) e una sciupata da Pini Segna
(l'Uomo Invisibile) ma il suo apporto a Zagor come supervisore è
insostituibile e fondamentale.
Sclavi è Sclavi: grandi idee, grande
sceneggiatore, ma a volte troppo Sclavi.
Toninelli ha avuto un compito difficile in un momento
difficile durato dieci anni, come lettore lo apprezzavo a fasi alterne (grandi
storie come "Terra Maledetta" e poi molte altre difficili da
digerire), oggi capisco tutte le sue difficoltα.
Ade Capone è forse più nolittiano di me,
vado matto per le sue prime due storie, gli rimprovero solo, talora, una
eccessiva lunghezza nei tempi (ma tutto deriva dalla nolittianità).
Di Russo e Colombo non c'é molto da dire, sinceramente,
nel senso che servirebbero pi∙ storie zagoriane per poterli mettere alla prova,
ma quello che si é visto é buono. Posso solo aggiungere
che io sono un ammiratore di Colombo riguardo le altre sue storie,
soprattutto quelle di Mister No (dunque so che é in grado di confrontarsi con
i personaggi nolittiani).
Boselli é il migliore sceneggiatore
dopo Nolitta, i suoi meriti sono palesi, gli unici difetti é
quello che gli viene a volte rimproverato: troppi personaggi, troppa carne al
fuoco, troppa erudizione. Ma sono difetti?
E' giusto scrivere cercando di piacere ai lettori o non sarebbe meglio farlo seguendo soltanto la propria ispirazione e ricerca?
Rispondo copiando alcuni passi della mia tesi di laurea:
L'autore dei testi ha infatti la necessità di vendere la propria opera a un editore, il quale a sua volta deve vendere il prodotto finito a un pubblico di lettori. Il fatto che un autore debba soddisfare le esigenze di un pubblico è evidentemente un fatto limitativo della libera creatività. Esistono eccezioni: alcuni autori, accontentandosi di un ristretto pubblico d'essai di poche centinaia di lettori (il che comporta basse tirature e alti prezzi per le loro opere), riescono in parte a eludere le imposizioni del mercato. Ma, in generale, gli sceneggiatori finiscono per essere condizionati dalle esigenze dell'editore o del pubblico in un preciso momento storico. La figura dell'editore costituisce in qualche modo una limitazione alla libera attività creativa dello sceneggiatore. Quest'ultimo deve infatti sottostare a precise condizioni imposte da parte di chi lo paga e gli permette di pubblicare. I casi di autori che sono anche editori di se stessi si verificano spesso per il desiderio da parte di chi scrive e disegna di non subire questi condizionamenti: ci≥ comunque non smentisce il fatto che la figura dell'editore sia comunque necessaria anche nei casi in cui coincida fisicamente con quella dello sceneggiatore o dell'illustratore. L'editore non può sottovalutare le richieste dei suoi lettori che anche saranno i potenziali acquirenti. Al contrario dell'autore, che può mettersi a scrivere o a disegnare anche indipendentemente dalla possibilità o meno di pubblicazione e in fondo così facendo mette a rischio soltanto una parte del proprio tempo, l'editore (se non ha soldi da impiegare a fondo perduto ed è alla ricerca di un pur minimo utile d'impresa) non può prescindere dalle regole del mercato, perché nella pubblicazione mette a rischio il proprio capitale e i posti di lavoro dei suoi dipendenti. Scopo dell'editore è quindi quello di trovare un punto di incontro tra le esigenze della fantasia creativa e quelle della commerciabilità del prodotto. Quindi, al di là delle incomprensioni e degli eccessi, l'editore abile ed esperto che effettui un'opera di supervisione del prodotto degli autori (soprattutto quando costoro siano ancora giovani e abbiano da farsi le ossa) anziché essere uno svantaggio è una garanzia per gli autori stessi.
Scriveva Franco Tatò, al tempo in cui era ai vertici della Arnoldo Mondadori Editore: "I creativi, o quelli che si credono tali, in genere mal sopportano gli orari, desiderano molta libertα di movimento, sono per loro natura molto individualisti e poco propensi a lavorare in gruppo, difficili da inquadrare nelle strutture burocratiche dell'organizzazione, spesso capaci di cose stravaganti che bisogna imparare a tollerare. C'è naturalmente un limite di tolleranza, ma direi che la capacitα dell'editore è quella di gestire questo tipo particolare di personaggi e anche la capacità di identificarli, di promuoverli, di stimolarli, di farli lavorare in modo produttivo".