giovedì 12 marzo 2015

CORSA DISPERATA




E’ in edicola “Corsa disperata”, l’albo di Zagor n° 596 (Zenith 647), datato marzo 2015. I testi sono miei, i disegni di Joevito Nuccio, la copertina di Gallieno Ferri. Della particolare amicizia che mi lega a Joe non ho bisogno di tornare a parlare, dopo averlo già fatto a lungo in questo spazio come altrove. Piuttosto, mi preme sottolineare come le 240 tavole che comporranno l’avventura (di cui soltanto le prime 94 sono contenute nel volumetto di questo mese) siano frutto di oltre quattro anni di lavoro del disegnatore siciliano, tanto bravo quanto lento. Si tratta della sua seconda prova, dopo quella di “Plenilunio” (una storia in tre parti uscita nel gennaio 2010 e nei mesi seguenti), che gli valse l’applauso dei più. Chiamato a ripetersi, Joe si è superato (se non ne siete stati convinti già dalle prima pagine, vedrete le successive, in costante progressione qualitativa). Che il nostro si rifaccia al disegno più classico di Ferri è innegabile, ma sempre più dimostra la sua originalità. Tuttavia, per sapere che cosa pensi lo stesso Nuccio di questa storia e che cosa racconti della fatica spesa nel realizzarla, vi basterà leggere la sua intervista (corredata di tante immagini) apparsa sul sito Bonelli: potete cliccare qui per rintracciarla. Sullo stesso sito è visibile anche lo strepitoso trailer che trovate comunque in calce a questo articolo. 



Com’è logico, il racconto, intitolato originariamente “I predatori”, potrà essere valutato soltanto alla fine. Però, qualcosa si può già dire sullo spunto che ne è alla base.  Comincio rivelando che il soggetto in venti righe era già contenuto in una cinquina di proposte che presentai a Sergio Bonelli alla fine del 2009, allorché si trattò di dover stabilire quale dovesse essere l’argomento del numero a colori del cinquantennale, che poi sarebbe uscito non 2011. Sergio approvò il soggetto de “Lo Scrigno di Manito”, ma disse che gli piaceva anche quello de “I predatori”: secondo lui, avrebbe potuto diventare un buon Speciale. Lo proposi a Joevito, convinto che fargli fare una storia di 160 pagine gli avrebbe permesso di non dover aspettare anni e anni prima di vedersi di nuovo pubblicato, ma nel corso della sceneggiatura la storia ci è cresciuta fra le mani e, presi dall’entusiasmo, abbiamo sforato il limite prefissato di ben ottanta tavole. Però, a nostro avviso, il risultato è valso la pena. 

Joevito Nuccio

Lo spunto deriva ovviamente da The most dangerous game (che significa “La partita più pericolosa”) è un racconto dello scrittore americano Richard Connell, pubblicato nel 1924, il cui protagonista è il conte Zaroff, un aristocratico russo abile e appassionato cacciatore, trasferitosi negli Stati Uniti dove coltiva un singolare hobby: la caccia agli esseri umani. Nel 1932 la RKO Pictures ha tratto dal racconto un film con lo stesso titolo, diretto da Ernest B. Schoedsack e Irving Pichel, con Joel Mc Crea. La trama della pellicola racconta di uno yacht che, in seguito a una tempesta, fa naufragio su un’isola dei Caraibi. L'unico sopravvissuto è un famoso cacciatore, Robert Rainsford. L'uomo scopre che l’isola è abitata da un russo bianco, sfuggito alla rivoluzione, che vi ha costruito sopra una fortezza dove vive con pochi domestici. Zaroff, grande amante degli sport venatori, si dedica da tempo a quella che considera la caccia più eccitante, quella alla bestia più intelligente, che può dare le emozioni maggiori: la caccia all'uomo. Coloro che approdano sull’isola vengono accolti come ospiti, per poi divenire le sue prede. 

E’ chiaramente al racconto di Connell e al film con Mc Crea che si è ispirato Guido Nolitta per scrivere una delle più avvincenti storie zagoriane: “I cacciatori di uomini”. L’isola nei Caraibi diventa un isolotto su un lago nella regione di Darkwood, e il nobile russo si trasforma in un lord inglese, Alex Nicholson, anch’egli alla ricerca delle forti emozioni che può offrire una caccia grossa a una preda umana. Naturalmente, non ho mai pensato di fare un remake de “La preda umana” e le differenze fra la mia storia e quella nolittiana sono tante. In ogni caso, come mi ha detto Antonio Serra dopo aver letto il primo albo, tutti noi sceneggiatori dovremmo rifare The most dangerous game una volta all’anno.

C’è però un altro precedente che ho tenuto presente per starne distante il più possibile: quello de “La montagna degli dei”, un racconto scritto da Tiziano Sclavi in cui compare Basileo.  Il suo vero nome è Sharky, e una volta era uno stimato archeologo impegnato a scavare reperti ellenistici sul monte Olimpo, là dove la mitologia greca voleva che avesse sede il regno degli dei. Purtroppo, l’emozione di aver scoperto una tomba colma di tesori e il subitaneo tradimento da parte dei suoi uomini decisi a ucciderlo per trafugare gli oggetti d’oro, scatenarono la follia nella sua mente (forse già traballante di suo). 

Non soltanto lo studioso riesce, invasato da una sorta di furia, a sgominare i traditori, ma da quel momento si trasforma in un pazzo assassino che si fa chiamare Basileo (“Re”) e pensa di incarnare la potenza delle antiche divinità olimpiche. Grazie alle ricchezze di cui si è impossessato, crea un simulacro di regno in una selvaggia regione degli Stati Uniti e là compie esperimenti genetici per ricreare gli animali mitologici di cui parlano le leggende. Ma, soprattutto, si esalta cercando di mettere alla prova uomini dalla grande forza, da lui catturati perché affrontino una serie di micidiali prove ispirate alle fatiche di Ercole. Anche in questo caso, sono più le diversità che le somiglianze, perciò sono sicuro che io e Joevito abbiamo consegnato ai lettori una storia abbastanza originale, nonostante tutto. 

Prima che ancora l’avventura sia giunta a conclusione, fra i tanti complimenti mi è giunta anche una critica. Qualcuno, che non sopporta (per suo gusto personale) la narrazione in flashback, si chiede se le più classiche storie nolittiane (come “Zagor contro il Vampiro”) avrebbero avuto lo stesso fascino se fossero cominciate con lo Spirito con la Scure già nel mezzo dell’azione che ricorda gli avvenimenti che l’hanno condotto fin lì. Insomma, Nolitta mai e poi mai avrebbe iniziato un racconto in medias res. Che rispondere? Potrei cavarmela dicendo che io non sono Nolitta per cui scrivo come so e come credo sia meglio: del resto Nolitta ha smesso di scrivere Zagor nel 1980 e sono trentacinque anni che altri autori fanno del loro meglio per mandare avanti la serie. Però, a voler essere precisi, non è esattamente vero che Sergio Bonelli non usasse i flashback. Un suo classico, “Dharma la Strega”, contiene un flashback lunghissimo ambientato in India in cui lo Spirito con la Scure persino non compare. Di altri esempi potrei farne a iosa (intere sequenze de “La rabbia degli Osages” o de “Il Re delle Aquile”, per esempio), e “Zagor Racconta” è un flashback dall’inizio alla fine. E circa gli inizi in medias res, persino il primo albo della serie, “La foresta degli agguati” inizia nel mezzo di una situazione (Za-Gor-Te-Nay è già il Re di Darkwood e sta conducendo una indagine iniziata prima di tavola uno). 

Ma non importa dilungarci: di  certo, Sergio aveva come punto di riferimento il desiderio di stupire i suoi lettori con il sense of wonder che contraddistingueva i suoi albi. Dunque, quando io ho scelto di cominciare una mia storia con un rinoceronte che insegue il nostro eroe, l’ ho fatto con lo stesso intento: sorprendere, stupire, meravigliare. Che è poi l’esatto scopo di ogni narratore. Ognuno di noi decide quale sia il modo migliore per riuscirci. Nolitta una volta ha persino usato un Tucano parlante per raccontare una storia di Mister No: un esperimento geniale e coraggioso. Se lo avessi tentato io prima di lui, mi avrebbero detto: sacrilegio, non sei nolittiano. Però, la cosa buffa è che il fumetto, il cinema, la letteratura, sono pieni di storie che iniziano con un personaggio in pericolo che ricorda come si è trovato in quella situazione. Gli esempi potrebbero essere millemila, uno dei più recenti è la serie TV “The walking dead”, la cui prima puntata comincia con una epidemia di zombi già iniziata e con un uomo che si risveglia dal coma con il problema di capire che cosa sia accaduto a lui e al resto del mondo (gli spettatori lo scoprono con lui attraverso vari flashback). 


Il Tucano di Nolitta
Tuttavia, non si tratta di una novità degli ultimi anni ( e già lo sforzo di tenersi al passo con i tempi basterebbe comunque a giustificarmi): l’ Iliade di Omero comincia in medias res! Ci troviamo infatti nel corso dell’ultimo anno della guerra di Troia. Tutto quello che è successo prima viene ricostruito successivamente. Ma ance metà Odissea e un bel pezzo dell'Eneide sono raccontate in flashback dopo un inizi a metà viaggio dei due protaginisti. Dunque non ho inventato io la tecnica del racconto con i personaggi già in azione che ricordano gli avvenimenti precedenti. Mi sarebbe piaciuto tanto averlo fatto e poter essere ammirato a tutti per la genialità. Purtroppo mi hanno preceduto.