venerdì 14 dicembre 2018

ORIZZONTI PERDUTI



Ho pubblicato una volta, su questo blog, un articolo intitolato "Là, Dio c'è", dedicato all'importanza delle edicole nella vita di quelli della mia generazione. "Là, Dio c'è" è, con ogni evidenza, l'anagramma di "edicola". C'è anche una possibile sciarada: "e dico, là".

In quel mio vecchio pezzo scrivevo: "Quelli come me abituati a comprare fumetti dai giornalai, sanno benissimo quanto renda felici la visita quotidiana al proprio edicolante di fiducia. E trovare qualcosa di bello da sfogliare, da leggere e poi da tenere di conto nei propri scaffali, rimirando ogni giorno la fila di costoline che vi fanno bella mostra, dimostra senza dubbio, al pari dell'alba e del tramonto, la bontà e la misericordia del Padreterno". 

In una intervista, l'editore Renzo Barbieri (uno che aveva il fiuto della serie a fumetti di successo) raccontava: "Una delle mie tecniche è quella di parlare con i giovani in continuazione, perché loro hanno il polso di quello che succede. Però bisogna avere la pazienza di fermarsi anche un'ora davanti a un'edicola di Corso Buenos Aires, di sera, per vedere cosa compra la gente. Poi mettersi davanti all'edicola all'uscita delle scuole per vedere cosa comprano i ragazzi. Questo è un lavoro che un editore deve fare".  

Oggi, Barbieri scoprirebbe che i ragazzi in edicola non ci vanno più. Le fumetterie hanno preso il posto dei giornalai soltanto in minima parte, e con ogni evidenza non sono la stessa cosa, non hanno lo stesso pubblico, non hanno la stessa diffusione.

Per me la visita dal giornalaio è sempre stato un rito di tutti i giorni. Andavo a scuola e ogni mattina mi fermavo, lungo il tragitto, nella mia edicola. Entravo dentro e mi guardavo tutti gli scaffali. Dal primo all'ultimo. Vedevo subito se erano usciti Tex o Alan Ford. Prendevo Urania, o Eureka. Compravo Il Monello o Topolino. Non mi facevo mancare L'Uomo Ragno e I Fantastici Quattro. Se c'era una novità, mi brillavano gli occhi. La sfogliavo lì, dalla prima all'ultima pagina. Le copertine colorati, i loghi delle testate, gli speciali e i supplementi, non mi sfuggiva nulla. Per i più giovani, era impossibile non notare Zagor, con la sua casacca rossa, le mitiche copertine di Ferri, i bei titoli emozionanti.  Nessuno shop on line potrà mai, ai miei occhi, avere lo stesso fascino.

E oggi? I miei figli e i loro amici non vanno in edicola quasi mai. Non dico che la evitano, ma certo non viene loro in mente di passarci. Dunque, se anche uscisse il fumetto più bello del mondo, loro non lo saprebbero. Non se ne accorgerebbero. Il problema, dunque, non è che i fumetti non sono belli e i ragazzi non li comprano perché, avendoli letti, non li apprezzano. Il problema è che i ragazzi non sanno neppure che esistono, quei fumetti che potrebbero loro piacere.

Non è soltanto una questione di ragazzi. Anche i più grandi latitano. Con il fatto che le notizie vengono lette (gratis) in Rete, è sparita l'abitudine di fermarsi a comprare il quotidiano o le riviste di informazione, e dunque anche i fumetti cascano meno sotto gli del potenziale acquirente. Risultato: le edicole chiudono. 

Le statistiche parlano di cinque chiusure al giorno, domeniche comprese. Chiunque di noi può facilmente verificare quante rivendite siano sparite lungo il percorso che facciamo per andare al lavoro. La cosa strana è che quando chiude un'edicola, spariscono anche i suoi clienti: soltanto in minima parte costoro vengono redistribuiti fra gli altri chioschi dei dintorni rimasti aperti. Il fenomeno riguarda tutta la carta stampata, non soltanto gli albi a fumetti.  La minor remunerazione del mercato riduce anche il numero di distributori locali, e ci sono zone che non sono più neppure raggiunte dal servizio.  E' vero che talvolta a chiudere sono i giornalai meno capaci di gestire il proprio commercio, oppure svogliati o disillusi che non chiedono maggiori rifornimenti, non espongono bene la loro merce, non sanno consigliare il cliente, mettono subito in resa ciò che credono non venderanno (così non lo venderanno di sicuro). Gli edicolanti intraprendenti, informati e capaci invece tengono testa alla crisi, e si fanno intendere con i distributori per rinfoltire le copie ricevute o per far arrivare ciò che non arriva.

Ciò che mi colpisce di più di questa crisi, però, è il fatalismo con cui la vivono gli attori del dramma. Sembra quasi che editori, distributori e rivenditori siano rassegnati al vedere scomparire il loro (e il nostro) mondo, invece di mettersi d'accordo tutti insieme, in qualche modo, per vedere di raddrizzare le cose. Non dico che dandosi da fare si riporteranno le folle in edicola, ma se ci sono pubblicazioni da calibrare nella grafica e nei contenuti, modalità di distribuzione da migliorare, tecniche commerciali da mettere in atto, la rete dei punti vendita esiste ancora ed è abbastanza capillare da poter essere messa a frutto. Io non darei l'edicola per spacciata e farei di tutto per valorizzarla. Come, non lo so: non è il mio mestiere, servono (come in tutti i campi) gli esperti. Ma ci sarà pure il modo di fidelizzare i clienti e far riscoprire il giusto della visita in un negozio affascinante, gestito bene, rifornito bene. Le edicole erano magiche: secondo me il trend discendente a un certo punto troverà un suo assestamento,  ci sarà un momento in cui le chiusure finiranno, resteranno i gestori più in gamba e si creerà un nuovo meccanismo funzionante.