Questa caricatura del sottoscritto opera di Massimo Bonfatti, che giustamente ho incorniciato come merita e appesa nel bagno di casa mia (per ovvii motivi), ben riassume quanto sto per scrivere: ci ho pensato a lungo e ho concluso che è meglio non pensare. Soprattutto di questi tempi, mentre il morbo infuria, il pan ci manca e sul ponte sventola bandiera bianca. I pensieri di chi pensa non possono essere che cupi.
Perciò, confesso di essermi un po' lasciato abbattere riflettendo su quante edicole sono state chiuse nel corso del 2020, di quelle chiuse negli anni precedenti, di quelle che chiuderanno nel 2021 e negli anni che verranno. Una ecatombe che sembra inarrestabile. Come ne uscirà, il fumetto popolare? Sono guai anche per i quotidiani e le riviste, certamente, ma io che vivo circondato di comics rifletto soprattutto sul mio mondo. Ogni edicola che chiude le serrande è un pezzetto di Fantàsia che scompare inghiottito dal Nulla. Vale anche per i cinema, i negozi di dischi, le librerie, intendiamoci. Il mondo è sempre meno mio, e sempre più degli Altri.
Non che il Niente abbia giò vinto, e che tutti, là fuori, siate a guardare gli youtubers, a scambiarvi insulti su Twitter o su Facebook, a fare i balletti di Tik Tok. Siamo ancora in tanti, per fortuna. Ma sempre di meno. Il meglio che ci possa accadere è finire nelle riserve come i pellerossa. Sono convinto che gli autori e gli editori ce la stiano mettendo tutta e studino ogni possibile strategia per invertire l'entropia, come nel racconto "L'ultima domanda" di Isaac Asimov. Ogni volta che vedo mettere in cantiere una nuova iniziativa editoriale, anzi, mi sorprendo io stesso per le tante idee che quelli più bravi di me riescono a tirare fuori dal cilindro. Io stesso mi do da fare, nei limiti delle mie capacità. Sono convinto che per parecchi anni riusciremo a divertirci (noi e voi).
Resta il fatto che in edicola non ci si va più come un tempo, che leggere è una abitudine sempre meno opzionata, che tutti dicono di non aver tempo per farlo, che si è disposti a spendere fior di quattrini in qualunque cosa (aggeggi tecnologici, ultimi modelli di telefonini, abbonamenti alle pay TV, videogiochi, aperitivi, botti di Capodanno, parcheggi in centro, ricariche) ma sembrano troppo cari 4 o 5 euro per un fumetto di cento pagine. Il lavoro di mesi e mesi di staff di professionisti viene considerato meno appetibile di un gelato, che di solito costa di più.
Poi ci sono gli haters in Rete, siti interi dedicati a vomitar veleno contro chi scrive e disegna, messi on line da gente che, evidentemente, legge i fumetti solo per criticarli (non avendo nientre di meglio da fare, o una vita da vivere), e rema contro anziché sentirsi parte di una squadra. Non ci resta che andare avanti malgrado loro, però mi sia consentita almeno una pernacchia.
Fin qui, i pensieri cupi. Poi penso che invece ci sono ancora tanti che ci vogliono bene, che di edicole in fondo ce ne sono ancora parecchie, che esiste il commercio on line, che il periodo di transizione tra analogico e digitale porterà a sviluppi insperati, che torneranno le mostre mercato, che ci saranno ancora a lungo nuovi albi di Tex e di Zagor da leggere e da sognare (sicuramente fino a quando sarò vivo io), che è stata comunque una bella cavalcata quella fatta finora e sono fortunato ad aver potuto vivere nel periodo d'oro del fumetto popolare (ma vale anche per la musica leggera e il cinema). Ripenso a "L'ultima domanda", il racconto di Asimov. Alla fine, l'entropia si inverte: con una nuova creazione.