Cinque libri in tre anni sono un discreto bottino. E' probabile che diventino sette in quattro, ma questo lo vedremo alla fine del 2018. Per ora, facendo un bilancio, vedo che dal 2015 a oggi sono arrivati in libreria "Utili Sputi di Riflessione", "Tex Secondo Letteri" e "Sarò bre" (editi da Allagalla) e "Dall'altra parte" e "Facezie" (pubblicati da Cut Up). Ci sarebbe in realtà anche il libro intervista della collana "Lezioni di fumetto" (Comicout) dove rispondo alle domande di Laura Scarpa, ma appunto è un libro di Laura e non mio; e ci sarebbe ancor di più la raccolta di un romanzo e due short-tales "La capanna nella palude e altri racconti" (Cartoon Club) ma soltanto uno dei tre titoli è inedito, il più breve, e dunque lo si può considerare una ristampa (anche se con titolo e copertina nuovi). Lo scaffale dedicato alle mie pubblicazioni letterarie nella casa dei miei ventitré lettori si sta appesantendo sempre più, e siccome "Facezie", l'ultimo libro, è piuttosto ponderoso, bisognerà puntellarlo. Ovviamente scherzo, e sono io per primo a essere stupito della quantità di testi a mia firma dati alle stampe. Però, se gli editori (quei due o tre, ancora piccoli, di cui sono amico prima che collaboratore) me li accettano e talvolta me li chiedono e anzi li sollecitano, vorrà dire che qualcuno li compra e forse li legge. Me ne meraviglio, ma mi arrendo all'evidenza.
La lettura di "Facezie" sarà, per chi vorrà cimentarsi nonostante le 320 pagine, forse più gradevole e divertente, se non esilarante, di tutte le altre. Ci ho messo quaranta anni a scrivere questo libro, considerando che ci sono dentro anche testi comici che ho scritto quando frequentavo il liceo. Oltre a quelli (una intervista a Giulio Cesare, un poema goliardico in venti canti endecasillabi) sono finiti nel calderone le canzoncine di Cico, i monologhi di cabaret con protagonista una certa sboccatissima Bianca Bandiera, le vignette realizzate insieme a James Hogg (comprese le strisce del ginecologo Gustavo La Passera), le interviste a Zagor e a Dylan Dog apparse su "Collezionare", il dizionario degli insulti, le recensioni del Kamasutra e di altri testi sacri.
Subito dopo la fantastica copertina di Walter Venturi e la dotta e ironica (ironicamente dotta) prefazione di Stefano Fantelli, troverete una mia introduzione che vi copio qui sotto (così potete leggerla, se volete, senza comprare il libro). Vorrebbe essere un testo comico anche questo. Volendo potete già ordinare il libro presso il sito della Casa editrice: fino al 15 novembre lo otterrete scontato (14 euro invece di 15) e con spedizione postale gratuita. Cioè vi basta un clic e vi arriva a casa. Ecco il link:
IL TEATRO DEI BURATTINI
di Moreno Burattini
In cognomen omen, si potrebbe dire. Chiamandomi Burattini, scappa da ridere a me che mi presento e a quello a cui tendo la mano. Tempo fa ho telefonato al teatro Colla per prenotare: “Vorrei dei posti per lo spettacolo di marionette”. “Va bene, a che nome?”. “Burattini”. Gelo dall’altra parte della linea. Avrà pensato che stessi prendendoli per i fondelli. E così mi devo trattenere nel prendere in giro gente che si chiama in modo strano, tipo Banana Yoshimoto: magari Burattini in giapponese significa cetriolo. Chissà se è per questo (per il cognome che mi è toccato in sorte) che ho sempre avuto il vezzo di cercare di far ridere. Il che non significa che ci sia sempre riuscito, anche perché ognuno ride a modo suo. Non intendo discutere su ciò che fa o che non fa ridere perché è un argomento scivoloso (e le scivolate, comunque, tranne quando capitano a me, mi fanno ridere). Una volta ho assistito a un esperimento in TV, in cui un italiano raccontava una esilarante barzelletta a un gruppo di arabi: neppure un accenno di risata. Quindi uno di loro raccontava all’italiano una loro storiella, che faceva sbellicare quelli con lui, ma che lasciava estremamente perplesso il nostro concittadino (e me). Quindi, noi e loro ridiamo in modo diverso.
Ma anche tra di noi i pareri sono discordi e c’è chi, con mio estremo stupore, non ride guardando Fantozzi, chi storce la bocca di fronte a Checco Zalone e chi non tollera le gag di Cico. Perciò non mi illudo che le mie facezie riscuotano il plauso generale, mi accontento di quello colonnello (risate). Fatto sta che personalmente sono di bocca buona e rido di tutto (divertendomi moltissimo), poi ci sono quelli sofisticati e schizzinosi che ridono di molto meno o di quasi niente (divertendosi, temo, pochissimo). Io la penso come Stan Laurel, che scrisse una poesia dal titolo God bless all clowns, Dio benedica i clown. Venne letta alle sue esequie, insieme all’ultima frase detta dal grande comico: “Se qualcuno si azzarda a piangere al mio funerale, giuro che non gli rivolgerò mai più la parola”. Secondo Dostoevskij, si conosce un uomo dal modo in cui ride. Chissà che cosa pensano di me, allora, quelli che mi vedono sghignazzare di tutto. Penseranno che ci provi con ogni donna, basta che respiri. Il che purtroppo è vero, del resto. Secondo Umberto Eco, “quello che esce indenne dal riso, è valido; quello che crolla, doveva morire”. Quant’è vero. Se una verità non supera la prova dell’ironia, non è una verità.
Un’altra verità è che, com’è chiaro, ho citato Dostoevskij e Umberto Eco per nobilitare questa introduzione, destinata a presentare un libro vergognoso. Del resto, non ho argomenti per giustificarlo e dunque finora ho divagato. Adesso non mi resta che cercare di spiegarvi qual è la tragica realtà. La casa editrice Cut Up si è accorta che vado in giro per l’Italia a presentare dovunque i miei libri di aforismi (pubblicati da un altro editore) e dunque si è detta: “Stampiamogli anche noi una raccolta di qualcosa di umoristico così nelle stesse presentazioni si porta dietro anche il nostro titolo, e facciamo promozione a costo zero”. Perciò mi è stato chiesto se avevo del materiale comico. Figuriamoci. Scrivo facezie da una vita. Le scrivevo sul diario di scuola dei miei compagni di liceo, facevo filastrocche per i commilitoni durante il servizio di leva, a tutti i matrimoni a cui sono invitato mi pregano di comporre una satira sugli sposi. Ho riempito di stupidaggini tutti gli spazi disponibili. Sul mio blog, su Facebook, su Twitter non faccio altro che piroette verbali. Per non parlare dei testi di cabaret, di quelli per il “Vernacoliere”, delle rubriche su Lupo Alberto e su Cattivik che ho curato per anni. Mettere insieme questa raccolta è stata una cosa da ridere, nel senso di molto facile. Che poi faccia ridere qualcuno tranne me, è tutto da dimostrare. Però, confido sulla quantità della proposta: fra tutte le stupidaggini che troverete (parolacce, doppi sensi dozzinali e volgari, allusioni erotiche e sessiste, gag politicamente scorrette, rutti e suoni di flatulenze fatti con le ascelle) una almeno sono quasi certo che vi farà abbozzare un mezzo sorriso. Se siete italiani. Se siete arabi, non lo so (risate islamofobe).
Cut Up mi ha cercato dunque di nuovo dopo la raccolta di racconti inquieti “Dall’altra parte”, segno che la prima ho fatto buona impressione. Non posso che ringraziare per la fiducia l’editore e il mio supervisore Stefano Fantelli. Altri ringraziamenti vanno a Walter Venturi, autore della fantastica copertina (che da sola vale il prezzo del volume) ma anche mio consulente per il romanesco dell’Intervista a Giulio Cesare (che troverete più avanti). Eternamente grato sarò poi a James Hogg, disegnatore più toscano di me a dispetto del nome, mio sodale nelle vignette che da tempo andiamo realizzando insieme, alcune delle quali raccolte in queste pagine (in attesa di un libro tutto nostro che proponga l’opera omnia di Burattini & Hogg). Infine, una menzione speciale a Valentina Uccheddu che mi ha aiutato a tradurre in italiano testi scritti originariamente in vernacolo fiorentino. Essendo lei sarda, non capirò mai come abbia fatto. Baci, abbracci e scuse a tutti voi.