La faccia che vedete qui sopra è quella di uno che ha appena compiuto sessant'anni. Cioè, per quanto possa sembrarmi incredibile, me mdedesimo.
Ho un anno meno di Zagor (come dice lui stesso qui sopra, tramite Fabrizio Russo), che considero il mio fratello maggiore e che mi fa compagnia da una vita (nonostante tutti i guai che gli procuro con le mie sceneggiature). Lui però non invecchia e io sì. Per esempio, non si hanno notizie che soffra di mal di schiena come me. Io invece devo farmi una serie di massaggi perché più di trent'anni seduto a scrivere le sue storie mi hanno presentato il conto. Però, appunto, ciò vuol dire che ho passato una vita a inventare avventure, dunque a fare quello che ho sempre desiderato fare.
Non ho mai realmente considerato l'idea che un giorno avrei superato la boa della sessantina, finché il calendario mi ha inesoreabilmente richiamato alla realtà. La cosa strana è che io sono convinto ancora di essere il ragazzo che ero, e mi meraviglio della mia faccia nello specchio, che comincia a essere quella di un vecchietto. Mi sono comprato anche un cappellino a protezione della pelata e così quando guido la Panda di mia moglie terririzzo gli altri automobilisti.
C'è un'epoca della vita, quello dell'infanzia, fino ai dieci-dodici anni, in cui il tempo semba cristallizzato. Si susseguono gli anni scolastici e le vacanze estive e si crede che continuerà così: che avremo giorni infiniti per giocare, che i nonni ci porteranno per sempre a prendere il gelato. Poi i nonni muoiono e le scuole finiscono. Ci si accorge che niente è eterno. Però è stato bello crederlo. Oggi il mio amico immaginario sono il me stesso di quei giorni là, rimasto com'ero dentro di me. Ci parlo e lui mi ricorda tanti particolari di cui mi ero dimenticato, come di un bruco colorato che andavo a trovare nell'angolo di un muro finché rimase là, e sembrava non volersene andare - forse proprio perché lo andavo a trovare io. O come di una ragazzina di cui mi ero innamorato prima ancora di sapere che cosa volesse dire esserlo. O di quelle volte che con il babbo e la mamma io e le mie sorelle andavamo alla Città della Domenica, che ancora Gardaland non c'era.
Dovendo tracciare un bilancio dei miei primi sessant'anni, mi rendo conto di essere esattamente quello che volevo diventare. Scrivo cose e c'è chi le legge. Forse avrei preferito arrivare a questo giro di boa attraversando meno tempeste sentimentali. Però sono sinceramente grato a ogni donna che mi è stata accanto, anche per certi ceffoni che mi sono meritato. Oggi ho una moglie che amo. Ho anche tre figli meravigliosi che mi vogliono bene e mi ricordano ogni volta, con il loro calore, che non sono stato poi il padre assente che ho sempre temuto di essere. In ogni caso, mi riprometto di essere un nonno presente (anche se non ci sono nipotini all'orizzonte).
Fra le note negative, c'è la consapevolezza di veder svanire giorno dopo giorno il mondo in cui sono nato e cresciuto. Quello nuovo non mi assomiglia più. Chiudono le edicole, le librerie, i cinema, i negozi di dischi. Non c'è più un medico di famiglia che venga a visitarmi a casa se sto male. Non si può parlare di persona con nessun impiegato a uno sportello, ma ci è dato soltanto di premere i tasti del telefonino tra cui offre da scegliere una voce robot (e non c'è mai l'opzione che mi riguarda). Non sono contro la semplificazione digitale, ma contro la complicazione: non c'è una app che, installata sul mio telefonino, funzioni come dovrebbe. Per qualunque cosa devo visitare un sito www dove non trovo mai ciò che cerco e i cui form non accettano i dati che cerco di inserire, o chiedono password che io non so di sapere. Altrettanto negativa è la mia opinione sui social, fosse dei leoni dove vige la legge della giungla e dove qualunque cosa si dica scatena reazioni feroci. Se mai andrò in pensione mi propongo di cancellarmi da tutti. Però, oggi, su Twitter e Facebook c'è stata una gara a farmi gli auguri, e mi ha fatto molto piacere.
Già, la pensione. La busta arancione dell'INPS mi ha informato, tempo fa, che potrò ritirarmi dal lavoro soltanto il primo dicembre 2030. Si tratta solo di sopravvivere fino ad allora. Ecco, ho scritto ancora altre cose. Grazie per averle lette.