Sulla cosiddetta “seduzione degli innocenti”, e cioè sulla teoria seconda la quale i fumetti o i film sarebbero responsabili dello sbandamento, della violenza o della follia dei più giovani o di adulti dalle menti labili, ho già scritto così tanto e con così tanta veemenza che, affrontando di nuovo l’argomento, rischio di ripetermi. In un articolo apparso su questo blog nel maggio 2011, e intitolato “Il signor Emilio”, addirittura difendevo me stesso dall’accusa di aver attentato all’equilibrio psichico di un bambino di sette anni. Nell’ottobre dello scorso anno, invece, ho ricostruito la storia del processo (vero e proprio, svoltosi in un Tribunale della Repubblica) ai danni della rivista a fumetti “Intrepido”, accusata, più o meno, di istigazione a delinquere: un processo non svoltosi durante gli anni della caccia alle streghe ma recentissimamente (la madre dei cretini è sempre incinta). Infine, nel marzo 2012 ho pubblicato un estratto della mia tesi di laurea dedicato proprio al pamphlet di Fredric Wertham, Seduction of the innocent, datato 1954.
Tuttavia, la strage del cinema di Denver di questo luglio 2012 rende inevitabile tornare a parlarne. E un articolo di Roberto Recchioni, dal titolo “Non siamo stati noi”, pubblicato sul suo blog, mi fa sembrare necessario farlo subito. Di Roberto, come lui sa, ho immensa stima e penso tutto il bene possibile, tuttavia su alcune delle sue ultime affermazioni sono in disaccordo. Soprattutto su questa: “Noi che facciamo storie, possiamo cantarcela quanto vogliamo che non è responsabilità dei fumetti, del cinema, della musica, dei videogiochi, se qualche matto decide di imbracciare un fucile e fare una strage, ma non è del tutto vero. Specie quando le storie o i personaggi sono particolarmente potenti ed evocativi”. E’ esattamente il contrario di quello che penso e che ho sostenuto nei miei articoli precedenti.
Recchioni, a sostegno della sua tesi, si chiede: “Quanta gente ha iniziato a picchiarsi così, per gioco, dopo Fight Club?”. Secondo me, nessuno. Nessuno l’ha fatto per aver visto Fight Club. Chi si è pestato, dopo quel film, è perché lo aveva già fatto prima, perché aveva la voglia di fare a botte nel sangue, perché aveva visto picchiarsi dei ceffi per la strada. Non per essere andato al cinema. Io, dopo aver visto Fight Club ho deciso che non avrei mai fatto a cazzotti per il resto della mia vita (e del resto, non l’avevo mai fatto neppure prima di quel momento). Chi ha nel DNA l’istinto della rissa, della sopraffazione, della violenza, trova qualunque spunto per darsele di santa ragione con qualcun altro. Chi non ce l’ha, non cerca le scazzottate neppure se ha visto un film. Del resto, non è che prima di Fight Club nel mondo non si facesse a botte. Si fa a botte dalla notte dei tempi. E casomai è la strada ad aver ispirato il film, non il film ad aver ispirato la strada. Il rapporto di causa-effetto funziona al contrario.
Roberto fa anche un altro esempio: “E' il 1991. Sono uscito dal cinema Royal, dove ho visto L'Ultimo Boyscout e sto cercando un tabaccaio, dove comprare un pacchetto di sigarette. Non fumo ma sto per cominciare. Perché Bruce Willis che fuma le sue sigarette nel film che ho appena visto, è davvero troppo figo e io, che voglio essere come lui, ho deciso di imitarlo, almeno in quel dettaglio. L'unico che la mia vita mi concede di emulare. Adesso, seguitemi bene: non è che a diciassette anni io fossi un deficiente. Capivo benissimo il danno comportato dalle sigarette e sapevo pure che iniziare a fumare per imitare un attore cinematografico, significava cadere con tutti i piedi nella trappola che Hollywood e le grandi multinazionali del tabacco portavano avanti da tempo immemore. Eppure, comprai lo stesso quelle sigarette e cominciai a fumare e lo faccio ancora. Ed ero sano di mente allora come sono sano di mente adesso. Semplicemente, subisco il potere e la suggestione, che un certo tipo di personaggio-mito esercita su di me”.
Dunque Recchioni dice di aver iniziato a fumare emulando un divo del cinema, Bruce Willis. Io credo che chi inizia a fumare di solito lo fa emulando i compagni. I miei figli frequentano un sacco di gente che fuma: io raccomando loro di non fare come loro, di non prendere esempio dagli amici. Mai mi sognerei di dire: “Non guardate i film con Bruce Willis”. Non è il cinema che fa cominciare a fumare! Del resto, la gente fumava anche prima che il cinema fosse inventato. E’ il cinema che raffigura la realtà: se nel mondo si fuma, la rappresentazione del mondo deve tenerne conto, pena il fallimento del proprio compito. Di nuovo: l’umanità non fuma perché gli attori fumano, ma gli attori fumano perché fuma l’umanità. Esattamente il contrario di quel che pensano, per esempio, quelli del Codacons che hanno chiesto il sequestro di un albo di Tex in cui Aquila della Notte si accende una sigaretta in copertina. Anche di questo ho scritto a lungo, sbeffeggiando l’assurdità della denuncia e la ridicolaggine dei denunciatori.
Scrive ancora Recchioni: “Quanti teppisti romani si sono messi ad andare in giro con le magliette con sopra la faccia del Libanese o di Carlito Brigante o Tony Montana?”. Non lo so: se dei romani si comportano da teppisti non è certo colpa di quelle magliette, e soprattutto non è colpa del Libanese, di Carlito Brigante o Tony Montana. Non è che un ceffo è più ceffo con una certa T-Shirt e meno ceffo con un’altra T-Shirt. Non è la maglietta che crea il teppista, mi sembra ovvio. E di sicuro i teppisti esistevano prima del Libanese, il quale, viceversa, è stato appuntp creato perché esistevano i teppisti. Gli assassini esistono dai tempi di Caino: se un autore ne raffigura uno (come del resto ha fatto l’anonimo autore della Genesi dando il ritratto del fratello di Abele), è l’assassino che ispira il raffiguratore, e non viceversa.
Conclude Roberto: “ E questo, badate, non significa che queste opere di finzione abbiano plagiato le menti deboli di questa gente e li abbiano spinti a commettere reati di varia natura. Ma li hanno ispirati. La verità è che le storie ispirano le persone. E come ci prendiamo l'onore di quando lo fanno nel bene, dobbiamo prenderci pure il peso di quando lo fanno nel male. E no, non sto dicendo che dobbiamo smetterla di creare personaggi negativi affascinanti. Dico che dobbiamo acquisire la consapevolezza di cosa significa farlo, la capacità di farlo nella maniera migliore, e la maturità di accettarne il peso, senza stare a dire ‘non siamo stati noi!’. No, non è vero. La verità non è che le storie ispirano le persone, ma che le persone ispirano le storie. Quando io creo un cattivo da contrapporre a Zagor, e gli faccio fare cose cattive, non intendo ispirare nessuno. Raffiguro il male. Ne do una rappresentazione. Il male esiste comunque. Io, al contrario, lo esorcizzo. Chi ha creato il Joker, il nemico di Batman, ha dato un volto alla follia. Ma la follia esisteva già. L’assassino di Denver, James Holmes, così fuori di testa da affermare di essere il Joker, era pazzo comunque. Era proprio il tipo di pazzo che aveva ispirato il Joker. Prima viene lui, poi viene il Joker. Il Joker è la raffigurazione artistica dell’archetipo del folle, di cui Holmes è una delle incarnazioni reali. Tant’è vero che altre incarnazioni hanno fatto stragi senza vestirsi da cosplayer, e tant’è vero che le stragi ci sono sempre state anche prima che si inventassero i fumetti. Però, i fumetti vengono accusati di istigare la violenza e probabilmente per qualcuno andrebbero vietati per legge. E i kamikaze, allora? Vietiamo per legge anche la religione? E i terroristi rossi, o neri? Vietiamo per legge anche la politica? Perché la violenza che si vede per strada, o al telegiornale (quella reale, cioè) non dovrebbe ispirare la gente, e i fumetti o i film invece sì? Magari si potrebbe vietare per legge anche la realtà.
Infine: la gente che era andata al cinema a vedere “The Dark Knight Rises” era l’ per vedere un eroe sconfiggere il male. Era lì per vedere il bene trionfare. L’incarnazione del male che ha mietuto vittime, è andato lì per sconfiggere il bene e la rappresentazione del bene. Gli appassionati di fumetti sono state le sue vittime. Noi, lettori e autori di fumetti, siamo la parte lesa. Trovo incredibile che ci si trovi accusati come se fossimo i carnefici.
Concludo citando un passaggio di uno degli articoli già scritti. “I genitori e gli insegnanti a dover operare affinché i ragazzi abbiano gli strumenti per interpretare nel giusto modo il senso delle storie proposte su qualunque pagina o qualunque schermo. Ma alcuni insegnanti e genitori, non riuscendo con i loro scarsi mezzi a educare i giovani a loro affidati e non essendo in grado di guidarli nel periglioso guado del discernimento individuale, cercano affannosamente un capro espiatorio su cui scaricare la colpa del proprio fallimento. E' più comodo per costoro credere che se un ragazzo si getta dalla finestra è perché ha letto Superman e vuole anche lui volare più veloce della luce, piuttosto che capire la disperazione di chi cresce nella squallida sottocultura della strada (o della chat) a cui né la scuola, né la famiglia danno alternative. Stranamente, ne danno una i fumetti: chi li legge, evade dal ghetto e apre la mente su orizzonti più ampi. Ma questo, gli ottusi cacciatori di streghe non riusciranno mai a capirlo”.