E' in edicola "La profezia", Zagor n° 578 (Zenith 629), datato settembre 2013. I testi sono miei, le matite di Gianni Sedioli e le chine di Marco Verni. Si tratta della seconda parte di un racconto iniziato nel numero precedente, e destinato a proseguire nel successivo. Anzi, diciamo pure che l'albo si conclude in un momento particolarmente topico e drammatico per cui si spera che non mancherete di voler vedere che cosa accade nel proseguo. Ovviamente, ne parleremo in questo stesso spazio il prossimo mese.
La storia è ambientata in Cile e fa parte della trasferta sudamericana dello Spirito con la Scure. Quello che vi accade è così particolare e così profondamente legato alla storia di quel Paese che basterà, credo, a giustificare il viaggio del nostro eroe in terre lontane, alla ricerca di nuovi spunti avventurosi (un escamotage utilizzato del resto da Nolitta non soltanto su Zagor ma anche su Mister No e su Tex). La vicenda cilena non avrebbe potuto accadere a Darkwood, e il perché, se già non è chiaro, lo sarà ancora di più nello Zenith successivo, intitolato "Il giorno del gudizio". Non per questo viene meno la "zagorianità" dell'avventura. Caso più unico che raro, l'ambientazione potrebbe essere datata con precise coordinate cronotemporali, indicando il luogo (la città di Concepcion), l'anno, il giorno e perfino l'ora di un certo evento che comincia ad accadere nell'ultima pagina de "La profezia". Sul sito della Sergio Bonelli Editore è stato dato grande risalto, e ne sono contento, al post "Il ponte sull'abisso" che ho pubblicato qui sul blog in occasione dell'uscita del numero precedente. Vi si legge: "Il curatore e sceneggiatore di Zagor presenta cinque pagine di sceneggiatura: ogni pagina è accompagnata dalla documentazione visiva su cui Burattini si è basato per costruire le sequenze e che i disegnatori hanno scrupolosamente seguito per visualizzarle".
La stessa documentazione è alla base dell'albo di settembre, anche là dove magari non sembra che ce ne sia. Perfino la mula Francisca, croce e delizia del povero Cico, non è frutto di invenzione: compare in un raro libro di Mario Appelius, "Cile e Patagonia", pubblicato dalle Edizioni Alpes di Milano nel 1930, e che io mi sono procurato, non senza fatica, in una libreria antiquaria. Appelius, grande scrittore di viaggi in epoca fascista (e fascistissino pure lui), racconta della vita dei minatori cileni e di una mula che salva il suo padrone, un salnitrero di nome Beniamino Poblete, andando da sola a cercare soccorso dopo che l'uomo era caduto in un barranco rompendosi una caviglia. Le cronache di Appelius scritte in giro per il mondo meriterebbero una riscoperta e una riedizione, ma il fatto che fosse compromesso con il regime mussoliniano (di cui anzi una voce molto popolare, dato che conduceva programmi radiofonici facendone la propaganda) lo face cadere in disgrazia e dimenticare dopo la fine della guerra.
Sono assolutamente autentici (per quanto ricostruiti in chiave romanzesca) i dialoghi fra Darwin e il capitano Fitzroy a bordo del "Beagle", e corrispondono a vero le caratteristiche psicologiche di fondo dei due personaggi (in qursto caso la fonte principale è il saggio di Peter Nichols "L'onda lunga dell'evoluzione", ma non mancano gli spunti presi dallo straordinario romanzo "Questa creatura delle tenebre" di Harry Thompson). Ovviamente la cabina di Darwin è stata disegnata da Sedioli e Verni esattamente com'era quella della realtà.
Veri sono gli itinerari e gli scenari naturali, vero è persino il fiore andino che Cico coglie per la prosperosa Pamina, veri sono gli scorci della città di Concepcion che si vedono nei disegni. In realtà non esistono foto della località così com'era nella prima metà dell'Ottocento e ci siamo basati su degli schizzi e delle illustrazioni, le foto sono state prese in considerazione quando raffiguravano architetture plausibili. In mancanza di immagini, Gianni Sedioli ha utilizzato la Prefettura di Piazza del Popolo di Ravenna per ricostruire una plausibili architettura del Palazzo del Governatore (chi è di Ravenna può fare il confronto).
Due parole appunto sull'interazione fra Sedioli e Verni: per velocizzare la realizzazione della storia, la cui ambientazione fuori dall'ordinario rischiava di rallentare il solo Marco a cui inizialmente era stato affidato il racconto, per la prima volta si è ricorso a un lavoro a quattro mani che ha dato risultati più che soddisfacenti. Il dinamismo di Gianni corregge la maggiore staticità verniana, e la china rotonda e pulita di Verni corregge i piccoli difetti del tradizionale inchiostro di Sedioli, per cui alla fine la somma delle due parti è maggiore del semplice accostamento dei due autori. Come si vede, le tentiamo tutte per migliore la qualità delle nostre storie. Un'ultima annotazione: non sfugga la valenza "filosofica" di certi dialoghi e le implicazioni che comporta il trattare certi argomenti. Di questo tratteremo all'uscita del prossimo numero.