venerdì 1 marzo 2013

VENT'ANNI DI STORIE



Massimo Manfredi è sicuramente il lettore che ogni autore desidererebbe avere. Non solo perché è fedele e ben disposto ad ascoltare, ma anche perché è acuto, intelligente, e non accondiscendente. Però, anche quando il suo giudizio è critico, il suo parere è argomentato e senza acrimonia. E soprattutto, non serba rancore: dalla storia successiva è pronto a valutare ciò che gli viene proposto, senza pregiudizi. Se individua delle falle, conserva memoria dei meriti. Inoltre, è informato, poliedrico, non è un monomaniaco nelle sue letture ma spazia. Nel gennaio 2013 abbiamo idealmente festeggiato insieme i primi venti anni di una consuetudine: l'arrivo in redazione di una lunga lettera in cui, con certosina pignoleria, Massimo esamina uno per uno tutti gli albi zagoriani dell'annata precedente appena conclusasi. La lunga lettera, si badi bene, è riservata solo a noi della redazione. Credo che le abbiamo lette soltanto io, Mauro Boselli e, fino al gennaio 2011, Sergio Bonelli (rispondendogli in privato). Ogni commento è sempre stato accompagnato da un giudizio espresso in voti, talvolta condivisibile, talvolta no, ma sempre ben giustificato da una disamina. Dopo aver ricevuto la lettera del 2013, ho chiesto al mittente il permesso di pubblicare sul blog tutte le sue recensioni scritte negli ultimi dieci anni, quelle di cui si sono conservati i files.  Sono il parere di un lettore fra tanti, ma appunto per questo molto significative, e permettono di ripercorrere vent'anni di vita editoriale di un personaggio, Zagor, che ha ormai superato la prova del tempo. In questi dieci anni (2003-2012) c'è anche una parte della mia storia personale. Mi fa piacere che il voto più alto in assoluto sia stato dato a una mia storia ("La palude dei forzati"), anche se (fra tanti altri giudizi positivi) mi sono beccato pure alcune insufficienze. Ma soprattutto sono grato al recensore per quanto dice a proposito della storia "Pleasant Point". Singolare, ma comprensibilissimo, che Gallieno Ferri prenda sempre 10, senza alcun commento. Rileggendo le recensioni, ho notato anche un'altra cosa: la ricchezza e la varietà di idee, spunti, suggestioni, argomenti che noi dello staff di Zagor siamo riusciti a garantire per tutto questo tempo. Le storie mancanti nell'elenco (quasi completo) che segue sono imputabili al recensore e non a censura del sottoscritto: non ho spostato una virgola. Grazie a Massimo Manfredi, in attesa della sua prossima lettera di recensioni.


DIECI ANNI DI ZAGOR (2003-2012)
di Massino Manfredi


ANNATA 2003



IL PASSATO DI RAMATH 
(nn. 444/446)
Soggetto: Burattini/Priarone - Sceneggiatura: Burattini - Disegni: Della Monica.

Testo: 7. La storia non è male, ma non mi convince fino in fondo. 
Partiamo dal positivo. Apprezzabile l’idea di unire tutti gli elementi “indiani” (non intendo - e ci mancherebbe! - nel senso di pellerossa) presenti nella saga in un unico filo, così come la rivelazione del passato di Ramath e gli elementi di induismo. Buono anche l’approfondimento della personalità della strega, anche se questa porta, di contraltare, ad una rivisitazione dei personaggi che mi fa un po’ storcere il naso. Il Kubal Singh di Nolitta risultava come un uomo fiero, intelligente e squisitamente nobile. Anche verso i Kellog si dimostra giustamente vendicativo, ma con classe signorile nei modi. E chi comandava era inequivocabilmente lui. Dharma era quasi una vecchia pazza, sia pure dotata di grandi poteri. E soprattutto entrambi apparivano come sinceramente offesi dello sgarro che un occidentale arrogante aveva arrecato alla loro fede e alla loro cultura. Era questa la molla che chiaramente li muoveva. Risultavano quindi quasi simpatici. Certo non “cattivi” né malvagi. Il cattivo era Wilfred, almeno fino a quando era rimasto uomo. Per cui ritrovarli a ruoli invertiti, lui quasi fesso e feroce in modo becero, lei sottile stratega e bramosa di potere mi ha procurato più di un fastidio.  Insomma, mi sembra che Burattini, bravissimo in altri “ritorni”, abbia stavolta decisamente fallito in uno dei compiti che so a lui più cari, cioè quella della fedeltà allo spirito nolittiano. Se fossero stati due villain ex novo non avrei avuto nulla da dire perché sono ben caratterizzati, ma trattandosi di già visti il tradimento alle psicologie originali mi pare evidente e meritevole di sottolineatura.

Disegno: 7,5. 
Un buon lavoro come al solito di Della Monica, senza particolari picchi ma senza neppure particolari cadute. In altre circostanze, specie su vignette ampie, aveva dato qualcosa di più. Buona Dharma, così e così Kubal Singh. Piuttosto è il viso di Zagor che mi pare stia volgendo verso una preoccupante involuzione. Belli i fondali quando li fa, ma troppo spesso li trascura.





LA SORGENTE MISTERIOSA 
(nn. 447/449)
Burattini - Chiarolla

Testo: 6,5. Storiella monolivello, finanche azzardata nella linea maggiormente “realistica” in atto (il che, ma non solo, mi pone dubbi di un ripescamento dal fondo di un cassetto), ma tutto sommato ben narrata da uno che sa come si fa.
Positivo l’avere intrecciato a quella principale la sottotrama, che rimpolpa il tutto, dei banditi che inseguono Metrevelic, mentre lascia qualche dubbio la spiegazione di radiazioni che creano bolle temporali e molto poco chiara è la struttura “geografica” di questa magica zona lacustre creata da un meteorite.

Disegno: 7-. Pur non piacendomi la resa del viso dei protagonisti (rinnovo l’invito a tagliare la zazzera sul collo a Zagor), devo dire che Chiarolla ha ormai raggiunto una tale maestria nel suo genere da riuscire ad essere apprezzato anche da uno come il sottoscritto che quel genere non ama. Inoltre mi pare che le anatomie si siano abbastanza armonizzate, pur nello stile. 
Forse è stato anche penalizzato dall’ambientazione classica, dato che ha dimostrato di dare il meglio di sé in atmosfere horror o “convulse” (ad esempio mentre si scatena la furia degli elementi).



IL SUDARIO VERDE 
(nn. 449-450)
Russo - Ferri

Testo: 5. Veramente pessimo questo ritorno di Russo, che ai tempi del suo esordio non era andato invece malaccio. Siamo nell’apoteosi del già visto e della banalità: il mad doctor col sogno del nuovo Adamo e pure l’aiutante gobbo (!), il fratello scomparso che si rivela col solito medaglione, il mercenario cattivo, l’assistente con scrupoli di coscienza, la scena finale col supermostro che uccide il proprio creatore, ecc. ecc... Mamma mia! Ma tutto questo non sarebbe nemmeno grave se venisse narrato in modo un po’ più brillante o con un qualche arricchimento di psicologie e di livello. Invece la piattezza regna sovrana e ci si limita a far scorrere la storia mettendo in fila uno dietro l’altro gli stereotipi sopra elencati fino a che si arriva in fondo ai due albi. Ci sarebbe ancora molto da dire su certi passaggi al limite del ridicolo (uno su tutti, quando nel finale Dorothy balza dalla sua finestra sull’albero come niente fosse, quando poco prima Zagor era stato definito una mezza scimmia perché era riuscito a compiere il medesimo salto), ma non è importante. Mi limito invece a far presente come, da un po’ di tempo a questa parte, il trend cominci ad essere preoccupante: l’assenza totale di Boselli e quella parziale di Burattini si fanno sentire. Urgono sterzate.

Disegni: 10.



LA SCORTA MOHAWK 
(nn. 451-452)
Mignacco - Pesce

Testo: 5/6. Purtroppo mediocre l’esordio di Mignacco: da uno del suo calibro ci si aspettava un po’ di più.  Che dire? Cose viste e riviste, narrate con mestiere ma senza nessun spessore. Forse nelle intenzioni dello sceneggiatore c’era uno sviluppo più lungo, visto il finale affrettatissimo per chiuderlo entro il secondo albo, ma tenendo conto di come era andata fino a quel momento non ci sono rimpianti. Preoccupazioni per il trend invece sì.

Disegno: 8. Solita buona prova di Pesce, priva di taluni squilibri anatomici in cui era caduto in tempi recenti. Senza particolari picchi sfavillanti ma pure senza cadute di tono, si mantiene sempre a livelli decisamente sopra la media. Così sono le caratterizzazioni di tutti i personaggi, su cui si elevano fascinose quelle di Marcus e Helena. Ulteriore nota di merito per le parti boscose, sia in primo piano che nei fondali. Mi pare invece ancora grezzo l’utilizzo della tecnica “carta carbone”, per ombreggiare certe zone “sporcandole”, ma è peccato veniale.



INSETTI ASSASSINI 
(nn. 453-454)
Burattini - Cassaro

Testo: 6+. Dico subito che mi sono avvicinato a questi albi con tutta la diffidenza possibile: vedere in copertina situazioni da B-movie americani come ragni assassini, macchine infernali, piante carnivore e blob vari mi ha trasmesso un senso di raschiamento del fondo (visto anche l’andazzo recente e buttando un occhio alla tematica dello Speciale, su cui saprò ridire).
Invece, nonostante venga comunque considerata un grosso passo indietro rispetto alla meraviglie delle recenti trasferte, la storia non è così male, ma solo per l’abile conduzione dello sceneggiatore che offre dialoghi abbastanza corposi e soprattutto un minimo di spiegazione scientifica, che risulta accettabile anche se troppo abbozzata.

Disegno: 6,5. Un po’ come per Pesce, il tratto di Cassaro è piacevole ma senza mai particolari innalzamenti. Il difetto peggiore lo riscontro nella non armonia dei volti tra una vignetta e l’altra, soprattutto confrontando primi piani (buoni) con inquadrature più lontane (meno buone).
Il primo albo meriterebbe un voto più alto ma nel secondo ci sono sequenze molto approssimate, che mi danno l’idea dei lavori affrettati per mandare in stampa, magari con tanto di correzioni redazionali.



PALUDE MORTALE 
(Speciale n. 15)
Burattini - Chiarolla

Testo: 6-. Il naso storto di default è quello sopra descritto e così il senso di raschiamento. Poi va da sé che Burattini sa come si scrive e rende accettabile anche un soggetto del genere, ma - cavolo - che diavolo vi sta prendendo? Hanno sparso un virus in via Buonarroti che toglie le idee agli sceneggiatori e ha fatto fuori Boselli? Quando uscì la storia di Castelli sulle piante invadenti c’era una “ingenuità” nel lettore medio che la poteva rendere godibile (io tra l’altro credo che avessi 7-8 anni) ma già stavamo ai limiti. Riproporre questa tematica nel 2003 e in uno Speciale davvero non la capisco, se non con il famoso virus.  Ci fosse stata almeno una qualche spiegazione scientifica, o un qualche aggancio fantastico ad un elemento importante della saga avrebbe giustificato la scelta, ma così… mah!

Disegno: 7/8. L’unica cosa che abbassa il voto è la resa dei volti umani in genere e quella dei protagonisti in particolare, che per me però riveste un’importanza elevata. Per tutto il resto devo dire che Chiarolla è bravo davvero. Gli “esterni” in particolare sono veramente ottimi, sia che si tratti di alberi od erba, zone lacustri o rocciose. Come al solito notevole quando l’atmosfera va sull’horror o sul convulso.



CICO MOSCHETTIERE 
(Speciale n. 24)
Faraci - Gamba

Testo: 6,5. Carino ma niente di più. Apprezzabile il fatto che le gag seguano una trama e la buona gestione delle situazioni equivoche. Sufficienti le battute ma, non per colpa degli autori, dopo una ventina di numeri forse la ripetitività si sente.

Disegno: 6. Gamba non mi piace, ma è bravo a cavarsela nelle ambientazioni inusuali e nella varietà di costumi.



LA MASCHERA SUL VOLTO 
(nn. 455-456)
De Angelis - Della Monica

Testo: 6/7. Piacevole sorpresa quella dell’esordiente De Angelis, che riesce a rendere gradevole una vicenda di stampo classico, che come è noto sono le peggiori se si vuole scrivere qualcosa di interessante.  Un paio di passaggi mi hanno però lasciato perplesso. Il primo è il cambiamento di personalità di Eyck, dapprima capo valoroso e generoso, poi diventato un assassino grossolano e avido, privo di personalità al punto di sottostare alla moglie in modo così totale da uccidere il proprio benefattore che stima. Il secondo, più grave, è l’utilizzo del fiume nella dinamica degli avvenimenti. Quando Zagor e Cico saltano giù dalla palizzata questo è subito sotto di essa, e se già mi sembrava bizzarro costruire qualcosa attaccato alla riva di un fiume, ancor di più il fatto che a un metro dalle mura sia così profondo da attutire il balzo di una persona da quell’altezza. Ma poi quando viene fatto fuoriuscire dal letto, si vede scorrere molto più lontano dal forte.  E, ancora, del tutto assurdo mi appare il poter abbattere una palizzata del genere con la deviazione di un fiume allo stesso livello: occorrerebbe una diga enorme più in alto, o almeno un alluvione. Si tratta comunque di incongruenze fastidiose ma che sono sempre meglio di una vicenda perfetta ma noiosa. Forse è anche per questo che questa storia mi è sembrata apprezzabile: è spiccata un po’ di più in mezzo al recente livello troppo basso. Le cose maggiormente positive sono state l’essere ben intrecciata anche se con colpi di scena prevedibili (il ritorno del figlio di McKean, Faccia Falsa alias Milton), i dialoghi sufficientemente corposi e spesso volti ad approfondire le personalità anziché semplicemente a tirare avanti le vicende.

Disegno: 8,5. Al solito molto bravo Della Monica, la cui notevole mano, che già ci aveva mostrato sulle figure principali, usa finalmente in larga misura anche negli ottimi fondali. 



IL FORTE ABBANDONATO 
(Maxi n. 4)
Burattini - Cassaro

Testo: 6/7. Quando, qualche anno fa, si ipotizzava di Maxi per il nostro Spirito con la scure, io ero tra quelli che storcevano il naso, convinto che dopo uno o due albi iniziali meritori di un simile titolo, si sarebbe utilizzata la cosa come un contenitore di storie in più che potevano benissimo apparire sulla testata regolare, come del resto è accaduto sovente in via Buonarroti. In realtà l’unica uscita degna della cornice fu l’immensa storia sulla pista delle lacrime, poi il resto ha confermato il mio scarso entusiasmo di allora, compreso il Maxi di oggi.
Comunque, a parte questo, la vicenda è gradevole e ha i suoi punti di forza nel buon intreccio degli avvenimenti e nella durata che permette l’intreccio stesso. Inoltre le psicologie dei personaggi presentano qualche interessante peculiarità, anche se poco approfondite.
I difetti stanno secondo me proprio nello scarso approfondimento delle personalità perché per il resto, come è sua tradizione, Burattini riesce a impostare una trama che gira alla perfezione. L’unico passo che mi lascia assai perplesso è quando decidono di buttarsi nel vortice non sapendo quanto sia lontano il punto di risalita e se la corrente lo consente. Rispetto al dover affrontare un po’ di indiani mi sembra un rischio enormemente più grosso.

Disegno: 7+.  Cassaro conferma la solita soddisfacente resa, che ha il maggior difetto nel viso di Zagor e il maggior pregio negli ottimi fondali.


ANNATA 2004




MINACCIA ALIENA 
(nn. 457-458)
Burattini - Chiarolla

Testo: 6,5. Il voto espresso è una media tra il soggetto discutibile e la buona sceneggiatura. Quando ho visto in copertina alieni da B-movie non ho potuto trattenere un sospiro di rassegnazione, dato che l’ho inquadrata come l’inevitabile tappa del recente saccheggio del genere, tra piante invadenti, insetti assassini e così via. Soprattutto in considerazione del maggior realismo che fu una delle impostazioni del “nuovo corso”, mi è sembrato alquanto azzardato l’inserimento di una cosa mica da ridere come la visita di extraterrestri in una vicenda trascurabile come questa.  Stabilito questo, c’è da dire che per fortuna Burattini sa come si scrive e la lettura risulta piacevole, anche se forse scorre via un po’ troppo lineare. Ma la caratterizzazione dell’alieno è ben riuscita, così come i rari momenti “scientifici”. Facendo una metafora calcistica, diciamo che si è commesso un ingenuo svarione in difesa a cui ha poi rimediato in corner un abile colpo del singolo.

Disegno: 7,5. Anche questo si può considerare una media tra la scarsa resa dei volti dei protagonisti (per me importantissima) e la notevole resa del resto, che raggiunge l’eccellenza negli esterni boscosi e sotto la pioggia.



IL RITORNO DI MORTIMER 
(nn. 459-461)
Burattini - Verni

Testo: 7+. Di suo gradevole, questo duplice ritorno si ritrova a spiccare un po’ di più nel periodo abbastanza piatto. La trama è ben congegnata, come del resto ogni volta che Burattini si è cimentato con Mortimer, ma finanche leggermente contorta. Piuttosto, un po’ troppo timida la riproposizione del Tessitore, che perde il precedente carisma che il suo ruolo di oscuro manovratore di politica internazionale gli portava e si ritrova quindi a passare dall’essere un enorme pericolo di instabilità mondiale a un cattivo semi-qualunque.  Tra le altre cose degne di nota: in positivo la lunghezza della storia, l’incipit cichiano, che ho apprezzato tantissimo, con tanto di canzoncina e scontro con Drunky Duck, e il discorso centrale tra Zagor e Sykes sul ruolo del giustiziere. In negativo le personalità poco approfondite e l’aver usato due volte lo stesso trucco per l’evasione di Mortimer e di Sybil.

Disegno: 8,5. Non occorrerebbe neppure sottolinearla tanto è evidente, ma l’amore per il tratto di Ferri mi obbliga ad una rimarcatura entusiasta di questa affinità davvero strabiliante. E il mio stupore è lo stesso di tutti gli amici fumettofili a cui ho mostrato il lavoro di Verni. E non solo i visi, ma anche le piante, i fondali, le ombreggiature spennellate: davvero incredibile! Il meglio di sé mi pare lo dia nelle vignette statiche, mentre spesso mi sembra ancora un po’ “legnoso” in alcuni dinamismi (non in tutti, chiaro). Altro difetto, non sempre lo stile dei visi è omogeneo (si veda ad esempio pag. 40 del n.461, nella cui seconda vignetta ci viene mostrato un bizzarro PP di Zagor senza mento). Per certi versi mi ricorda il primo Torricelli, il cui stile altalenava a seconda se copiasse o meno, con grandi risultati nel primo caso. Certo, se Verni percorresse le medesime orme, vedendo di quali prodigi è capace attualmente il buon Marco, ci sarebbe da leccarsi i baffi pensando al futuro…


GIUSTIZIA SOMMARIA 
(nn. 461-462)
Burattini - D'Arcangelo

Testo: 6,5. Storiella gradevole, come sempre ben condotta, che certo non rimarrà memorabile, ma fa passare una piacevole oretta. La componente gialla è modesta, dato che al primo dialogo tra Zagor ed Evelyn si intuisce già chi è il colpevole. Apprezzabile invece la parte “impegnata”, con la denuncia dell’intolleranza del cittadino medio verso gli stranieri e tutto ciò che non rientra nei binari per lui consueti. Poteva essere approfondita meglio, ma l’esiguo numero di pagine non lo permette. 

Disegno: 5,5. Rinnovo le perplessità che già la prima prova di D’Arcangelo mi aveva lasciato, anche se alcuni passi in avanti mi sembrano fatti, soprattutto nei fondali. Ma il suo tratto continua a darmi l’impressione di essere da “fanzinaro”, magari bravo, ma ancora troppo grezzo. 
La resa del volto di Zagor lascia molto a desiderare, ma sono un po’ tutti i visi a cadere spesso nel grottesco. Anche la gestione del chiaroscuro è altalenante, specie quando ispessisce un contorno della figura appiattendola molto.
 


NEVE ROSSA 
(nn. 463-464)
Soggetto: Paolucci - Sceneggiatura: Burattini - Disegni: Sedioli

Testo: 5,5. Storia assolutamente monolivello la cui maggiore meraviglia è la presenza di un esordiente al soggetto: cosa abbia stimolato l’interesse di Boselli tanto da pubblicarla, davvero non lo capisco. Più che altro se questi sono i migliori soggetti che arrivano a Darkwood la faccenda scivola, in prospettiva, davvero nel preoccupante.  Un qualunque inseguimento di fuorilegge qualunque con nessuna introspezione psicologica. Il ritorno di La Plume, in questo contesto, anziché venire salutato come dovrebbe, diventa un’aggravante perché i “ritorni” sono una spezia preziosa che andrebbe usata in piatti che lo meritano. Poi Burattini sa cucinare e il tutto va giù, ma alla fine lo stomaco sembra vuoto come due ore fa.

Disegno: 8. Molto buono l’esordio di Sedioli che, pur senza fare sfracelli, tiene una media degna di nota in tutte le “discipline”: caratterizzazione dei personaggi, fondali, primi piani, scene dinamiche. Un punto sotto le prospettive un po’ ripetitive ma un punto sopra alcune sequenze, tipo quella nella tempesta di neve. L’unico aspetto su cui mi pare debba lavorare maggiormente è il viso di Zagor. Quando copia da Ferri (e altri: mi è parso di scorgere dei Pini Segna!) ottiene dei buoni risultati, mentre da solo altalena un poco. Comunque nulla a cui non si possa rimediare con qualche altro centinaio di tavole di esercizio! 



LA SETTA CINESE 
(Speciale n. 16)
Pelò - Torricelli

Testo: 6. Discreto l’intreccio delle vicende, banalotto il motivo che sta dietro all’azione dei cattivi, gustosa la varietà dei combattimenti nell’arena, modesta la sceneggiatura. Insomma, troppo poco per uno Speciale degno di questo nome. E anche per la serie regolare. Il problema principale è quello che attanaglia da un po’ la produzione zagoriana, ovvero l’assenza assoluta di più piani di lettura. Le vicende si fanno andare avanti quasi per inerzia: un combattimento dietro un inseguimento e si arriva alla fine delle pagine. Due note: incomprensibile nell’economia della storia la gag del ristorante francese (mi aspettavo che si rivedesse più avanti il ristoratore… e poi anche vedere Zagor immobile mentre sfasciano il locale a un poveraccio… mah!), mentre talvolta brillante la conduzione di Cico, che ritrova una forbitezza verbale che gli è propria e che quasi sempre viene ignorata. 

Disegno: 7,5. Clamoroso passo indietro di Torricelli che, sia pur mantenendosi su livelli sopra la media, risulta molto lontano dagli strabilianti fasti a cui ci aveva abituati recentemente. Dopo una decina di pagine vi confesso che sono tornato indietro a riguardarmi il “tamburino”, pensando che avessi letto male il nome del disegnatore. L’inizio è infatti la fase riuscita peggio, con taluni visi di Zagor imbarazzanti. Poi nel finale le cose migliorano decisamente, specie nelle fasi di combattimento, in cui Torricelli sa gestire come pochi la presenza di decine di personaggi che brulicano nella stessa vignetta. 



CICO COWBOY 
(Speciale n. 24)
Burattini - Gamba

Testo: 7. Un buon Cico, con gag divertenti e una trama ad unirle. Particolare nota di merito per averci mostrato alcuni aspetti della quotidianità dei cowboy, sia pure resi nella meravigliosa forma ilare del pancione nostro.

Disegno: 6. Pur se il tratto non mi piace, ormai (lo ammetto!) mi ci sono abituato…




LA PALUDE DEI FORZATI 
(nn. 465/468)
Burattini - Laurenti

Testo: 9,5. Inizialmente, quando ho letto la trama (un carcerato gigantesco mezzo scemo con poteri magici), ho alzato sfiduciato gli occhi al cielo pensando a “Il miglio verde” e al riciclo di idee altrui, tipico espediente in periodi di crisi, qual è questo recente a Darkwood. E invece…
OK, lo dico: il voto l’ho dato di slancio. Sull’onda dell’entusiasmo. Di solito ci penso bene, confronto il passato, ecc. ma stavolta non me ne frega niente e do’ quel che sento subito dopo questa lettura. Perché, dopo tanti sbadigli recenti, una storia del genere è davvero acqua montana scrosciante nella gola secca, arida di chilometri di deserto. Dopo tutti quegli albi negli ultimi mesi in cui, più che leggere, mi trascinavo stanco verso la fine, è una autentica goduria riassaporare una storia che vorresti non finisse mai e ti avvince per quasi 400 pagine filate. Ecco un primo punto di forza, secondo me: in un genere come l’avventura, che soffre degli spazi stretti come nessun altro, l’ampio numero di pagine risulta quasi sempre indispensabile al buon svolgimento delle vicende.
Qui riconosco il Burattini che amo: quello capace di costruire un meccanismo narrativo perfetto, senza buchi alcuni, con dialoghi corposi che scavano nelle psicologie e un intreccio giallo non banale attorno al quale danzano fior di personaggi buoni e cattivi.  Sono proprio questi a mio parere il maggior motivo dell’ottimo livello della storia, perché sono tutti molto “veri”, ognuno con una sua personalità ben definita nonostante il numero. In genere in un gruppo se ne mette qualcuno di anonimo perché possa morire nel corso delle vicende e permettere agli effettivi protagonisti di arrivare alla fine. Qua non è così e anche i “sacrificati” spiccano come gli altri: il poeta Mc Nally, Coffee e anche Bimbo Sullivan, il quale però essendo un “ritorno” diventa un po’ sprecato. A dire il vero, pare quasi che Burattini lo abbia infilato dentro apposta per farlo fuori, e in modo inequivocabile, quasi gli desse fastidio che risultasse, pur essendo una mezza tacca, uno dei villain maggiormente ricorrenti. Personalmente mi dispiace sapere che non lo rivedremo più: ormai mi ci ero affezionato. Certo, ci sono dei punti (pochi!) un po’ discutibili, tipo la faccenda delle visioni di Quanah, ma scompaiono in mezzo a tutto il resto. Ora l’unica cosa è augurarsi che non sia un caso isolato ma l’inizio di una inversione di tendenza rispetto agli ultimi tempi. L’imminente ritorno di Boselli farebbe pensare a quest’ultima ipotesi. Vedremo.

Disegno: 9,5. Il solito grandioso Laurenti che, incredibile, pare addirittura migliorare di prova in prova.  Che dire? Le sue tipiche squaglianti figure femminili e una plasticità anatomica in generale davvero notevole. L’interpretazione diversificata e profonda dei personaggi, ognuno dei quali spicca già solo a guardarlo, anche senza l’ottima caratterizzazione data dalla sceneggiatura. 
E poi ancora il perfetto bilanciamento all’interno delle vignette, autentico punto di forza del disegnatore, che risulta particolarmente efficace nelle scene d’azione (non che in quelle statiche sia da meno, a dire il vero). Ulteriore nota di merito per le scene lacustri e ancor di più in presenza di canneti, tra i quali la cura nel tratteggiare la vegetazione è stata strabiliante. L’unica cosa che mi ha poco convinto è stato l’uso dei retini all’inizio, poi in effetti abbandonato. In mezzo agli splendidi intrecci di pennello che formano le sue caratteristiche ombreggiature mi pare finiscano per appesantire un po’ la resa visiva.



INCUBO SUL MARE 
(Maxi n.5)
Mignacco - Cassaro

Testo: 6. Mah. Ho già avuto modo di esprimere le mie perplessità sull’ingolfamento di uscite di Giganti, Speciali, Maxi, ecc. e questo quinto le conferma appieno. A parte il grandioso numero sulla deportazione Cherokee, non mi pare di aver visto storie che abbiamo giustificato l’uscita di ulteriore materiale zagoriano. Una storia qualunque, insomma, che oltretutto in diversi passaggi non brilla per originalità. Già viste cacce alla balena, già vista gente che impazzisce e ha visioni dei propri incubi (una delle quali “La nebbia infernale”… e Zagor che ogni volta rivede il padre!), ecc. Convince poco la storia della balena ESP (ma non si era detto che la testata dovesse essere maggiormente realistica? Allora piuttosto ridateci le liane e il Going-Going!) e anche Ramath che comunica ripetutamente a distanza come fosse un giochetto da niente. Nolitta ci aveva presentato questi momenti in maniera molto più realistica, e quindi narrativamente molto più drammatica, come fossero eventi straordinari, ottenibili solo dopo lunga concentrazione, difficilmente ripetibili e perfino rischiosi di morte, tanto è vero che dopo l’evento il fakiro crollava a terra provato da una tale sforzo mentale. Se si usano questi poteri in maniera indiscriminata, come qua, si banalizza il personaggio e diventa un semplice e comodo espediente narrativo quando non si riesce a risolvere in altro modo la faccenda. In definitiva le uniche cose positive stanno nella lunghezza (che però in questo caso diventa quasi un arma a doppio taglio) e il ritorno iniziale di Trampy. Davvero troppo poco.

DISEGNO: 7. Tutto sommato buona la prova di Cassaro, anche se non riesce a migliorare quelli che sono i suoi annosi punti deboli, ovvero i volti spesso troppo abbozzati o asimmetrici, in particolare dalla media distanza. Anche le parti “horror” sono modeste, dato che i “mostri” risultano un po’ troppo classici, tipo questo dragone o il diavolo evocato da un libro un po’ di tempo fa.
Notevoli invece le vignette ampie e le scene di caccia sul mare.




ANNATA 2005




IL SEGRETO DEI SUMERI 
(nn. 469/471)
Boselli - Cassaro

Testo: 6. Atteso da molto tempo, questo ritorno di Boselli non è stato - ahimé - all’altezza di quel che lo sceneggiatore ha dimostrato in passato. La vicenda è abbastanza banale, ma fin qui non sarebbe un problema, dato che il punto di forza di Boselli è sempre stata la sceneggiatura più del soggetto. Purtroppo delude proprio in questo e le psicologie dei personaggi rimangono alla fine sostanzialmente inespresse. Sia Dexter che Richter si presentano bene, ma non spiccano mai il volo, restando il primo molto sullo sfondo e trascinandosi il secondo in quella lunga messinscena della follia. Ci sono poi diversi passaggi narrativi che appaiono un po’ forzati (ad esempio che gliene viene a Fazahr nel rivelare a Zagor che c’è un traditore che ha drogato i cibi? O quel che riesce a fare col coltello Dexter alla fine) ma ci si potrebbe tranquillamente passare su se la sceneggiatura fosse di altro spessore. Positivo invece il rimando a certe avventure del passato, che danno un senso di continuity che si era smarrito. Uno dei motivi della modestia della collana negli ultimi tempi credo sia anche questo continuo “navigare a vista”, questa supervisione che si avverte come abbastanza blanda. Se quanto rilevato in questi albi è da leggere come un miglioramento in questo senso credo sia una buona chiave.

Disegno: 6. I soliti Cassaro senza infamia e senza lode, ma questa volta dal tratto particolarmente “legnoso”. Il viso di Zagor è il più delle volte davvero pessimo, specie nelle inquadrature medie. Anche i primi piani dei personaggi, in passato uno dei punti di forza, lasciano questa volta molto a desiderare. Sanno fare di meglio.



IL VILLAGGIO DEL MISTERO 
(nn. 472-473)
Burattini - Torricelli

Testo: 6. Il primo albo è il migliore, le premesse sono gustose e avvincono, ma poi il finale delude assai, per due ordini di motivi. Primo: la spiegazione “metafisica”, se accettabile entro certi termini, diventa un po’ azzardata nel vedere Zagor che prende subito come un fatto normale l’avvento di fantasmi che mettono sull’avviso, o quando addirittura ci confida fino al punto di usare la nonna come arma risolutrice e le ordina di “scatenare gli spiriti dei morti che giacciono in fondo al pozzo”. Zagor è un uomo sostanzialmente razionale, che certo non è prevenuto nei confronti del soprannaturale, ma che in genere confida di più nella sua forza e nella sua scure. E comunque non sarebbe servito a nulla, tanto è vero che se non fossero capitati lì i soldati, i cattivi sarebbero tornati subito indietro. Secondo: anche la spiegazione “fisica” mi pare zoppichi un po’. Da quel che si capisce i cajun stanno nella zona da ben prima dei fondatori di Nuova Sulina. Nel momento che questi ultimi arrivano, quanto potrebbe passare prima che i cajun attacchino? Qualche giorno o settimana, direi. Invece il paese pare essere lì da anni: ci sono case a due piani, in pietra, con tegole e grondaie. E quella popo’ di chiesa, con tanto di campanile e campana. Credo ci voglia tempo a fare costruzioni del genere. Il che viene confermato dal fatto che i moldavi sono in viaggio da nove mesi. E quindi il villaggio esiste da chissà quanto prima. Eppure nessuno lo conosce, nemmeno i soldati.  Insomma, ci sono diverse cose che non quadrano. Il che, trattandosi di una storia scritta da Burattini, è abbastanza inconsueto.

Disegno: 9. Solito grande Torricelli, che forse parte un po’ sottotono ma che poi nel corso delle tavole ritorna velocemente sui suoi elevati standard, agevolato da situazioni a lui più congeniali, come quelle notturne e horror. Bella anche la caratterizzazione dei personaggi e i soliti strabilianti fondali, carichi di particolari e tratteggi da certosino.



L’ORDA SELVAGGIA 
(Speciale n. 17)
Moretti - D'Arcangelo

Testo: 5. Da salvare le prime 5 pagine con le gag di Cico e qualche altro micropassaggio, poi… mamma mia! Davvero una delle cose peggiori mai lette nella storia di Darkwood! Un inutile susseguirsi di sparatorie, inseguimenti, salvataggi all’ultimo secondo quando i nostri stanno per soccombere… personaggi piattissimi, passaggi narrativi tirati via, scene incomprensibili tipo il cattivissimo e finanche grottesco Lamort che alla fine rischia di farsi beccare per andare a prendere Marion (a che scopo? Lei lo odia, lui voleva solo abusarne). E poi troppe sparatorie, dai! Zagor in genere usa la scure e i pugni, qua è tutto uno sparare a destra e a manca, con pistole dotate di tamburi da 40 colpi e situazioni paradossali in cui due sparano a dieci e ammazzano ogni volta tutti. Che capisco sia una forzatura logica da cui non si può prescindere ogni tanto in questo genere di fumetto, ma quando lo si ripete per 160 pagine diventa ridicolo. E soprattutto noioso. Ecco, è questo il difetto peggiore: anche se non tutto quadra, si accetta se la storia è avvincente, ma in questo caso è stato un lento, faticoso trascinarsi verso una fine che non arrivava mai. Ulteriore aggravante è che si tratta di Speciale. Un lettore di vecchia data si aspetta una storia particolare, anche un po’ fuori dalle righe… insomma e per l’appunto “speciale”. Qualcosa cioè che giustifichi la non pubblicazione nella serie regolare, altrimenti che senso ha? Se deve essere solo un’occasione per mandare in edicola storie che stavano nel cassetto (e se ci stavano c’era un motivo, mi pare!) si può evitare la fatica. In più questi albi possono essere una opportunità per far conoscere il personaggio a chi non ha la costanza di seguire la serie, ma se uno che non ha mai letto Zagor parte con questa, credo ce lo siamo giocati per sempre.

Disegno: 5,5. Ho già avuto modo di dire che la mano di D’Arcangelo non mi piace. Tratto da “fanzinaro”, anatomie spesso disarmoniche e/o legnose e soprattutto modesti i visi. Quello di Cico è più che accettabile, ma quello di Zagor gli viene proprio male. 



PIRAMIDE DI SANGUE 
(Nn. 474/478)
Burattini - Ferri

Testo: 6,5. La prima cosa apprezzabile è la lunghezza, anche se troppo spesso vi si è arrivati, più che con un effettivo aumento di sostanza, tramite allungamenti di combattimenti o, peggio, con inserimenti di scene d’azione del tutto inutili, tipo lo scontro con l’anaconda nel terzo albo o quello tra i canneti all’inizio del quarto.  Anche alcuni passaggi narrativi mi lasciano più di una perplessità (Zagor che scala la parete della prigione, o come s’attacca al volo alla carrozza di Richter… e poi nessuno lo sente né vede) però non lo considero particolarmente grave all’interno di quasi 500 pagine che in qualche modo vanno fatte andare avanti anche un po’ forzando la logica e la fisica. Maggiore fastidio mi hanno dato invece certi atteggiamenti del nostro eroe, tipo quando insulta Cico ricordandogli che gli offre vitto e alloggio o quando, forzando le sbarre, apostrofa in malo modo il messicano, che tra l’altro ne sta pure lodando le doti. Ma il peggio è la spietatezza che mostra nell’uccidere Velasquez: per quanto questi sia una carogna, non è da Zagor, uno che di solito rischia la vita per salvare perfino chi lo voleva accoppare un secondo prima. Ecco, io considero queste le cose un po’ più rimarchevoli nel discorso di un allontanamento dalla filosofia zagoriana che non quelle espresse dai due lettori nella posta. Personalmente (e lo dico da storico insofferente allo splatter) non ho trovato così cruenta la scena del sacrificio: lo sarebbe stata, e quindi si sarebbe allontanata dalla famosa filosofia, se il disegno avesse indugiato compiaciuto in particolari, ma così non è stato.  Ancora più ridicola è l’accusa mossa all’aiuto al contrabbando: Zagor ha sempre infranto la legge vigente se lo riteneva più giusto, e del resto metà delle storie di avventura non si potrebbero raccontare se così non fosse (si pensi solo al topos della destituzione del tiranno). E, oltre ad averlo ben ribadito Bonelli nella posta, le motivazioni dello Spirito con la scure erano già state espresse nel suo ottimo dialogo con Denise. Esso fa parte sicuramente delle cose positive, insieme alle informazioni sulla storia azteca e alle gag di Cico (la parte con i parenti e i nipoti mi ha fatto schiantare). Diciamo che tutta la storia si trascina un po’ troppo all’inizio, recuperando via via fino ad un finale sicuramente più avvincente. L’albo migliore risulta infatti l’ultimo, in cui si fa la resa dei conti, si svela un nuovo tassello della ricerca di Richter e dove le scene d’azione sono maggiormente funzionali allo svolgimento dei fatti. Il problema principale, tirando le somme, mi pare sia lo scarso spazio che si è dato all’approfondimento delle personalità dei partecipanti. Ci sono dei buoni abbozzi, ma che alla fine rimangono tali, mentre data la lunghezza complessiva della storia si potevano inserire tranquillamente, anziché le scene di cui dicevo sopra. 

Disegno: 10.



CICO PIONIERE 
(Speciale n. 25)
Burattini - Gamba

Testo: 8. Uno dei migliori “Cico” di sempre. Innanzitutto apprezzabilissima la presenza di Trampy (una proposta: perché non lo facciamo diventare una costante di questa collana?), poi molte gag ed equivoci anziché giochi di parole. E soprattutto una trama ad unire i momenti comici che non rimangono quindi solo fini a loro stessi. 

Disegno: 6. Pur se il tratto non mi piace, ormai (lo riammetto!) mi ci sono abituato…



AGENTI SEGRETI 
(Maxi n. 6)
Burattini - Sedioli

Testo: 8. Un bel Maxi, pur senza particolari picchi, ma di certo piacevole e avvincente.
Elenco le componenti a mio avviso più positive: 
- adoro ogni volta che vedo Trampy in giro, come buoni sono i vari stemperamenti umoristici di Cico, finanche inutili alla narrazione ma importanti per la creazione del “clima” zagoriano; 
- personalmente apprezzo molto ogni volta che ci sono degli inserimenti storiografici, come si conviene del resto ad un Buon Giovane Nipote come il sottoscritto, e il Burattini che amo di più è proprio quello molto verboso, perché gli riesce bene, sa scrivere e sforna cultura in modo comprensibile e lineare; 
- Zagor è Zagor: eroe, coraggioso, combattivo ma sempre rispettoso della vita, intelligente e deduttivo, sereno, che sorride da amico alle sfighe di Cico; 
- tutta la vicenda è comunque ben condotta, con i suoi bravi colpi di scena, una notevole posta in palio e un cattivo non straordinario ma di buon livello.
Parti negative ne trovo ben poche. Magari ci sono alcuni passaggi palesemente allungati, roba che si sarebbe potuta risolvere in poche vignette e prosegue invece per pagine (come l’inseguimento al gigante nero all’inizio, o pagg. 158-160, e altre) ma tutto sommato sono difetti veniali.
A margine aggiungo però che mi dispiace che non sia stata colta l’occasione di avere tra le mani un personaggio come Tocqueville per lanciarsi in qualche analisi delle democrazie dell’epoca, magari facendogli illustrare bozze di teorie che avrebbe poi esposto meglio nel suo “La democrazia in America”. Dato lo sceneggiatore, come dicevo sopra, mi aspettavo qualche verboso scambio di idee tra lui e Zagor davanti ad un bivacco, un confronto tra un colto pensatore e un più pratico uomo dei boschi, magari soffermandosi sulla cosiddetta “dittatura della maggioranza” così cara al lungimirante padre della moderna democrazia. In questa storia, invece, che in quel ruolo ci fosse Tocqueville o un altro, alla fine cambia poco, e a mio parere questo è abbastanza un peccato.

Disegno: 8,5. Un po’ altalenante all’inizio sul volto di Zagor, Sedioli si è invece confermato alla grande in corso d’opera, tenendo una buonissima media un po’ in tutti i punti di analisi e meritando un particolare “bravo” nelle interpretazioni dei volti di personaggi reali.
Amando la scuola classica è un vero piacere scorrere il suo tratto pulito ed equilibrato. Per quel che riguarda la ricerca di un proprio stile, è ancora troppo ancorato a Ferri nel volto di Zagor, ma è un rodaggio che hanno attraversato altri prima di lui (esempio, Torricelli… e ho detto tutto!) prima di prendere una vera confidenza con uno dei punti grafici assolutamente fondamentali della serie. 



ULTIMA THULE 
(nn. 479/482)
Boselli - Della Monica

Testo: 8,5. Se il primo ritorno di qualche mese fa aveva abbastanza deluso, questa volta Boselli si riappropria dei suoi abituali livelli muovendosi sul terreno forse a lui più congeniale: quello del viaggio epico. Come si sa, l’ambientazione geografica inedita risulta particolarmente stimolante per questo tipo di narrazione, poiché permette di far confrontare Zagor con una serie di difficoltà nuove, quindi già molto gustose in partenza, che poi Boselli sviluppa con la consueta abilità, inserendo i sempre apprezzabili arricchimenti culturali, geografici, ecc. Aggiungiamo uno svolgimento assolutamente calibrato e una spruzzata di colpi di scena ed ecco che salta fuori una Signora Avventura, di quelle che ti incollano sulle pagine e che ti fanno sembrare di essere lì con gli eroi, ad affrontare la furia marina o a camminare sulla lava ghiacciata. La cosa più deludente è stato il finale, che considero un po’ forzato, per quanto ne capisca l’intenzione spettacolare. Insomma, l’anziano Richter viene investito da una valanga, precipita per molti metri in una caverna e non ha un graffio. Non solo, riesce in poco tempo a trovare gli oggetti di Loki e a mettere in funzione dei congegni sconosciuti. Ma se al limite la macchina spara-raggi può anche essere manovrabile intuitivamente, mi paiono davvero troppo azzardate e poco scientifiche le caratteristiche del casco respingente e soprattutto dell’anello. Come funziona quest’ultimo? Con la forza del pensiero? E una volta lancia raggi distruttivi, un’altra fa muovere dei meccanismi… mah?  Poi per carità, il fantastico è di casa negli albi zagoriani, ma questa storia aveva impostazioni maggiormente scientifiche e comunque mi può star bene purché lo si spieghi un attimo. Non mi convince più di tanto neanche la follia di Richter, ma è lo scadimento in congegni da B-movie (tali perché non spiegati degnamente) a lasciarmi maggiormente l’amaro in bocca.
E’ poi curioso il fatto che Zagor in questo tipo di ambientazione atlantidea si comporti sempre come un uomo in nero, non trovate? Se esistessero ancora le fanzine potrebbe essere lo spunto per un’analisi critica…
Fuori commento, vi condivido invece una lampadina che mi compariva nella zucca mentre mi gustavo il Nostro in lande mai frequentate. Dato che da un po’ di tempo il tabù del limite geografico americano è stato infranto, e non è la prima volta che viene in Europa, come lo vedreste nell’italica penisola? Sinceramente l’idea mi stimola alquanto, per quanto la mia parte “tradizionale” storca un po’ il naso timorosa. Cioè… OK, il vecchio continente è comparso sulle pagine di Zagor, ma finora si è manifestato nella sua parte più “selvaggia”, più in tono con l’impostazione base della serie. Per capirci, non lo vedrei molto bene in posti come Londra, Parigi o Roma. Ma è anche vero che attorno al 1830 anche da noi le zone meno “civilizzate” non mancavano. Per cui… non so. Se magari vi venisse in mente una bella storia… Pensateci, mh?

Disegno: 9. Parlavo sopra, nel commento al testo, della fascinosa sensazione di vivere quanto si sta leggendo: in questo processo mentale una parte gigantesca la aggiungono sicuramente le straordinarie matite di Della Monica, qui giunto secondo me al suo capolavoro.
Anatomie perfette, volti ed espressioni efficacissime, dinamismi vivi, che si vanno ad aggiungere ai soliti precisi fondali, storico punto di forza del disegnatore. All’interno di un lavoro davvero ineccepibile, entusiasta nota di merito per tutta la sequenza della tempesta marina, assolutamente FAN-TA-STI-CA! 
Unico punto negativo (ma non da poco) il volto di Zagor, che se è accettabile nei primi piani e nella media distanza, peggiora gravemente appena l’inquadratura si allontana. Strabiliante, al contrario, la resa di quello di Cico. 


ANNATA 2006




UN LORD A DARKWOOD 
(nn. 483-484)
Mignacco - Chiarolla

Testo: 6. Una normale storia di transizione, sostanzialmente scontata ma non spiacevole da leggere. Il soggetto è assai modesto e i relativi colpi di scena lo seguono (appena arrivati al villaggio indiano era chiaro come il sole chi fosse Adam), ma la sceneggiatura di Mignacco denota mestiere, specie in taluni dialoghi tra Cielo Tonante, Zagor e Lancaster, che però avrei gradito più approfonditi.

Disegno: 6,5. Pur non amandone lo stile, Chiarolla disegna più che bene quasi tutto, compresi sfondi e primi piani. Purtroppo in questo “quasi” sono compresi Zagor e Cico, per cui ciò abbassa ai miei occhi di molto il voto medio che si meriterebbe. Dopo tutti questi anni, evidentemente non gli riesce proprio di “centrare” bene il viso del protagonista, forse troppo classico per le sue corde (però il principale errore, la chioma troppo fluente - e in particolare sul collo - non mi sembra difficile da correggere).  Poi se la sceneggiatura lo porta in ambienti in cui il suo stile espressionista si può esaltare mi levo felice il cappello, ma in questo caso tutto ciò rimane solo in potenza.   



L’UOMO VENUTO DALL’ORIENTE 
(nn. 485/487)
Burattini -Pesce

Testo: 7,5. L’idea di base, il samurai che viene a vendicare Minamoto, è molto stimolante e Burattini nella parte iniziale la mette in pratica come meglio non si potrebbe, procedendo tramite flashback e didascalie del Bushido, il che fa molto “atmosfera”. Poi via via si trasforma in una storia abbastanza normale, certamente ben condotta e calibrata, ma che soffre dell’assenza di un’epicità che ci si aspettava, di un qualcosa che infiammi il cuore nella lettura.
In sostanza, benché ci siano alcuni confronti apprezzabili tra Takeda e Zagor, confesso che confidavo in un qualche passaggio sulla falsariga dell’immortale dialogo tra il Nostro e Minamoto (a mio parere uno dei momenti “impegnati” di Nolitta di livello più alto di tutta la serie), che lo riprendesse e lo approfondisse ulteriormente. Conoscendo le capacità espresse dallo sceneggiatore in altri contesti simili e la sua naturalezza nel muoversi tra le corde nolittiane, mi aspettavo qualcosa da ricordare. Peccato, invece. A parte questo, le positività espresse all’inizio rimangono, alle quali aggiungo il gradito ritorno di Robson e la possibilità di un ritorno di Takeda in futuro, dove forse certi discorsi potranno essere ripresi.

Disegno: 9. A quanto mi ricordo, la miglior prova di Pesce. La “mano” è sempre notevole e se accantona, come stavolta e ci si augura per sempre, alcune bizzarrie anatomiche di qualche tempo fa, mi pare possa essere una solida colonna della testata. Diversi primi piani sono davvero bellissimi e, come al solito, la resa dei personaggi femminili gli fa compiere un balzo che non lascia indifferenti. Gli unici difetti li trovo anche qui dove al solito, cioè nelle troppe vignette prive di sfondo (ulteriore peccato, perché quando li disegna li fa benissimo) e nell’effetto “carta carbone” per fare alcune ombreggiature, che però danno più un’impressione di sporco che di voluta profondità, forse anche a causa del tipo di carta degli albi bonelliani.



LA’ DOVE SCORRE IL FIUME 
(nn. 488-489)
Mignacco - Mangiantini

Testo: 7,5. Se finora le prove di Mignacco su Zagor erano apparse un po’ fiacche, specie se relazionate al curriculum, questa volta il livello è più che soddisfacente. Peccato per la brevità della storia che, unitamente ad un plot abbastanza scontato, mantiene il voto entro certi limiti: ampliando e sviscerando i rapporti di Zagor con Jim e Kirk sarebbe potuto uscire fuori un piccolo capolavoro.
Le premesse c’erano tutte, ma poi sono state poco curate. Subito l’introduzione di un ragazzino pieno di sogni e voglia di avventura, stroncate dalla brutale uccisione del padre, proprio come il piccolo Pat Wilding. Poi l’apprezzabile chiacchierata iniziale tra i due pards, che rievocano i loro trascorsi e approfondiscono (poco!) certi aspetti della loro amicizia. Sembrava quindi una vicenda da “passaggio di testimone” tra generazioni, e come tale fortemente simbolica se non miliare, cosa che pareva intuirsi anche dal carattere rievocativo dei discorsi tra Cico e Zagor, come un tirare le somme di una vita per contare ciò che è da trasmettere. Mi aspettavo quindi che alla fine Jim uscisse sconvolto positivamente dalla tragica esperienza, e come Pat “rinato” da essa. Insomma, che Zagor facesse con Jim ciò che Wandering Fitzy fece iniziaticamente con lui per creare un personaggio da ricordare. Purtroppo tali attese sono andate abbastanza deluse, chiudendo affrettatamente questi interessanti spunti. Aggiungo a tutto questo la presenza di un altro elemento simbolico come Kirk, simile a Zagor a livello embrionale e parzialmente piccolo maestro per lui, ma che poi degenera quel germoglio positivo che porta invece lo Spirito con la scure ad essere ciò che è. Poteva aggiungere simbologia a simbologia e interessanti confronti tra i due sulle rispettive filosofie di vita e/o ciò che porta un uomo su una strada o su un’altra, mentre viene usato troppo poco in questo senso. Almeno la sua fine fa ben pensare per un ritorno, dato che la caratterizzazione, specie finale, è decisamente interessante. Forse potrebbe essere per Mignacco ciò che Nat Murdo fu per Boselli. Vedremo.

Disegno: 8,5. Davvero bravo questo esordiente, che non prende un voto ancora più alto solo perché stecca un po’ nella per me Disciplina Somma, ovvero la resa del volto di Zagor. Non che sia male, ma mi pare che non se ne sia ancora impadronito come dovrebbe, dato che cambia troppo spesso da vignetta a vignetta, con espressioni un po’ “legnose” che denotano una certa insicurezza. 
Per tutto il resto, invece, grandi complimenti. Da una media decisamente elevata spiccano ancor di più i fondali molto ricchi e bilanciati, e le interessanti caratterizzazioni dei vari trapper.
Considerando che questa è la sua prima prova e che quindi dovrebbe migliorare, mi auguro che il neo arrivato Mangiantini venga caricato a Darkwood in pianta stabile.




CICO RIVOLUZIONARIO 
(Speciale n. 26)
Burattini - Gamba

Testo: 6,5. Numero senza particolari picchi, ma che permette comunque di passare un’oretta di usuale divertimento. Graditi in particolare i ritorni di Lapalette e di Arturo il canguro.

Disegno: 5,5.



LA MALEDIZIONE DEL POSEIDON 
(Speciale 18)
Soggetto: Sossi - Sceneggiatura: Burattini - Disegni: Ferri.

Testo: 5,5. Non amo molto questo genere di storie in cui il piatto forte sono spettri e/o mostri vari. In particolare la considero una tematica un po’ azzardata su Zagor (specie in relazione al maggior realismo del “nuovo corso”), sebbene storicamente gli appartenga di sicuro. 
Poi se c’è una storia particolarmente epica o leggendaria che li supporti e in un certo senso “li chiami” va bene, altrimenti mi appaiono come espedienti narrativi in cui è facile far succedere di tutto. 

Disegno: 10.


MARINES 
(Maxi 7)
Capone - Della Monica

Testo: 8. Unico limite di questo gradito ritorno di Capone sta nella trama un po’ troppo “già vista” (per quanto qua e là si vedano al contrario alcune scene decisamente inusuali come la morte – in più banale – di quello che sembrava un personaggio portante come il capitano Brosnan). Ma come sempre è il “come” che fa la differenza sul “cosa” e in questa storia svolge sicuramente tale compito.  I dialoghi sono tenuti mediamente su livelli alti, per quanto forse nessun passaggio prenda particolarmente il volo, e le caratterizzazioni dei personaggi ne escono quindi molto bene. Certo, tra loro ci sono spesso stereotipi (come è normale in una storia militare) ma la bravura dello sceneggiatore sta nel non farli mai sembrare tali, e le loro parole li fanno apparire al contrario veri e credibili. Alla fine non ci sono personaggi completamente buoni né completamente cattivi, villain compreso, come scuola nolittiana insegna e come forse è sempre in ogni narrazione di un certo spessore.

Disegno: 8. Il solito bravo Della Monica a cui però stavolta non perdono l’aver trascurato i suoi bellissimi fondali nella prima parte della storia. Verso la fine ritorna all’abituale e ancor di più ti fa rimpiangere ciò che manca all’inizio.
Altro errore, secondo me, aver poco diversificato i visi dei marines, aggravato dal fatto che sono anche vestiti tutti uguali: ad esempio alle volte mi è capitato di confondere Craig e Owen.
Per il resto che devo dire? Bravissimo come al solito. Cico è superlativo, come le rare vignette grandi (facciamogliene fare di più!!!).





HURON! 
(nn. 490/493)
Boselli - Piccinelli

Testo: 7-. Apprezzabile la lunghezza non fine a sé stessa ma, al contrario, con tante situazioni avventurose e differenti, e la “mano” di Boselli, che sa far filare via bene le vicende e creare buoni personaggi di contorno.
Oltre questo però non c’è molto altro. La storia è ad un unico livello, se pur ben condotto, e se anche i comprimari non sono piatti, nessuno viene però particolarmente approfondito. Anche chi fosse David a grandi linee si capisce abbastanza presto. 
Insomma, gli ingredienti sono un po’ poveri, ma essendo ben cucinati alla fine il tutto si legge volentieri.

Disegno: 9,5. Allora, io 10 lo do solo a Ferri, o di fronte ad una prova straordinaria di uno che comunque ha già fatto vedere cosa sa fare. Mai ad un esordiente. Chiamatela puzza sotto il naso, ma è un po’ come quando un novizio deve essere accettato in un club: gli si fanno fare le prove, magari è bravissimo, e lo facciamo entrare, ma noi “anziani” non lo accettiamo davvero tra di noi se non dopo un po’ di tempo. Ora, per me non esiste club più esclusivo (nel senso di “sentirlo mio”) di quello dei lettori zagoriani, perché lo frequento da quando sono nato. Pertanto quando arriva un pezzo nuovo lo accolgo con tutta la felicità che si prova verso chi viene ad accrescere qualcosa che ami, ma contemporaneamente, per quanto possa essere apprezzabile, aspetto altri riscontri prima di sbilanciarmi. Ma mentre sfogliavo le pagine di Piccinelli davvero non riuscivo a concepire un voto inferiore a quello massimo, se non per l’unico neo del volto di Zagor. Ma nel corso delle pagine mi è parso migliorare, quindi non avevo più neppure questo alibi.
Insomma, al di là di quello che nel voto c’è effettivamente scritto per non tradire i miei principi di lettore di lunga data, il lavoro di questi albi è semplicemente fantastico! 
Trovare difetti è davvero da peli nell’uovo, ed è tutto di tale livello che non so nemmeno quali aspetti positivi sottolineare in particolare. Scelgo con fatica la straordinaria plasticità anatomica, alcune scene d’azione espresse con la maestà di un racconto epico, e soprattutto l’incredibile quantità di particolari negli scenari, abiti, ecc. che mi ha costretto a rallentare di parecchio il tempo di lettura per gustarmi le tavole come meritavano.  
CLAP CLAP, bene, bravo e, soprattutto, bis!!!



ANNATA 2007




IL VAGONE BLINDATO 
(nn. 494-495)
Rauch - Sedioli

Testo: 5,5. Storiella del tutto trascurabile, il cui soggetto, pur se con qualche piccolo intreccio, viene banalizzato da una sceneggiatura assai piatta, che si limita a muoversi attraverso sparatorie e inseguimenti senza nessun approfondimento. Come si dice, di passaggio.

Disegno (Sedioli): 8,5. Pur non toccando nessun picco particolare, la media di Sedioli è sicuramente molto alta. Il suo tratto preciso e lineare è ormai una sicurezza che fa sempre piacere leggere.  




IL RITORNO DEL MUTANTE 
(nn. 496/499)
Burattini - Verni

Testo: 7. In una metafora culinaria, dico che subito ho gradito tantissimo la quantità della portata (400 pagine non capitano sempre, e aggiungo ahimé) e ancor di più il contorno, dove per contorno intendo la meravigliosa gag iniziale con Cico e Trampy!  Oltre ad essere intelligente e divertentissima, il fatto che abbia occupato quasi metà albo mi ha davvero riportato indietro di tanti anni, a quelle storiche gag che inseriva Nolitta e di cui io sento tantissimo la mancanza. Ok, capisco che ad un nuovo lettore possano lasciare qualche perplessità, ma un bel chissenefrega lo vogliamo dire? Noi zagoriani siamo per la maggior parte di vecchia data, quindi… che si adeguino loro!
Bella comunque tutta la parte cichiana, i suoi scambi di battute con Zagor, il suo sbrodolarsi, la sua galanteria da hidalgo e il fantastico sogno della pecora! Il “piatto” non è invece stato all’altezza dell’incipt. Intendiamoci, l’intreccio architettato da Burattini è stato minuziosissimo (direi alla Mortimer), ma alla fine è diventato quasi un’arma a doppio taglio, nel senso che era diventato talmente intricato da averlo costretto a passare troppo tempo a dipanarlo con continue spiegazioni.
A dire il vero mi ha anche poco convinto la complessità del piano ordito da Sophie per liberare il padre. Insomma, partire dall’avvicinare un agente segreto, sposarlo, spingerlo a rubare dei documenti segreti (cioè un lavoro di mesi o anni) solo per farsi portare in presenza di Skull è certamente spettacolare ma troppo cervellotico e poco realistico. Visti i suoi poteri avrebbe potuto convincere qualche personaggio influente (Blaine, il direttore del carcere) e giungere al cospetto del padre molto più rapidamente. Per non parlare della simulazione dell’incidente del marito: lo ha drogato, menato, posto sotto il finestrone (che ha rotto prima) sapendo che proprio poco dopo sarebbero arrivati gli agenti? Mah. Essendo la moglie avrebbe potuto farlo finire in coma in mille momenti. Però, vabbè, si è scelto la via più avvincente e va anche bene così, non è questo il problema. Diciamo che mi aspettavo di più da questo ritorno importante. Mi immaginavo per Skull un ruolo molto più terribile e raffinato, un po’ alla Hannibal Lecter, per capirci, e in effetti l’inizio mi pareva andare in quella direzione. Invece tutto sommato il mutante si vede poco nelle 400 pagine, né si acquisisce qualcosa di più della sua personalità, dei suoi pensieri e si perde quindi l’occasione di soffermarsi sulle sensazioni di una persona dotata di prospettive straordinarie.
In questo senso Toninelli (che era infatti il miglior Toninelli, quello dei primi tempi) ci aveva fatto sapere qualcosa su come lui percepisce i pensieri altrui e anche Blaine ci aveva fornito qualche spiegazione scientifica che io adesso, in una fase più “matura” del fumetto in genere rispetto a 20 anni fa, mi aspettavo ulteriormente approfondita, e che invece è mancata completamente.
Mi ha anche lasciato un po’ interdetto la scena finale con la testa sotto spirito (in effetti ci sono stati in questa storia alcuni momenti splatter inusuali per Zagor, ma comprensibili): mi aspettavo (mi auguravo) un ritorno di Skull ma non pensavo tramite Altrove. Perché io penso che tornerà in qualche modo, vero? Magari con i cervelli innestati in un androide o cose del genere.
Insomma, una storia che si legge volentieri, ma che rimane un po’ a metà, specie inquadrandola nei “ritorni”.

Disegno: 9. Forse Verni è poco spettacolare, magari un po’ freddo, ma che devo fare? Quando vedo uno che mi ripropone uno stile “Ferriano” di questo livello io non riesco a non entusiasmarmi. 
Del resto anche obiettivamente di errori se ne vedono pochi, dei quali il più criticabile è quel primo piano frontale di Zagor ripetuto in continuazione ogni dieci pagine (ad esempio, nel secondo albo, a pag. 25, 36, 45, 56, 64, 75, 86), però torniamo sempre lì: è così “Ferriano” che, come dice Britti, mi piace lo stesso! Che ci posso fare?



MAGIA INDIANA 
(N. 500)
Burattini - Ferri

Testo: s.v. Provo un qualche imbarazzo nel dover giudicare questa non-storia, perché non c’è assolutamente niente da dover valutare. Per quanto io ami i ritorni, le citazioni e quant’altro, queste 94 tavole sono una ripetitiva sequenza di combattimenti, a cui se non altro la valenza onirica restituisce il senso della mancanza di senso. Ad un certo punto sono andato a rivedermi il tamburino perché non mi pareva possibile che Burattini avesse scritto una cosa del genere.
Magari anche caricato, ma non solo, dall’ultimo, intensissimo “centenario”, mi aspettavo qualcosa degno della ricorrenza (ulteriore demerito), mentre questo pare più una specie di demo, o un’albetto promozionale da dare alle mostre. Ma se questo era l’intento credo che qualunque potenziale neo lettore che l’ha acquistato incuriosito dal colore, se ne sia fuggito a gambe levate.  
Va bene (anzi benissimo) la rievocazione in occasioni come queste, ma un minimo di storia ci dovrebbe essere sempre, a maggior ragione in albi celebrativi. Peccato.

PS: Quanto sopra il commento a caldo. Poi leggendo e scambiando qualche parere sul forum (ahimé, ho solo il tempo per lurkare ogni tanto), mi è stata spiegata l’intenzionale finalità meramente celebrativa, per cui l’ho riletto sotto questa luce e apprezzato diversamente. Rimane comunque forte il sapore amaro di un’occasione importante secondo me non sfruttata al pieno della potenzialità. 

Disegno: 10.



IL MALEFICIO DI ANULKA 
(Speciale n. 19)
Burattini - Mangiantini

Testo: 6. La componente migliore è quella prettamente gialla, nel senso che l’intreccio è sufficientemente goloso, e anche i colpi di scena sulle rivelazioni finali sono buoni (almeno per me, che non c’ero arrivato).  Per il resto c’è però ben poco d’altro. Gli avvenimenti sono abbastanza allungati e soprattutto non c’è nessun spessore psicologico. Il genere si presterebbe ad approfondimenti tipici, come il sonno della ragione delle folle isteriche, oppure il concetto di “male” e “diverso” visto da una strega (magari un confronto tra le due): Anulka abbozza qualcosa ma purtroppo finisce subito.

Disegno: 8/9. Mangiantini conferma l’alto livello della sua prova d’esordio, con particolare nota di merito per i fondali curatissimi e tratteggi vari. Rimane invece ancora un po’ incerto sui visi dei protagonisti, troppo altalenanti da vignetta a vignetta (specie Zagor), e su alcune scene dinamiche in cui a mio avviso la presenza di linee cinetiche “classiche” stona un po’ (es pagg. 27-29). 



CICO & COMPANY 
(Speciale n. 27)
Burattini - Gamba

Testo: 7. Divertente come sempre, anche se rappresentando l’addio mi aspettavo forse più fuochi di artificio. Ma al di là delle idee che uno si fa davanti all’edicola, mi è piaciuta l’impostazione corale, proprio perché d’addio, ed anche la metafora finale dell’editore dal nome lampante che non pubblica più storie umoristiche. Mi sono gustato insomma quest’ultima risata. E mi mancherà.

Disegno: 6. 



UOMINI IN GUERRA 
(Maxi n. 8)
Burattini - Prisco

Testo: 6-. Un albo che si legge bene, ma che oltre alla pura azione non offre quasi nulla. Amici e nemici sono impalpabili, e anche le vicende non raccontano niente di nuovo. Tengono il voto alla linea di sufficienza il numero di pagine e la sfida finale, che mostra un’usanza indiana interessante. 

Disegno: 8,5. Beh, bisogna dire che ultimamente i disegnatori esordienti a Darkwood sono uno più bravo dell’altro. Anche Prisco si infila alla grande nel solco dei recenti predecessori. 
La media delle tavole è molto buona, sia nella fasi statiche che di azione; non ci sono mai particolari cadute sebbene neanche grandi picchi (qualche vignetta grande ci sarebbe stata bene, ma forse la sceneggiatura non la richiedeva, non so).  Notevole la resa di Cico, mentre il viso di Zagor non è sempre ben centrato.



I GUERRIERI DELLA NOTTE 
(nn. 504-505)
Cajelli - Laurenti

Testo: 7. Confesso che intuendo dalle copertine il genere di questa storia, mi aspettavo una raffica di combattimenti fine a sé stessa, per cui l’ho cominciata con una certa diffidenza. Invece l’ho finita con un sorprendente gusto, non tanto per il plot che rimane abbastanza intuibile fin dall’inizio, ma per la sceneggiatura ben condotta, che soprattutto delinea i comprimari con più di un’apprezzabile pennellata di spessore (O’ Malley e Wong su tutti).

Disegno: 7/8. A memoria è forse la peggior prova di Laurenti, e il fatto che essendo la peggiore la giudichi da 7/8 fa capire quando apprezzi questo disegnatore in genere. 
Quando “si impegna”, come nei primi piani o in qualche scena di impatto, è il solito grande, ma mi pare che in tanti altri frangenti tiri un po’ via, stilizzando assai e trascurando spessissimo i fondali, specie nel secondo albo. Ma ce ne fossero, comunque.




IL GIGANTE DI PIETRA 
(nn. 506/509)
Burattini - Rubini

Testo: 8,5. A grandi linee potrei ripetere quanto detto per il Maxi.
400 pagine (slurp!) che si leggono alla grande, bella avventura e tanti colpi di scena. Sul finale in particolare, sfido chiunque ad averlo intuito. Dopo aver via via scartato uno dopo l’altro i sospettati, non sapevo davvero a che santo votarmi per indovinare l’assassino. Magari la motivazione è un po’ contorta, ma ineccepibile. L’idea di fondo è perfino più originale dell’altra (e ribadisco, è un miracolo riuscire a trovarne ancora) e ben sviluppata. Meravigliosa la scenetta tra Zagor e il maggiore in cui entrambi non riescono proprio a capire per quale motivo quei folli vogliano scalare un monte “per il gusto di farlo” (qui non ci sarebbe stata male una gag con Cico). In effetti tanti comportamenti che noi moderni occidentali riteniamo normali ma in realtà del tutto superflui, ci farebbero apparire come pazzi da legare agli occhi dei nostri avi, per i quali ogni giorno era davvero una lotta per la sopravvivenza.  A proposito di Cico, sempre gradita la sua parte iniziale e le varie stemperate qua e là in corso d’opera. Sempre similmente al Maxi, anche qui le poche parti “negative” (tra virgolette, appunto) rimangono sui personaggi, i quali sono tutti delineati in maniera soddisfacente ma nessuno spicca veramente sugli altri. Una buona media diffusa, insomma, ma nella quale manca l’affondo che ti rende un character più o meno indimenticabile.
E’ questa per me la componente che porta una potenziale grande storia ad essere una storia “solo” (per modo di dire) più che buona, quale questa in effetti è.

Disegno: 8,5. Bravo davvero anche questo Rubini, come praticamente tutti gli ultimi arrivi. Molto curato nei particolari ma senza appesantire la lettura, si muove bene in tutti gli scenari che gli si parano mammano davanti. Alcune vignette grandi sono di notevole impatto, come l’esplosione del geyser o lo stagliarsi del monte all’arrivo. Tra l’altro mi pare una scelta particolarmente azzeccata in ambienti rocciosi, dato che ha uno stile che rende vagamente “pietroso” un po’ tutto, persone comprese (mi ricorda un po’ Terry Dodson, specie nei nasi), ma a me piace. Ancora non centratissimo, invece, il viso di Zagor, comunque migliorato con lo scorrere delle pagine.


ANNATA 2008




LA MONTAGNA DI FUOCO 
(Maxi n. 9)
Burattini - Cassaro

Testo: 7+. Un maxi che si legge bene, con una trama che fila senza sbavature, anche se senza particolari colpi di scena, se non quello finale. Voglio dire che solitamente su Zagor, per “filosofia di testata” e anche del genere avventuroso, si cerca di tendere il più possibile non dico verso il lieto fine ma quasi, per cui una conclusione in cui un’intera guarnigione viene spazzata via in modo così cruento sorprende abbastanza. Sono eccezioni che, proprio se usate come tali, possiedono un sapore proprio di particolare drammaticità. Una nota di merito anche per il tema: dopo oltre 500 numeri, trovare a Darkwood un argomento originale è davvero difficile e merita di essere sottolineato. Peccato che i personaggi non riescano davvero ad emergere come meritano in una narrazione che tiene comunque come elemento centrale l’eruzione del vulcano, anziché le vicende umane che le danzano attorno. Ci sono infatti abbozzi di psicologie molto ben fatti (una su tutte: lo scambio di vedute tra Zagor e Dawson), ma che rimangono appunto abbozzi. E’ questo quindi secondo me il principale limite di una storia piacevole da leggere ma che si limita a stuzzicarti senza mai aggredirti fino in fondo, quando il numero di pagine lo avrebbe di certo permesso.

Disegno: 6/7. Come sempre, con i Cassaro hai la sicurezza di un tratto classico e gradevole, con alcuni momenti più alti (es. tipico i primi piani) e altri di caduta (le disarmonie dei volti da vignetta a vignetta).  Benché le scene d’impatto non siano il loro forte, stavolta mi pare che si siano mossi bene nel settore, compresa l’esplosione finale del vulcano.






I LUPI DEL FIUME 
(nn. 510-511)
Cajelli - Bisi

Testo: 7. Il plot non è niente di che, ma la sceneggiatura lo rende abbastanza avvincente, nello snodo delle vicende e soprattutto nei dialoghi e nella caratterizzazione dei personaggi che, per quanto limitata dal numero di pagine, mostra alcune pennellate interessanti. Su tutti il capitano Ford, un character apparentemente negativo e violento, da cui invece emerge una sua morale e senso di giustizia, e che sarebbe interessante rivedere anche in una prossima occasione.

Disegno: 8,5. Il giudizio di Bisi segue quello sopra espresso per Rubini: unico difetto il viso di Zagor (non è da poco), ma per il resto il suo tratto curato e ricchissimo di particolari va alla grande in tutte le situazioni, dai primi piani alle scene d’azione, dalla foresta alle ambientazioni acquatiche. Bravo davvero.  




L’ORDA INFERNALE 
(nn. 512-513)
Mignacco - Sedioli

Testo: 5. Il primo albo contiene qualche elemento interessante (la continuità con Eskimo, le origini della pietra), ma che purtroppo viene del tutto disatteso in corso d’opera. 
Penso che la componente “magica” in un racconto, a meno che non sia di genere, debba essere usata solo in casi particolari e memorabili, tali da giustificare il rischio della caduta nel banale. Non è questo il caso, e i temibilissimi Ulthai si dimostrano via via dei forzuti qualunque, tutto sommato facilmente battibili una volta capito il trucco. Se infatti nel primo albo i mostri rappresentavano ancora la gigantesca minaccia che si voleva attribuire loro, nel secondo un pugno di uomini normali ha presto ragione, ad ogni occasione di scontro, di un gruppo ben più numerosi di superuomini potentissimi, il che diventa ridicolo e soprattutto poco avvincente. Fino al top in cui Zagor sistema con un paio di cazzotti Dark Moon, per quanto trasformato addirittura ne “il più potente degli Ulthai”! Un finale tirato via che liquida velocemente una serie di temi rimasti in sospeso (Freccia Spezzata e il fratello, il tenente e il cinismo dell’esercito… e il tentativo molto goffo di aumentare il pathos con la caduta di Cico) che potevano essere interessanti se ben sviluppati.

Disegno: 7. Il solito buon lavoro di Sedioli, forse un po’ sotto il livello delle ultime storie (è un’impressione andando a memoria, per cui vale quel che vale), ma sempre preciso e pulito, con la resa del volto di Zagor molto migliorata.



SENZA PIETA’ 
(nn. 514/516)
Burattini - Chiarolla

Testo: 7,5. Credo che Gray sia un villain perfetto per Burattini, a suo agio quando può snodare le vicende su una serie di atti criminali particolarmente elaborati, come quelli del sempre gustosissimo Mortimer. Da questo punto di vista è un vero peccato che l’Alchimista sia stato ucciso, anche se confido per il futuro in una delle leggi portanti del fumetto, ovvero quella che permette di recuperare un personaggio (apparentemente) morto quando occorre. Una storia quindi godibile, con tutti questi fantasiosi marchingegni e trappole, che permette oltretutto a Zagor di cavarsela usando non solo le proprie doti fisiche come al solito ma anche quelle intellettive, come fa quando riesce a salvarsi dalla miniera. Colgo l’occasione per invitare ad usare più spesso questa caratteristica del Nostro, unitamente a quel “sesto senso” nolittiano che conferiva un alone di soprannaturale che si è perso e che a me manca assai. Immagino che la pesante rivisitazione iniziale del duello che porta alla sconfitta Gray farà storcere il naso a qualcuno: a me non è invece dispiaciuto, poiché ai tempi mi aveva molto infastidito la mezza crisi isterica di Zagor e il conseguente immediato rabbonimento dei Mohawk, troppo poco giustificato in relazione allo “sgarro” compiuto dallo Spirito con la scure. Insomma, si sarebbe potuto risolvere la faccenda in ben altro modo, e lo vissi come un tradimento insopportabile della filosofia zagoriana (ci rimuginai per anni, non mi andava proprio giù quel comportamento un po’ vigliacco del mio eroe… ma avevo 16 anni, comprendetemi. Anche se poi tra noi appassionati ci diciamo che i fumetti non traviano i giovani…!). Il finale è la parte migliore, in cui Gray svela più approfonditamente la propria storia, anche se si intuisce che forse le cose non sono andate proprio come le racconta. Ma sempre nella parte conclusiva troviamo secondo me una “caduta” narrativa: non capisco infatti perché Zagor corra ad aprire la porta della base per fare entrare i soldati, rischiando che gli si rivoltino contro (come in effetti accade) anziché cogliere Gray di sorpresa (gli arriverebbe infatti alle spalle), dato che sarebbe uno contro uno ed avrebbe alte probabilità di sconfiggerlo. Chiudo con una nota di merito per la gag di Cico e Trampy, sempre gradita, ma in questo caso anche ineccepibile e credibilissima.

Disegno: 6,5. Chiarolla è oggettivamente bravo e particolareggiato, ma io non ne amo lo stile, che riesco ad apprezzare solo nelle fasi cupe e “orrorifiche” di una storia. Per il resto (qui la maggior parte) lo trovo troppo poco realistico. 



LA PISTA DEGLI ASSASSINI 
(Speciale n. 20) 
Mignacco - Torricelli

Testo: 6+. La prima parte contiene delle premesse appetitose ed è ben sceneggiata, ma la seconda fa purtroppo cadere tutto quanto di buono si andava delineando. Thomas è subito caratterizzato da un intenso quadro psicologico, e successivamente viene introdotto un altro elemento dalla personalità profonda come Volo di farfalle. Tutto questo permette una certa qualità di dialoghi che permane fino al bel viaggio nel paese delle ombre, con tanto di rivisitazione in chiave indiana (quindi poetica) di alcuni archetipi della psicoanalisi. Da lì in avanti, purtroppo, si vira bruscamente verso il giallo qualunque (anche se è una sorpresa la motivazione degli assassini), con più di un passaggio narrativo tra l’incomprensibile e il ridicolo, tipo alcune scene di lotta o il modo in cui Zagor evade dalla prigione, in cui sono troppo evidenti le forzature logiche per far andare le vicende verso un certo modo prefisso.     A margine, un altro piccolo “spreco” delle premesse sta a mio avviso nei palesi rimandi a Batman: i nomi Thomas, Wayne, Ward (Burt attore nel telefilm), l’omicidio dei genitori e la continua ossessione visiva della collana della madre, il pipistrello come animale totem (e in particolare la sua scoperta grazie ai nativi americani, come nella “Sciamano” di Dennis O’Neil), eccetera. Dopo tutto ciò, pensavo alla storia di fondo come a un “mega inside-joke” zagoriano della vicenda dell’uomo pipistrello e quindi mi aspettavo che la cosa sfociasse da qualche parte nel finale, mentre anche questa originale impostazione viene lasciata cadere.

Disegno: 9-. Che devo dire su Torricelli? Che lo adoro e lo vorrei vedere molto più spesso.  Mi limito a rilevare come il suo stile stia evolvendo verso un’eleganza e una pulizia che se da un lato esalta la meraviglia di ciò che disegna (la tavola di pag. 49 sembra davvero il bosco incantato di una fiaba), dall’altro rende spesso i visi un po ‘troppo stilizzati e “vuoti”, il che è un peccato, visto la maestria nel tratteggio di cui dispone.



CORSA MORTALE 
(Maxi n. 10)
Perniola - Sedioli

Testo: 8. Beh, bravo davvero questo esordiente, che imbastisce una vicenda che definirei dal sapore classico, con tanto di argomento originale (anche lui! Si vede che è il periodo!).  Pur senza mai raggiungere particolari picchi emozionali o introspettivi (e questo è il suo maggior difetto), la sceneggiatura risulta molto ben bilanciata dato che dosa perfettamente azione, colpi di scena, giallo e umorismo. Credo che quest’ultima voce, espressa nella presenza costante di Cico e Trampy, abbia decisamente contribuito alla “lubrificazione” della lettura, ed è un elemento (peraltro molto nolittiano) che invito a tenere presente per le future storie. Bellissima la battuta del vecchietto a Zagor: “Ma dove vivi? In una palude?”.

Disegno: 8. Ormai Sedioli si può definire una sicurezza a Darkwood, col suo tratto classico e lineare.  I voti vengono dati sulla prova in sé, ma se considerassimo la stupefacente velocità di esecuzione (direi di altri tempi) sarebbero molto più alti, perché facendo a memoria il conto delle tavole che si è snocciolato negli ultimi due anni, sono davvero una caterva come nessun altro.
Ergo, teniamoci ben stretto questo disegnatore! 



HAWAK IL CRUDELE 
(nn. 517-518)
Burattini - Esposito Bros

Testo: 7. Una storia di fondo abbastanza scontata, con qualcuno che scappa e altri che inseguono, che risulta però piacevole da leggere, poiché le fasi dell’inseguimento si susseguono in modo avvincente e incalzante. In particolare conferisce spessore la figura di Zoe, una bella personalità che non sarebbe male rivedere, e che permette di inserire tematiche inedite nella testata come la violenza e l’emarginazione femminile, le quali, proprio perché inusuali, risultano materia particolarmente delicata da trattare, cosa che Burattini compie in modo perfetto. Apprezzato anche l’utilizzo dei Cayuga “tradizionalisti”, e il conseguente mostrarci usi, costumi ed edilizia.

Disegno: 9. Quando lessi che gli Esposito arrivavano su Zagor pensai che non erano una buona scelta. Non che mi dispiacciano, ma neanche mi fanno impazzire, in quanto spesso troppo “algidi” e stilizzati, per cui non li vedevo bene su una testata dal taglio grafico realistico come questa.
Invece… WOW! Mi rimangio tutto e mi levo tanto di cappello. Una lavoro eccellente, assolutamente in linea con la testata, e ricchissimo di splendidi dettagli, dall’abbigliamento dei pellerossa alle parti boscose e fondali in genere. Sballottati (per fortuna) in continui cambi di location, i nostri Bros se la cavano alla grande un po’ ovunque e in particolare la sequenza sotto la pioggia è da Oscar! Applausi, tutti in piedi e, mi raccomando, non molliamoli più! 



ANNATA 2009




IL SEGNO DEL MALE 
(nn. 519/521)
Capone - Ferri

Testo: 6-. Sarà forse pure colpa del confronto con la prima apparizione di Stephan, ma per i primi 2/3 la lettura mi risulta noiosa, e senza capire bene dove si vuole andare a parare. Sebbene nel finale verranno spiegate alcune apparenti incoerenze di comportamento del villain, purtroppo prima c’è ben poco che incuriosisce, e il tutto scorre troppo fiacco. Inoltre alcuni passaggi narrativi lasciano quantomeno perplessi: mi riferisco a quando Zagor scala la chiglia di una nave scivolosa come niente fosse o quando fa altrettanto con le mura della fortezza, riuscendo perfino – lui appeso con una mano a una sporgenza - a trascinare giù un uomo. Vabbè che il Nostro è uno capace di imprese mirabolanti, però ci piacerebbe qualche sforzo in più da parte dello sceneggiatore nel fargli superare le difficoltà, anziché appoggiarsi comodamente sullo sfruttamento delle straordinarie doti fisiche, perché così scadono nell’ordinario, o peggio nell’irritante. Per fortuna nel finale si assiste ad una sterzata migliorativa, con le rivelazioni di Stephan e soprattutto le ottime esposizioni delle “parti” al processo, meritevoli a mio parere di uno spazio più approfondito (magari queste tesi potevano essere distribuite anche in diversi momenti in corso di narrazione). In più l’incarnazione di Haggoth crea quantomeno un bel nemico tosto che da’ del filo da torcere a Zagor, fornendo finalmente un po’ di pepe, purtroppo troppo tardi per rendere davvero saporita la pietanza.

Disegni: 10. 




L’IRA DI TONKA 
(Maxi 11)
Burattini - Pesce

Testo: 8,5. Bel maxi questo, con una storia avvincente e ricca di imprevisti. Il plot fornisce addirittura una duplice originalità (caratteristica, questa, notoriamente non semplice da imbastire a Darkwood): il mettere contro i due fratelli di sangue, ma anche l’incredibile (ma giustificatissimo) doppio gioco di Zagor, basato su una riflessività strategica che in genere non appartiene ad un tipo tendenzialmente impulsivo come lui. Interessante il sottofondo dei giochi politici che stanno dietro al tutto, assolutamente plausibili e che anzi dimostrano una volta di più come Burattini sia profondo conoscitore dei delicati (e pertanto facilmente assoggettabili) meccanismi attraverso cui il Potere esprime la propria forza e il proprio consenso di fronte alla pubblica opinione, tramite un sapiente gioco di provocazioni / reazioni, unito alla fondamentale manipolazione dei fatti, tanto più facile nell’800 verso delle vittime “ignoranti” e culturalmente non tutelate come i pellerossa. 
Mi sovviene in tal senso una bellissima arringa di Satko di molti anni fa e soprattutto l’immensa “Pista delle lacrime”, e quindi invito lo sceneggiatore a sfruttare maggiormente un genere a lui così congeniale ed efficace. Non dimentico nemmeno una sua altra importante caratteristica, ovvero quelle “pennellate” intimistico-poetiche (riferite non tanto al narrato in sé quanto al modo di farlo) che spesso distribuisce, come il dolore di Tonka che non può credere al tradimento dell’amico, o quando Cico nella solitudine del crepaccio sogna e invoca gli amici e questi invocano lui.  Di Tonka in particolare mi è piaciuta la coerenza psicologica, e come non si butti a testa bassa contro Zagor in base alle accuse, ma anzi cerchi disperatamente una spiegazione, anche di fronte alle prove più evidenti. Inutile sottolineare (ma lo faccio lo stesso) l’apprezzamento per la scenetta iniziale di Cico, che fosse per me userei come incipit per almeno la metà delle storie.

Disegni: 7,5. Anche se altalenante nella resa, il tratto di Pesce mi piace, e quindi il mio voto è sempre positivo. Molto bravo nei primi piani, perde via via cura ogni volta che la “telecamera” si allontana, finendo purtroppo in una stilizzazione nei campi medio-lunghi che fa storcere il naso.
Qua forse viene anche un po’ penalizzato dall’assenza totale di figure femminili, che di solito rappresentano uno dei suoi pezzi forti. Ma al di là di questo, sempre gradito e ben leggibile.



IL SEPOLCRO DELLO STREGONE 
(Speciale n. 21)
Paolucci - Chiarolla

Testo: 5. Speciale inutile (quindi tutt’altro che speciale) e noioso, personaggi piatti e stereotipati, svolgimento prevedibile. Il cattivo, pur essendo potentissimo, non riesce mai a dare un vero brivido, e ci si trascina a fatica nella lettura aspettando un qualche trucco magico (perché è chiaro come il sole fin dall’inizio che arriverà) che lo farà fuori e finalmente ci permetterà di chiuderla qua.  Questa lampante prevedibilità del cosiddetto filone del “soprannaturale” ne è veramente la parte più fastidiosa, perché teoricamente la straordinarietà intrinseca dell’evento dovrebbe aumentare la sorpresa, proprio per sua natura. Ma se mal condotta, come in questo caso, finisce per affossare proprio la componente che vorrebbe esaltare, perché quando un villain è troppo potente per motivi “magici”, lo sceneggiatore è quasi obbligato a sconfiggerlo per quella via, con qualche artifizio inventato all’uopo. O è un genio, o è costretto a questo trucco, c’è poco da fare.  Per cui, visto che Zagor non è Dylan o Martin, credo che a Darkwood potremmo risparmiarci le cadute in questo filone, se non si ha un’idea davvero buona che giustifichi l’utilizzo di questo delicato ingrediente.
Certo non mi sembra il caso con una sceneggiatura del genere, in cui non ricordo nessun passaggio di dialogo degno di nota. Insomma, non vedo la necessità di far uscire ulteriore materiale zagoriano se il livello è questo. I maxi reggono botta (e alle volte alla grande) ma gli Speciali da molto tempo appaiono come riciclaggio di storie nei cassetti.

Disegno: 6,5. Non amo granché il tratto di Chiarolla, ma con un testo così forse lo vedo peggio di quanto in effetti è. Le parti migliori risultano i primi piani e le scene più cupe, di cui per fortuna l’albo è ricco. Ma tutto ciò lo si paga con anatomie ed espressioni spesso davvero grottesche.




PLEASANT POINT 
(Nn. 521/524)
Burattini - Verni

Testo: 9. Ecco, forse l’unica delusione rimane sull’aspettativa che si era creata, almeno nel mio cervello, alla lettura di un titolo così impegnativo: “Pleasant Point”, nientemeno! Forse il posto più intoccabile di tutta Darkwood, che mi lasciava presagire una “storiona da nuovo inizio”.  E infatti subito il colpaccio di Cico che abbandona Zagor! ULP! Roba da sbarco dei marziani!  Invece andando avanti si capisce che poteva essere usata una location iniziale qualunque, e quindi l’occasione è sprecata, ma poco importa. Perché la “storiona” rimane. Del resto ogni volta che compare Mortimer si ha la garanzia di un meccanismo narrativo perfetto, e in questa occasione si raggiungono dei livelli astrali di maniacalità. Quando Mortimer spiega perché non ha semplicemente rapito i suoi nemici, da’ voce a ciò che già mi ero risposto chiedendomi la stessa cosa, ovvero: perché così è più bello! Per lui e per noi. Ora, io non leggo mai commenti sulle storie prima di avere scritto questi miei, ma visto quanto accaduto in passato, immagino che questa farà scatenare i cosiddetti “anti-spiegazionisti” come non mai. Boh, per quel che vale il mio singolo parere di lettore, a me queste storie così verbose piacciono molto, e del resto quando so che il cattivo è Mortimer è esattamente quello che mi aspetto. Anzi, ci rimarrei male se non spiegasse tutto e il contrario di tutto, perché come dicevo sopra, la sua bellezza è proprio la capacità di mettere in piedi strutture complicatissime, e quindi come lettore voglio esattamente sapere come è arrivato a decidere di fare le cose così, e pure cosa aveva previsto se le cose fossero andate diversamente. Se no, non è lui!     
Voglio dire: come se in copertina vedo Rakosi e so che sarà una storia horror o il ritorno degli Akkroniani e so che sarà fantascientifica, allo stesso modo quando c’è Mortimer mi aspetto un lavoro di Artigiano della minuzia e del particolare, l’ingranaggio dell’orologio della torre di Praga, un mosaico bizantino! Se in copertina c’è Rakosi e io schifo le storie di vampiri, ho due alternative: o non lo compro, o lo compro per collezione e, per così dire, ingoio. Ma non posso lamentarmi che quel personaggio vada in giro a succhiare sangue e a trasformarsi in pipistrello, perché è esattamente così che deve essere! La caratteristica precipua di Mortimer, ed è proprio ciò che amo di questo villain, è la sua capacità di imbastire meccanismi elaboratissimi per fare cose che altri criminali da quattro soldi farebbero in due minuti, ma rendendoci così la lettura gustosissima, e la propria caratterizzazione psicologica di straordinario spessore. E che sia un uomo intelligentissimo lo si capisce non solo in senso criminale, ma anche nel modo in cui parla di politica o nella sottile malvagità con cui si compiace di avere messo nel sacco Zagor. Dato che in quanto a materia grigia anche il Nostro non scarseggia, direi che ne può degnamente simboleggiare la nemesi, alla pari di Hellingen (altro cervellone). Anzi, non mi meraviglierei se in una storia futura vedessimo Mortimer che dopo aver, ad esempio, fatto finire Zagor sul patibolo, lo salvasse lui stesso per non perdere un così degno avversario e quindi in un certo senso, una sua “musa”.
A proposito di Zagor, mi è molto piaciuto rivedere una sua caratteristica che mi faceva esaltare da bambino (anche per i limiti dell’età, ovviamente) e cioè la sua capacità di compiere imprese straordinarie e molto variegate nei modi per risolvere le situazioni di combattimento o di fuga. Ad esempio, è fantastico il cavallo dentro il palazzo o il suo non pensarci un attimo a buttarsi in un mare infestato da squali… per quanto l’impresa è improbabile, è proprio lui, è il suo carattere! E narrativamente trovo forse più assurdo, perché meno emozionante, sgominare una decina di soldati armati di fucili con pugni e scure. Inutile poi aggiungere la goduria di rivedere pezzi da 90 come Hammad o Guedé, tra l’altro ben trattati (non sempre in passato si è infatti riuscito a centrare alcuni characters nolittiani nei loro “ritorni”), anche se mi sarebbe piaciuto un coinvolgimento maggiore dei due, data l’occasione.  Bella anche la lettera di Cico (che, anche se frutto di una scommessa, dice cose vere) e la susseguente disamina della propria amicizia da parte dei due pards. Emozionante il finale e veramente “forte” la scena di Sybil divorata dagli squali! E’ stato un colpo di scena che non mi aspettavo, la scelta di eliminare un personaggio così importante. E se si fosse salvata? Uhm… non riesco a immaginare come. Per escogitare una spiegazione credibile… ci vorrebbe Mortimer!  

Disegno:  9. Se a Ferri dò 10 di default, non riesco a non dare 9 a un Verni che lo richiama così divinamente. In alcune vignette ho visto perfino la riproposizione delle tavole caraibiche di Ferri rimontate (non sono andato a rileggermi gli albi, ma il mio occhio li ricorda a memoria). Lo so che ogni artista dovrebbe perseguire un proprio stile e originalità blablabla, ma altrettanto so che non me ne frega un accidente quando vedo risultati come questi. Poi mi sembra che Verni abbia acquisito una sicurezza che lo rende più sciolto che in passato, quando alcuni movimenti erano espressi in modo un po’ “legnoso”, forse perché teneva troppo sott’occhio le tavole del proprio maestro mentre faceva le sue. Come per il testo, inutile aggiungere la goduria di vedere Hammad e Guedé disegnati come 30 anni fa, ma da un’altra mano! 




YLENIA, LA VAMPIRA 
(nn. 525/527)
Rauch - Della Monica

Testo: 7. La prima metà è la migliore: sia i personaggi che la vicenda in sé sono definiti in modo da lasciare intendere di questo livello anche il resto, ma purtroppo così non accade e man mano che si prosegue, l’avventura si impantana in una serie di mezzi scontri tra le parti, con il prevalere ora dell’una ora dell’altra, in sé anche accettabili ma che non forniscono niente di effettivamente nuovo.
Quel che lascia di più la bocca insoddisfatta è proprio colei che dovrebbe dare il maggior sapore, ovvero Ylenia che, riallacciandomi anche al commento sopra su Mortimer, appare poco “vampira”. Alla fine della fiera è quasi ininfluente che lo sia, poteva essere un villain “magico” qualunque e le dinamiche sarebbero cambiate di poco, se non – parzialmente - per quella faccenda del controllo mentale degli sgherri e della telepatia con Alec, che risulta però più un comodo espediente per lo sceneggiatore che una spezia effettiva. Ciò nonostante la storia si legge più che bene, grazie a dei dialoghi decisamente raffinati, e alle conseguenti buone psicologie dei protagonisti, Le Loup su tutti: un cattivo sicuramente affascinante e diabolico, che non sarebbe male rivedere.

Disegno: 8,5. Come sempre, Della Monica è una sicurezza in ogni tipo di situazione: statiche o movimentate, notturne o piovose, in città o in mezzo alla natura, il suo tratto preciso e le sue anatomie ineccepibili non tradiscono. L’unico vero difetto è l’eccessiva frequenza della “gabbia” a 5-6 vignette: a mio parere dovrebbe lanciarsi in qualche “rottura” e/o splash page in più.
Al solito, fantastico il suo Cico.



LE AQUILE DEL NORD 
(Maxi n. 12)
Capone - Mangiantini

Testo: 7. In una vicenda che per forza di cose abbisogna di qualche spiegazione scolastica, Capone non riesce ad armonizzarla più di tanto con l’avventura, producendo una narrazione spaccata in due. La prima metà è molto statica e, per quanto personalmente apprezzi i rimandi storico-geografici, quasi non pare una storia di Zagor ma di Mystère o “Storia del West”; la seconda è fin troppo dinamica, con battaglie e cambi di fronte repentini che causano un po’ di mal di testa.
Il principale difetto è secondo me proprio questo cambio continuo di posizioni di Zagor, che vabbè che si schiera sempre con l’indifeso di turno, ma in questo caso mi pare che si sia esagerato nel farlo parteggiare un po’ per tutti, perdendo quel minimo di linearità che il lettore si aspetta.
In ogni caso la sceneggiatura è piacevole, nonostante non ci sia nessun vero momento particolarmente “elevato”, e anche le psicologie risultano mediamente buone senza picchi (forse il solo Rockford scade un po’ nella macchietta dell’ufficiale irragionevole).
Nota di demerito per il trattamento per Cico, completamente relegato e dipinto come un semi imbecille, che per 256 pagine ripete solo la litania relativa alla sua fame, anche in condizioni oggettivamente molto drammatiche.

Disegno: 8,5. Devo ancora capire a chi è che non piace Mangiantini. A parte qualche volto di Zagor qua e là un po’ incerto, per il resto ce ne fossero di tratti così precisi e particolareggiati, anatomie perfette e questi popo’ di fondali, vero fiore all’occhiello del ragazzo! Inoltre è anche migliorato nelle scene dinamiche, che ricordo non ottimali nella sua ultima prova.



UN CAPESTRO PER GAMBIT 
(528/530)
Burattini - Prisco

Testo: 8,5. Un giallo avvincente e perfetto, che tiene incollati dalla prima all’ultima pagina e magistralmente intrecciato, capace di prendere per il naso il lettore e tutti i personaggi, quando la soluzione era lì davanti agli occhi, distesa su quel letto a faccia in giù. Per tutta la lettura mi sono sforzato di far combaciare tutti quei pezzi che, per quanto li girassi di sopra e di sotto, non collimavano mai. Un secondo prima dell’impiccagione di Gambit ho avuto un flash rivelatore di come erano andate le cose, ma ormai era troppo tardi e Burattini era riuscito a ingannarmi gustosamente per tutto il tempo. Se proprio volessi fare il pignolo non mi quadrava molto come non si desse il minimo peso, come indizio scagionante, alla ferita alla testa (o quantomeno al grosso bernoccolo) che Gambit doveva per forza avere, colpita dal calcio di un fucile, tanto da farla svenire. O il calcolo perfetto dei tempi da parte di Howland nel far rinvenire la ragazza nel momento in cui entravano gli altri. Ma appunto, farei il pignolo, e l’ho sempre trovato un esercizio stucchevole: sono dettagli, e magari spiegabili in qualche modo se uno ci si mette. Pulviscoli di fronte a cotanto meccanismo narrativo. Mi è invece molto piaciuto il modo in cui ci è stata (ri)presentata Gambit, cioè per quella che è, senza ipocrisie ed edulcoramenti, vita sessuale compresa. Forse a Zagor (e a noi lettori che col protagonista ci identifichiamo) fa un po’ male sentire che stava a letto con uno appena conosciuto, ma il personaggio è questo, ed è un bel personaggio nella sua interezza, e così deve rimanere.
Struggenti tutti i passaggi in cui è in cella e pensa che forse è alla fine della pista, o il suo discorso sul patibolo. Tutti questi momenti – va sottolineato – ci vengono proposti senza retorica alcuna (che sarebbe stata facile, visto il tema), ma anzi con uno stile straordinariamente asciutto, ma non per questo meno ficcante. Da questa conduzione emerge, a mio parere, la maestria narrativa in senso poetico di Burattini, che forse troppo spesso finisce un po’ nascosta in mezzo a sequenze avventurose per loro natura più “terra terra”, come del resto è anche giusto vista la tematica della testata. Ma c’è, ed è quella che da’ uno spessore esclusivo al suo narrato. In particolare considero le pagine 9 e 10 del n. 530 un capolavoro di padronanza del medium, e non credo di esagerare dicendo che dovrebbero essere usate come manuale da un aspirante sceneggiatore su come si racconta quel passaggio in due pagine e 4 mini-balloon.
  
Disegno: 8. Se devo dirla tutta, a memoria me lo ricordavo anche più bravo, ma in ogni caso la mano di Prisco è di gran livello, a parte a tratti il viso di Zagor, non sempre centrato.  Notevolissimi i fondali e gli esterni in genere, sia nel dettagliato paese che alla natura. Una nota su Gambit: mi è sembrato che il disegnatore si sia preoccupato di non mettere in risalto più di tanto la sua sensualità, arrabattandosi ad ogni scollatura per non evidenziare il solco dei seni (purtroppo per lui la giovane è ben dotata), e camuffandolo quindi con misteriosi segni che contravvengono ad ogni regola dell’anatomia.  Per non parlare della scena che ritrae completamente vestita una donna – ubriaca! – che si presume abbia appena fatto l’amore. Ora, non vorrei passare per bacchettone e quindi preciso subito che considero le tette una delle prove dell’esistenza di Dio, ma se tutto ciò è voluto, come mi è parso, approvo. Confesso altresì di avere comprato alcuni numeri di Legs quasi solo per i virtuosismi in materia di alcuni disegnatori, ma ciò che va bene su una certa testata può non andare bene su un’altra, e penso che sia giusto che su Zagor ci si limiti all’essenziale in materia di femminilità.





DOVE VOLANO GLI AVVOLTOI 
(nn. 530/532)
Mignacco - Cassaro

Testo: 7-. Ancora una volta ha colpito quella che ormai sto pensando di chiamare “la sindrome di Mignacco”, che si manifesta in inizi succosi e si spegne man mano ci si avvicina alla fine. La prima scena col furto di cavalli e l’uccisione dei giovani indiani la trovo ricchissima in dialoghi, col confronto tra l’ottuso capitano e gli altri, che delinea profondamente le psicologie sul tavolo. Per esigenze di sceneggiatura questi personaggi vengono purtroppo eliminati, ma la conduzione, pur in una trama senza niente di eccezionale, si mantiene egregiamente grazie alla caratterizzazione dei pellerossa di spicco e ai dialoghi di livello, come il confronto tra Zagor e Rockson. Poi, come la sindrome vuole, dalla seconda metà i ballon si svuotano e anche gli avvenimenti cominciano a farsi meno digeribili: ad esempio se tagliare la strada ad una mandria di bisonti è già abbastanza folle (ma ancora “da Zagor”), pensare che sia fisicamente possibile montare sopra ad una di queste locomotive mentre ti carica, cavalcarla per un po’ e addirittura saltare al volo su un cavallo e filarsela, non sta né in cielo né in terra. OK imprese straordinarie per il nostro, ma quando è troppo diventa ridicola e si poteva tranquillamente evitare. Tutto ciò per sfociare in un finale che più che affrettato definirei troncato di netto. Peccato.

Disegno: 6. Purtroppo devo palesare il trend involutivo che attanaglia i Cassaro da un po’ (tanto) di tempo in qua. A me come tratto sono sempre piaciuti (fin dai tempi dell’Eura), ma davvero troppi passaggi lasciano un senso di approssimazione che non capisco. 
Non sto a elencare le decine di inquadrature medio-lunghe in cui i volti vengono stilizzati al punto di deformarli, dando così quella fastidiosissima sensazione di avere a che fare con personaggi diversi da una vignetta all’altra: basta scorrere le pagine. E purtroppo anche i primi piani, che erano il loro punto di forza, cominciano a risentire di questo limite. Sottolineo a mo' di esempio purtroppo impietoso la Gambit che compare all’inizio: avendo ancora negli occhi la versione di Prisco nello stesso albo, il confronto è quanto mai imbarazzante. Mi è sembrata quasi una “variante manga” (urgh!). La sufficienza è di stima e perché sanno comunque narrare con equilibrio, ma la qualità del disegno è ormai al lumicino.







OMBRE NELLA FORESTA 
(nn. 532-533)
Burattini - Ferri

Testo: 6+. L’idea in sé è anche interessante e ben svolta, ma il numero di pagine troppo esiguo non può che limitarne la portata; per di più, come se non bastasse, le prime 15 si limitano a chiudere la vicenda di Clark e sono quindi completamente slegate dal resto.
Peccato perché la tematica del “diverso” può innalzare enormemente il livello narrativo (gli X-men ci hanno costruito la loro fortuna, per dirne una) e in effetti la storia di Bark si incammina su quel percorso, ma rimane troppo strozzata e soprattutto rimane la sola.
Anche le altre figure più o meno cattive contengono elementi interessanti ma non hanno il sufficiente spazio per svilupparsi.
Resta quindi una piacevole lettura e una mezza occasione sprecata.

Disegno: 10. 




ANNATA 2010



IL VENDICATORE NERO 
(Maxi n.13)
Mignacco - Laurenti

Testo: 8. Ohhh, finalmente una storia di Mignacco convincente dall’inizio alla fine! Avventura che tiene incollati, dipanata su uno scheletro giallo ben condotto, in cui gli indiziati che vengono proposti al lettore avevano in effetti tutti le potenzialità di colpevolezza.  Personalmente ho subito pensato ad un ragazzino indiano sopravvissuto alla strage, ma capire in quale degli adulti presenti si fosse “trasformato” era tutt’altro paio di maniche. I personaggi sono la parte migliore, davvero tutti ben caratterizzati, specie i cattivi, per quanto alle volte in poche battute (forse il solo Wilkes è un po’ troppo irragionevole e quindi meno interessante). Spicca in particolare Moose Foot, un arguto cinico che ho tifato perché non fosse Black Axe, visto che non sarebbe male rivederlo.  Manca però in tutto questo qualche passaggio che “infiammi” veramente… qualcosa di commovente o un discorso epico, che innalzi il piano di lettura e quindi il voto. Tra le note negative aggiungo anche lo Zagor un po’ fessacchiotto che continua a gettarsi sui luoghi del delitto, alle volte con poco senso, come nell’omicidio di Zender in cui è chiaro che un colpo di pistola farà immediatamente accorrere l’intero forte addosso a lui.  Inoltre, non mi è nemmeno piaciuta molto la scena iniziale dello stupro, pur apprezzando che sia stata resa in modo implicito. E’ un tipo di violenza che non si è mai vista su Zagor e credo che non rientri nella sua filosofia, anche se inserita nel processo di maggior realismo che è giustissimo che investa una serie quasi cinquantenne. Ma ogni personaggio ha dei suoi “paletti” che non vanno travalicati, semplicemente perché lo caratterizzano, e questo credo sia uno di questi. Non si tratta certo di voglia di edulcorazione o men che meno bigottismo (a tal fine preciso che uno dei motivi per cui ho tanto amato Ken Parker è proprio il realismo, anche in questi casi), ma solo di sterzate che a mio parere finiscono per portare fuori dalla strada che conosciamo e apprezziamo. 

Disegno: 7,5. Uhm. Mi pare che Laurenti stia sempre più deviando verso una stilizzazione che forse può essere letta come fisiologica evoluzione di un artista, ma che ai miei occhi di lettore abituato alle meraviglie dettagliate del suo pennello non risulta gradita. Chiaro, la mano è sempre quella e pertanto non mi lamento più di tanto, però certi ispessimenti del tratto o, peggio ancora, il diradarsi dei suoi divini fondali mi lascia più di una preoccupazione per il futuro. 




PLENILUNIO 
(nn. 534/536)
Burattini - Nuccio

Testo: 7,5. Tanta azione, un po’ di giallo e poco altro. Però è azione che trascina nella lettura e le pagine vengono divorate una dietro l’altra. Il cattivo è veramente pericoloso e anche questo contribuisce a tenere alto il batticuore, oltre a cercare di far collimare i pezzi del mistero (a questo giro avevo intuito che i licantropi erano più d’uno e che la chiave di tutto fosse Clemons, ma ovviamente le intuizioni dei lettori non sono un limite della sceneggiatura). Mi è piaciuto anche rivedere il buon vecchio Zagor che usa molto il cervello insieme ai pugni. 

Disegno: 9. Talmente rimandato da essere ormai assurto a leggenda urbana, il lavoro di Nuccio non delude le attese, e anzi col procedere delle tavole mostra delle prospettive di miglioramento da leccata di baffi. L’ispirazione di Ferri è palese (e meno male) ma ci aggiunge molto di suo: se i visi di Zagor e Cico e le ambientazioni boscose sono prese pari pari dai vecchi albi del Maestro, in tante altre situazioni, come la caratterizzazione del licantropo, molte prospettive dinamiche e dei particolari dettagliatissimi, la strada è decisamente personale e di gran livello.  Purtroppo tradisce non di rado nelle medie distanze, in cui i visi cambiano stile da vignetta a vignetta, mentre i fondali sono fantastici. E adesso, mi raccomando, mettiamolo al pezzo per rivederlo a Darkwood il prima possibile!   



ALLA RICERCA DI ZAGOR 
(nn. 536-537)
Burattini - Esposito Bros.

Testo: 7,5. Sarà che le storie di “sopravvivenza in ambiente ostile senza mezzi” mi attirano molto, ma mi sono decisamente gustato questo bocconcino, peraltro perfettamente calibrato e pieno di trovate. Se una delle migliori storie di Lungo Fucile è per me “Lily e il cacciatore” (ma sul tema ricordo piacevolmente al volo anche “Emoticon” di Mystére o “Freccia Verde, anno uno”), si capisce perché sono contento di aver visto finalmente anche il mio Eroe in una situazione così estrema. Adoro queste situazioni in cui il protagonista si ritrova ad ogni angolo una difficoltà (anche solo mangiare o scaldarsi) che durante la nostra quotidianità superiamo senza nemmeno pensarci grazie a oggetti o strutture artificiali, ma essendone in questo caso sprovvisto finisce per sfidare continuamente il lettore a chiedersi: “come me la caverei io stavolta?”. Deliziosa poi la pennellata riflessiva finale di Zagor che, ad adrenalina scarica, butta un ultimo sguardo alla cima dello scoglio dove ormai forse pensava di morire.L’unico difetto è ai miei occhi la brevità, ma capisco che sul tema si corre il rischio di annoiare, e quindi bene ha fatto Burattini a intrecciare anche un po’ di azione classica di pestaggio di cattivi… e a posto così.

Disegno: 9. Gli Esposito riconfermano i fasti della loro prima sorprendente prova sulla testata, sfoggiando ancora un tratto così particolareggiato eppure magicamente così pulito. Se la resa si innalza ulteriormente in tutte le scene di azione, quelle in cui infuriano pioggia, mare e neve sono il non plus ultra! Grandissimi, e mi auguro di vederli ora all’opera in qualche storia molto più lunga!


LA LUNA DEGLI SCHELETRI 
(Speciale n. 22)
Rauch - Gramaccioni

Testo: 5,5. Continua il deludente andazzo degli Speciali da qualche anno in qua, che davvero rende misteriosa la ragione per cui si continua a fare uscire materiale extra se è di questo livello. Benché si cerchi di intrecciare quante più sottotrame e personaggi possibili (Cuore di lupo, ad esempio, è un chiaro riempitivo che non porta assolutamente nulla nell’economia della storia) e ci si butti pure una spruzzata di magia, al fine di far sembrare elaborato il piatto, questo sa veramente di poco. Scazzottate, personaggi interessanti zero, e lo Spirito con la scure che corre di qua e di là in mezzo a ordinaria amministrazione e qualche spirito vero, di cui certo non si sentiva il bisogno. Bah.

Disegno: 6-. La prima sessantina di pagine è davvero pessima (a parte un po’ l’inizio nel cimitero): un tratto ingenuo, a sprazzi quasi dilettantesco, caratterizzazioni improvvisate, e troppi fondali abbozzati o inesistenti. Poi in corso d’opera le cose migliorano e l’ultimo terzo si trasforma incredibilmente in qualcosa di perfino ricercato, con una erogazione di tratteggi a profusione che non si capisce perché prima Gramaccioni tenesse nascosti. Però c’è un però, e non da poco: il volto di Zagor è proprio insoddisfacente, ovviamente in miglioramento dato che segue anch’esso il resto del disegno, ma nel complesso ancora troppo poco centrato.




IL MORSO DEL SERPENTE 
(nn. 538-539)
Mignacco - Mangiantini

Testo: 7-. Le vicende narrate sono arci-viste, e con diversi cliché. Però il tutto è condotto senza sbavature e i personaggi stanno al posto che devono stare: i cattivi sono ben cattivi, Zagor è eroe fino in fondo specie quando si rifiuta di darla vinta a Daemon vendendogli il ranch, e Cico è divertente. Ho particolarmente apprezzato le parti processuali: mi piace sempre quando Zagor dimostra anche la sua intelligenza, e non solo la sua forza. Fantastica la frase di Snake: “Puah! Non posso temere uno che tiene la pistola con il calcio alla rovescia!”
Insomma, un chiaro fill-in, ma di certo gradevole.

Disegno: 8. Mmm… molto altalenante, come del resto ci sta in un esordio. Alle volte raggiunge dei dettagli di tratteggio da bocca aperta, in altre si produce in primi piani imbarazzanti (specie di Zagor). Comunque la parte buona è preponderante sull’altra, quindi il voto è alto. In particolare, veramente di gran livello quasi tutti i fondali, come le parti all’interno del saloon o nella main street, con vagonate di dettagli scaricati sotto gli occhi estasiati del lettore. 




L’UOMO NEL MIRINO 
(Speciale n. 14)
Burattini - Sedioli

Testo: 7,5. Una storia che fila via bene, attraverso tanti colpi di scena e altrettanti e divertenti intermezzi comici di Cico, veramente ben distribuiti. Il difetto principale è però il non uscire mai dai binari della sola avventura (se non nel finalino con Jackson) e quindi perdersi quegli arricchimenti che permettono di fregiarsi della maiuscola. Anche tra i personaggi, pur se tanti e variegati, non ce n’è nessuno che spicchi davvero sugli altri per personalità. E pure il cattivo alla fine mostra il fiato corto come ruolo rispetto alle ambizioni: vuole compiere un’impresa gigantesca come un colpo di Stato, ma non si capisce bene con quali mezzi e uomini, visto che tutta la sua banda è composta da lui e altri due, peraltro idioti per sua stessa ammissione! Due note volanti: “Zagor contro l’elefante” diventa un nuovo capitolo della variegatissima crestomazia zoologica con cui ha combattuto il Nostro. Non pensavo un giorno arrivasse a tanto: cazzutissimo! Lo stesso aggettivo (e fin troppo) ne caratterizza la seconda nota, perché vederlo lanciare la scure sulla mela tangente la testa di Cico e ancor di più buttare un uomo nella gabbia dei leoni mi ha lasciato un po’ così… forse ai tempi del primo Nolitta lo avrebbe fatto, ma ora non ci sono più abituato, lo ammetto. Che non è per forza una critica, ma la perplessità rimane.

Disegno: 7,5. Il solito buon lavoro lineare, con qualche disarmonia di troppo nei visi da media distanza, e alcune legnosità nei dinamismi. Ma la mano garantisce precisione diffusa e apprezzabile duttilità nelle varie situazioni: è uno che sa come raccontare mettendosi al servizio della sceneggiatura. Nota di merito per la resa di grandissimo impatto nella sequenza con l’elefante.




IL RITORNO DI DIGGING BILL 
(nn. 540/542)
Burattini - Verni

Testo: 6. Mah… una mezza occasione sprecata, nel senso che le vicende sono un po’ deboli rispetto all’attesa di un “Ritorno di Digging Bill”. Per grossa parte è una avventura sui generis di quasi sola azione, per la quale mister Loderer rappresenta sostanzialmente un semplice pretesto di partenza, non l’asse portante che la incentra sulle proprie caratteristiche e quindi sul topos della “caccia al tesoro”. Nemmeno l’altra componente, quella mysteriosa, riesce a spostare su di sé il genere del narrato, che soffre del contrasto tra una eccessiva linearità di fondo e la portata gigantesca di oggetti che fanno viaggiare nel tempo (!!!), senza che questa enormità venga sorretta da un pathos adeguato o da qualche comprimario di tale livello, tutti abbastanza banali. Insomma, rispetto alle tematiche che vengono buttate sul piatto, c’è poco arrosto e molto fumo, rappresentata da troppe scene di azione fini a loro stesse che “consumano” pagine a discapito della polpa (ad esempio 37 pagine filate solo per liberare Digging mi paiono un po’ troppe…)

Disegno: 9. Tenuta costante ad altissimi livelli per un Verni che in questa occasione mi è parso ancora più dettagliato del solito. Davvero un’impresa trovare critiche nel suo pennello sopraffino, se non forse il non schiodarsi mai dalla classica gabbia a 6 vignette.



L’ORRORE SEPOLTO
(nn. 543-544)
Rauch - Laurenti


Testo: 6,5. Il primo albo è abbastanza moscio, il mistero portante viene tirato troppo per le lunghe senza degli assaggi che ingolosiscano più di tanto. Anzi, quelle poche cose tentacolari che si intravedono fanno perfino sbuffare al lettore di vecchia data un gonfio: “Uff… ci risiamo con ‘sti mostri”. Invece devo dire che la seconda parte da’ una discreta impennata, perché i temuti (da me, sicuro di annoiarmi) mostri hanno dietro una (o due, nel finale) sottotrama un po’ più complessa, che la presenza di un ottimo Verybad permette di rileggere anche con qualche connotazione scientifica, e quindi di aggiungere del gusto ulteriore. Inoltre i tentacolati si dimostrano degli avversari mortali davvero, facendo fuori praticamente tutti, e aumentando la tensione della lettura, che nel complesso supera la sufficienza.

Disegno: 8. Si veda sostanzialmente il giudizio sopra, anche se i dettagli mi sono sembrati più efficaci. Purtroppo si assesta questa stilizzazione che ormai – ahimé – non posso più considerare un incidente di percorso, ma una caratteristica del Laurenti degli ultimi tempi.




IL VILLAGGIO DELLA FOLLIA 
(nn. 545-546)
Rauch - Della Monica

Testo: 7,5. Come purtroppo quasi tutte le storie di Rauch, anche questa ha il primo difetto di essere troppo corta. Ma come tutte le sue storie anche questa è scritta proprio bene. Tutti i personaggi brillano di una chiara personalità, da quelli tratteggiati in sia pure poche vignette, a quelli centrali come Bloom, che forse è quello più esagerato ma svolge ottimamente il suo ruolo di minaccia che aumenta l’adrenalina del lettore. E tutto ciò senza che – essendo pur sempre un racconto – se ne si avverta l’artificiosità dei ruoli, che è dote di sapiente narratore. Insomma, questo ragazzo scrive troppo poco rispetto alla bravura e questo è un peccato. Mettiamolo al pezzo!

Disegno: 8. Altro autore di cui si avverte la mancanza, Della Monica, supporta da par suo la vicenda. Il solo volto di Zagor dalla media distanza non convince, ma per il resto è il solito mix di ricchezza di dettagli e pulizia del tratto che conosciamo. Peccato solo che non abbondi come dovrebbe nelle vignette ampie, davvero di impatto (una per tutte: la scoperta dell’uccisione dello sceriffo).


ANNATA 2011





LA BANDA AEREA 
(Maxi n. 15)
Burattini - Di Vitto

Testo: 8,5. Veramente ben calibrate queste 300 pagine, mescolando abilmente avventura e umorismo, azione e spiegazioni. Le prime 50, poi, sono per i miei gusti particolarmente saporite, con le esposizioni scientifiche di La Plume, e il siparietto Trampy-Cico. Ma anche tutto il resto, come dicevo, è di livello più che buono, compresa Scarlet, il cui ruolo di figlia di La Plume mi ha fatto preventivamente temere un eccessivo spostamento nel “serio” di quella che è invece una delle “maschere” più riuscite della saga. Ma per fortuna il pericoloso materiale è stato sapientemente maneggiato, e nessuno è stato snaturato. Di notevole spessore anche il villain Rope, che mi dispiace sia morto.Adoro poi vedere che Zagor è il solito completo pazzo che, per fermarlo, rischia di rimanere anche lui bloccato nella roccia volante! Ma che volete, lui ci piace così…!

Disegno: 7,5. Per quanto ne trovi lo stile un po’ legnoso, i Di Vitto hanno fatto sicuramente un buon lavoro, ricco di dettagli. Rarissimamente si trova una vignetta senza fondali molto curati, pur senza appesantire la lettura, e questo ai miei occhi è un grande pregio. Purtroppo crollano di brutto nella fondamentale resa dei protagonisti: per tutte le 288 pagine paiono alla ricerca continua del “loro” Zagor, senza trovarne mai davvero il volto, mentre Cico lascia le maggiori perplessità nella struttura fisica, dato che sovente appare come un nano. Ecco, se riescono a calibrare questi due punti importanti, diventerebbero un nuovo grande acquisto.




IL GRANDE TORNEO 
(nn. 547-548)
Paolucci - Chiarolla

Testo: 5. Una storia sostanzialmente inutile e narrata in modo scolastico, il che finisce per essere un bene: vista la pochezza delle vicende, almeno ha dato un tono lineare che ha permesso di leggerla senza troppa fatica, ma - come si diceva - senza neanche divertimento. Per “scolastico” intendo che è evidente il tentativo di cercare di intrecciare varie sottotrame come insegnerebbe un manuale di soggettistica, ma nessuna di queste è interessante, e quindi il risultato è comunque scarso .  I cattivi non mostrano alcuno spessore, specie Severance, che è proprio la macchietta del ricco possidente ciccione del west, perennemente col sigaro in bocca che non perde mai neppure mentre fugge o cade da cavallo!

Disegno: 6,5. Non riesco a negare che il tratto di Chiarolla sia decisamente ricercato e “artistico”, ma a me proprio non piace. Sono conscio che mi limito a un punto di vista meramente estetico e quindi soggettivo, ma tant’è. Fanno eccezione gli splendidi esterni e un po’ tutti i fondali, oltre che – sorpresa! – molte scene dinamiche, ma i visi e la maggior parte delle anatomie proprio non le reggo.




LA DANZA DEGLI SPIRITI 
(Speciale n. 23)
Perniola - Mangiantini

Testo: 8+. Dopo tanto tempo si rivede uno Speciale di buon livello, e l’augurio è ovviamente che si continui. L’unico momento di caduta è nel combattimento finale, con Zagor vs. mezzo villaggio indiano, che se ne esce senza nemmeno un graffio (davvero ridicola la vignetta in cui fa fuori tre avversari con un unico colpo di scure). Per il resto, Perniola butta sul piatto un bel po’ di personaggi interessanti, e ciò, come è dimostrato, non può che ripercuotersi sulla storia. Innanzitutto i quaccheri e la loro non violenza, analizzata dai diversi lati, senza farne apologia ma nemmeno ridicolizzarla (bellissimo il discorso di Cico al bambino), e poi Molly e la sua storia atroce, che la fa scadere pian piano nella follia e pian piano al lettore si rivela. A questo proposito, capisco che certi passaggi biografici sono, da un lato ineccepibili nella formazione della psicologia del character, e dall’altro narrativamente di forte impatto, ma una scena in cui un padre costringe la figlia ragazzina a prostituirsi (e aggiungo anche il tentato stupro da parte di Ryan e i suoi uomini), mi piacerebbe che fossero un confine da sfiorare con estrema cautela su Zagor, che si è sempre mosso, e con efficacia, su altri binari narrativi. Questo è, in ogni caso, un appunto a margine, che toglie poco alla “zagorianità” del resto del narrato, ben bilanciato tra scontri e flashback, colpi di scena e una diffusa intensità dei dialoghi.  

Disegno 9. Ancora un grande prova di Mangiantini, che migliora un po’ dovunque, compreso il suo ostacolo più duro, cioè il viso di Zagor, che però ancora non è a livello del resto. Ma questo “resto”… WOW! Non c’è praticamente una sola vignetta “tirata via”, è tutto un sollazzare la lettura con quintali di particolari, dagli esterni boscosi al look dei personaggi, dalle minuziose ombreggiature a tutti gli oggetti che, in un villaggio come in una abitazione, “raccontano” molto di più di quanto già sta facendo la sceneggiatura. Bravo davvero! 





A VOLTE RITORNANO 
(nn. 549-550)
Burattini - Pesce

Testo: 9. Bello il titolo e bello il contenuto, entrambi di uno “spessore” anche inusitato per questi lidi. Bravi a ripescare una vicenda ormai preistorica (in tutti i sensi) e usarne la spiegazione come sfondo per questa, anziché crearla ex-novo. Bravi a sviluppare ulteriormente la figura di Shyer attraverso dialoghi intensi che ne espandono maestosamente la personalità, rendendola ancora più marcata della sua prima apparizione, come è giusto che sia, visto il suo ruolo di mentore fondamentale che riveste nella formazione esoterica del Nostro. E bravi soprattutto a rendere tutto ciò prologo sapidissimo della trasferta sudamericana, che se il buongiorno si vede dal mattino ci aspettano scoppiettii di meraviglie da leccarsi ben bene i baffi!

Disegno: 8,5. E’ un po’ che Pesce non si vedeva, ma bisogna dire che nel frattempo ha allenato la mano alla grande! Certo, in una storia in cui per un terzo compare una stangona mezza nuda, ci si trova come il topo nel formaggio, ma sarebbe arci-riduttivo sottolineare solo questa forma di appagamento visivo, quando le tue pupille si ritrovano ad indulgere volentieri un po’ in tutte le sequenze. Ad esempio tutta quella iniziale con gli indiani, prima nella pioggia e poi nella caverna; o taluni primi piani stupendi (ne faccia di più!). Ma in genere mi pare abbia intensificato squisitamente il tratteggio tutto, tanto che la considero – a memoria – la sua migliore prova su Zagor.




IL CASTELLO NEL CIELO 
(Gigante n. 1)
Burattini - Torricelli

Testo: 6-. Per usare un eufemismo, il fantasy non è esattamente il genere da me prediletto, e quindi non ho fatto salti di gioia sapendolo ambientazione proprio di un albo così importante.
Ciò nonostante mi sono immerso nella lettura senza pregiudizi, aiutato anche dall’euforia dell’evento. Ma ahimé, mi è piaciuta ben poco. L’inizio è la parte migliore (per paradosso quella puramente fantasy!) e anche Wilbur mostra subito più di un tratto apprezzabile, ma poi quando si entra nel vivo della storia questa smaschera tutta la sua pochezza, riducendosi a continue lotte e inseguimenti tra bizzarri soggetti per metà delle pagine, che finiscono per soffocare e quindi marginalizzare completamente anche l’interessante motivo di fondo dello “scrittore creatore della realtà”. In particolare, da pag. 168 a 212, sono 44 (quarantaquattro!!!) pagine di combattimenti ininterrotti, oltretutto ripetitivi e poco avvincenti… francamente troppe! Anche la spiegazione finale mi pare assai tirata per i capelli (ma – lo confesso – dopo decine e decine di pagine di cazzotti, non mi interessava più nulla), come del resto tutte queste spiegazioni “magiche”, in cui si può fare accadere di tutto e il contrario di tutto senza alcuna fatica, e che pertanto io detesto. 
Insomma, peccato.

Disegno: 9. Torricelli è sempre un grande, e il genere gioca a suo favore, quindi le scene di combattimento iniziale sono tra le migliori.  Ma per tutte le 240 pagine mantiene un alto livello e una coerenza nei volti tra una vignetta e l’altra davvero rara.Alle volte, invero, da’ l’impressione di tirare un po’ via, specie nei fondali, e questo è un peccato, perché quando si impegna nell’arricchire una scena c’è da lustrarsi gli occhi. A latere, e se quanto ho sentito corrisponde al vero, la mia profonda ammirazione verso Torricelli per avere, una volta saputo il formato, ridisegnato non so quante tavole da zero. Signori, questo è vero Professionismo e Amore per il proprio lavoro! Un inchino riconoscente.

Voto all’iniziativa: 10. Dico subito che non mi annovero tra gli zagoriani che vivevano come un atto di lesa maestà il fatto che il proprio beniamino non avesse il Gigante, e anche sui forum, in cui se ne caldeggia l’uscita da più di 10 anni, sono sempre stato piuttosto tiepido.
Ma ora che l’ho ammirato spiccar solenne all’edicola, e poi me lo sono visto in mano… beh, fa impressione! E sì, ora ammetto che avevano ragione gli altri, quelli che lo chiedevano a gran voce!
L’idea di ammirare gli artisti zagoriani in questa veste dimensionale era ciò che mi ingolosiva a sufficienza, ma ora la voglia di vederne altri mi ingolosisce tantissimo… a me che pure privilegio sempre la sceneggiatura sul disegno… e quindi OK, salto il fosso e mi unisco alla voce di chi grida “e ora continuate!”



LO SCRIGNO DI MANITO 
(N. 551)
Burattini - Ferri

Testo: 5,5. Anche questo albo celebrativo delude purtroppo le attese, o almeno le mie. Carina la gag iniziale di Cico e Drunky con l’inside joke della torta cinquantennale, poi si scivola in una sequenza di botte e inseguimenti fino al termine, senza l’ombra di un personaggio di un certo spessore, né tra i buoni né tra i cattivi, tutti solo abbozzati o anche meno. Il “mistero” di Osawi, poi, è parso chiaro fin dall’inizio, ma questo importa poco rispetto a quanto sopra. Anche la suggestiva location dello scrigno è sostanzialmente sprecata, visto che non ha nessuna importanza nel narrato, e ne poteva essere tranquillamente usata un’altra qualunque. Quantomeno rende bene visivamente.

Disegno: 10.




NELLE TERRE DEI DAKOTA 
(Maxi n. 16)
Mignacco - Mangiantini

Testo: 8. Un bel malloppo di pagine decisamente ben condotto, in cui forse non si raggiunge nessun picco particolare ma nemmeno – e soprattutto – alcuna caduta di tono. Insomma, una bella avventura che fila via che è un piacere. Certo, l’ossatura è già vista (il rapimento di Cico per costringere Zagor a inseguirlo, o quello della donna bianca dagli indiani), ma poco importa se la polpa è consistente. E qua c’è la giusta azione, interessanti passaggi antropologici su tribù più o meno inedite a Darkwood, un discreto intreccio giallo, ma soprattutto dei dialoghi mai banali, che caratterizzano bene i personaggi.  Ed è sempre come sono riempite le nuvolette, per quanto mi riguarda, che fa la differenza.

Disegno: 9. L’unica vera pecca è il volto di Zagor che troppo spesso lascia a desiderare, ma per il resto Mangiantini riconferma alla grande il suo tratto sicuro.  Molto belli tutti gli indiani e i soliti fondali.



LO SCETTRO DI TIN-HINAN 
(nn. 552/556)
Boselli - Rubini

Testo: 9- . L’unico accenno di bocca storta l’ho avuto nel finale. Non certo perché frettoloso o cose del genere, ma perché dopo tanti albi e anni, mi aspettavo finalmente di vedere questa benedetta “chiave della conoscenza” e di scoprirne i misteriosi poteri. Ma di sicuro non mi lamento, se le storie che ci snocciolate per tirarla ancora un po’ lunga sono di questo livello! Dopo averci abbandonato sul più bello a suo tempo, Boselli si ripresenta con una ricchissima paella in cui ficca dentro tutte le varie ambientazioni precedenti e… beh, ci riempie la pancia da par suo! Grandissima avventura, densa di avvenimenti e colpi di scena, con una nutrita messa di personaggi più o meno minori, ma ognuno ben caratterizzato per quel che serve, anche fosse per poco. E’ infatti mia convinzione che il coraggio di eliminare personaggi portati avanti per molte pagine, come in questo caso Alidora o Moridian, sia un tipico indicatore della densità del narrato, perché si “spendono” idee anche su elementi per i quali, in altri contesti più superficiali, non si perderebbe troppo tempo a caratterizzarli, visto che poi durano poco. Ma dall’altro lato, un tale brulichio di apprezzabili caratterizzazioni porta con sé il limite (non il difetto!) di non affondare mai davvero il colpo su nessuno, e questa è la principale zavorra che la blocca sul piano della sola avventura e non gli permette di saltare su quello dei capolavori. Ma in ogni caso, la prima qualità portante di questa storia è il senso di epica diffuso ovunque, quasi respirabile. Ne capitano davvero di ogni, e ovunque è presente la maestosità degli scontri tra i nostri eroi e i loro degni avversari, o anche solo con le forze della natura. Tutto ciò che affrontano è pericolosissimo, e questo aumenta il pathos a mille, se ben gestito come qua. Ovvio, non mancano passaggi un po’ discutibili (uno per tutti: la vedo dura che Zagor rimanga appeso ad un oggetto senza veri appigli e fradicio, che viaggia presumibilmente come un razzo, e peggio ancora che gli riesca quella manovra per entrare), ma si pagano volentieri in cambio di tutto il resto.Bene pure le due vignette in cui Richter riprende e spiega quello che era il buco più fastidioso della sua ultima apparizione, e cioè come avesse potuto imparare in quattro e quattr’otto a far funzionare tecnologie sconosciute, nonché la sua follia che appariva alquanto forzata. 

Disegni: 9,5. Che Rubini è allievo di Andreucci si vede, ma mi sa che qua se non supera il maestro poco ci manca.Una prova davvero strepitosa, a cui da’ ancor maggior valore il fatto che si cimenta in tutte le situazioni possibili, e davvero non si saprebbe quale scegliere come migliore: western, horror, città, foreste, deserti e mare… uno stupefacente sfoggio di capacità poliedriche, unite da una resa elevatissima! Se devo portarmi via una sequenza da incorniciare, indicherei quella nella tempesta marina, assolutamente grandiosa nel suo realismo, che fa vivere al lettore tutta la tensione di chi ci sta rischiando la vita nel mezzo. A tutto ciò, come se non bastasse, aggiungo il carico da 11 dei particolari minuziosi talmente diffusi da elevarsi quasi a status normale, che mi hanno obbligato, per non perdermene alcuno, a leggere molto più lentamente le vignette, e quindi a gustare il tutto con più grande sollazzo. Una chicca tra le tante: le cuciture della casacca di Zagor. Che però incorpora anche uno dei pochissimi difetti, quando gli disegna la tartaruga addominale e varia muscolatura: è una casacca di pelle, non una tuta attillata da supereroe. Un altro punto negativo, ma forse è colpa della sceneggiatura, è che non si schioda quasi mai dalla gabbia a 6, mentre, proprio per quanto è bravo, alcuni passaggi meriterebbero qualche vignetta più larga (es. l’evocazione dei demoni, o le scene sul mare).


ANNATA 2012



ALLIGATOR BAYOU 
(nn. 556/559)

Soggetto: Paolucci - Sceneggiatura: Perniola - Disegni: Mangiantini
Testo: 6,5. Peccato. Perché parte bene, con l’evasione e ritorno di De Marigny, e poi il solletico di rivedere Ellis, Marcel e i Fratelli del Fiume. Ma purtroppo nel prosieguo si dimostrano colpi che rimangono in canna. Dutronc è un semplice espediente laterale, i terribili FdF non si vedono mai (e men che meno se ne percepisce la potenza e il pericolo, in questo senso il confronto con Nolitta è annichilente) e lo stesso De Marigny, pur nell’attenzione che l’autore cerca di prestare alla sua psicologia (tutto sommato riuscendovi), ha davvero poco peso come villain in questa vicenda, facendosi rubare il centro della scena da Marmais.
Ecco, diciamo che la parte prettamente “cajun” è interessante, ma quella “ritorno dei FdF” è riuscita proprio male, e le due appaiono molto legate insieme a forza. Forse sarebbe stato meglio limitarsi a raccontare dei cajun e basta, utilizzando tutto lo spazio per questo popolo particolare su cui ci sarebbe stato più da dire. Inoltre, limitatamente allo svolgimento, risultano fastidiose le troppe “forzature” narrative per risolvere degli inghippi. Esempi: basta buttare nelle sabbie mobili qualche oggetto e nessuno pensa che è una messinscena? Il modo con cui Zagor nel finale ha la meglio (legato) su tre uomini armati nella stessa stanza? La ricostruzione della scure in un minuto, con pure la “X” e "lato contundente e quello tagliente”? Eccetera. In ogni caso, al di là di queste sbavature (anche se tante), la storia possiede una apprezzabile scorrevolezza generale e non trascurabile lunghezza, che la portano alla sufficienza.

Disegno: 7,5. Inizialmente il tratto mi è parso un po’ incerto specie nella non omogeneità di grossa parte dei volti. Col procedere delle tavole si è percepita invece una maggiore padronanza e (forse) convinzione nei propri mezzi, che lo ha portato anche a sfoggiare deliziosi tratteggi e in genere una maggior ricchezza di particolari, come le parti nella palude e tra i canneti, o gli scontri finali sotto il temporale (tra i cajun da una parte; Zagor/Marigny dall’altra) resi in modo davvero epico.
Non mi piace invece l’interpretazione di Ellis, che pare un altro personaggio (troppo più adulto) rispetto a quello di Donatelli.



IL MISTERO DELL’ISOLA 
(Maxi n. 17)
Burattini - Chiarolla

Testo: 7,5. Il soggetto è tutto sommato modesto: sia pure arricchito dagli intrecci con la presenza dei galeotti e del piano per liberare Nolan, due terzi del racconto sono racchiudibili nel “semplice” naufragio, mentre il mistero del presunto mostro dell’isola si rivela poca cosa. Ma proprio i limiti della trama fanno meritare un più forte applauso alla sceneggiatura, che risulta davvero appassionante. L’inizio in medias res è magistrale, con la curiosità del lettore pompata a mille nel chiedersi cosa sarà mai successo, e il conseguente disvelarglielo un pezzetto per volta, compresa la più che gradevole gag cichiana. Tutta la fase della tempesta e relativo naufragio è grandiosa per pathos, e la tensione, tenuta alta dalle ipotesi su urla, denti enormi e fosse di ossa, viene un po’ meno solo nel finale, con il combattimento con dei “banali” selvaggi. Peccato, non da poco, che in queste 288 pagine manchi qualche personaggio davvero cattivo, o che permetta comunque almeno un paio di passaggi umanamente intensi, dato che le condizioni estreme della vicenda ne avrebbero facilitato il giganteggiare.

Disegni: 8. Beh, io non sono certo un estimatore della mano di Chiarolla, i cui volti e relative versioni di Zagor e Cico continuano a non piacermi affatto, ma nemmeno sono cieco da non vedere che, tolte queste (importanti) negatività, il resto è di grandissimo livello. Complimenti subito alla scelta redazionale di destinarlo ad una storia marina: nelle fasi della tempesta il suo tratto ricercato e convulso si esalta come non mai, producendo tavole angoscianti e maestose. Ottimi i fondali, carichi di particolari, specie a bordo della nave distrutta, ai quali i suoi tipici “ghirigori” confluiscono un nuovo spessore. La sua miglior prova sulla testata.



L’UOMO CHE SCONFISSE LA MORTE
(Gigante n.2)
Burattini - Verni

Testo: 9. L’inizio è splendido, una delle scene più intense mai viste a Darkwood da non so quanto tempo. Se pure tutti sappiamo che, nonostante le più schiette apparenze, Zagor non può morire punto e basta, devo dire che queste “apparenze” sono state condotte in modo davvero coinvolgente. Riuscire a far venire brividi veri, nonostante si stia utilizzando l'unica sospensione dell'incredulità che nessun autore potrà mai indurre, è indice di mestiere autentico.
Mi sono veramente emozionato e un po’ commosso nel vedere la scena di uno Zagor colpito a morte, la sua espressione di terrore nella consapevolezza della sua fine, il corpo trafitto e il dolore degli amici. Quando Cico pensa: "Se è un trucco... o sei davvero uno Spirito... ora devi alzarti da quella pira"... ecco, la lacrimuccia è uscita. Stavo male a vedere in quella condizione qualcuno che ormai la mia parte emotiva percepisce come un amico, tanto che anche io avrei voluto dire agli autori: "OK, bravi, ma ora basta... fatelo alzare, dai".  Come chi è immerso nel dolore del lutto ed è pronto a credere a tutto purché non sia vera quella morte, mi è piaciuta questa pennellata di Cico che per un attimo arriva a illudersi che il suo amico sia veramente uno spirito immortale, pur sapendo benissimo che non lo è... ma andrebbe bene tutto, pur di non perdere il suo amico!
Applausi a scena aperta, quindi… bravi bravi!!! Il resto, invece, non regge l’incipit. Ma è comunque una storia più che gradevole, che ha la parte migliore nella componente “gialla” sapientemente dipanata, e mi riferisco a come viene svelato un pezzo alla volta, con la giusta suspance, il trucco della morte di Zagor (perché ovvio che il lettore lo sa che prima o poi lui tornerà in qualche modo, e il bello è vedere come). E su questo “come”… beh, sì, Botegosky era l’unico modo “realistico” di risolvere la cosa (confesso che io ero andato da tutt’altra parte, verso i piani paralleli sclaviani), ma sapere che un personaggio così “storico” è stato eliminato per sempre… mmm… mi lascia l’amaro in bocca. Dopo Bimbo Sullivan, pare che Burattini si diverta a fare fuori queste figure classiche!

Due parole, infine, sull'uomo che ha sconfitto la morte. Durante le rivelazioni finali pensavo che il titolo fosse d'effetto, ma forse esagerato. Chi è l'uomo del titolo? Non Zagor, visto che non muore lui ma il suo sosia. Ma neppure Red Warrior, impersonato dal fratello. Chi è dunque "l'uomo che sconfisse la morte"? Beh, sarò retorico ma credo che la risposta sia nella dedica finale. Sconfigge la morte colui che viene ricordato e amato anche dopo di essa, perché continua a vivere nei mondi che ha creato, in chi porta avanti la sua opera col rispetto che nasce dalla stima che ha saputo conquistarsi... e soprattutto nei sogni di tutti coloro - io per primo - che hanno imparato a farlo fin da bambini grazie a lui, e che oggi, un pezzetto di ciò che sono, esiste perché è esistito lui.
Per quanto mi riguarda, ma da quel che sento la mia posizione è abbastanza condivisa, Guido Nolitta non è stato solo un narratore fantastico, ma un autentico "formatore" della mia personalità. Sarei sicuramente diverso - e peggiore - se non lo avessi incontrato. E' dentro di me e di noi, dunque, che lui ha sconfitto la morte e continua a vivere. E, dopo questa "buona lettura", come ci augurò fino alla fine, non mi viene in mente modo migliore di farlo.

Disegni: 9,5. 
Sulla goduria di ogni fan di Ferri nello scorrere il miracoloso pennello di Verni, inutile dire.Ma mi pare che, volta dopo volta, ci sia sempre più qualcosa di personale, e stavolta parecchio. Mi riferisco in particolare alla strabiliante ricchezza di chiaroscuri sparsi ovunque, specie nelle ambientazioni naturali e/o notturne. Ma forse il top è la parte nel castello con i ricchissimi tratteggi con cui ricama le ombreggiature dei muri di pietra. Fantastico anche l’impatto di pag. 109! E tutto questo particolareggiare senza togliere una virgola alla leggibilità, per cui bravissimo davvero!





ROTTA VERSO PANAMA 
(nn. 559/562)
Rauch - Di Vitto

Testo: 8,5. Come si dice, bei personaggi = belle storie, e questi albi ne sono una valida dimostrazione. Tutti occupano più che bene il ruolo che devono tenere, da Cullen a Mission e soprattutto a McGunn, un cattivo veramente cazzuto in grado di creare quel contraltare che esalta le imprese di Zagor come meritano.  Tra cui il classico duello finale col villain, che grazie alla particolare modalità si legge con interesse autentico. Perché normalmente queste rese dei conti finali con un personaggio che segui da 50 anni, finiscono invece per avere un po’ il sapore del sesso coniugale, cioè una cosa impastata più di dovere che di brividi effettivi. Ma appunto, non stavolta.
Anche se proprio nel duello c’è forse l’unico punto stonato, e mi riferisco a quell’abbandonarsi finale di Zagor alla morte che, per quanto d’impatto, non è proprio da lui. Tra le cose positive ci sono sicuramente le accurate ricostruzioni storiche che fanno respirare forte il quando e il dove, che poi sono per me uno dei primi motivi di plauso di default per queste trasferte, in ottica di germinazione di nuovi spunti. Dispiace che Rauch scriva così poco, perché possiede una grande capacità di tenere alta la tensione narrativa e questa storia ne è forse il suo esempio migliore.

Disegno: 8. Devo dire che non amo molti i visi squadrati dei De Vitto, ma ne riconosco la bravura nel resto. Soprattutto nella leggibilità, che poi è per me, bonelliano di ferro, assolutamente determinante. Sono professionisti che mettono tutto quello che hanno al servizio della storia, cosa che io vorrei sempre in un disegnatore, quasi a prescindere della resa. Che in questo caso è più che buona, beninteso. Sequenza migliore direi quella sotto la pioggia, ma meritano le splash pages di inizio storia e “Pacifico”, e i tanti dettagli nei fondali.  E poi le scene d’azione, finanche sorprendenti per il tratto apparentemente “legnoso” dei De Vitto, ma invece realizzate con grande dinamismo e plasticità, specie nei movimenti di Zagor nei duelli e nello schivaggio di pallottole.



SANGUE NERO 
(Speciale n. 24)
Perniola - Cassaro

Testo: 6. Storiella che fila via anche bene ma che offre ben poco d’altro. Delle caratterizzazioni prospettate in seconda di copertina non se ne vede che una flebile ombra: la biografia di Washington occupa una misera pagina, e alla fine neppure le dinamiche dell’omicidio sono state evidenziate realmente al lettore. Aggiungo anche un paio di situazioni in cui Zagor se la cava senza un graffio uscendo da una gragnuola di spari (al chiuso!) con dei movimenti da saltimbanco fisicamente abbastanza improponibili. Ma come dicevo all’inizio, per fortuna la sceneggiatura, a parte alcuni passaggi forzati come questi, si mantiene tutto sommato sul filo della gradevolezza.

Disegno: 5,5. Non vorrei essere troppo cattivo, perché traspare un impegno testimoniato da un lavoro ricco di dettagli e da tantissimi fondali curati, ma la “mano”, a parte qualche sporadico e in quanto tale incomprensibile fulgore (esempio: le ultime due vignette di pag. 17, o pag. 57), prosegue in una triste involuzione, specie nel viso di Zagor, spessissimo inguardabile.
Come altro si possono definire le prime due vignette di pag. 145, le ultime due di pag. 27, l’ultima di pag. 40, tutta pag. 68, e tante tante altre?
Non so cosa è successo ai Cassaro negli ultimi anni, ma ormai da troppo tempo mi sembrano sotto gli standard minimi della testata.




LA MUMMIA DELLE ANDE 
(nn. 562/565)
Burattini - Prisco

Testo: 8. Il vero limite di questa storia è che non riesce mai a scrollarsi di dosso il suo essere una (e del resto inevitabile) tappa intermedia. Burattini ci prova – intendiamoci – a intrecciarla con più di una sottotrama, e ci riesce anche bene, ma i pur interessanti comprimari non riescono mai a catturare la centralità dell’attenzione del lettore fino in fondo, il quale la rivolge (anche in questo caso inevitabilmente) all’attesa di qualche nuovo pezzo di rivelazione della meta di Dexter e relativo “perché del tutto”. Ciò detto, sono 4 albi che si sono letti molto goduriosamente, a partire dalla sempre apprezzate nozioni storiche e culturali (la corrida “condor - toro” è una chicca che non conoscevo proprio!), fino allo spessore di un po’ tutti i personaggi, come Mama Jacinta o Barranco, che mica lo vogliamo fare morire qua, vero? E quindi niente, attendiamo pazientemente i prossimi capitoli e “pezzi”, che se ci sono intermezzi come questo aspetteremo volentieri!

Disegno: 8. Prisco tecnicamente è sempre ineccepibile, ma nelle fasi iniziali mi è parso di cogliere una eccessiva stilizzazione, che consideravo un peccato.  In corso d’opera le tavole si sono invece piacevolmente arricchite di dettagli, esplodendone nell’ultima parte con, tra le tante cose, una resa delle costruzioni in pietra e mattoni davvero superlativa. Inoltre, l’attenzione della sceneggiatura all’opportunità che le trasferte offrono a livello di ricchezza culturale, è ben colta anche dal disegno nel riportare città, abiti e tratti somatici di etnie specifiche, di cui in altre circostanze non si tiene sempre in giusto conto.



LA PRIGIONE SUL LAGO 
(Maxi n.18)
Mignacco - Di Vitto

Testo: 7. La lettura è piacevole e presenta anche un paio di comprimari caratterizzati in modo discreto (mentre molti dei criminali sono mezze macchiette), ma il tutto con troppo poco mordente. Che in più va via via scemando in corso d’opera, dopo – peccato – una prima parte che incuriosisce abbastanza. Più si va avanti, più si capisce che il piano non è poi così machiavellico (detta brutalmente: con quelli di Mortimer non c’è proprio paragone) e la complessità per il lettore è retta quasi solo dall’alto numero dei complici di Fasan e sospetti tali, così da impedire qualunque tentativo di indovinare il chi e il come in corso di lettura. Ma il vero difetto è secondo me la caratterizzazione troppo piatta di Zagor (per tacere di quella di Cico, veramente nulla). Non che non sia tenuto al centro dell’azione, questo no, ma fa quello che farebbe un “qualunque” eroe al centro di questo fumetto. Lui o un altro sarebbe lo stesso.  E' uno Zagor intellettivamente passivo, senza alcuna scintilla della prorompente personalità che dovrebbe avere.  E tra tutte le lacune, trovo particolarmente grave il suo acritico posizionarsi dalla parte della “autorità costituita” nei dialoghi con Fasan e Rogers, che infatti risulta molto più umano e vero. Zagor invece sembra quasi un burocrate della legge, con concetti tagliati con l'accetta tipo “ladri tutti cattivi” e “poliziotti tutti bravi”. Non è proprio lui.

Disegni: 9. Veramente un grandissimo balzo in avanti dei De Vitto che rasentano la perfezione. A parte qualche limite tipico del loro tratto (il peggiore: i pugni), a questo giro riescono a innalzare enormemente il livello di dettaglio, pure senza cedere nulla dal loro principale pregio, ovvero la leggibilità. La ricchezza di dettagli e tratteggi è davvero da encomio, raggiungendo l’apice nelle scene boscose. Sinceramente, ed è un complimento gigantesco visto il livello dei predecessori, non so quante altre volte in tutta la serie ho visto Zagor volteggiare tra gli alberi in un ambiente riportato in modo così realistico. L’intreccio casuale e armonico dei rami e dei tronchi, il fogliame e le mezze ombre, unitamente alla varietà di inquadrature spettacolari, danno una maestosità alle acrobazie di Zagor rara e coinvolgente. Anche il volto dei due protagonisti, pur se ancora con qualche appunto troppo personale, mostra miglioramenti che non sarebbe sensato ignorare.
Considerando la velocità di lavoro e l’entusiasmo con cui si sono approcciati al personaggio, davvero un bell’acquisto da Manaus!



LABIRINTO VERDE 
(nn. 565/567)
Mignacco - Ferri

Testo: 5. Vabbè che si tratta di un palese riempitivo che omaggia le copertine di Mister No, che come idea in sé è anche carina, ma come storia è veramente insulsa, e io su questo la giudico.
Cazzotti, spari e fughe/imprese scritte senza impegno, che scadono quasi sempre nel ridicolo. Come definire altrimenti il modo in cui Zagor entra, combatte ed esce dalla palizzata per liberare Cico? O il seguente assalto alle piroghe?Per non parlare degli scontri con gli animali. Cico che taglia la testa a una anaconda??? E narrato proprio bene, che sequenza da brividi! Ma anche Zagor che si lancia come niente fosse contro un caimano armato di coltello tra i denti, quando semmai ha una pistola, e per salvare un totale sconosciuto che oltretutto gli ha appena sparato! OK che non è il primo che affronta, ma si raccontino queste imprese con un po’ di quel pathos che meritano: risfogliare la scena con Matusalemme per farsi un’idea! Ma è proprio tutta la narrazione “tirata via”, le psicologie sono buttate lì (ma tipo quando Zagor, tra l’altro appena scampato dai tentativi di ucciderlo di entrambe le parti, si ributta a “salvare l’equipaggio del battello dalla vendetta dei Jivaros” per “consegnare i colpevoli alla giustizia”! Cioè… in mezzo all’Amazzonia?! Maddai, per favore!), e alla fine la banale morte di Darq chiude degnamente il cerchio.

Disegni: 10.