martedì 26 febbraio 2013

IL BERRETTO A SONAGLI




Già in altre occasioni ho parlato della mia attività di autore teatrale, e ho confessato di aver avuto anche qualche esperienza come attore e regista di commedie vernacolari. Ci sono un paio di miei lavori che continuano a venire rappresentati dopo oltre venticinque anni dal debutto, sia pure in piccoli teatri di provincia, e non posso che esserne contento. Di recente, mi è stato proposto di tornare a occuparmi di teatro, e io ho accettato con entusiasmo, come se fosse sbocciato di nuovo l’amore per una vecchia fiamma.

Francesco Bellomo
A farlo, è stato il produttore e regista Francesco Bellomo, zagoriano di provata fede ma grande esperto di fumetti bonelliani in senso lato, che si è convinto, dopo avermi letto per anni come sceneggiatore, di vedere in me la persona giusta per realizzare alcuni progetti che aveva in mente, a partire da quello di cui sto per parlarvi, mentre altri vedranno (forse) la luce in futuro. Così, tra metà gennaio e ieri sera (quando ho dato l’ultima aggiustatina al volo a una scena, dato che in teatro i testi vanno calibrati sulla base delle prove sul palco), ho lavorato alla messa in scena della commedia “Il berretto a sonagli”, di Luigi Pirandello, con protagonista il grande Pino Caruso nei panni dello scrivano Ciampa (un ruolo che, in alcuni celebri allestimenti, è stato anche di Turi Ferro e Paolo Stoppa, ma che lo stesso Caruso ha interpretato in altre occasioni, con grande successo). La locandina dello spettacolo è quella che vedete in apertura, e forse avrete già notato che il mio nome vi compare due volte, come adattatore del testo e quale coordinatore artistico.


Paolo Stoppa nel ruolo di Ciampa
Che cosa mi è stato chiesto di fare, sostanzialmente? Innanzitutto, di mettere la mani (con tutto il rispetto dovuto) su alcune scene dell’opera, d’accordo con il regista (lo stesso Bellomo). Poi, di fungere da aiuto-regista nella definizione dei movimenti dei personaggi sulla scena, nella caratterizzazione di atteggiamenti e gesti, nel favorire la giusta lettura delle psicologie. I giochi sono fatti: lo spettacolo è ormai al debutto. Sarà in scena a Roma dal 7 al 17 marzo 2013 (Teatro Ghione), ma ci saranno due aperture di tournée a Latina venerdì 1° marzo e a Pescia (Pistoia) sabato 2 marzo 2013. In questa occasione, in sala sarò presente anche io.

Luigi Pirandello

In che cosa è consistito l’adattamento? Va detto che “Il berretto a sonagli” ha subìto tagli e adattamenti fin dalla prima nazionale del 27 giugno 1917. In quell’occasione venne rappresentata con il titolo di 'A birritta cu' i ciancianeddi, in dialetto siciliano. Il capocomico Angelo Musco operò numerose sforbiciate e diversi aggiustamenti al testo, sostanzialmente per renderlo più umoristico (dato che l’argomento si prestava, trattandosi di una storia di corna). Ma anche in seguito, la manipolazioni sono state innumerevoli, talvolta con il consenso dello stesso Pirandello che suggeriva alle compagnie di verificare il funzionamento delle scene sul palcoscenico, salvo poi adirarsi nel sentirsi dire che di alcune avrebbero dovute essere cambiate perché non funzionavano. Il carteggio del commediografo è istruttivo e interessante a questo proposito. A un certo punto, Pirandello decide di “tradurre” ‘A birritta in lingua italiana, e lo fa partendo non dal suo testo originario, ma da una versione adattata. La prima di questa seconda versione è del 1918 (con la regia di Gastone Monaldi). Esiste anche un celebre adattamento di Eduardo De Filippo in napoletano, datato 1936.

La messa in scena di Francesco Bellomo recupera alcune delle scene tagliate, per esempio quella, a mio parere molto bella, degli scorpioni nascosti nella biancheria, chiara metafora del tradimento che penetra nel sacrario famigliare. Oltre a questo, io, Bellomo e Caruso abbiamo aggiunto altre piccole sequenze di poche battute, sia per facilitare la comprensione (senza tradire in nulla lo spirito originario), sia per caratterizzare meglio certi personaggi (come Nina, la giovane moglie di Ciampa). Sulla scena compaiono anche, fisicamente, due figure che Pirandello nomina molte volte ma che, nel testo originario, non si vedono mai: il Cavaliere Fiorìca e il poliziotto Logatto.

Pino Caruso

Due parole sulla commedia. Va detto innanzitutto che il copione prende spunto da due novelle pirandelliane, entrambe del 1912, “La verità” e “Certi obblighi”, in cui si parla appunto di mariti cornificati in casa dalla moglie mentre sono fuori per lavoro (e tutto il paese mormora, mentre l’interessato fa finta di nulla) e di delitti d’onore, compiuti non perché il tradimento si è compiuto, ma perché si è venuto a sapere. 


Protagonisti assoluti sono Beatrice, moglie del Cavaliere Fiorìca, e lo scrivano Ciampa, dipendente dello stesso. Beatrice, certa del tradimento del marito che da tempo frequenta la moglie di Ciampa, denuncia l’infedeltà (proibita per legge) alle Autorità, e obbliga il Delegato Spanò, amico di famiglia, a cogliere in flagrante il consorte, organizzando l’occasione grazie all’ allontanamento pretestuoso da casa dello scrivano. Costui, ben consapevole del trappolone, cerca di mettere in guardia la padrona, ma non ci riesce. Tuttavia, a scandalo avvenuto, tutta la famiglia della donna (compresi la madre Assunta e il fratello Fifì) concorda nel ritenere una follia il voler mettere i fatti in piazza, e anziché solidarizzare con la cornuta, la màzzia pure dicendogliene di tutti i colori. Ciampa risolve la situazione perché spiega che, finché il tradimento fosse rimasto nel privato, la cosa poteva non provocare danni, ma una volta che si sia saputo, lui viene costretto a uccidere i due amanti, pur essendo uomo pacifico. L’unica via di uscita, suggerisce lo scrivano, è concordare tutti nel dire che Beatrice è pazza, vittima di allucinazioni e di esaurimento nervoso, e farla ricoverare per un periodo di riposo in una casa di cura. Così accade. La morale pirandelliana è, insomma, che non conta ciò che è vero, ma ciò che conviene. Non fa danno il tradimento, ma il fatto che lo si sappia in giro.

Ogni personaggio è, ovviamente, magistralmente caratterizzato e ha le sue motivazioni, io suoi perché. Su tutti, colpisce la lucidità di Ciampa, umile soltanto in apparenza. Una delle trovate più divertenti è quella delle “tre corde” (la seria, la civile, la pazza) che, a suo dire, tutti avremmo in testa.

« CIAMPA: Deve sapere che abbiamo tutti come tre corde d'orologio in testa.
(Con la mano destra chiusa come se tenesse tra l'indice e il pollice una chiavetta, fa l'atto di dare una mandata prima sulla tempia destra, poi in mezzo alla fronte, poi sulla tempia sinistra.)
La seria, la civile, la pazza. Soprattutto, dovendo vivere in società, ci serve la civile; per cui sta qua, in mezzo alla fronte. Ci mangeremmo tutti, signora mia, l'un l'altro, come tanti cani arrabbiati. Non si può. Io mi mangerei per modo d'esempio il signor Fifì. Non si può. E che faccio allora? Do una giratina così alla corda civile e gli vado innanzi con cera sorridente, la mano protesa: "Oh quanto m'è grato vedervi, caro il mio signor Fifì!". Capisce, signora? Ma può venire il momento che le acque s'intorbidano. E allora... allora io cerco, prima, di girare qua la corda seria, per chiarire, rimettere le cose a posto, dare le mie ragioni, dire quattro e quattr'otto, senza tante storie, quello che devo. Che se poi non mi riesce in nessun modo, sferro, signora, la corda pazza, perdo la vista degli occhi e non so più quello che faccio! » 

Se andrete a vedere Pino Caruso e il resto della compagnia, in giro per l’Italia, mi farà piacere.