venerdì 1 febbraio 2013

TANTI E ALLETTANTI





Come tradizione, ecco le mie recensioni (tra il serio e il faceto) di alcuni dei libri che ho letto di recente: sono le mie letture (almeno quelle di cui ho trovato il tempo di scriverne) dei mesi di novembre e dicembre 2012. Non è necessario leggere le schede che seguono nell'ordine (assolutamente casuale) in cui sono proposte: potete scorrere le immagini delle copertine e soffermarvi su quelle che più vi incuriosiscono. La mia preferita, giusto per dire, è la recensione de "Il segretario galante". Le precedenti recensioni sono state raccolte sotto il titolo "Letti di foglie".




TEX IL GRANDE!
di Claudio Nizzi e Guido Buzzelli
Nicola Pesce Editore, 2012

Sitratta del primo "Texone", uscito originariamente nel giugno del 1988 e riproposto in versione cartonata con il corredo di un ricco apparato critico. A Matteo Stefanelli e Gianni Brunoro è affidato il compito di introdurre l'opera, illustrata dal tratto pittorico e personalissimo di Guido Buzzelli (Roma, 1927; ivi, 1992), un autore apparentemente lontano anni luce non solo dal western, ma anche dal segno realistico tradizionalmente richiesto da una serie come Tex.  Buzzelli veniva da esperienze eterogenee ma tutte caratterizzate dal grottesco sia nei testi (sempre suoi) che nei disegni (“La rivolta dei racchi” ne è un esempio), pubblicate su riviste “alternative” (come, appunto, “Alter” Linus). Basti pensare che contemporaneamente a Tex disegnava tavole ironiche e dissacranti su “Satyricon”, il supplemento domenicale di Repubblica, di cui era uno degli autori di punta. Eppure, dedicandosi ad Aquila della Notte, trasferisce il suo luciferino senso del dinamismo tipico del grottesco al servizio di una avventura tra le foreste dell’Oregon, dove ogni personaggio risulta animato da una incredibile carica vitale e da una straordinaria espressività. Nei Texoni non è grande solo il formato. E’ grande anche l’idea che c’è dietro. E grandi, proprio grandi, sono i nomi degli autori chiamati a concretizzarla. Parliamo dei Texoni, ovvero dei volumi della serie Tex Albo Speciale che dal 1988 si sono affiancati in edicola , agli albi di Tex della serie regolare e ai suoi supplementi (Maxi Tex, Tex Color e Almanacchi del West). Nella sua presentazione al primo di questi volumi, disegnato da Guido Buzzelli con il suo personalissimo tratto, Decio Canzio così spiegava: “L’idea è quella di chiedere ad alcuni ‘grandi’ del disegno di misurarsi con il personaggio di Tex Willer, per offrire ai lettori nuove interpretazioni del protagonista, dei suoi comprimari e del suo mondo”.  La storia, scritta da Claudio Nizzi e intitolata “Tex, il grande!”, era pronta già da tempo, negli archivi della Casa editrice, e quando ero stata commissionata a Buzzelli il progetto dei Texoni ancora non esisteva. E’ lo stesso disegnatore a raccontare come andarono le cose, in una intervista pubblicata sul n° 22 di Fumo di China (prima serie) datato febbraio 1995: “Incontravo spesso Sergio Bonelli nelle varie manifestazioni – spiega Buzzelli - Una volta, cinque anni fa, mi propose di fare Tex. Io gli promisi che l’avrei fatto volentieri, ma poi non ho mai trovato il tempo. Un anno fa decisi di telefonargli, domandandogli se era ancora disponibile a farmi farmelo fare. Poi, quando l’ho fatto, era un’enormità di lavoro: 224 pagine. L’ho fatto meglio che potevo, ma penso che non ne farò un altro. Il testo è molto buono, la sceneggiatura è perfetta, quindi l’ho disegnato volentieri. Inizialmente ho fatto del mio meglio per disegnare come Galleppini e gli altri disegnatori abituali (Bonelli me lo aveva raccomandato!); ma questa è stata un’impresa quasi impossibile, perché se uno vuol fare un disegno agile e scorrevole non ce la fa a seguire un altro stile, un altro tratto. Infatti molte cose del mio Tex penso che disorientino i lettori abituali. Bonelli lo teme, e ha detto che forse farà un’edizione speciale, un volumetto doppio, nel quale dirà appunto che è un Tex particolare, fatto da Buzzelli”. Dunque, inizialmente, la proposta fatta a Buzzelli, prevedeva la pubblicazione della storia, una volta realizzata, nella serie regolare. Ma il disegnatore, per quanto avesse cercato un approccio a Tex che si mettesse al servizio dell’eroe e si inserisse nel solco di una tradizione che andava rispettata, non riuscì a non dare alle proprie tavole l’impronta particolarissima del suo stile. “Guido Buzzelli – scrisse del resto Decio Canzio nell’introduzione al suo Texone – è un iconoclasta aduso a rompere i modelli consolidati e tradizionali per proporre innovazioni nelle forme e nei contenuti del disegno”. Tex, dunque, è l’icona affidata all’iconoclasta. Che però se ne innamora e anziché distruggerla la trasforma, le infonde energia vitale, movimento, capriccio.  Di fronte al risultato, Bonelli capì due cose: la prima, che non si potevano pubblicare le tavole di Buzzelli nella serie regolare; la seconda, che si trattava comunque di un lavoro superlativo, che doveva per forza essere pubblicato. Si trattava solo di trovargli uno spazio adatto, e un’occasione. L’occasione la offrì il calendario, di lì a poco: se “Tex il grande!” era già pronto nel 1985, nel 1988 c’erano da festeggiare i primi quaranta anni di Aquila della Notte, la cui prima apparizione risaliva appunto al 1948. Così, ecco l’idea di un albo speciale, di grande formato. Ed ecco anche l’idea di non limitarsi a un albo soltanto, ma di inaugurare con il volume di Buzzelli una intera serie in cui altri artisti come lui potessero confrontarsi con il mito di Tex, nella speranza (o nella certezza) che tanti altri avrebbero potuto raggiungere risultati simili.  Non a caso il progetto si concretizzava nel momento in cui la Casa editrice di Sergio Bonelli, portabandiera del fumetto popolare in Italia, ma con all’attivo numerosi esperimenti sul terreno del fumetto “d’autore” (dalla collana “Un Uomo un’Avventura” alle pubblicazioni legate alle riviste “Orient Express” e “Pilot”), comincia a a proporre, il “popolare d’autore”.  L'edizione di Nicola Pesce propone anche tutta una serie di schizzi di prova anche a colori, mentre la storia vera e propria viene riprodotta su carta dalla cromatura leggermente ingiallita per restituire, nonostante la cartonatura che nobilita il volume, l'effetto "popolare" dell'originale.



TONY PLUMBEO E IL GIUDIZIO UNIVERSALE
Lorenzo Bartoli
Play Seven edizioni, 2012

Bartoli non ha bisogno di presentazioni come geniale autore di fumetti (basterà citare John Doe, ma l'elenco delle sue opere sarebbe interminabile). Come scrittore, io lo conoscevo per "Cuori da bar", una antologia di racconti edita da BD, ma ho scoperto che è anche autore di due romanzi di fantascienza pubblicati da Fanucci negli anni Novanta con lo pseudonimo di Akira Mishima, e questi proprio mi mancano. C'è poi "Sempre sentirai le voci", un romanzo con protagonista Arthur King, un altro dei suoi personaggi a fumetti. "Tony Plumbeo e il giudizio universale" è l'ultima sua fatica letteraria. "Fatica" solo per modo di dire, s'intende, perché secondo me nello scriverla si è divertito un sacco. E si divertono anche i suoi lettori, una volta capito che per farlo bisogna spogliarsi di ogni paludamento preconcettuale e lasciarsi portare in volo appesi a un ottovolante che va su e giù (giri della morte compresi) per le strade di una Roma coatta sospesa tra gli anni Settanta e i giorni nostri, in una sequela di trovate folli e esilaranti, come quella della "caccola definitiva" o della studentessa Gemma Preziosi che strappa i trenta minacciando i professori di tentato stupro in caso di voto inferiore, ma lasciandosi stuprare davvero in cambio della lode. Protagonista assoluto e il balordo Tony Plumbeo, vero mito della malavita romana negli anni di piombo, così pessimo da essere stato bocciato all'esame di ammissione nella Banda della Magliana, tanto cattivo da aver steso con una testata la levatrice che lo metteva al mondo. Ucciso in un conflitto a fuoco con poliziotti travestiti da suore in un ufficio postale, Tony (per uno gioco del destino che alla fine si rivela tutt'altro che casuale) si reincarna nel 2012 nel corpo di un professore universitario mite e inetto, Marcello Castelli, il quale si trasforma improvvisamente in un personaggio del tutto diverso, con effetti strepitosi quando gli studenti si presentano per sostenere gli esami o i vigili urbani pretendono di fargli la multa. I nonsense e le trovate grottesche sono sostenute da continue invenzioni linguistiche ma anche da un caleidoscopio di citazioni colte e argute (nel corpo di Castelli, infatti, il grezzo Plumbeo legge i libri e ascolta la musica immagazzinata nel suo cervello), e alla fine si potrebbe paragonare Bartoli sia a Andrea G. Pinketts che a Niccolò Ammaniti, quello almeno di "Branchie", pur lasciando a tutti e tre, ovviamente, la propria intoccabile originalità. Non si creda di leggere un poliziottesco o un noir: "Tony Plumbeo e il giudizio universale" (s'intende quello della Cappella Sistina) è qualcosa di felicemente delirante, di trasversale ai generi (horror, erotico, umoristico, grottesco, fantascientifico, storico, demenziale, fumettistico e chi più ne ha più ne metta), che finisce per costituire un qualcosa a parte.



FIORI NELLA NEVE
di Alberto Camerra
Photocity Edizioni, 2009


Alberto Camerra, scrittore brianzolo che condivide con il sottoscritto la passione zagoriana, ha al suo attivo due romanzi (oltre molti racconti) e questo, che è il primo, è giunto ormai alla seconda edizione. Prima di leggerlo, mai mi sarei immaginato che trattasse di wrestling. In copertina, infatti, c'è un fiore e sul retro, un gattino. Poi, scorrendo le pagine, tutto si è chiarito. Il protagonista è in effetti un wrestler, Steve Travel, che incontriamo chiuso in una sorta di eremo in un paesino sperduto fra le nevi canadesi, Aspen (niente a che vedere, quanto ad affollamento e strutture turistiche, con l'omonima località del Colorado). Perché il lottatore si lì, debilitato dai postumi di un combattimento che gli ha quasi spezzato la spina dorsale, lo scopriremo strada facendo. Certe fin da subito sono soltanto la sua disperazione, la sua solitudine, la sua dipendenza dall'alcool. Per fortuna, c'è chi lo aiuta. Innanzitutto un felino dal pelo bianco, chiamato semplicemente Gatto in mancanza di un nome migliore. Poi, la dottoressa che si prende cura di lui dopo averlo dovuto soccorrere trovandolo privo di sensi, abbattuto dal dolore alla schiena. Quindi, il gestore di un emporio, un prete e un collega, un indiano alto due metri, venuto a cercarlo fin sul cucuzzolo della montagna dove Travel si è nascosto. Attraverso un percorso di continui flashback, scopriamo come Steve sia stato tradito dal suo manager, da un avversario senza scrupoli, dalla sua reazione istintiva di fronte al tradimento, e dal destino. Un combattimento sfuggito al controllo dell'arbitro e degli organizzatori, infatti, ha finito per coinvolgere anche la ragazza di Travel, fattasi avanti per dividere i lottatori, spedendola in un coma che sembra senza speranze. Camerra, che dimostra di conoscere la materia di cui tratta, descrive efficacemente il mondo del wrestling (uno sport duro dove la finzione al servizio dello spettacolo non esclude i rischi e il dolore), e gioca sul contrasto fra l'asprezza della lotta e delle regole dello show-business messe a confronto con il dramma interiore del protagonista, paragonato al gelo della neve da cui, a un certo punto, riescono comunque a far capolino dei fiori. "Decadenza, tormento, redenzione", riassume uno slogan in quarta di copertina. La lettura è agile e coinvolgente: 140 pagine da divorare in una sera. I difetti sono quelli che riguardano le piccole case editrici, di cui abbiamo parlato spesso anche in altri casi, e principalmente la mancanza di una struttura in grado di garantire un editor che suggerisca piccoli accorgimenti agli autori dal punto di vista formale. Il libro si può acquistare anche sottoforma di e-book e, ovviamente, è consigliato. Il sito è dell'autore è: http://www.albertocamerra.com




IL TROIO 5: TESTEDIAZZO SI NASCE
di Andrea Camerini
Collana "I Grandi Autori del Vernacoliere"
Mario Cardinali Editore, 2012 

Il volume, cartonato, a colori e in b/n, raccoglie le più recenti avventure di uno Zanardi labronico uscite a puntate sulla rivista satirica livornese "Il Vernacoliere", scritte e disegnate dal geniale Andrea Camerini (regista, autore televisivo e radiofonico, animatore, gagman). Ho già pubblicato, qui sul coso e poi sul blog, la mia recensione della quinta raccolta, e questa è la sesta (non me ne perdo una). Siccome l'antologia comincia con una mia prefazione, eccola qui di seguito a fungere anche da recensione.

Vent’anni dopo
di Moreno Burattini

Incredibile ma vero: siamo al sesto libro del Troio! Chi lo avrebbe detto, quando una quindicina (forse più) di anni fa, Andrea Camerini, allora imberbe e aspirante disegnatore dalle mille idee, veniva a trovarmi pieno di fogli e di carte imbrattate coi suoi schizzi, raggiungendomi dovunque mi trovassi (a casa, in vacanza, al gabinetto, in pineta con la morosa: non c’era verso di liberarsene). All’epoca, mi chiedevo che cosa sarebbe riuscito a fare, da grande, quella testa sempre in fermento. Ma era pieno di entusiasmo contagioso e mi faceva scompisciare dalle risate: non c’erano dubbi che da qualche parte sarebbe arrivato. Poi venne il Troio, di cui ho avuto l’onore di aver visto in anteprima le tavole di prova, davanti al mare di Baratti dove, una volta tanto, ero andato a trovarlo io. Sgranai gli occhi e dissi al ragazzino: ma davvero te le pubblicano? Non solo gliele hanno pubblicate davvero, ma hanno continuato a farlo per quasi vent’anni di fila. E io, fedele lettore del Vernacoliere, ho continuato leggere le storie di Andrea anche se poi le strade della vita ci hanno separati e non è stato più facile incontrarci. In realtà, per un bel po’ sono riuscito a fargli perdere le mie tracce perché non venisse più a farmi vedere niente. Ma non c’è stato niente da fare: Camerini mi è ricomparso davanti, come quando era un pivello alle prime armi. E aveva di nuovo una cartella di fogli: le tavole che compongono questo volume, il sesto, come si diceva, del “Troio”. Così, mi ritrovo qui a prefarre questa raccolta. E ne sono contento; perché io e Andrea ci siamo ritrovati su queste pagine. Certo, tutti e due con qualche capello bianco in più, ma con la stessa amicizia e lo stesso amore per i nostri “eroi di carta”. Perché, senza dubbio, anche il “Troio” È un eroe di carta (o forse di “cartina” visto il suo solito vizio di farcire le sigarette che scrocca) e nulla ha da invidiare ad altri personaggi più celebri come l’uomo allungabile (si allunga anche lui, fidatevi); è come l’uomo invisibile (visto che appena nomini la parola “lavoro” sparisce) e se qualcuno cita l’incredibile Hulk, beh, per quello c’è il quel bilioso del su’ babbo.
In tutti questi anni, il mio amico Andrea ha fatto un sacco di cose. Si può dire, anche se lui fa finta di niente, che ora è noto ben oltre i confini del "Vernacoliere" sia come regista di corti cinematografici (in queste ore esce sul canale di youtube “Aglien”, la sua personale e divertentissima rilettura del capolavoro di Ridley Scott) e animatore di sigle TV (sono suoi i cartoni animati di quelle delle rubriche di "Striscia la Notizia” come: "I nuovi mostri" ; "Fatti e rifatti" eccetera.) sia come autore comico per la televisione (per programmi come “Mai dire Martedì” della mitica Gialappa’s) e radiofonico (per il morning show satirico “la carica di 101” di radio R101). 
Oltre tutto questo, Andrea trova ancora il tempo da dedicare al suo figliolo, nato sulle pagine del Vernacoliere ormai 19 anni fa. Era il 1993 quando le prime strisce del personaggio venivano pubblicate e nessuno si aspettava che diventassero, nel tempo, un baluardo della livornesità e una colonna del giornale diretto da Cardinali. Nel tempo, il suo personaggio si è evoluto da semplice striscia umoristica, con un suo preciso linguaggio, in un racconto generazionale. Sì, perché il Troio cresce, così come il suo autore. Prima aveva appena vent’anni e ora è un quasi quarantenne che ancora fa il ragazzo e si aggira per la casa paterna, in cerca di spiccioli che il babbo perde dalle tasche (e il babbo non ha tasche!). Di chi sto parlando? Di Andrea o del Troio? Parlo del Troio, naturalmente (forse) un personaggio pessimo e negativo come pochi altri mai; una sorta di coatto livornese, un tamarro al cacciucco, uno Zanardi labronico, ma anche uno che i coatti e i tamarri (e forse anche gli Zanardi) li stende con un rutto, perché lui, indiscutibilmente, è superiore. Bello e biondo, senza voglia di lavorare, totalmente disinteressato ai problemi del mondo se non ai suoi, che sono soltanto quelli di evitare le ire del babbo che lo vuol buttare fuori casa e di trovare compagnia femminile, con qualunque mezzo lecito e meno lecito. Dunque, è questa la filosofia del titolo, com'è facile da intuire. Ma essere “testediàzzo”, qui, non è solo un vivere una condizione di disagio che ci porta ad essere involontari comici sul palcoscenico della vita- goffi e buffi nel muoversi e nel relazionarsi con gli altri (e, soprattutto) con le altre- no! Qui essere “testediàzzo” è un valore aggiunto; è essere scanzonati e liberi, come –forse- non sappiamo più essere.



NESSUNA PIETA' PER GASTON
di Franquin
Alessandro Distribuzioni, 1990 

Ricordo ancora la volta in cui, ai tempi della rivista "Collezionare", sono andato a Bologna a intervistare Alessandro Pastore, l'editore di questo libro, chiedendogli, fra le altre cose, quale fosse, tra le sue pubblicazioni, quella da lui preferita. Non dimenticherò la sua espressione beata nel rispondere: "i volumi di Gaston". Alessandro Distribuzioni, oggi Alessandro Editore, ne pubblicò parecchi, a cominciare da "Il gigante della gaffe", e questo "Nessuna pietà per Gaston" è il quinto della serie. La traduzione, peraltro, è di un pezzo da novanta: Luigi Bernardi. L'adattamento rispecchia perfettamente, nel lettering, lo spirito dell'originale. Si tratta di tavole comiche autoconclusive, pubblicate originariamente sulla rivista umoristica francese "Spirou" con protagonista uno svitato redattore delle edizioni Dupuis, là dove si realizzano albi a fumetti. Gaston non si può esattamente definire come uno sfaccendato, dato che si affaccenda pure troppo. Solo che non si dedica al suo lavoro che consiste nell'evadere pratiche e smaltire la corrispondenza, ma si cimenta in invenzioni folli che a suo dire dovrebbero migliorare la qualità della vita sua e dei colleghi, con risultati imprevedibili e disastrosi. Mitiche, poi, le sue litigate con i vigili urbani per i parcheggi in divieto di sosta, le sue figuracce con il direttore Abaco, le imprevedibili conseguenze delle sue iniziative o della sua mancanza di iniziativa. Come tutte le raccolte di strip, la lettura dovrebbe però essere diluita nel tempo (una tavola al giorno) e non concentrata in una sera. Tuttavia, un classico da non perdere.



RASSEGNA STANPA
di Federico Sardelli
Il Vernacoliere, 2012

Del genio comico grafico e letterario di Federico Sardelli e del suo multiforme ingegno che lo porta a primeggiare anche come serissimo direttore d'orchestra a livello internazionale, ho già parlato più volte. Se non l'avete già fatto, procuratevi i libri del Vernacoliere che raccolgono i suoi "Miracoli di Padre Pio", le sue "Più belle cartoline dal mondo", i suoi racconti del libro "Cuore" e tutte le altre antologie destinate a tramandare ai posteri le esilaranti facezie che da anni pubblica sul mensile satirico livornese. Questo nuovo libro (120 pagine di grande formato, cartonato, tutto a colori) raccoglie le prime pagine della sua "Rassegna StaNpa" (il refuso è, evidentemente, voluto) che prende clamorosamente in giro alcuni quotidiani, dal Sole 24 Ore a l'Avvenire, con particolare accanimento nei confronti de La Nazione, de L'Osservatore Romano e de Il Giornale (Repubblica o l'Unità non vengono presi in considerazione per una precisa e legittima scelta del dichiaratamente fazioso autore). Le testate vengono storpiate di volta involta in "La Razione (di cazzate quotidiane)", "Il Gi-Orinale", "L'Oscuratore Romano". I titoli sono esilaranti, anticlericali e politicamente scorretti, i falsi articoli (tutti leggibili) ancora di più. Divertente da mozzare il respiro dal gran ridere.



CHIAMATEMI SANDOKAN!
di Fabian Negrin
Salani, 2011 

Si tratta di un libro illustrato per ragazzi, uscito in occasione del centenario della morte di Emilio Salgari, cartonato, 64 pagine a colori. L'autore dei testi e, soprattutto, dei disegni è un argentino che da oltre vent'anni abita in Italia lavorando principalmente nel settore dell'editoria per l'infanzia. Il suo talento grafico è, infatti, indiscutibile e le parti scritte di questo libro sono state evidentemente concepite per essere al servizio dei disegni (e non il contrario, come di solito avviene). Il pretesto del volume è la storia di una bambina che trascorre le vacanze a casa della nonna, dove trova, dentro un armadio, dei libri: uno ha una tigre in copertina. Lo legge e scopre così l'universo dei Pirati della Malesia. Quando, qualche giorno dopo, la raggiunge il cuginetto Aldo, la ragazzina lo inizia a sua volta alla magia di Mompracem, della Perla di Labuam, dei praho e dei kriss. Aldo, che non ne sa nulla, viene istruito a dovere: non legge i libri, li vive nei giochi che la cugina lo convince a fare. Ogni angolo della casa si trasforma per magia in uno scenario delle avventure salgariane, tanto che quando la mamma viene a prenderlo e lo chiama per nome, Aldo risponde: "Chiamatemi Sandokan!". A fare da corollario al testo, oltre alle tavole illustrate, brevi brani scelti da "Le tigri di Mompracem", "I pirati della Malesia" e "Le due tigri".



I SENZA-TEMPO
di Alessandro Forlani, 
Urania n°1588 (novembre 2012)
Mondadori

Si tratta del romanzo vincitore del Premio Urania 2011, come tradizione pubblicato sulla collana (che festeggia quest'anno il suo sessantennale). Il premio riguarda opere inedite in lingua italiana e dunque il vincitore, classe 1972 e già autore di altri romanzi e racconti, è un italiano. "I Senza-Tempo" sono un gruppo di alchimisti che, nel XVII secolo, sposando le arti mistiche con i principi della quantistica, riuscirono a rendersi immortali e a dotarsi di poteri soprannaturali non dissimili da quelli dei Maestri della Notte nei fumetti di Dampyr. Anziché nutrirsi di sangue, tuttavia, i Senza-Tempo sono antropofagi e si cibano d carne umana, prediligendo quella dei bambini. La loro sopravvivenza sfilaccia però il tessuto del reale e lo svincolamento dalle leggi della fisica travia le loro menti rendendoli esseri amorali e pervertiti. In particolare, uno di loro, Monostatos, si differenzia dagli altri, che preferiscono vivere nascosti mimetizzati nelle pieghe del potere gerontocratico italiano (di cui sono evidente allegoria). Mentre i Senza-Tempo più astuti e prudenti cercano di non far scoprire la loro esistenza in modo da poter colpire nell'ombra, Monostatos, risvegliatosi da un sonno trecentenario nella cantina di una scuola, agisce in modo plateale, seminando la paura per alcuni decenni (l'azione si protrae dai giorni nostri fino al 2036). Il suo primo apparire ha plagiato per sempre la mente di alcuni bambini che ne sono stati testimoni e che sono scampati alla prima strage, e in seguito saranno proprio loro, radunati dalla giornalista Clara, a combattere la battaglia destinata a sconfiggere il mostro (che aveva già combattuto contro i suoi colleghi). Tra gli ex-bambini spicca Nausicaa, divenuta cyber-spogliarellista nei panni delle eroine dei cartoni animati, dei fumetti e dei videogiochi (i ragazzi di oggi saranno gli adulti di domani, destinati a eccitarsi con scene di sesso interpretate in cam da avvenenti cosplayers), e il folle Rommel, un giovane e disturbato neonazista che costruisce un panzer di fondamentale utilità nella soluzione del caso. Per quanto il romanzo (più orrorifico che fantascientifico, a dire il vero) sia apprezzabile, i veri pezzi forti mi sono sembrati i due racconti in appendice, anch'essi di autori italiani: "Lo scambiatore", di Marco Migliori, e "Suburbi@ drive" di Dario Tonani, che valgono da soli il prezzo del biglietto.



IL LIBRO DEI SOGNI
di Un Cabalista Pratico, 
Salani (1931)

Si tratta, di nuovo, di un volume della "Biblioteca del Ricordo", di cui abbiamo già parlato più volte, la collana della RBA Italia che manda in edicola settimanalmente in edizione anastatica libri popolari passati tra le mani dei nostri nonni negli anni fra le due Guerre. Questa volta si tratta di un dizionario di sessantamila voci riguardanti "tutto quello che può esistere sul globo terracqueo", elencate in ordine alfabetico in ragione di suggerire i numeri da giocare al lotto. Il senso del volume è quello di aggiornare i precedenti, e più limitati, dizionari del genere, per far sì che qualunque cosa venga sognata da qualcuno, trovi precisa indicazione di un numero. Il "Cabalista pratico" che ha compilato il tomo è sicuro che il suo libro raccolga "tutto quanto può presentarsi alla mente umana", come scrive nella sua prefazione. Prima del "Libro dei Sogni", insomma, se uno sognava Moreno Burattini non sapeva come giocarselo al lotto; dopo, invece, è semplice constatare come "burattini" corrisponda al numero 65. Per fare una prova, siccome è facile immaginare che i sogni erotici siano i più frequenti, ho cercato di vedere a che cosa corrisponda "sedere". La parola esiste però solo come verbo, in varie accezioni (sedere sulla tavola, sul letto, sul trono, sulla sedia e su sofà), ma non come sostantivo. E manca anche "culo". Però c'è "deretano", che corrisponde al 23. Bisogna dunque che il sognatore sia un fine dicitore, perché se uno sogna un "culo" gli deve venire in mente come invece quello sia, appunto, un deretano. Ovviamente, essendo un volume del 1931 non ci saranno parole come "televisione" o "computer", che sicuramente saranno state inserite in dizionari di questo tipo più recenti. Questo però fa venire in mente un dubbio: con quale criterio vengono attribuiti i numeri? Chi decide che, per esempio, il sottomarino (parola assente nel 1931) corrisponda al 73 piuttosto che al 25? Su che basi lo si stabilisce? Sono stare fatte delle prove con metodo scientifico? Una potrebbe essere questa: esce il 73, e il Cabalista Pratico va a chiedere a un campione di cento persone che cosa abbiano sognato la notte precedente. Se la maggioranza ha sognato un sottomarino, il gioco è fatto. Ma poiché il pluviometro, parola citata, corrisponde al 59, possibile che la notte precedente all'uscita di quel numero, tutti abbiano sognato il pluviometro? Ecco, sono queste le informazioni che mi sarebbe piaciuto trovare nell'introduzione e che non vengono date.



IL RESPIRO DEL DRAGO
di Michael Connelly
Piemme, 2012

Ecco la quattordicesima indagine di Harry Bosch, il detective della squadra omicidi di Los Angeles sulla breccia dal 1992, anno di uscita de "La memoria del topo", la cui vita è praticamente raccontata in tempo reale dall'autore ai suoi lettori. Infatti, il personaggio, il cui vero nome è Hieronymus Bosch (come quello del pittore, affibbiatogli quasi per gioco, dato che ebbe un'infanzia da trovatello) invecchia romanzo dopo romanzo, e la storia privata si evolve arricchendosi di sempre nuovi elementi, talvolta shockanti, sempre sorprendenti: anche in questo ultimo titolo italiano (in realtà, negli USA la serie è già andata avanti) i colpi di scena non mancano e riguardano (lo si può dire senza incorrere nello spolier) la ex-moglie e la figlia del poliziotto. "Nine Dragons", questo il titolo originale, trascina Bosch per due giorni in una Hong Kong simile a un inferno dantesco. Come spesso accade nei romanzi di Connelly, il meccanismo "giallo" (che pure funziona) è meno importante del dramma personale del protagonista. Il romanzo si legge in poche ore, dato che è molto avvincente. Ovviamente, però, non stiamo parlando di Melville o di Dickens.



SILLABARIO E PICCOLE LETTURE
di Dina Bucciarelli Belardinelli
Libreria dello Stato
anno XI dell'Era Fascista (1932)

Si tratta di uno dei volumi della "Biblioteca del Ricordo", di cui abbiamo già parlato più volte, la collana della RBA Italia che manda in edicola settimanalmente in edizione anastatica libri di scuola e di narrativa passati tra le mani dei nostri nonni negli anni fra le due Guerre. Questa volta si tratta di un sillabario che, come si dice nelle iniziali "avvertenze per gl'insegnanti", ha lo scopo di "iniziare i fanciulli alla lettura". Il che potrebbe far supporre una perfetta inutilità nell'esaminarlo se non si è più fanciulli e si è nati dopo l'Era Fascista. Invece, sfogliare le pagine si rivela istruttivo. Innanzitutto per le belle illustrazioni d'epoca di Angelo Della Torre. Poi, per lo spaccato su un altro tempo e un'altra cultura che se ne ricava. La cosa che più colpisce è, ovviamente, il costante sforzo di indottrinamento dei pargoli. Chiamato a mostrare un fanciullo che scrive alla lavagna le vocali appena imparate, Della Torre ne disegna uno in camicia nera che verga con il gesso la scritta "Eia!", in attesa di imparare anche a scrivere "Alalà". Ma presto si arriva alla pagina in cui le sillabe formano la frase "Benito Mussolini ama molto i bambini. I bimbi d'Italia amano molto il Duce. Viva il Duce!". Si prosegue con slogan militareschi o patriottici: "Aviatori valorosi portano le ali dei nostri aeroplani nel cielo d'Italia e del mondo". E ancora: "Tutti i bambini d'Italia sono piccoli fascisti. Amano il Re, amano il Duce. Hanno imparato i canti della Patria e li ripetono lietamente: Giovinezza, giovinezza, primavera di bellezza...". Non mancano naturalmente gli ammaestramenti religiosi: "E' maggio, il mese dei fiori. Offriamo un fiore e una preghiera alla Madonna". Il che in sé può essere anche edificante, ma dà l'idea della diversità dei tempi. Colpisce il tono rasserenante con cui viene fatto credere di essere nel Paese più bello e meglio governato del mondo, come se entro otto anni non dovesse scoppiare un conflitto mondiale e non ci fossero tensioni sociali e politiche messe a tacere con la forza.



IL SEGRETARIO GALANTE
di Cesare Causa, Collezione Salani, 
1936  

Si tratta di un ulteriore volume della benemerita "Biblioteca del Ricordo" della RBA che ristampa nel formato originale i libri di scuola, devozionali, di manualistica spicciola o di letteratura per l'infanzia che leggevano i nostri nonni a tra gli anni Dieci e gli anni Trenta (e di cui abbiamo parlato più volte).  "Il segretario galante", testo di una strepitosa comicità involontaria, ha come sottotitolo "Per imparare a scrivere lettere amorose, di discordia e di accomodamento con aggiuntovi l'epistolario amoroso degli amanti celebri".  Si tratta, insomma, di un manuale per compilare missive d'amore, ma anche di litigio (se il caso), in anni in cui, mancando le chat e gli sms, gli innamorati (almeno quelli di un certo livello sociale) tenevano rapporti per via epistolare se non erano conviventi. Siccome non tutti avevano la penna facile e la risposta pronta, e un vocabolario abbastanza ricco nel proprio bagaglio culturale, ecco che Cesare Causa offre con dovizia lettere già pronte da copiare. Copiare, sì, ma con qualche accortezza. "E' utile avvertire", scrive infatti l'autore, "di non copiare letteralmente le lettere scelte per modello, ma cambiarle e adattarle in qualche parte e adattarle a seconda delle persone e delle circostanze. Se seguirete questo consiglio, scriverete delle bellissime lettere, e nessuno potrà dirvi che le avete copiate". Mi immagino il rammarico di chi inviava missive alla fidanzata sul modello suggerito, e riceveva puntuali risposte anch'esse ricalcate sui suggerimenti del Causa. Tra le frasi amorose suggerite ce ne sono alcune come quella di chi sospirando confessa di "pronunziare una parola coll'accento ch'ella sola adopera", e fin qui tutto bene, ma anche di "vendere una casa in cui ella è caduta scendendo le scale". Vedi te per un'impedita che ti tocca a fare. Ma c'è di peggio: "baciare un cavallo ch'ella ha accarezzato", e vabbè, fa un po' schifo ma Edoardo Stoppa potrebbe ancora ancora approvare, ma anche "far morire un cavallo per portare alla nonna di lei un rosario dimenticato in un casa di campagna, distante venti miglia dalla città". Ci sono poi i "segnali convenuti", per potersi scambiare messaggi senza proferir parola, magari in un luogo pubblico dove non sia possibile avvicinarsi. Per esempio, "la soffiata di naso corrisponde al rullo del tamburo, perché richiama l'attenzione di chi la sente". Invece "asciugarsi la bocca con il fazzoletto vuol dire mandare un bacio al suo indirizzo", e rispondere con il medesimo gesto indica il voler contraccambiare. Spero che il fazzoletto non fosse lo stesso della strombata precedente. C'è tutta una simbologia, ovviamente, con i cannocchiali di teatro, il ventaglio, il sigaro. Il sigaro tenuto all'angolo sinistro della bocca, per esempio, vuol dire "io ardo e mi consumo per voi", togliersi il sigaro di bocca e portarlo dietro la schiena significa "vorrei parlarvi nascostamente". Chissà quanta gente, non sapendolo, ha fatto dei discorsi osceni solo perché non gli si accendeva la sigaretta e se l'è tolta e rimessa un bocca più volte.  Quando si arriva alle lettere vere e proprie, è bello vedere l'inizio di alcune: "Signorina! Ebbi il piacere di vederla e udir la sua voce incantevole". Mi piace il punto esclamativo dopo "signorina". Lei risponde: "Signore, non le nascondo che la sua lettera mi ha oltremodo lusingata". E alla fine: "Le auguro dunque, per entrambi, un lieto successo presso mio padre". Si tratta infatti di ottenere dal babbo di lei "il permesso di fare all'amore", intendendo, alla vecchia maniera, l'autorizzazione al corteggiamento. Il campionario è amplissimo.  Ma ci sono anche le lettere di litigio. Eccone una: "Donna infedele! Ora che dirai? Tutte le ciarle e le astuzie delle quali è capace il bel sesso, potranno scusare con fondamento ciò che purtroppo questa mattina hanno con evidenza osservato gli occhi miei? Bisogna credere che tu abbia degli interessi molto ma molto importanti con quella persona con la quale io ti ho veduta oggi in uno stretto colloquio. Donna menzognera! Sono dunque questi i sogni della nostra felicità, i giuramenti, la fede promessa? Ti ho finalmente scoperta!". Al che, oggi lei risponderebbe con un sonoro "ma vaffanculo!". Invece, ecco la formula che suggerisce il Causa: "Uomo indiscreto! Se tu riflettessi come sono ingiusti e vani i tuoi sospetti, son persuasa che ti vergogneresti di averli concepiti, e che cercheresti il modo di ritrattarli. Sai tu chi era quello con cui mi vedesti in stretto colloquio ieri mattina? Era mio fratello Daniele, arrivato martedì da Pisa, dove studia Giurisprudenza a quella università". Si, si. E le ha fatto vedere la torre. Risate garantite per 430 pagine.



LA ZATTERA DI GHIACCIO
di Rudolf Blaumanis
Sellerio, 1995

E', questo, un romanzo breve inserito nella collana "Il mare" diretta da Salvatore Mazzarella che scrive l'introduzione, mentre c'è una postfazione di Renzo Oliva che inquadra bene l'autore nel suo tempo e nella sua collocazione culturale e geografica. Rudolfs Blaumanis nacque infatti in Livonia (una regione della Lettonia) nel 1863 e morì in Finlandia nel 1908, dunque piuttosto giovane. Scrittore realistico con grande senso del dramma (tant'è vero che fu anche drammaturgo) si rivela in grado di raccontare in modo efficace storie della sua gente e delle sue terre. "La zattera di ghiaccio" ne è un esempio fulminante, fin dall'incipit: "Ancora soffiava il vento da sud-ovest, e ancor di più l'enorme lastra di ghiaccio, galleggiando, si spingeva in alto mare. Sul lastrone si trovavano quattordici pescatori e due cavalli". Dopo poche righe così, chi riuscirebbe a non proseguire, per capire che cosa è accaduto e che casa accadrà? I pescatori avevano fatto fori nel ghiaccio del Mar Baltico per calare in acqua le reti, e tirarle su con i cavalli, ma si erano accorti troppo tardi che la lastra su cui si trovavano si era staccata dalla costa e aveva cominciato ad andare alla deriva. Uno di loro si era gettato in acqua per cercare di raggiungere la riva a nuoto, ma era annegato dopo poche bracciate,vinto dal freddo, sotto gli occhi dei compagni. Il dramma comincia così. Niente per difendersi del gelo della notte, niente acqua da bere (il ghiaccio non disseta, come sanno bene gli esploratori artici e gli alpinisti), il pesce solo crudo da mangiare e dei cavalli da macellare, senza sapere bene come. Nessuna speranza di salvezza se non quella dell'arrivo di una nave in tempi rapidi, molto rapidi, visto che la zattera di ghiaccio comincia a frantumarsi. Una prima divisione separa il gruppo, e per i pochi rimasti dalla parte sbagliata, senza cibo, è la fine. I sopravvissuti cominciano a litigare, qualcuno nasconde agli altri la fiaschetta del liquore o vuole vendere il pesce che considera suo e non dividerlo. Si tira a sorte chi debba togliersi la camicia per issarla come una bandiera. Un padre incoraggia il figlio, in molti subentra il fatalismo. Finché arriva una piccola barca in soccorso: ma non c'è posto per tutti! Solo sette potranno essere salvati, e i naufraghi sono dieci. Come scegliere chi vivrà, e chi sarà condannato a morire? Il tutto raccontato con la prosa asciutta del narratore abituato a non sprecare parole inutili, com'è tipico della gente del Nord.



IL GATTO DI MISS PAISLEY
a cura di Vincenzo Campo
Sellerio, 2001

In un agile, elegante e delizioso libretto nel classico formato dei tascabili Sellerio, sono stati raccolti dodici racconti gialli che hanno come protagonisti degli animali. Del resto, come giustamente nota il curatore nella sua introduzione, l'assassino del primo poliziesco della storia, "I delitti della Rue Morgue" di Edgar Allan Poe, è un orang-utan. Tra gli autori selezionati, alcuni lasciano felicemente meravigliati, come Bram Stoker, Herbert George Wells o Virginia Wolf, che nessuno immaginerebbe scrivere storie del genere, fuori dal rispettivo ambito di competenza, per così dire. Lo stesso si potrebbe dire di Robert C. Ackworth (lo scrittore del dottor Kildare) e di Frederick Forsyth (più a suo agio con lo spionaggio). James Holding, invece, a cui si deve il racconto più geniale, è uno del mestiere essendo meglio noto come Ellery Queen jr: è lui a ideare un delitto perfetto, che consiste nell'inviare per posta alcune api vive, catturate con un retino, chiuse in un pacchetto (dotato di forellini), a casa della vittima predisposta a shock anafilattico da puntura di insetto. Anche altre quattro donne sono scrittrici del mistero professioniste: Patricia Moyes, Joyce Harrington, Helene Melyan, Ruth Rendell. Il più atroce è il racconto di Bram Stoker: un americano in viaggio a Londra uccide senza volere un gattino (gli fa cadere addosso una pietra) e la mamma gatta si vendica in modo terribile (leggere per credere). La storia raccontata dalla Wolf, che riguarda un pappagallo custode del segreto del nascondiglio di un tesoro, mi fa supporre che Mauro Boselli vi si sia ispirato per il soggetto della storiella di Digging Bill allegata a uno Speciale Zagor, che fu affidato a me perché lo sceneggiassi. Forsyth immagina un omicidio commesso con il morso di un serpente in una terra, l'Irlanda, dove i serpenti non ci sono, Ackworth stupisce con la sua soluzione per far accusare un cavallo del crimine commesso da un uomo, Wells se la cava con una storiella quasi umoristica a proposito di cinque struzzi uno dei quali ha ingoiato un diamante ma non si sa quale. I gatti sono comunque gli animali più gettonati nella raccolta, presenti in ben cinque racconti su dodici. La selezione è brillante non solo per l'argomento, ma anche per la godibilità dei testi, tutti intriganti dalla prima all'ultima riga.


PELLEROSSA A PARIGI
di George Sand
Endemunde, 2012

Aurore Dupin (1804-1876), questo era il vero nome di George Sand: era, insomma, a dispetto del nome d'arte, una donna. In anni in cui nessuna autrice poteva godere della benché minima considerazione in confronto a un autore di sesso maschile, quello di usare pseudonimi da uomo era un espediente, purtroppo, a cui molte scrittrici erano costrette (lo fece anche Louisa May Alcott, per esempio). Ma, al di là di questa premessa, il vero motivo di interesse di questo aureo libretto (soltanto 50 pagine di piccolo formato) è la cronaca, acuta e esaustiva, fatta dalla Sand della sua visita presso una piccola comunità di pellerossa giunti a Parigi a seguito della mostra del pittore George Catlin. Di Catlin ho scritto a lungo in un articolo su questo blog.L'ho anche fatto comparire in una storia di Zagor, intitolata "I cavalieri del Graal". Per ricordare chi fosse, basterà dire che fu uno dei primi viaggiatori bianchi a descrivere le tribù indiane con rigore antropologico, dipingendo centinaia di quadri di villaggi, capi e guerrieri e scrivendo un memorabile saggio in cui racconta i suoi viaggi nelle Grandi Pianure, tra le foreste del Nord e nelle paludi del Sud. A un certo punto, Catlin tornò in Europa ed espose 500 tele in una sorta di mostra itinerante fra le capitali. Un gruppo di indiani, tra cui il capo Nuvola Bianca, lo accompagnarono: il viaggio dei nativi, che non godé di nessun appoggio da parte delle autorità di Washington, fu pagato da un impresario che rientrò dalle spese riscuotendo un biglietto per chi volesse vedere dal vivo i visitatori americani. George Sand non solo assisté,molto colpita, all'esibizione dei pellerossa che cantavano, ballavano e mostravano le loro armi, ma si trattenne a lungo con il gruppo, interrogandoli uno per uno. Scrisse poi il suo resoconto che le edizioni Endemunde hanno tradotto e pubblicato per la modica cifra di 5 euro e 85. Il libro è così affascinante, che varrebbe il prezzo anche se costasse il quadruplo.



RUBBAHORSE
di Enrico Luchetti e Gianni Fontana
Tagete Edizioni, 2010 

Si tratta, anche se la copertina non lo dice al primo colpo d'occhio, di un divertente fumetto umoristico composto da una quarantina di tavole comiche autoconclusive, disegnate però in stile western di taglio autoriale, come se si trattasse di roba seria, apparse in precedenza sulla rivista "Il Fogliaccio" di Pisa, e perfettamente inseribili nella tradizione (mi perdonino l'accostamento gli eterni rivali) del "Vernacoliere" livornese. Per fare un esempio, triviale ma significativo, una delle storie, che ha per protagonista Pecorons Bill, vede un drammatico duello per strada, e nel faccia a faccia il rivale muore colpito in petto. "La prossima volta ci pensi due volte prima di scoreggiare in diligenza!", dice Pecorons allontanandosi. Oltre a questo pistolero, le gag riguardano anche altri personaggi sullo stesso stile, Rubbahorse (che dà il titolo alla raccolta), un trapper di origini pisane (di Ponsacco, avvertono gli autori, terra di cacciatori), e i Fratelli Pellegrini, "muratori di Pomarance", continuamente intenti a edificare case e chiese che però crollano sempre per l'imperizia dei costruttori. Si sorride sempre, qualche volta si ride di gusto. Per saperne di più, si può scrivere a Tagete Edizioni, Via Rossini 4 - 56025 Pontedera (Pisa) o visitare il sito di Gianluca Caputo, curatore della collana "Fumetti crudi",www.dreammachine.it .


SKY MASTER OF THE SPACE FORCE
di Jack Kirby e Wally Wood, 
volume Uno, ReNoir, 2012 

Oltre che per il nome dei due autori principali, veri pezzi da novanta dell'olimpo fumettistico mondiale, il volume non poteva mancare nella mia libreria anche per quello del curatore dell'edizione italiana, ovvero Graziano Romani, il musicista a cui si devono, fra i tanti altri suoi dischi, gli album dedicati a Zagor e Tex e con il quale ho scritto tre libri (su Ferri, Ticci e Nolitta). Si tratta di un cartonato di grande formato (cm 32 x 23) di 120 pagine stampate su carta patinata e dagli ottimi neri che valorizzano le strisce giornaliere realizzate per i quotidiani americani tra il 1958 e il 1959. Un secondo volume raccoglierà poi quelle del 1960 e del 1961, e un terzo le tavole domenicali (che seguivano un percorso diverso da quello delle daily strip). Come ben si capisce da queste date, Sky Masters si colloca, nell'ambito della carriera kirbyana, immediatamente prima del suo approdo alla Marvel e della sua collaborazione con Stan Lee per i Fantastici Quattro. Il motivo per cui Kirby, nato professionalmente come autore di comic book, abbia tentato, per un breve periodo, la strada delle strisce sindacate, è ben spiegato nell'introduzione di Greg Theakston: nel 1954, la campagna contro i fumetti seguita alla pubblicazione del pamphlet "La seduzione degli innocenti" aveva fatto crollare le vendite degli albi di pari passo con il procedere dei processi che li riguardavano, e soltanto le strip pubblicate sui quotidiani continuavano a dare sicurezza di lavoro ai loro autori. Così, Kirby (sulla scena già dagli anni Trenta e molto noto per i suoi tanti lavori precedenti) propose una sua serie fantascientifica che si inseriva nel clima di "gara spaziale" fra russi e americani. Diversamente dal Jeff Hawke dello scozzese Sidney Jordan (1954), Sky Master (Sky è il nome, Masters il cognome) non propone una fantascienza tecnologicamente evoluta ma racconta dei primordi della conquista dello spazio, quando l'uomo comincia a muovere i suoi primi passi (la prima storia narra della missione di recupero del primo uomo lanciato dagli americani nello spazio, che per un misterioso incidente ha interrotto i collegamenti con la Terra dall'orbita geostazionaria). A sceneggiare le daily strips, ottimamente ritmate e scandite per essere lettere giorno per giorno, i fratelli Dick & Dave Wood, che lavoravano in coppia. A inchiostrare le matite di Kirby fu chiamato Wally Wood, un vero e proprio maestro che accettò di confrontarsi con il grande Jack perché lo ammirava da una vita, nonostante le tariffe che gli pagavano per Sky Masters non fossero all'altezza dei suoi abituali ingaggi. A un certo punto, probabilmente proprio per motivi economici, Wood viene però sostituito da Dick Ayers. Se la qualità ci perde, il fatto che Ayers abbia meno personalità di Wood permette di riconoscere tutte le delizie grafiche di Jack Kirby. A corredo del volume, un ricco apparato critico e molti disegni inediti e di prova.



LA DONNA NELLA VITA E NELL'OPERA 
DI EMILIO SALGARI
a cura di Silvino Gonzato 
Assessorato Pari Opportunità del comune di Verona 
e Associazione culturale Vivi la Valpolicella, 2011

Si tratta degli atti di un convegno tenutosi a Verona il 22 ottobre 2010 nell'approssimarsi del centenario della morte del "padre degli eroi", Salgari appunto. Il volume è un cartonato formato A4 di 60 pagine stampare su carta patinata e contiene sei interessanti saggi. Il primo, di Roberto Fioraso, si intitola "Il tenue erotismo salgariano da Tay-See a Capitan Tempesta": a leggere le citazioni, tanto tenue questo erotismo non sembra e, anzi, ci si può trovare dell'audacia: "Il sangue gli correva più rapido a quel contatto, si sentiva prendere da ardenti bramosie e le sue dita accarezzavano avidamente quelle tiepide carni frementi d'amore e di ansietà", si legge ne "La Rosa del Dong-Giang". Segue un articolo di Felice Pozzo sul tema delle donna (reali) nella vita di Emilio, a partire dalle sue tecniche di seduzione nei confronti della moglie Ida, ricavate dalle sue lettere. Quindi Vittorio Sarti esamina la figura femminile come emerge nei romanzi salgariani e nota i suoi accenti di promotore dell'emancipazione della donna (Capitan Tempesta, basterà ricordarlo, era appunto un'eroina e non un eroe). Seguono le "Considerazioni di un editore donna su Salgari", di Franca Viglongo, che si sofferma a notare, estrapolando le sue considerazioni dalle cronache dei funerali dello scrittore, quanto fosse significativa la presenza femminile fra i lettori salgariani. Per finire, con "Il romanziere e il suo tempo", Gian Paolo Marchi studia i rapporti di Salgari con gli altri scrittori della sua epoca. Chiude il volume il testo di una introduzione a una edizione portoghese di "Attraverso l'Atlantico in Pallone". Per i cultori del "capitano", tanta roba bella (con il corredo di alcune illustrazioni a colori).