E’ un po’ che non parliamo di poesia, benché abbia minacciato più volte di volerlo fare. Fermi tutti, non scappate. Lo so che, per colpa della scuola, soltanto a sentir dire la parola “poesia”, l’istinto è quello di darsela a gambe. Però, dài, mi sembra che almeno qui, su questo blog, l’argomento sia sempre stato trattato in modo accattivante (almeno, me ne illudo). Una degli articoli più belli che ricordo di aver scritto, del resto, è proprio quello sul “Gelsomino notturno” del Pascoli, che secondo me fareste bene ad andare a leggere, se non l'avete ancora fatto. Comunque sia, mi è venuta voglia di parlare di poesia perché per caso ho messo un CD nello stereo, ed era “Canzoni e cicogne” di Roberto Vecchioni: un doppio album live. Tra i brani, ce ne sono addirittura due dedicati ad altrettanti poeti (ma già sapete che per me è un poeta anche lui, il cantautore), vale a dire “A.R.” (iniziali di Arthur Rimbaud) e “Canzone per Alda Merini”.
Addirittura, durante il concerto registrato nel disco, Vecchioni canta il suo pezzo e poi dice: “Signori, Alda Merini”. Al che l’anziana poetessa compare sul palco e legge due sue poesie. Applausi a scena aperta, perché le poesie, secondo me, sono fatte per essere ascoltate, prima che per essere lette. E se sono recitate bene, entrano nel cuore a tutti, anche a quelli che dopo l’inizio di questo articolo volevano scappare. Facciamo che di Rimbaud ne parliamo un’altra volta e adesso provo a dire qualcosa sulla Merini. Per “qualcosa” intendo quel poco che concedono i miei limiti, ma soprattutto quello che di lei tanto mi è piaciuto. Giusto per inquadrare cronologicamente il personaggio, basterà dire che la poetessa è nata a Milano nel 1931 (il 21 marzo, per la precisione, vale a dire lo stesso giorno di Gallieno Ferri, quello che segna l’inizio della primavera), e sempre a Milano è morta nel novembre del 2009. Magari però che la storia della sua vita ve la leggete su Wikipedia.
Settantotto anni di esistenza, dunque, cui molti passati in manicomio, alcuni accanto a Giorgio Manganelli, altri insieme a vari compagni che hanno tutti lasciato un segno su di lei e sulla sua poesia, oltre che ad averle dato diversi figli. La sua autobiografia si intitola "Reato di vita", ed è edita da Melusine. Nell'introduzione, la Merini ci viene descritta così: "Non ha telefono, Alda Merini, per trovarla bisogna fare una sorta di pellegrinaggio nei mille possibili luoghi sui Navigli che poeticamente abita col sui quotidiano errabondare tra vecchie librerie, fumose osterie, botteghe di artisti, cenciaioli, accattoni". La Merini è, probabilmente, la più grande poetessa italiana del Novecento, ma difficilmente la si studia a scuola. I programmi scolastici, del resto, sembrano pensati apposta per far odiare la poesia. E la letteratura in generale.
Ecco l'idea della Merini sulla Poesia. Attenzione: quelli che seguono sono dei versi, ma molto belli, e molto brevi. Cercate di leggerli senza scappare. Anche nel caso più disgraziato, male non vi faranno. Di contro, potrebbero piacervi. O farvi del bene. Magari torneremo a parlare del bene che può fare la poesia, se me lo ricorderete.
O poesia, non venirmi addosso
sei come una montagna pesante
mi schiacci come un moscerino;
poesia non schiacciarmi
l'insetto è alacre e insonne
scalpita dentro la rete
poesia, ho tanta paura,
non saltarmi addosso, ti prego.
(Da "Poesie per Charles")
Su "Reato di vita",si legge questo brano: "Io sono vissuta in un'altra epoca, quando si educava una donna a essere una madre, una moglie. D'Annunzio disse: 'la mano che regge la culla, è la mano che regge il mondo'. Credo che per ogni donna il fine erotico dell'amore è sempre il figlio. Non è una donazione sterile, è la passione corporea che però diventa materia, diventa possibilità di un figlio. Ci sono diversi tempi nell'amore, nella passione, ma la richiesta è quella di un figlio. Poi nasce la difficoltà, la divisione stressante in madre e amante così come quella del marito in padre". Ecco, queste parole mi sembrano il miglior corollario possibile a un’altra sua breve poesia che mi va di proporvi. E' meravigliosa, secondo me. Si intitola "Genesi" . E’ proprio una delle due che l’autrice legge al concerto di Vecchioni pubblicato su "Canzoni e cicogne".
Vorrei un figlio da te che sia una spada
lucente, come un grido di alta grazia,
che sia pietra, che sia novello Adamo,
lievito del mio sangue e che risolva
più quietamente questa nostra sete.
Ah, se t'amo, lo grido ad ogni vento
gemmando fiori da ogni stanco ramo
e fiorita son tutta e d'ogni velo
vo scerpando il mio lutto
perché genesi sei della mia carne.
Ma il mio cuore, trafitto dall'amore
ha il desiderio di mondarsi vivo.
E perciò dammi un figlio delicato,
un bellissimo, vergine viticcio
da allacciare al mio tronco, e tu, possente
olmo, tu padre ricco d'ogni forza pura
mieterai liete ombre alle mie luci.
(da"Fiore di Poesia", Einaudi Tascabili)
Alda Merini è stata ricoverata per anni in manicomio perché stava male, soffriva di sindrome bipolare, la stessa patologia che ha afflitto altri grandi della letteratura, come Virginia Woolf, Charles Baudelaire o Lord Byron. La poetessa ha sempre detto di non essersi sentita perseguitata, e le si deve credere. Semmai si lamentava che i medici non le spiegassero meglio cosa le stava accadendo. Comunque bisognerebbe prima intendersi su che cosa sia una patologia e capire quali patologie si possono curare con il ricovero in una clinica psichiatrica e quali no. Per alcuni è una patologia l'ansia di libertà. Sotto tutti i regimi lo è, i manicomi degli stati totalitari sono pieni di pazzi che sono pazzi soltanto perché combattono il dittatore di turno. Per altri è patologia l'omosessualità. Per altri ancora, è pazzia l'arte. La Merini ha vissuto a lungo in povertà, prima che, nei suoi ultimi anni, un certo successo mediatico la risollevasse dallo stato di bisogno. Tra i suoi amori, va ricordato il pittore Charles, uno degli uomini che nel corso della sua vita ha amato disperatamente e perdutamente. Ecco una poesia per Charles: "Il canto dello sposo".
Forse tu hai dentro il tuo corpo
un seme di grande ragione,
ma le tue labbra gaudenti
che sanno di tanta ironia
hanno morso più baci
di quanto ne voglia il Signore
come si morde una mela
al colmo della pienezza.
E le tue mani roventi
nude, di maschio deciso
hanno dato più abbracci
di quanto ne valga una messe,
eppure il mio cuore ti canta,
o sposo novello
eppure in me è la sorpresa
di averti accanto a morire
dopo che un fiume di vita
ti ha spinto all'argine pieno.
(da "Vuoto d'amore", Einaudi, p. 60)
Sono molte le poesie straordinarie scritte dalla Merini per Charles. Un’altra che giudico stupenda è quella parla dei rumori dell'amore. Fatemela copiare, dopodiché potete andarvene, ve lo concedo.
La casa non geme più
sotto lo scricchiolio dei tuoi passi,
la casa non geme più
e datemi dei rumori
dei rumori pesanti
datemi i rumori di Charles;
datemi il suo pensiero
e il suo lento fuggire.
Ridatemi i rumori
della sua carne perfetta.