Ho appena acquistato in edicola il “Corriere della Sera” di oggi, 13 novembre 2011. L’investimento valeva la pena perché in cambio di un euro e venti mi hanno dato 64 pagine di quotidiano (sfogliate distrattamente e subito messe via) e 48 pagine del nuovo supplemento domenicale intitolato “La lettura”, che era il vero oggetto del mio interesse.
In copertina, trovo un autoritratto fotografico dell’artista e dissidente politico cinese Ai Weiwei. Capisco le buone intenzioni, ma la foto, volutamente sgranata, sembra stampata male e non è proprio quel che ci vuole per attirare l’acquirente. La scritta in mandarino, poi, pare anzi messa lì per scoraggiarlo. Uno che si accinge ad accostarsi al primo numero di una rivista e dunque non ha la minima idea dei contenuti, forse preferirebbe trovare un copertina qualcosa che gli faccia capire quel che sta comprando: invece, la prima cosa che legge è una frase in cinese su una foto sfuocata di un orientale sovrappeso all'apparenza seduto sulla tazza. Misteri del marketing.
Il titolo del supplemento è lo stesso di una storica rivista letteraria, che aveva cadenza mensile ed era collegata proprio al “Corriere”, pubblicata tra il 1901 e il 1945. Si tratta però di una scelta di terza mano, dato che negli anni Settanta la Rizzoli tentò per qualche tempo di riproporre la testata come “La lettura – La rivista dei Best Seller”. Ricordo di averne preso qualche numero senza restarne troppo entusiasta (ho preferito indubbiamente “Millelibri” di Giorgio Mondadori).
Comunque porto il supplemento a casa e comincio a leggerlo, speranzoso. Le pagine due e tre sono occupate da un articolo che non riguarda i libri, ma la politica: si sostiene che il voto di giovani e di chi ha figli dovrebbe contare più del voto degli anziani, in funzione antigerontocratica. Interessante, ma perché non mettere il pezzo sul “Corriere” e qui presentare “La lettura” agli “acquirenti esitanti”, come fece Robert Louis Stevenson prima de “L’Isola del tesoro”? In realtà, non c’è nessuna dichiarazione di intenti del direttore e, anzi, per capire chi sia il direttore bisogna andare a pagina 47, là dove un tamburino avverte che il supplemento è a cura della Redazione Cultura, capitanata da Antonio Troiano.
Per fortuna, le cose migliorano a pagina quattro e cinque. Finalmente la parola passa a degli scrittori. Alessandro Piperno e soprattutto Giulio Giorello che si scaglia contro il politicamente corretto: “Pippi Calzelunghe e Tintin razzisti? Allora vietiamo anche Moby Dick: offende le balene”. C’è infatti in giro una pericolosa tendenza alla censura dei nuovi pedagoghi che "pensano che per cancellare il male sia sufficiente eliminarlo dalla pagina o dallo schermo”. E’ esattamente la deriva ipocrita e moralista contro cui più volte anch’io, nel mio piccolo, da buona formica, mi sono incazzato. Poiché uno dei sottotitoli (anzi, dei sopratitoli nella grafica di copertina) de “La lettura” è “nuovi linguaggi”, ecco a pagina sette partire un dossier di tre pagine su Twitter e Facebook. Non se ne sentiva la mancanza. Interessante invece la sezione intitolata “Scienze e filosofie” dove un articolo sottolinea come le più recenti teorie cosmologiche finiscano per non essere quasi più distinguibili dai miti e invadano il terreno della religione.
A seguire, si parla delle numerose ristampe di Philip Roth e quindi (finalmente!) a pagina 16 si cominciano a segnalare titoli di narrativa italiana e straniera di recente pubblicazione. Quali? Nessuno fra quelli su cui mi sia caduto l'occhio durante la mia più recente visita in libreria: è come, anzi, se i titoli di maggior richiamo fossero stati volutamente trascurati. Si parla di “Altare della Patria” di Ferruccio Parazzoli, “Corpi estranei” di Cynthia Ozick, “Alex” di Pierre Lemaitre. A pagina 19, una interessante (ma purtroppo breve) intervista a Cristopher Paolini, l’autore della saga fantasy “Eragon”, che si dice prossimo a cambiare genere passando alla fantascienza. A pagina 21 si parla di poesia. A pagina 26 e 27 ecco la classifica dei libri più venduti: in testa c’è Fabio Volo con “Le prime luci del mattino”.
Trovo anche una mini recensione del nuovo romanzo di Stephen King: il voto è dieci, si dice che è un capolavoro all’altezza delle sue prime opere e che riscatta anni di appannamento. Non si aggiunge altro, ma per più di metà del suo pezzullo Antonio D’Orrico si dilunga nel parlar male di Tabitha King, la moglie di Stephen, a cui si attribuisce (forse scherzosamente) la causa delle precedenti defaillance. Il titolo è “King ‘divorzia’ e torna il Re”. Non ho capito se davvero King abbia divorziato dalla moglie (non ne so niente) e sia per questo rinato a nuova vita, o se il “divorzia” fra virgolette sottintende una battuta. A D’Orrico vorrei dire: Antonio, ma se ti hanno dato soltanto una cartella per parlare di un tomo di mille pagine che a te è pure piaciuto, che fai, la sprechi a parlarci di Tabitha? E a Troiano, un altro Antonio, il capo della banda, aggiungo: tu che sei il direttore, ma se esce un nuovo romanzo di King di mille pagine che è un capolavoro, devi dare a D’Orrico soltanto una cartella?
A compensare la colonnina su King, seguono paginate intere sull’arte contemporanea e la danza, che con “La Lettura” ci stanno come il cavolo a merenda. A pagina 38 si parla del discorso di Lincon a Gettysburg, a pagina 39 di Hugo Sonnenscheim (scrittore ebreo sfuggito ad Auschwitz e morto in un carcere comunista: non ne sapevo nulla, mi è piaciuto saperlo), a pagina 40 trovo un racconto di William Trevor. A seguire, un testo autobiografico di Silvia Avallone, l’autrice di “Acciaio”, e per finire alcune pagine dedicate ai viaggi (Zanzibar e il litorale Domizio), con reportage affidati alle firme illustri di Erri De Luca e Gian Antonio Stella. In giro per il fascicolo ho trovato anche quella di Aldo Busi. Fine de “La Lettura”.
Notate niente? Ahimé, c’è un grande assente. Si parla perfino di balletto, ma non si parla di fumetto. Sembra che per il “Corriere”, quando uno si dedica alla “lettura”, possa leggere di tutto, persino l’Oroscopo 2012 di Paolo Fox (citato a pagina 27), tranne i fumetti. In realtà, a ben guardare, ai fumetti ci sono tre rimandi. Il primo, nell’articolo “L’illusione della censura progressista” di Giulio Giorello, dove appunto si deride chi accusa Tintin, come Pippi Calzelunghe, di razzismo (ma non è esattamente un articolo sulla BD). Il secondo, nella pagina dedicata alla letteratura per ragazzi, dove c’è un trafiletto affidato ad Alessandro Trevisani in cui in dieci righe (di numero) si segnala la biografia a fumetti di Adriano Olivetti edita da Beccogiallo: ora, già il fatto di ritenere che il fumetto sia roba per bambini è offensivo, che poi il fatto di essere a fumetti marchi persino i volumi Beccogiallo come pubblicazioni per l’infanzia è ridicolo. Il particolare che comunque non si ritenga di offrire al fumetto più di un trafiletto su cinquanta pagine formato quotidiano, è un insulto.
In realtà, a pagina 36 e 37 vengono pubblicate due tavole di Igort, illustratore, come si spiega in un trafiletto, di “romanzi a fumetti” pubblicati in 15 Paesi. Si tratta in effetti di illustrazioni intervallate da lunghe didascalie e da grafismi, presentate in una rubrica chiamata “Percorsi: storie, racconti, biografie, inchieste” (nel titolo, niente a che vedere con i fumetti). Resta da capire perché quei disegni siano lì. Non pare che ci siano per rappresentare il fumetto e impedire che se ne noti l’assenza. Piuttosto, sembrano voler significare la volontà di dare spazio a un illustratore. Forse a un cronista. Magari a un compilatore di un diario di viaggio. Una nota biografica sull’autore ci informa che Igor Tuveri ha di recente pubblicato con Mondadori un “reportage disegnato” intitolato “Quaderni russi. La guerra dimenticata del Caucaso”. Per conto mio, so di alcuni "Quaderni Ucrani", risultato di un viaggio lungo quasi due anni che Igort ha effettuato nel 2009 nei paesi dell'ex Unione Sovietica e dal quale ha riportato impressioni, ricordi e racconti disegnati. Però, né l'autore viene intervistato, né un articolo lo spiega, né chiarisce quali sono il senso e il valore dell'opera.
Al lettore vengono soltanto spiattellate due pagine di Igort che descrivono, con brillante sintesi artistica, i problemi sanitari dell’Ucraina. Ma di che si sta parlando? Perché di punto in bianco mi si racconta di una certa Elena che vive nella steppa e ha un fibroma all’utero? Ah, saperlo. Mi rendo conto che è un problema mio: forse c’è modo di intuirlo anche senza spiegazioni, ma io non ne sono capace per limitatezza di orizzonti. Fatto sta che per qualcuno potrebbe essere difficile definire “fumetto” il pur bel reportage igortiano, se appunto non gli si spiega il perché e il percome. Intendiamoci, non sono uno che ritiene “fumetto” soltanto le storie di Tex o di Topolino. Al contrario. Tuttavia, non è citando Mattotti, per quanto immenso, che si fa una sintesi della produzione fumettistica da Yellow Kid ai giorni nostri (so anche che non è davvero Yellow Kid il primo eroe di carta: appunto, parliamo anche di questo, del resto gli argomenti potrebbero tanti). Il fumetto ha tante facce. Io sono contento dello spazio dedicato ai "Quaderni russi", o ucraini che siano, e se ci fossero stati anche dei quaderni siberiani o della Kamchatka sarei stato ancora più felice. Ma non è che si possa dire, per quelle due pagine fatte piovere lì dal cielo, che "La Lettura" si occupi di fumetto. L'impressione, anzi, è proprio il contrario: il fatto che non ci sia un approfondimento dimostra che non se ne occupa.
Il punto, comunque, non è tanto il fatto che due pagine de “La lettura” contengano (senza spiegazioni) altrettante tavole (estrapolate da ogni contesto) di Igort, quanto il fatto che non ci sia una rubrica destinata al fumetto, che nessun articolo parli di pubblicazioni a fumetti in modo diffuso, che a nessun esperto di fumetto siano state commissionate interviste agli autori o recensioni degne di questo nome, che non si accenni alla Lucca Comics & Games edizione 2011 che si è appena conclusa con 155.000 visitatori. Ora, se io sono il direttore di una rivista chiamata “La Lettura”, che di occupa dunque di carta stampata, possibile che non mio accorga di un evento come quello lucchese? E il dopo-Sergio Bonelli, per esempio, non avrebbe potuto essere un argomento interessante da trattare? E perché Tiziano Scavi, in occasione dei venticinque anni di Dylan Dog, viene intervistato da Loris Cantarelli per Fumo di China e non per il supplemento letterario del Corriere? Vogliamo vedere quante copie dei suoi fumetti ha venduto Sclavi e quante ne venderà Irene di Caccamo con “L’amore imperfetto” recensito da Ermanno Paccagnini a pagina 14? E se proprio si vuol parlare di Igort (argomento che mi trova interessatissimo), perché non dedicargli un articolo e una intervista o si confronti il suo modo di fare fumetto con quello di altre scuole o tendenze?
Insomma, l’impressione che si ricava (nonostante Tuveri) è che, come al solito, chi si occupa di libri e di cultura in Italia non sa niente (e non gli importa di sapere niente) della narrativa disegnata. Salvo, forse, di tanto in tanto, citare Manara o Hugo Pratt oppure quei pochi autori avvicinabili alla grafica o alla pittura con cui si ritiene di poter “nobilitare” l’argomento e giustificare il fatto che se ne sia parlato agli occhi del direttore snob (e prevenuto) di turno. In generale, di quel che davvero legge la gente, ai redattori “culturali” gliene importa proprio poco. Quasi tutti hanno la puzza sotto il naso, e se per sbaglio parlano di narrativa di genere in una colonnina, poi sentono il bisogno di espiare con dieci paginate di elzeviri sociopolitici. Se non fosse così, in copertina avrebbe dovuto esserci Fabio Volo, a cui io, se fossi stato il direttore de “La lettura”, avrei dedicato due pagine di intervista sul numero di esordio.