venerdì 11 novembre 2011

DIRITTO E ROVESCIO

“Attendo con ansia il tuo pezzo sul ribaltamento dei manga”, mi ha scritto pochi giorni fa un amico lettore, Massimo Manfredi, commentando il mio articolo su Lucca Comics & Games edizione 2011, là dove avevo anche accennato, in un passaggio, al vezzo in auge presso molti editori di pubblicare i fumetto giapponesi alla rovescia.

Dato che non mi piace lasciare le persone in stato ansioso, mi affretto ad approfondire l’argomento, così da esaurirlo subito e non pensarci più, visto che in effetti ci sono questioni più importanti. Va detto che la promessa di dire la mia venne fatta dopo aver parlato delle difficoltà che avevo avuto nel leggere un pur bel manga di Osamu Tezuka, “Ayako” (Hazard Edizioni), ed era espressa nei seguenti termini: “Lo lessi nonostante il carattere microscopico delle vignette e del lettering e l’assurdità di doverlo sfogliare alla rovescia (un giorno, forse, scriverò le ragioni per cui, unico al mondo, non condivido questa scelta)”.

In realtà, nei commenti a queste parole scoprii, con una certa meraviglia, che proprio unico al mondo non ero. Lo stesso Massimo, infatti, scrive: “Io detesto anche, e forse soprattutto, il formato tankobon: alle volte si trovano degli ottimi disegnatori, e sinceramente non capisco come un appassionato del genere non possa sentire una fitta allo stomaco vedendo certe splendide tavole svilite in quel micro formato strizzato! Io ho cominciato a leggere manga ai tempi della Granata e secondo me è quello il formato migliore. Ma parli con i mangofili e ti guardano come un marziano. Come quando gli dici del ribaltamento e loro ti rispondono impettiti: ‘Ma così è più fedele all'originale’. Eh? Ma allora lasciamo anche le onomatopee e i balloon con gli ideogrammi, no? Ancora più fedele, così! Ora, io capisco le giuste lamentele dei disegnatori per cui il ribaltamento evidenzia maggiormente gli errori, ma preferisco qualche errore anatomico alla fatica di leggere al contrario. Anche perché - ce lo vogliamo dire? - la scansione narrativa dei manga è spesso così bislacca (quasi ‘amatoriale’... oh, l'ho detto!) che tu continui a scorrere e riscorrere le vignette chiedendoti ‘ma ho capito bene la sequenza o cosa?’. Guarda, mi ricordo quando la Star fece uscire Maison Ikkoku ripartendo dal numero 1. Anni Novanta, Lucca del palazzetto, mentre vado allo stand vedo un amico che sta vendendo per terra i numeri Granata. Gli dico: ‘Ti sono rimasti sul groppone, eh? Chi te li compra ora che esce la versione nuova?’. Arrivo allo stand e inorridisco: le tavole sono ribaltate! Incredulità. Panico. Corro indietro dall'amico e sfoggio il mio miglior sorriso mentre gli compro in blocco i suoi albetti Granata. ‘Almeno i primi dodici me li leggo senza invocare santi a sproposito’, penso”.

A queste parole se ne sono aggiunte altre, tra cui quelle di Michele Medda, che mi ha scritto: “Sulla questione del ‘ribaltamento’ dei fumetti giapponesi: io semplicemente mi rifiuto di leggere manga se non sono ‘ribaltati’ (come mi rifiuto, al ristorante, di usare le bacchette al posto di coltello e forchetta). Il motivo della ‘fedeltà all'originale’ è una sciocchezza, dato che i dialoghi e gli effetti sonori sono tradotti. Ma devo ammettere che funziona bene come alibi per evitare il costo del ‘ribaltamento’”.


A questo punto, il mio articolo potrebbe dirsi già scritto, dato che i principali argomenti che volevo mettere sul tappeto sono quasi tutti qui (in realtà ce ne sono altri, che aggiungerò dopo). Ma bisognerà pur sentire il parere di qualcuno in grado di riferire le ragioni del popolo dei manga, ed ecco accorrere in mio soccorso Marco Pellitteri (autore del libro qua accanto) e il suo articolo sulle “Undici cose che fanno male al fumetto in Italia”.

Si tratta di un ottimo pezzo (ben scritto e argomentato e in gran parte condivisibile) che fa parte della serie “Essential Eleven” alla quale anch’io ho collaborato elencando gli undici “must” della produzione Bonelli. Il punto sei dell’ endecalogo pellitteriano si intitola così: “Gli editori che da anni e ancor oggi pubblicano i manga in edizione ribaltata”. Ecco quel che si dice: “

“Fin dal 1995 la Star Comics, rischiando con Dragon Ball, rese evidente non solo che i lettori italiani di manga erano propensi ad abituarsi subito alla pubblicazione di manga non ribaltati (quindi col senso di lettura alla giapponese), ma anche che gradirono molto questa soluzione. È una questione molto interessante, che riguarda un segno di distinzione nel gusto, un avvicinamento culturale al modo di lettura dei giapponesi, una corrispondenza maggiore all’esperienza di lettura dei manga da parte dei lettori nipponici. Che ancora qualche anno fa alcuni grossi editori pubblicassero opere come Jenny la tennista o Lady Oscar in edizione ribaltata, trasformando sistematicamente tennisti e spadaccini destrimani in mancini, aveva a mio avviso del grottesco. Ma altri editori hanno rilevato i diritti di almeno alcuni di questi classici manga di successo, proponendone riedizioni non ribaltate. La questione del ribaltamento dei manga non riguarda primariamente una faccenda di leggibilità e di direzionalità percettiva. Come ho scritto sopra, essa riguarda il gusto dei fan dei manga, la loro identità di lettori molto spesso nettamente distinta rispetto a quella dei seguaci di altri fumetti (occidentali), il desiderio, che trova oggi piena soddisfazione, di poter trovare nella lettura da destra a sinistra la sequenzialità e la direzionalità originariamente predisposte dagli autori nipponici. Il non voler soddisfare questo semplice desiderio di quei fan che di fatto mantengono in vita il mercato dei manga in Italia, per inseguire ingenuamente e ostinatamente la chimera di un fantomatico gruppo di lettori ‘casuali’ (anziani? ignoranti? pigri? semi analfabeti?) presuntamente non abituati o non abituabili alla lettura non ribaltata, mi è incomprensibile”.

Anziano e pigro, in effetti, qualcuno potrebbe ritenermi. Semi analfabeta magari no, nel senso che so leggere e scrivere con una certa disinvoltura anche, se, ahimè, quasi soltanto in italiano (e di sicuro non in giapponese). Ignorante invece di sicuro lo sono, dato che ignoravo che ci fossero editori che ancora oggi pubblicano fumetti nipponici in edizione non ribaltata. Non seguo l’intera produzione manga in Italia e quelli che mi è capitato di leggere negli ultimi tempi erano tutti alla rovescia. Pur dall’abisso della mia ignoranza, provo comunque a giustificarmi. Non voglio partire per nessuna crociata, per carità. Gli editori stampino pure i manga a testa in giù, con le pagine mescolate, a forma di puzzle da ricostruire, nel dialetto di Hiroshima piuttosto che di quello di Nagasaki, con gli spazi da annerire o con i numerini da collegare fra loro: tutto ciò che fa contenti i lettori, va bene. Mi permetto soltanto di spiegare (visto che mi è stato richiesto) il perché IO, a titolo personale, non apprezzo il ribaltamento. Il mio parere ha importanza soltanto in questo senso: poiché, nei panni di comune acquirente, rinuncio all’acquisto di molti manga scoraggiato dal fatto che, oltre che essere di piccolo formato, sono anche da leggere alla rovescia, forse gli editori potrebbe considerare questa mia piccola e personale testimonianza per valutare se ci possano essere altri potenziali lettori perplessi come me e se, pubblicando un manga alla diritta ci sia la possibilità di vendere alcune copie in più.

Ciò detto, partiamo dal 1995 e dal Dragon Ball della Star Comics. Io, che leggevo i manga Granata, smisi proprio con quello. Pellitteri ritiene che la Star abbia “rischiato” rischiato pubblicando quella prima serie alla rovescia. Io ebbi l’impressione che, semplicemente, il ribaltamento costasse troppo in termini di tempo e di denaro, mentre a stampare le tavole così com’erano ci voleva sicuramente meno.

Pellitteri dice che i lettori “gradirono molto questa soluzione”: in effetti io, che all’epoca ero titolare di una fumetteria, fui testimone del grande successo: ma, secondo me, si trattò di un boom scatenato dal fatto che la serie di cartoni animati trasmessa per la prima volta in TV nello stesso periodo registrava record di ascolti. Se invece di pubblicare capovolto Dragon Ball, la Star avesse pubblicato capovolto un manga non sostenuto dalla televisione, forse il ribaltamento non avrebbe fatto registrate lo stesso entusiasmo in termini di vendite. Tant'è vero che più o meno in quegli anni anche Coniglio registrò un buon successo (a mio avviso ancora superiore a quello del Dragon Ball della Star) con i primi numeri del fumetto dei Simpson, in ragione del trionfo televisivo di Matt Groening. Non solo: in seguito, soprattutto ai giorni nostri, non mi pare che i manga non ribaltati abbiano avuto e abbiano vendite da capogiro. Tutt’altro, per quel che ne so. E allora? Davvero siamo convinti che gli acquirenti di Dragon Ball siano stati folgorati dal mancato ribaltamento? Sul serio si può pensare che se Dragon Ball fosse stato invece ribaltato, nessuno lo avrebbe comprato? Sono l’unico a credere che Dragon Ball ribaltato avrebbe venduto invece ancora di più?

Ora, io continuo a essere convinto, come Medda, che il vero motivo del non ribaltamento sia essenzialmente quello economico: ribaltare costa. Punto. Però, bisogna tener conto anche delle altre ragioni che gli editori e i puristi del manga argomentano in favore della lettura al contrario (tacendo o negando la prima). Il cavallo di battaglia dei nippofili è la questione della fedeltà all’originale. C’è, effettivamente, da allibire. Tutti i fumetti, ma anche e soprattutto tutti i film, i libri, le serie TV e perfino i manuali d’istruzione degli elettrodomestici non prodotti in Italia hanno una versione in lingua originale. Ma per essere messi in commercio in Italia si traducono. Il ribaltamento dei manga fa, semplicemente, parte della traduzione, così come il doppiaggio è logica conseguenza della distribuzione nei cinema italiani di un film straniero. Nel caso del doppiaggio non c’è, infatti, soltanto la “traduzione” dei dialoghi originali, ma anche l’adattamento dei medesimi al labiale degli attori, i quali peraltro hanno voci diverse. Ma anche nelle traduzioni scritte si fanno degli adattamenti, di continuo. Se uno scrittore americano scrive: “it’s raining cats and dogs”, nessuno, per essere più fedele all’originale, tradurrebbe “stanno piovendo gatti e cani” ma, giustamente, “piove a catinelle” o “piove come dio la manda”.

Chi vuol godersi un prodotto letterario o cinematografico nella versione il più possibile vicina all’originale, non ha che da guardarsi appunto l’originale. Non è impossibile: conosco un sacco di persone che leggono libri in inglese o in francese per gustarseli così come Ian Fleming o Georges Simenon (per fare due nomi) li hanno scritti; e altrettanti si vedono i film in lingua originale. So anche di gente che studia il giapponese per leggersi i manga così come mamma (o papà) li hanno fatti. Nessuno lo vieta, anzi, è una pratica assolutamente da incoraggiare. Ma perché privare tutti gli altri (sicuramente pigri e ignoranti, forse anche semi-analfabeti) del relax che può dare la lettura o la visione di un film nella versione adattata al grande pubblico?

Perché proprio qui sta l’inghippo. Chiediamoci: ma gli autori dei manga, a quale pubblico si rivolgono quando pubblicano le loro opere? Soltanto ai laureati? Soltanto ai filologi? Soltanto ai cultori? O si rivolgono a tutti? Salvo qualche raro caso, direi che si rivolgono a tutti. Alla gente, cioè, che legge i loro fumetti in metropolitana. Il fumetto è fatto di solito per divertire, per rilassare, per far sognare. Forse gli autori di manga intendono creare delle particolari difficoltà nella lettura delle loro storie, al loro pubblico, o desiderano invece che tutti ne fruiscano con facilità e serenità? Direi che, in genere, i mangaka cercano di raccontare le cose con gradevolezza. Del resto, si sa che la lettura dei giapponesi è velocissima. Gli autori la favoriscono facendo procedere i loro racconti senza intoppi. Se dunque questo è lo spirito originale con cui i manga vengono creati, perché invece il lettore italiano deve essere costretto a cambiare il modo normale di lettura e a sforzarsi di seguire la sequenza alla rovescia? Non sarebbe forse più vicina alla scorrevolezza originale, la pubblicazione alla diritta?

I cultori del manga capovolto dicono che con un po’ di sforzo alla fine si impara a leggere alla maniera orientale. Ma che discorso è? Con un po’ di sforzo si impara anche a leggere il giapponese. Fatelo voi, che siete la minoranza, lo sforzo di leggere l’edizione italiana alla diritta e lasciate agli altri il naturale piacere di non complicarsi la vita.

Mi si dice che alcuni autori non vogliono concedere i diritti per l’edizione occidentale, se questa dovesse essere capovolta. Anche in questo caso, mi pare che si tratti di una facile scusa degli editori per non affrontare le spese del capovolgimento. Non nego che ci possa essere (o essere stato) qualche mangaka piccato nel gran rifiuto. Del resto ci sono stati anche alcuni autori americani che hanno avuto ubbie del genere. Si tratta appunto di “qualche” mangaka. Non di tutti. Pubblicate alla diritta almeno quelli che non hanno la puzza sotto il naso, che secondo me sono anche i più simpatici e divertenti. Oppure, convincete gli snob e i ritrosi con offerte maggiori.

Il motivo per cui gli autori giapponesi sarebbero perplessi di fronte alle edizioni occidentali è che nel ribaltamento delle tavole i personaggi sembrano tutti mancini. Ora, se i giapponesi disegnano le cose alla rovescia non è colpa nostra: bisognerà farsene una ragione. Quando realizzano i loro manga li fanno così e sanno che se andranno all’estero saranno capovolti, come io so che se traducono in croato le mie canzoncine di Cico si perderà la rima (pare che purtroppo accada così). Non è che per difendere le mie rime io blocco la traduzione a beneficio dei lettori di Zagabria. Mi rassegno, contento che anche al di là dell’Adriatico possano leggere le mie storie. Si tratta soltanto di auspicare che anche i giapponesi vogliano fare la stessa cosa. Ci sarebbe da meravigliarsi nel sapere che un autore, che ha sudato sette kimono per fare un manga, poi non volesse farlo leggere a noi italiani perché non vuole che i suoi personaggi usino la sinistra invece della destra. Ancora più da meravigliarsi c’è considerando che quasi tutti i personaggi dei manga che ho letto hanno sembianze occidentali, ma poi gli autori sono diffidenti verso le versioni occidentalizzate dei loro prodotti. Quasi un caso di schizofrenia.

Per finire, mi colpisce molto l’argomentazione di Pellitteri secondo la quale i mangafan vanno difesi nella loro “identità di lettori molto spesso nettamente distinta rispetto a quella dei seguaci di altri fumetti (occidentali)”. Ora, il mio personale punto di vista è che si debba leggere di tutto nel modo più rilassato e sereno possibile, scoprendo e gustando il bello delle cose con la più spontanea naturalezza e dunque senza contrapposizioni ideologiche. Invece, ecco giungere da fonte autorevole la conferma che i nippofili sono “seguaci” di qualcosa, e intendono difendere la loro “identità”.

Nella mia cronaca lucchese mi ero appunto posto degli interrogativi riguardo alla monomania dei lettori di manga, e un lettore del blog, Marin, ha cercato di rispondermi così (come si può leggere nei commenti al mio articolo): “I mangofili duri e puri, quelli che cioè leggono solo manga e null'altro, si caratterizzano per il fatto di subire il fascino di una terra lontana e di una cultura diversa come quella giapponese. Loro, i duri e puri, è come se fossero gli adepti di un una cerchia di eletti che si trasmettono, quasi senza volerlo, una serie di ‘codici di aggregazione’ che li fidelizzano nella condivisione di tutto ciò che è collaterale, a livello culturale, a quei fumetti che leggono. Semplificando: ho letto un innumerevole numero di storie di Spider Man, ma personalmente non ho mai fatto del visitare New York un must; invece il mangofilo ‘hard core’ venderebbe la sorella su eBay per avere un gruzzolo tale da visitare il Giappone per un mesetto. La differenza sta tutta qui è una differenza culturale. Facendo un paragone socio politico: gli appassionati di Manga sono come gli USA. Così come gli americani si sentono in dovere di intervenire in ogni parte del mondo, i lettori di Manga trovano "naturale" prendere lo spazio che a loro occorre a piene mani. E, dobbiamo ammetterlo, loro son più bravi di noi, in questo, rispetto agli altri ‘semplici’ lettori di fumetti a 360°”.

Pellitteri conclude dicendo di ritenere “incomprensibile” non voler soddisfare “questo semplice desiderio” dei mangafan. Quello, cioè, di essere una setta. Io, nel mio semi-analfabetismo, ritengo incomprensibile il fatto che la monomania di qualcuno debba essere imposta anche a tutti quelli che, come me, sono maniaci di tante cose e non di una sola. Le idee fisse non sono mai un buon sintomo, mi pare di aver letto sull’encliclopedia medica. E quel che suona ancora più strano alle mie orecchie (ahimé, irrimediabilmente occidentali fino alle trombe di Eustachio) è che se uno ha una passione, gli piace vederla condivisa. Perché i lettori di manga non dovrebbero essere contenti di vedere le loro serie a fumetti lette anche da altri oltre che gli appartenenti al loro club? Il mio punto di vista, infatti è che se i manga venissero pubblicati in formato più grande e ribaltati, venderebbero di più. Uno degli acquirenti, sarei io.