A domanda rispondo

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FAQ spiegazioniste


Nel corso degli anni sono stato intervistato molte volte, sulla carta stampata, su Internet, in incontri pubblici, per radio e in televisione. Alcune delle domande, e di conseguenza alcune delle risposte, sono state ricorrenti. Ho estrapolato dai testi scritti che ho fornito nel tempo agli intervistatori le FAQ più frequenti e le mie repliche più esaustive.

La prima, canonica domanda: puoi presentare Moreno Burattini? La tua infanzia, gli studi che hai seguito, l'ambiente in cui sei cresciuto...

Sono nato nel settembre del 1962 in un piccolo paese di montagna dell’Appennino Pistoiese. Pero, già due anni dopo mio padre e mia madre si trasferirono, per cercare un lavoro migliore e migliori condizioni di vita, nei dintorni di Firenze. Dunque sono cresciuto sulle rive dell'Arno in compagnia di tre sorelle nate dopo di me. Ogni estate, pero, tornavo in montagna dai nonni e dunque ho conservato uno stretto legame con il mio luogo di nascita, che é anche una località di villeggiatura.


Ho letto fumetti fin da piccolo e i libri mi hanno sempre fatto compagnia. Fin da piccolo ho anche scritto favole e racconti: prima su quaderni, con la mia calligrafia da bambino, poi con la macchina da scrivere, quando mio padre me ne regalo una. E da ragazzo passavo i pomeriggi e le sere scrivendo di tutto, anche commedie, invece di uscire a giocare a pallone con i miei compagni di scuola, come mia madre preoccupata mi invitava a fare. I miei, pero, non leggevano quello che scrivevo, non capivano perche avessi questa grande passione per la scrittura e la lettura. Però non mi hanno mai ostacolato. Ho frequentato il liceo classico e poi la facoltà di lettere, all'Università di Firenze. Credo di essere stato il primo in famiglia ad avere raggiunto la laurea.


Ti ricordi il tuo primo contatto con il fumetto? 

I miei genitori raccontano che ero affascinato dai fumetti prima ancora di imparare a leggere. Passavo ore e ore a sfogliare i Topolino solo per il gusto di guardare le figure. Non lo ricordo, ma immagino che sia vero. Ricordo invece che, una volta imparato a leggere, aspettavo a gloria il sabato, giorno deputato all'acquisto del nuovo Topolino in edicola. Se guardo i bambini che fanno le elementari adesso, mi sembra che sia passato un secolo. Erano davvero altri tempi: i programmi televisivi cominciavano solo a metà pomeriggio, dopo Carosello ci mandavano a letto.


In ogni caso, c'era poca scelta: solo due canali, naturalmente in bianco e nero. Nei bar si poteva giocare a biliardino o a flipper, non esistevano video-game e tutti i ragazzi leggevano fumetti. Ricordo ancora le feroci dispute fra i miei coetanei su chi fosse l'eroe più in gamba fra Tex, Zagor, il Comandante Mark e il Piccolo Ranger. A me piaceva anche il Grande Blek, però siccome agli altri non andava a genio, mi vergognavo a dirlo.


Quando hai letto il primo Zagor?

Zagor è di qualche mese più vecchio di me. Apparve in edicola con il suo  albo d'esordio (una striscia intitolata "La foresta degli agguati") il 15 giugno 1961; io venni al mondo nel settembre dell'anno successivo. Quando lessi la sua prima avventura  avevo poco più di otto anni, mentre lui era sulla breccia da quasi dieci. A quei tempi leggevo i fumetti e poi li scambiavo con altri, senza trattenerli.





Poi, un giorno, in casa di un compagno di classe, vidi un armadietto pieno zeppo di albi di Zagor tutti disposti in bell'ordine, uno accanto all'altro. Mi accorsi  che la cosa aveva risvolti pratici: Simone poteva rileggere in qualunque momento le storie che più gli erano piaciute. Ne approfittai subito facendomi prestare "Lo spettro": alla fine della puntata precedente, lo sapevo, Zagor era stato legato a una roccia e le aquile scendevano minacciose, disegnando cerchi sempre più stretti nel cielo, per divorarlo. Come avrebbe fatto a salvarsi? Me l'ero chiesto per mesi. Grazie alla collezione del mio amico scoprii che, proprio all'ultimo momento, Cico giungeva a liberare l'amico in difficoltà!  Decisi anch'io non avrei più gettato via nessuno Zagor. Presto cominciai a sloggiare camicie e pantaloni dagli armadi per far posto ai miei giornalini.



Quali erano i tuoi fumetti e i tuoi autori preferiti?

Non leggevo soltanto Zagor, ma  anche Tex, Mark, Mister No.  E poi Alan Ford (e tutto ciò che faceva Max Bunker). Ero abbonato anche al "Messaggero dei Ragazzi", che all'epoca pubblicava bellissimi fumetti di Dino Battaglia, Sergio Toppi, Attilio Micheluzzi.

Seguivo un po' i super-eroi americani (soprattutto l'Uomo Ragno e i Fantastici Quattro), ma in ogni caso preferivo di gran lunga gli autori  italiani, compresi quelli del Monello e dell' Intrepido. 



I tuoi genitori ostacolavano o favorivano la tua passione?

La tolleravano. Lo spazio occupato dai fumetti, in costante crescita come un blob,  preoccupava babbo e mamma, che un giorno chiesero ai miei insegnanti se fosse il caso di pormi un freno. Mi andò bene: costoro (gli insegnanti) si erano accorti che conoscevo il problema indiano meglio di loro, che potevo sfoggiare un'ottima infarinatura della storia e della geografia delle due Americhe, che sapevo parecchie cose sugli usi e i costumi di un ricco campionario di popoli, che riconoscevo gli animali più strani a colpo sicuro.  Dai temi scolastici che facevo, dicevano, erano evidenti due verità: primo, avevo imparato molte di quelle cose proprio sui fumetti; secondo, i fumetti mi avevano stimolato ad approfondire certi argomenti su altri libri. 


Oltre a Zagor, quali sono i personaggi che ami di più?

Ken Parker e Alan Ford. Ma ne amo tantissimi altri, da Tex a Cybersix, da Dylan Dog a Brendon, dall’Uomo Ragno a Chiara di Notte, da Zio Paperone ad Asterix, da Tintin a Thorgal, da Torpedo a Conan, da Nonna Abelarda a Geppo, da Rat-Man ai Peanuts.


Non si diventa professionisti del fumetto per caso, per studi conseguiti, per pressioni familiari, per ripiego, per concorso. Sei d'accordo?


Si diventa professionisti del fumetto solo se si leggono fumetti. E se se ne leggono, e se ne sono letti, tanti. I codici tipici del medium fumetto sono così particolari e così numerosi che, per saperli poi usare bene, bisogna proprio averli assimilati per contatto epidermico con la carta.


Com’è successo che la tua passione abbia fatto scaturire quella che, attualmente, è la tua professione?
Oltre che di fumetti ero anche un gran divoratore di libri (cominciai con Verne e Salgari poi scoprii quello che ancora oggi e il mio preferito, Isaac Asimov) e sognavo che un giorno ne avrei scritti anch'io.




Isaac Asimov


Ricordo che da ragazzino passavo i pomeriggi in casa a scrivere favole e racconti di tutti i tipi, invece di andare a giocare a pallone come gli altri della mia età. Gli altri della mia età ancora mi ringraziano, visto come gioco a pallone. I miei genitori erano persino preoccupati perché preferivo leggere e scrivere ad andare a giocare nei campi con i compagni di scuola.  Da quando ho avuto un minimo di autonomia (e ho ricevuto una macchina da scrivere portatile in regalo da mio padre) ho pubblicato articoli e scritti di tutti i tipi su ogni possibile giornalino ciclostilato di cui venivo a conoscere l'esistenza, da quelli scolastici a quelli parrocchiali. Poi mi sono spinto più in là e ho mandato racconti di fantascienza alle riviste del settore, che ne hanno dati alle stampe alcuni (addirittura, uno è stato anche tradotto all'estero, in ungherese!). Ho vinto anche un paio di premi come autore di favole per bambini. Quindi ho cominciato a scrivere commedie, che ancora oggi vengono rappresentate. La più nota è "Il vedovo allegro", che riesce sempre a divertire il pubblico.






Infine, ho iniziato a pubblicare articoli e saggi su almeno una decina di fanzine e riviste specializzate in critica fumettistica. Da ragazzo, comunque, non volevo diventare autore di fumetti, ma scrittore tout-court. Fare lo sceneggiatore non è un ripiego, però. Anzi: fin dagli inizi mi illudevo di scrivere racconti, mentre in realtà erano soggetti per fumetti. Ho capito qual era la mia strada quando mi sono reso conto di questa semplice ma fondamentale verità.

La tua passione per fumetto e alla scrittura era tanto forte che hai dato vita alla fanzine "Collezionare". Era solo il primo premeditato scalino nel tuo progetto "diventare sceneggiatore", oppure si trattava solo di un processo naturale di svilluppo, in cui il fanzine era solo un mezzo per soddisfare la tua voglia per scrivere?


“Collezionare” e “Dime Press” (nata dopo) non sono state un mezzo per arrivare altrove, ma una componente fondamentale del mio apprendistato, il modo con cui ho imparato e mi sono esercitato. Non ho mai collaborato con una fanzine o ideato una rivista sapendo che poi avrai abbandonato quel mondo una volta che fossi arrivato la dove volevo arrivare. Al contrario, sono sempre stato mosso dalla passione e ancora oggi mi capita di collaborare gratuitamente a delle riviste o a dei progetti, come si conviene al vero appassionato che non lavora per il lucro, ma il piacere di darsi da fare, di realizzare qualcosa. 





Su "Collezionare" hai pubblicato Battista il Collezionista, il tuo primo personaggio. Racconta qualcosa di lui.


Battista il Collezionista compariva su ogni numero della fanzine "Collezionare" (durata dal 1985 al 1991, per un totale di 20 uscite), ed e  poi stato sfruttato (Silver d'accordo) come antagonista di Cattivik in tre  storie del Genio del Male. La prestigiosa rivista "If" della Epierre ha  allegato un albo spillato di Battista al suo numero monografico dedicato al collezionismo di fumetti. Tra i disegnatori figura anche Francesco  Bastianoni che e stato autore di Nathan Never, ma le primissime storie me le sono disegnate da solo. Di Battista e stata fatta anche una versione "apocrifa" (cioè non scritta da me, ma da altri su mia autorizzazione) uscita sottoforma di albo spillato distribuito in fumetteria. Si tratta di un character dalle grandi potenzialità sia umoristiche che avventurose, perché essendo un monomaniaco collezionista sempre a caccia di pezzi mancanti alle sue assurde collezioni (lui colleziona TUTTO) puo essere di volta in volta spedito ovunque nello spazio e nel tempo alla ricerca di qualunque cosa. Lo abbiamo visto cercare papiri a fumetti, francobolli fossili, monete eschimesi, cicche di Yanez, cartoline di Ulisse. Attorno a Battista agiscono altri personaggi comprimari e/o ricorrenti: la fidanzata Michelina, che con sopportazione lo segue nelle sue imprese inutilmente cercandolo di convincerlo a non fare pazzie; l'amico Filiberto, coinvolto suo malgrado; il rivale Salvatore il Raccoglitore. La fidanzata Michelina vorrebbe che Battista dedicasse a lei tutte le attenzioni che l'amato rivolge alle sue collezioni, ma ci riesce solo a missione compiuta. Battista ha una villa con una Bat-Caverna sotterranea dove sono contenuti i suoi pezzi più pregiati; talvolta la sua casa-museo e aperta al pubblico e grazie a questo il nostro eroe raccoglie fondi per proseguire le sue incredibili ricerche ai pezzi da collezione più incredibili.

Dime Press fu uno straordinario progetto pieno degli interessantissimi servizi,  recensioni, illustrazioni: indispensabile per un fan Bonelli. Come nacque l’idea e che importanza ha avuto nella tua carriera?


Dime Press nacque da una mia idea che trovò subito entusiasti gli amici del “Club del Collezionista”, che contribuirono validamente a metterla a punto. Fu la naturale evoluzione della fanzine "Collezionare", che entrò in crisi per eccesso di crescita: avevamo troppi abbonati e non eravamo organizzati per spedire a tutti le copie richieste, né per seguire il conto di chi pagava e chi no, per rispondere a tutte le lettere, per curare i nuovi numeri, andare in tipografia, gestire il magazzino e cosi via. Serviva una struttura da casa editrice che noi, poco più che ragazzi, e soltanto in quattro, non avevamo. L'editore Antonio Vianovi, che pubblicava la rivista Glamour, ci mise a disposizione il suo marchio e la sua distribuzione e promise si pagarci se gli avessimo fatto una rivista. E io, che con i miei amici Saverio Ceri, Francesco Manetti e Alessandro Monti già pensavamo al progetto di una rivista tutta dedicata ai fumetti Bonelli, gli proponemmo "Dime Press". Inizialmente il nostro progetta aveva un nome in codice: "G.L.", le mitiche iniziali di Gian Luigi Bonelli. Ma ovviamente "Dime Press" era un nome molto più adatto, perche si riferiva alla stampa popolare a cui appartengono i fumetti bonelliani e giocava anche con il nome "Daim Press" che era il marchio della Bonelli molti anni fa.




Antonio Vianovi


"Dime Press" trovò subito un grande riscontro di pubblico, perche ancora non c'erano le anticipazioni di Internet e noi facevamo interviste, pubblicavamo anteprime, facevamo cronologie. Suscitammo molto entusiasmo, e finalmente pubblicavamo una rivista stampata bene, degna di  questo nome, che era molto attesa dai lettori. A un certo punto, pero,  quando ho cominciato a lavorare per la Bonelli non più solo come  sceneggiatore ma anche come redattore, e dunque mi sono trasferito a Milano, ho dovuto interrompere la collaborazione con la rivista, lasciando soli i miei amici di sempre. Anche loro, piano piano, hanno rallentato il loro impegno con Vianovi, il quale alla fine si e trovato a fare la rivista con altri collaboratori ma con meno entusiasmo di un tempo. Adesso Internet fornisce agli appassionati tutte le anticipazioni che desiderano e "Dime Press" avrebbe dovuto essere ripensata completamente, perciò ha diradato le uscite fino a chiudere i battenti.

Hai cominciato la tua carriera nel mondo del fumetto collaborando con svariate fanzine: quanto è stato difficile passare dal ruolo di critico ed appassionato a quello di sceneggiatore del proprio eroe preferito?

Passare da appassionato a sceneggiatore mi è sembrato incredibilmente facile, come se fosse stato scritto nel destino. Probabilmente invece ero io che, traboccante dell'entusiasmo di chi ha un sogno da realizzare, non facevo caso alle difficoltà. E' stato più difficile, casomai, una volta entrato nello staff, crescere professionalmente e mantenere una produzione e un livello qualitativo adeguati allo standard richiesto dai tempi, dalla tradizione della casa editrice e del personaggio.  La mia "gavetta" nelle fanzine, in ogni caso, è stata fondamentale: due sono state quelle che ho fondato io, "Collezionare" e "Dime Press" – ma ho collaborato anche con tante altre. Erano i tempi in cui gli appassionati stampavano le loro riviste con il ciclostile e non creavano  siti su Internet! 

La tua prima esperienza come soggettista/sceneggiatore è stata sulle pagine della rivista “Mostri”, edita dalla Casa editrice Acme. Che giudizio hai di quell’esperienza?

Ho ottimi ricordi della rivista “Mostri” e soprattutto di quel vulcano di iniziative che è Francesco Coniglio, editore e talent-scout. Magari ci fossero anche oggi case editrici come la Acme, a caccia di giovani autori, pronte a valorizzare i talenti e la creatività, aperte alle nuove iniziative e alla sperimentazione, e soprattutto in grado di fare da nave-scuola per chi deve ancora farsi le ossa. Si era nel felice periodo di “boom” che, nella seconda metà degli anni Ottanta, seguì il successo di Dylan Dog. Silver e Coniglio avevano dato vita alla Acme, che oltre a pubblicare “Lupo Alberto” e “Cattivik” dava alle stampe “Splatter” e “Mostri”.






Io, che ancora non avevo cominciato a collaborare con Sergio Bonelli, presentai dei soggetti per dei racconti horror destinati alle due riviste. Francesco Coniglio mi invitò a Roma per parlarne con lui e Roberto Dal Prà, che faceva da supervisore. Bastò un pranzo insieme per capire che potevamo collaborare, e cominciai a scrivere sia per "Mostri" che per Cattivik e Lupo Alberto. La mia prima storia in assoluto da professionista (cioè, regolarmente pagata), datata settembre 1990, uscì appunto su "Mostri". La disegnò Stefano Andreucci (con cui ho realizzato cinque storie brevi stampate dalla Acme), che poi è finito a far parte dello staff di Zagor, Tex e Dampyr. Il mio esordio bonelliano è invece della primavera 1991.

Tue personale esperienze dei primi colloqui con i tuoi editori...


Benchè io, come tutti, sia solito ritenere la mia vita funestata da una serie di inenarrabili sfighe (penso sempre che la mia autobiografia potrebbe intitolarsi come quella di Abelardo, "Storia delle mie disgrazie"), in realtà so di essere stato molto fortunato per essermi trovato, uomo giusto, nel posto giusto al momento giusto. Quando ho presentato i miei primi lavori agli editori, il fumetto italiano viveva il "boom" di Dylan Dog, c'era un clima di grande euforia, progetti e case editrici spuntavano come funghi, al pari delle fumetterie (ne ho aperta una io stesso). Oggi è tutto molto più difficile, gli spazi strettissimi. I miei primi colloqui con gli editori sono stati due, entrambi entusiasmanti. Nel giugno del 1989 misi piede per la prima volta nella redazione di via Buonarroti, insieme ai miei amici Francesco Manetti e Alessandro Monti, per intervistare Sergio Bonelli, dato che stavamo prearando uno speciale della fanzine "Collezionare" dedicato a Zagor. Mentre aspettavamo che Sergio ci ricevesse, si è aperta una porta ed è apparso Decio Canzio, che io ancora non conoscevo. Ha chiesto chi di noi fosse Moreno Burattini e mi ha invitato nel suo ufficio. Sul suo tavolo c'era un soggetto per Zagor che tempo prima avevo inviato a Bonelli. Canzio, che da quel momento in poi mi è sempre parsa una figura paterna, mi ha mostrato che cosa non andasse in quel soggetto, illustrandomene punto per punto le magagne. Naturalmente aveva perfettamente ragione su tutto, anzi mi chiesi come mai non mi fossi accorto da solo che il mio progetto non stava in piedi. Tuttavia Canzio notava che c'era del buono e del promettente, e mi invitava a riscrivere il soggetto tenendo conto delle sue osservazioni. Cosa che puntualmente feci. Nel 1990, invece, dopo che avevo inviato dei soggetti alla Acme, ricevetti la telefonata di Francesco Coniglio, che, già conoscendomi peraltro come fanzinaro, mi invitava a Roma per un colloquio.




Francesco Coniglio visto da Graziano Origa


Andammo a pranzo insieme io, lui e Roberto Dal Prà, altra splendida persona. Al termine della giornata, non solo un paio di soggetti erano stati approvati, ma ero stato invitato a scrivere anche storie per Cattivik e mi era stata proposta l'assunzione come redattore (che rifiutai, spaventato dalla prospettiva di dover cercare casa nella capitale).


Mai fatto errori formali o gaffes nel presentarti all'inizio agli editori?


Ricordo due aneddoti terrificanti. Il primo, verificatosi proprio con Coniglio quando gli scrissi, dopo lunga ponderazione, una bella lettera in cui spiegavo perchè intendevo rinunciare all'offerta di andare a lavorare a Roma da lui. Premetto che io sono un cultore del fumetto erotico e trovo straordinario il talento di quei maghi della matita che riescono a dar vita a donnine di carta seducenti come fanciulle vere. Anzi, mi piacerebbe sceneggiare fumetti erotici. Comunque sia, Coniglio si occupava all'epoca di realizzare, oltre alle testate per cui io mi ero proposto ("Mostri", "Splatter", "Cattivik" e "Lupo Alberto"),anche alcune collane di tascabili per adulti, per le quali disegnavano autori con cui poi, in seguito, avrei lavorato in ambito bonelliano e proprio a Zagor, come Mauro Laurenti, Stefano Andreucci e Roberto D'Arcangelo. Dunque scrivo questa lettera, spiego le mie difficoltà nel trasferirmi a Roma e aggiungo che poi avevo anche paura, lavorando presso di lui, di finire a occuparmi non delle riviste horror e umoristiche a cui ero interessato, ma unicamente di quelle hard, facendo la fine di quei ginecologi non obiettori che in ospedale, appunto per non aver fatto obiezione, si ritrovano a fare soltanto aborti. Ora, è chiaro che io intendevo dire che preferivo occuparmi di fumetto "generalista" piuttosto che specializzarmi in quello erotico. Però, a lettera inviata, mi accorsi che la mia frase, sicuramente infelice, poteva essere interpretata come la stroncatura del lavoro di un editore, per il quale peraltro intendevo lavorare, i cui albi venivano definiti come "aborti". Coniglio ha continuato a farmi sceneggiare per lui, bontà sua, ma se ci ripenso ho ancora i brividi. La seconda gaffes riguarda Sergio Bonelli. Sergio ha sempre dimostrato simpatia per me, ma talvolta gli capita di rimbrottarmi. La prima volta fu a causa di "Cico Trapper". Gli avevo presentato un canovaccio con annotati tutta una serie di sketch in cui Cico, il messicano amico di Zagor che vive avventure in solitaria in una serie di "speciali", vestiva i panni del trapper: le idee erano davvero tante, alcune brillanti, altre meno, altre ancora da perfezionare e mettere a punto. Nel prospettare a Sergio quale avrebbe potuto essere lo svolgimento della vicenda, feci l'errore di buttar lì un discorso di questo tenore: "scegliamo quali sono le gag da inserire in questo racconto, in ogni caso non butteremo via niente perchè quelle scartate verranno buone per la serie regolare o per il prossimo special". Non l'avessi mai detto: Bonelli, con un tono che non ammetteva repliche, mi gelò ammonendo che invece si poteva buttare via tutto, se non andava, che lui era pronto a stracciare in ogni momento qualunque pagina che egli stesso avesse scritto, e che pertanto anch'io avrei dovuto fare lo stesso di fronte a quelle idee che fossero state bocciate. Bisogna essere generosi con i lettori, disse Sergio, avere il coraggio di gettare nel cestino ciò che non funziona, dimenticarsene, e uscire subito con un'idea nuova. Se non avessi imparato a farlo, non sarei mai diventato un buon sceneggiatore.




Sergio Bonelli con Aurelio Galleppini a Stradella (PV) nel 1988



L'idea che tu avresti potuto scrivere le storie di Zagor, quando é cominciata a frullarti nella testa? E come sei riuscito a realizzarla? 


Il sogno di scrivere Zagor ce l'ho sempre avuto, anche se non sapevo come avrei potuto realizzarlo. Anzi, mi sentivo inadeguato.  Finché lo sceneggiatore dell'eroe rimase Nolitta mi chiedevo sbalordito come facesse a inventare avventure cosi belle e mi pareva che non sarei riuscito mai neppure ad avvicinarmi alla sua grandezza. Ma quando Nolitta usci di scena (e ancora lo rimpiango), ero già abbastanza grande da sentire di poter competere con alcuni dei suoi successori. Naturalmente mi sbagliavo, avevo tanto da imparare e tanta strada da fare. Pero il sogno c'era, e di conseguenza mi esercitavo, mi documentavo, cercavo avidamente di studiare tutto quello che poteva servirmi per diventare uno sceneggiatore di fumetti. Fin da giovanissimo, e intendo da quando avevo undici o dodici anni, inviavo spesso a Sergio Bonelli lettere  piene di osservazioni e critiche sugli albi di sua pubblicazione. Bonelli doveva trovarle interessanti, perché non sono solo mi rispondeva, ma addirittura mi telefonava a casa per commentarle e rispondere. Ricordo ancora una volta che ero appena tornato da scuola, suona il telefono e una voce mi dice: "Sono Sergio Bonelli". Pensai a uno scherzo, invece era vero!  Ovviamente parlando con lui avevo il batticuore. Ricordo ancora che per telefono mi anticipò il ritorno di Supermike in una storia scritta da Castelli.






Quando cominciai a realizzare, con i miei amici, la fanzine "Collezionare", scrivendo articoli e andando a caccia di interviste, ho finito per conoscere piuttosto bene un gran numero di addetti ai lavori del settore, tra cui, finalmente di persona, anche Sergio Bonelli.  Sergio addirittura chiedeva di me alle mostre agli stand dove vedeva in vendita "Collezionare". Poiché con lui ero piuttosto severo con le storie di Zagor degli Anni Ottanta, di cui mi lamentavo, fu Bonelli stesso a dirmi: "Beh, perché non provi a scriverne una tu?". Lo presi in parola, e gli sottoposi un soggetto da esaminare. Naturalmente non fu accettato, e alla luce della mia esperienza di adesso non me ne meraviglio: era pieno dei classici errori dei dilettanti. Ci sono voluti due anni di tentativi prima che la casa editrice trovasse buona una mia proposta e mi desse il via libera per la prima sceneggiatura. Accadde nel 1989, da allora non mi sono più fermato. 

Non è facile entrare in Bonelli, ma tu ci sei riuscito fino a diventare uno dei dieci autori più pubblicati nella storia della Casa editrice. Ti ritieni un miracolato?

Riguardo alla difficoltà di entrare nella scuderia Bonelli, io ho avuto la fortuna di propormi in un momento in cui le vendite andavano molto bene, c'era appena stato il boom di Dylan Dog, si aprivano tante testate e si allargavano gli staff. Non c'era lavoro solo in ambito bonelliano, ma anche  nel resto del mercato italiano (tanto e vero che io stesso inizia a lavorare  anche per la rivista "Mostri", per "Lupo Alberto" e "Cattivik"). Insomma,  era un periodo in cui chi aveva un po' di talento poteva avere un minimo di  opportunità (poi e ovvio che c'era una selezione alla distanza).






Oggi la  situazione e molto diversa. Il mercato e in difficoltà, non ci sono più molti editori a parte Bonelli, le testate chiudono, gli staff si riducono, ci sono molti professionisti disoccupati e per un giovane che si proponga adesso ci sono pochissime probabilità di farcela. Probabilmente, se si vuole scrivere storie, conviene cercare di scrivere  per la TV o lavorare con chi fa i cartoni animati. La ricetta magica non esiste e io comunque non la possiedo, tant'e vero che ancora oggi, dopo quasi vent'anni, continuo a sentirmi sotto esame ogni volta che Bonelli legge una mia storia. Riguardo ai miracoli, la penso come Marcello Marchesi, che diceva: aiutati che Dio ci ha da fare.
Lavorare nel campo dei fumetti, dunque, è stato un sogno che si è avverato. Cosa ha significato per te lavorare su Zagor e misurarti con coloro che avevano in qualche modo alimentato e influenzato le tue fantasie? 

Fin da bambino avevo il sogno di scrivere Zagor. Leggevo le storie di Guido Nolitta e mi chiedevo sbalordito come facesse, quel mitico sceneggiatore (ignoravo che fosse Sergio Bonelli) a inventare avventure così belle. Ma quando Nolitta smise di scrivere Zagor (e ancora lo rimpiango), ero già abbastanza grande da sentire di poter competere con alcuni dei suoi successori. Naturalmente mi sbagliavo, avevo tanto da imparare e tanta strada da fare. Però il sogno c'era, e di conseguenza mi esercitavo, mi documentavo, cercavo avidamente di studiare tutto quello che poteva servirmi per diventare uno sceneggiatore di fumetti.
Cosa hai provato a realizzare la prima storia del personaggio che hai sempre amato fin da bambino?

Zagor mi ha fatto vivere mille sogni e ne ha avverato uno. Quando, da ragazzo, leggevo le avventure scritte da Guido Nolitta e disegnate da Gallieno Ferri, e avrei dato chissà cosa per potere, un giorno, raccontare anch'io storie così belle. Il destino (o chi per lui) me ne ha dato la possibilità.




Guido Nolitta (Sergio Bonelli) e Gallieno Ferri, maggio 2010


Erskine Caldwell diceva che il segreto della vita è quello di trovare persone disposte a pagarti per fare delle cose che tu saresti disposto a fare pagando, se avessi il denaro necessario. Io sarei stato disposto a pagare, pur di riuscire a scrivere Zagor:  ho trovato la persona disposta a pagarmi perché lo faccia: Sergio Bonelli, ossia quel Guido Nolitta che tanto ammiravo. Faccio un lavoro bellissimo, non posso che dirmi fortunato.

Perché è proprio Zagor, lo Spirito con la Scure il personaggio che più ami?

Perché lo sento vicino al mio modo di essere e di pensare. Zagor è un eroe "buono", positivo, mediatore fra culture diverse e meno manicheo del pur mitico Tex. Inoltre è in grado di spaziare attraverso tutti i regni dalla fantasia, spaziando dalla pura avventura alla fantascienza, all'horror, al giallo, al western classico. E poi c'è Cico, che è una spalla comica irresistibile. 


Zagor è stato il tuo primo lavoro in assoluto?

Zagor è stato il mio primo lavoro PAGATO. In realtà, su "Collezionare" ho portato avanti per anni un mio personaggio chiamato "Battista il Collezionista", che all'epoca era molto apprezzato dai lettori e che aveva addirittura Sergio Bonelli fra i suoi sostenitori  (almeno, bontà sua, così mi diceva). La maggior parte delle storie sono state realizzate da Francesco Bastianoni, attuale disegnatore di Nathan Never, lì alle prese con il disegno umoristico. Di Battista ho scritto una dozzina di episodi, e ho potuto mettermi alla prova come sceneggiatore, sperimentando soprattutto come funziona il rapporto con un disegnatore e che effetto sorte una tavola passando da come l'hai pensata a come viene pubblicata. Ho cominciato a lavorare alla mia prima storia di Zagor nell'estate 1989, ma poi, per i tempi lunghi della realizzazione, non è uscita che nel 1991. Così, il mio primo lavoro pubblicato su una rivista da edicola è stato un breve racconto apparso sul n° 7 della rivista "Mostri", della ACME, nel settembre 1990, scritto più tardi rispetto allo Zagor d'esordio, ma uscito prima. Lo disegnò Stefano Andreucci, destinato anche lui a finire a Zagor.

Quali erano i tuoi modelli quando hai cominciato?

Guido Nolitta, Max Bunker e Giancarlo Berardi. I tre sceneggiatori più bravi dell'universo.




Io con Giancarlo Berardi (marzo 2010)


Cosa ha significato per te, sia come lettore che come scrittore, poter sceneggiare in prima persona Zagor, ovvero un personaggio che amavi molto da ragazzino? Che emozioni hai provato?

E' stato lo Spirito con la Scure, a gettare le basi del mio sconfinato amore per i fumetti e a solleticarmi l'intelligenza e la fantasia, spingendomi a crescere sempre più, culturalmente e spiritualmente. Ciò non è accaduto, naturalmente, solo a me:  per migliaia di altri  è successo lo stesso, ne sono sicuro.  Credo che il mondo fantastico di una folta schiera di lettori sia debitore verso Zagor di una enorme carica di stimoli e suggestioni. Le sue storie ci hanno portato in giro attraverso un universo sospeso fra sogno e realtà, fino a farci sentire a casa nostra in quella fantasmagorica e improbabilissima foresta tropicale ai confini con il Canada chiamata Darkwood. Chi ha letto nei miei stessi anni le avventure dello Zagor dell'Epoca d'Oro (c'è sempre una golden age nella nostalgia di ciascuno) non potrà mai dimenticare le insidie di Hellingen, la minaccia del Re delle Aquile, il dramma dell'Odissea Americana e le tante altre fantastiche avventure scritte da Guido Nolitta e disegnate da  Ferri. Qualche tempo fa, nella rubrica della Posta di uno degli albi dell'eroe di Darkwood, un lettore confidava a Sergio Bonelli: "So di aver avuto un'infanzia splendida,  grazie a Zagor".  Le stesse parole che avrei voluto scrivere io.



Gallieno Ferri con la scure di Zagor


I contatti con Silver per Lupo Alberto e Cattivik, invece, come sono nati?

Avvennero l'anno successivo rispetto all'accettazione della mia prima storia di Zagor, quando già avevo acquistato più sicurezza nei miei mezzi. A quei tempi, Silver aveva dato vita, come editore, ad alcune collane di fumetti dell'orrore. Inviai alcuni soggetti per una sua rivista intitolata "Mostri", quella a cui ho già accennato: si trattava di storie fantasy, di ambientazione medievale, che dovevano costituire una miniserie di cinque episodi. Il progetto fu approvato e gli episodi pubblicati.




Silver (Guido Silvestri)


Dato che anche con Silver avevo instaurato un rapporto di collaborazione, chiesi se aveva bisogno di storie per Cattivik, un personaggio molto divertente che mi sembrava più congeniale di Lupo Alberto al mio modo di scrivere. Silver non disse di sì, disse: "Eccome!". Ho scritto più di venti storie per Cattivik, poi Silver mi ha trasferito d'ufficio a Lupo Alberto.  L'ho ritenuta una promozione.




E' vero che hai curato anche i redazionali di Cattivik?

Oh, sì. E’ stato molto ma molto divertente. Rispondevo alle lettere della "Posta", con lo pseudonimo di Gustavo La Fogna, e curavo una rubrica che si chiamava "Il dizionario degli Insulti", in cui ogni mese suggerivo le più pittoresche ingiurie e contumelie da tributare agli avversari. Poi ho ideato “Queste cose non si fanno”, un’altra rubrica dedicata agli scherzi da fare agli amici (o ai nemici).





In molte interviste ribadisci che non consideri un  lavoro ma una passione fare lo scrittore di fumetti. Quando hai cominciato a sperare che questa passione potesse renderti economicamente autonomo? Ricordi il tuo stato emotivo?


Da ragazzo, non volevo diventare autore di fumetti, ma scrittore tout-court. Fare lo sceneggiatore non è un ripiego, però. Anzi: fin dagli inizi mi illudevo di scrivere racconti, mentre in realtà erano soggetti per fumetti. Ho capito qual era la mia strada quando mi sono reso conto di questa semplice ma fondamentale verità. C'è da dire che negli anni in cui ho cominciato io si era in un momento di "boom" dovuto, fra l'altro, anche all'esplosione del fenomeno Dylan Dog. Oggi, approdare al professionismo è senza dubbio più difficile. Ho sempre sperato che il mio lavoro sarebbe stato questo, e non ho mai smesso di darmi da fare perché lo fosse. Ho cominciato a pensare che il traguardo era vicino quando Bonelli prese in consegna il mio primo soggetto. Poi ci sono stati mesi di scoraggiamento in attesa di una risposta che non arrivava. Ma alla fine, non solo mi sono visto accettare una sceneggiatura, ma anche chiedere di lasciare il mio precedente lavoro per dedicarmi soltanto a fumetti. Ho toccato il cielo con un dito. Certo, dopo non sono state tutte rose e fiori, ma la vita, si sa, non è mai una passeggiata. A volte la strada è difficile, ma di certo quella che sto percorrendo adesso permette di godere di un bellissimo panorama.

Il momento in cui sei entrato nello staff era molto difficile per lo Spirito con la Scure che era quasi morto e sepolto. Bonelli diceva che il personaggio aveva fatto il suo tempo. Quando sei arrivato, sapevi che Zagor potrebbe chiudere ogni giorno? 


All'epoca del mio arrivo nella Casa editrice, Sergio Bonelli era pessimista circa il futuro del personaggio. Di questo pessimismo raccolsi io stesso  testimonianza quando realizzai, con lo staff della fanzine Collezionare, la  lunga intervista poi apparsa sullo speciale dedicato a Zagor. "Il personaggio - disse Sergio - ha fatto il suo tempo. Più di cosi non può dare, e un eroe esaurito come tanti altri. Per cui anche come editore, se ho  voglia di fare qualcosa, trovo un po' avvilente accanirmi su cose vecchie e preferisco dedicarmi a progetti nuovi". Bonelli non aveva tutti i torti, anzi. Zagor e, innegabilmente, un eroe datato. Addirittura un giustiziere in costume, come l'Uomo Mascherato. E assomiglia anche a Tarzan, altra grande figura ma non proprio modernissima.




Tarzan


Per non parlare poi dell'impossibilita di dargli una vita sessuale, per fare un altro esempio. Le vendite calavano, e hanno continuato a farlo a lungo, anche mentre Dylan Dog o Nathan Never arrivavano a rilanciare la casa editrice nei primi anni dei Novanta. Insomma, credo che Sergio avesse ragione a non attendersi miracoli e a prospettare solo un lento, anche se onorevole declino per il suo eroe. Quando entrai nello staff, ero consapevole di tutto questo e la cosa mi spaventava. 

La frase di Nolitta che hai citato poco fa mi ricorda un’altra frase, altrettanto triste, pronunciata da Sergio Bonelli nell’annunciare il suo ultimo ciclo di episodi per Mister No… un personaggio che rappresenta per me quello che lo Spirito con la Scure ha significato per te… credi che fosse impossibile rilanciare un personaggio come Jerry Drake?
L’impossibile è spesso l’intentato. Immagino che ogni sceneggiatore a cui venisse chiesto un parere in proposito risponderebbe tirando fuori alcune idee, quelle che secondo lui avrebbero potuto giovare a Mister No. Come Nolittiano della prima ora, direi che l’unico a poter rilanciare il personaggio sarebbe stato Nolitta stesso, se si fosse potuto strapparlo alle responsabilità di editore e vederlo tornare a scriverne in prima persona le avventure. Mister No assomiglia così tanto a Bonelli (pur non identificandosi con lui) che è sempre stato difficile per chiunque sceneggiare al posto suo  le storie del pilota di Manaus.



Mister No

Sei stato sottoposto a pressioni, del tipo "il futuro del Spirito con la scure dipende di te!", oppure ti hanno lasciato a scrivere in pace, con calma? I tuoi ricordi di esordio e di questi primi anni, come sono?

Ricordo che mi terrorizzò una frase di Toninelli che mi colpì come una coltellata: lo incontrai poco dopo il suo abbandono e gli chiesi perché se ne fosse andato, e Marcello mi rispose (grossomodo) cosi: "Non volevo essere ricordato come quello che aveva fatto chiudere Zagor".  Mi vidi prospettato un destino di ignominia in cui lo Spirito con la Scure lo avrei fatto chiudere io. E come fan numero uno del personaggio, c'era di chi starci male! Per fortuna, sono passati più di venti anni e di chiusura ancora non si parla. Non solo, ma c'e attorno a Zagor un notevole entusiasmo e addirittura io e Boselli abbiamo vinto insieme un premio "Gran Guinigi" al salone di Lucca come migliori sceneggiatori ex aequo proprio per il contributo dato alla rinascita zagoriana. Più di recente ho anche vinto, da solo, il Premio Cartoomics per la mia attività.








In ogni caso non ho mai lavorato con il pensiero fisso che il futuro di Zagor dipendesse da me, ho sempre cercato di fare soltanto del mio meglio. Dei primi anni ricordo che dopo aver sognato tanto di poter fare quello che finalmente stavo facendo, mi rendevo conto di come non fosse assolutamente facile. Tanti aspiranti sceneggiatori hanno una buona idea per la loro prima storia, ma il lavoro a un personaggio seriale significa avere tante buone idee di continuo, anche per la seconda, la quinta, la decima o la diciassettesima storia. Significa avere il fiato da fondista e reggere alla distanza. Significa confrontarsi con la realtà e dunque prepararsi alle critiche, alle bocciature, alle delusioni. Per ogni idea bocciata bisogna averne una nuova di riserva.




Marcello Toninelli ti ha lasciato una eredità molto difficile. Qual è il tuo giudizio su di lui? 


Non credo di essermi mai dimostrato un critico di Marcello Toninelli  particolarmente severo, di certo lo sono stato meno di molti altri. Poi, se  a volte ho espresso qualche riserva e ho manifestato una certa delusione, e stato solo limitatamente al suo lavoro per Zagor, mentre ho sempre  apprezzato tutto quanto lui ha scritto e disegnato in altre sedi. In ogni  caso le mie critiche da semplice lettore erano le stesse di molti altri appassionati:  trovavo che le storie di Zagor dopo l'abbandono di Nolitta non fossero più le stesse. Come autore, oggi capisco tutte le difficoltà di Toninelli. Peraltro non fu soltanto sua la responsabilità della testata dopo l'addio nolittiano, ci furono molti altri autori, che non riuscirono a reggere il confronto con Nolitta. Toninelli ha portato avanti Zagor per dieci anni, garantendo la continuazione della serie inserendo nuovi temi e nuovi personaggi (amici e nemici) e scrivendo anche episodi epocali.




Io con Marcello Toninelli a un salone di Lucca Comics


Sicuramente Marcello ha subito dei limiti dalla Casa editrice, tematici e narrativi. Però, questo è il gioco delle parti: anche io e Boselli con i limiti ci facciamo i conti e li accettiamo, cercando di fare comunque del nostro meglio. In generale, tutti gli autori (e non solo di fumetti) devono  riuscire a venire a patti con le regole imposte loro da agenti, produttori, editori, impresari, e prima di tutto dal pubblico e dal mercato. Si tratta di esprimere comunque il proprio talento, nonostante i vincoli. Il mio arrivo a Zagor ha coinciso per puro caso con l'abbandono di Toninelli. Il suo abbandono seguì di poco anche l'introduzione nella casa editrice della figura del curatore di serie, o dell'editor all'americana: un'innovazione che forse contribuì a convincerlo a cercare altrove maggiore indipendenza. Io sono, da sempre, un ammiratore di Marcello Toninelli: addirittura dai tempi in cui realizzava una divertentissima rivista chiamata "Foxtrot". Lo ritengo un eccellente sceneggiatore e uno strepitoso disegnatore.



Marcello Toninelli in una foto di
Marco Andrea Corbetta


Cosa pensi della proposta di Toninelli, fatta prima del suo abbandono, per un restilyng dello Spirito con la Scure?


Proprio in concomitanza con i miei primi passi, Marcello aveva sottoposto alla casa editrice un suo progetto per un restyling clamoroso e totale dello Spirito con la Scure, che stava perdendo lettori e che pertanto avrebbe dovuto, secondo lui, cambiare formato, tecnica narrativa, disegnatori, tutto. Si proponeva di rendere Zagor più duro, crudo, realistico, violento. Contemporaneamente si prospettava una formula "a telenovela" con trame e sottotrame alla maniera degli X-Men di Chris Claremont che all'epoca godevano di molto seguito. Insomma, Toninelli si rendeva conto di come occorresse imprimere nuovo vigore al personaggio, ma riteneva di non poterlo fare nell'ambito della continuità: pensava che ci volesse un cambiamento traumatico, radicale e snaturante. Credo che Marcello fosse consapevole che una svolta cosi drastica come quella da lui proposta non sarebbe mai stata accettata, visto che in ambito bonelliano il rispetto per la tradizione e un valore fondamentale, e casomai si perseguono rinnovamenti meno bruschi (soprattutto avendo a che fare con personaggi che hanno una tradizione pluridecennale e lettori molto affezionati). E lui, di fronte alla bocciatura, preferì prima proporre soggetti per Nick Raider e Dylan Dog, e poi lasciare del tutto la Bonelli. Personalmente, di fronte al suo progetto di restyling zagoriano avrei reagito dicendo più o meno cosi: bella, bellissima idea per un personaggio nuovo, che Marcello avrebbe potuto inventarsi e portare avanti cosi come da lui proposto (e di personaggi nuovi il vulcanico Toninelli e sempre stato una fucina), ma Zagor deve restare Zagor.




Il divertente "Zig-Zagor" di Marcello Toninelli



Non è un caso, forse, che il tuo ingresso nello staff di Zagor sia avvenuto in un momento assai delicato per la serie, un frangente importantissimo in cui bisognava decidere se abbandonare la difficile partita o “svecchiare” in modo deciso ed efficace il personaggio. 

Subito dopo il mio arrivo fui appunto affidato alle cure di Renato Queirolo, redattore con occhi da nittalopo, come diceva Mauro Boselli. Queirolo è stato per me come il burbero sergente per i cadetti dei marines, quello che insegna la disciplina e costringe gli allievi a una durissima gavetta, quello che magari viene pure ritenuto un cerbero durante l’addestramento, ma che poi tutti gli allievi ricordano con gratitudine per tutto ciò che sotto la sua scuola hanno imparato. Al momento del mio arrivo a Zagor, a scriverne le sceneggiature c’erano anche Ade Capone e Alessandro Russo, ma entrambi in seguito hanno lasciato la serie seguendo altri loro progetti. Ade, poi, è tornato e abbiamo lavorato insieme ad alcune storie, io come curatore e lui come sceneggiatore.

Cosa ci puoi dire - tu che lo hai vissuto in prima persona - del (fondamentale) restyling che ha conferito nuova linfa vitale alla collana a partire dai primi anni Novanta?

Durante i primi tempi, pieni di difficoltà, mi accorsi che le mie idee per rinfrescare la serie riportandola a tematiche e stilemi tipicamente nolittiani non erano del tutto praticabili, e che il rinnovamento avrebbe dovuto essere tentato non tornando al passato (cosa del resto impossibile visto che io non ero Nolitta, per quanto mi sforzassi di fargli il verso) ma cercando strade nuove verso il futuro tenendo conto della tradizione, senza però impantanarsi in storie trite o ripetitive. Sotto la gestione Queirolo progettammo la seconda “Odissea Americana”, ovverosia il nuovo viaggio dello Spirito con la Scure fuori da Darkwood da cui, secondo l’opinione comune, è scaturito il rinascimento zagoriano. Ai testi fu chiamato Mauro Boselli, che poi divenne egli stesso curatore di serie. Sotto la sua gestione la collana è riuscita a decollare di nuovo, o perlomeno ad arrestare l’erosione di vendite, e io ho cercato di dare il mio contributo, anche perché con il tempo ho acquistato maggiore esperienza e sicurezza.



Quasi tutte le tue prime storie sono state ottime o molto buone. Pericolo Mortale, Sepolti vivi, Il sangue dei Cheyenne, L'uomo con fucile, I Pirati del drago, I falsari, La diabolica invenzione... Tutte buone, solide storie in sintonia con il personaggio e la sua tradizione. Quindi, avevi un paio degli assi nelle maniche prima di essere assunto nello staff oppure le storie sono nate dopo?


Le storie che tu citi (tra cui "L'Uomo con il Fucile" che e una fra le mie preferite) sono state tutte ideate dopo il mio arrivo nello staff di Zagor, tranne la prima,  perché io cominciai presentando un solo soggetto, quello di "Pericolo Mortale", e solo dopo aver realizzato quello portati altre proposte. Non tutte le mie idee venivano accettate, ovviamente. E di solito trovavo (come capita sempre a tutti gli autori) che mi venissero bocciate le idee migliori e accettate le peggiori. Però nessuno e il miglior giudice di se stesso, e infatti oggi che io esamino le idee degli altri boccio quelle che gli altri giudicano migliori e accetto le peggiori. 

Ai tempi dell’inizio della tua collaborazione alla serie, fine anni Ottanta, le vendite dell’albo erano in forte calo e da più parti si diceva che il personaggio ormai era superato e la serie destinata a chiudere. Puoi dirci se, all’epoca, in Bonelli, si respirava già aria di rilancio della serie, come poi è avvenuto?

Bonelli stesso, a malincuore, diceva nelle interviste che lo Spirito con la Scure era ormai un personaggio che aveva fatto il suo tempo. Io mio arrivo coincise, per puro caso, con l’addio di Marcello Toninelli e con l’affidamento delle varie testate bonelliane a dei curatori che se ne occupassero programmando con gli autori lo sviluppo della serie. Inizialmente il curatore di Zagor fu Renato Queirolo, che arruolò nuovi disegnatori e sperimentò nuovi sceneggiatori.






Renato Queirolo visto da Angelo Stano


Presto arrivò Mauro Boselli, che progettò con me una nuova “odissea americana” che portasse il re di Darkwood in giro per il continente nordamericano attraverso scenari mai visti prima. Fu questa “trasferta” che segnò l’inizio di un nuovo corso zagoriano.

Hai raccolto un'altra eredità pesante: lo Zagor di Nolitta. Quali sono le  caratteristiche che hai aggiunto al personaggio ? 

La mia personale preoccupazione è, da sempre, quella di non togliere o non snaturare nessuna delle caratteristiche impresse da Nolitta al personaggio. Impresa difficilissima, dato che io non sono Nolitta e qualcosa finisce comunque per perdersi o per modificarsi. In altre parole: cerco di non sottrarre niente, più che aggiungere qualcosa. Se poi qualcosa si è aggiunto comunque, nei venti anni in cui ho lavorato al personaggio, mi auguro che non si noti ma si confonda con quello che già c’era. Se proprio devo essere io a segnalare le mie impronte digitali, pericolose prove a mio carico, immagino di aver calato di più Zagor nella Storia con la “S” maiuscola, scrivendo storie abbastanza ben documentate.

Sei stato considerato l'erede naturale di Guido Nolitta, sotto il cui pseudonimo si celava il creatore di Zagor, l'editore Sergio Bonelli. Ti riconosci sotto questa etichetta o la trovi poco corrispondente alle tue specifiche qualità di narratore?

Riconoscermi in quell’etichetta sarebbe per me motivo di grande soddisfazione, perché assomigliare davvero a Nolitta è una delle mie massime aspirazioni. Purtroppo Nolitta è Nolitta e io sono solo un suo pallido imitatore. Non mi pongo il problema dell'originalità del mio stile, ma quello della sua aderenza alle esigenze del personaggio che ho sottomano. Non cerco di avere per forza una "calligrafia" personale estremamente riconoscibile, come se questa fosse la cosa più importante del mondo e da essa dipendesse la mia realizzazione come individuo, l'autoaffermazione di me. Credo che convenga, per il bene della testata, porsi al servizio del personaggio cercando di interpretarlo con naturalezza, assecondando le sue caratteristiche e non sforzandolo perché lui assecondi le mie. A chi ha a che fare, come capita a me,  con character altrui, e per di più molto storici e molto amati, ciò che serve è l'umiltà. Zagor è  un personaggio sulla breccia da cinquant'anni. I lettori lo comprano perché sull'albo ci trovano lui, non perché ci trovano me. Il più bel servizio che posso rendere agli acquirenti è consegnare loro una storia in cui Zagor parli come Zagor e si comporti come Zagor, e non parli come me o si comporti come mi comporterei io. Idem per Cico,  Quando Sclavi (ed era Sclavi!) ha mosso Cico come fosse Groucho, in molti hanno storto la bocca. Ciò non toglie che le mie storie si riconoscano come mie per mille particolari: perché, inevitabilmente, io sono io e sceneggio come so. Quando qualcuno, però, dice che, nonostante tutto sono “nolittiano”, lo reputo un grande complimento. Pur conservando una mia “calligrafia”, che non posso non avere, ho chiaramente nello stile di Nolitta un fondamentale punto di riferimento. Del resto, scrivere alla maniera del mio maestro ideale, pur adeguandomi ai tempi, mi viene istintivo.Mi piacerebbe poter essere considerato per sempre l’ “erede di Nolitta”, ed esserlo davvero. Temo ogni volta, invece, di deludere chi si aspetta da me qualcosa che non potrò dare, Bonelli per primo, perché io non sono Nolitta e non arriverò mai ai suoi livelli. Faccio quello che posso. Non cerco neppure di far riconoscere un mio stile, perché credo che i lettori comprino Zagor per trovare Zagor, non Moreno Burattini. Dunque sarei contento se non mi si notasse neppure, come Lord Brummel.



Sergio Bonelli
 
Che cosa vuol dire essere “nolittiano” nello scrivere le storie di Zagor?

Cerco di scrivere storie avvincenti, di stampo classico, con un inizio e una fine, che si possano leggere con grande scorrevolezza, senza annoiare mai, tenendo alto in ogni caso il “sense of wonder”, e inseguendo l’avventura. Nolitta affascinava senza bisogno di artifici stilistici, era un affabulatore straordinario, gli bastavano pochi elementi per condurre i lettori dovunque, e sapeva essere colto e profondo senza essere, documentato senza essere didascalico, chiaro senza essere banale. Sapeva mescolare i generi ed era insuperabile nel drammatico come nell’umoristico, riuscendo persino a farli convivere insieme. Ma soprattutto, Nolitta ha creato una “ortodossia” zagoriana che può essere rispettata solo da chi ha letto e riletto, e molto amato le avventure dello Spirito con la Scure scritte da lui.




Quando hai esordito sulle pagine di “Zagor”, nel 1991, Sergio Bonelli, editore del personaggio nonché suo creatore, ti presentò ai lettori dicendo “è uno di voi”, con chiara allusione al tuo passato di appassionato lettore zagoriano. Puoi dirci come nasce la tua passione per questo fumetto? 

Le avventure di Zagor mi colpivano più di quelle di molti altri personaggi, a partire dalle stupefacenti copertine di Ferri che eccitavano moltissimo la mia fantasia. Ma soprattutto, ero entusiasta delle storie di Nolitta: mi chiedevo come potesse scriverne di così belle, ogni mese. Decisi che da grande avrei dovuto fare come lui: scrivere fumetti. Crescendo, ho cercato di capire come si facesse. Con il tempo ho conosciuto molti altri autori, ho imparato da loro tutto quello che potevo. Alla fine, ma non è stato facile, ho iniziato a scrivere Zagor, realizzando un sogno che avevo fin da ragazzo. Spero che sia tutto vero, e in caso contrario di non svegliarmi troppo presto.

Come descrivi il tuo rapporto oggi con Sergio Bonelli? Ti concede libertà completa nella costruzione delle storie o ha molta supervisione su di te? 

Sergio Bonelli, con il tempo, ha imparato a fidarsi di me e mi concede molta libertà perché sa che, tutto sommato, sono uno che cerca di seguire il suo esempio e la sua lezione, il più nolittiamo fra i suoi epigoni e soprattutto un collaboratore sinceramente innamorato del suo personaggio. Per cui il suo controllo è a posteriori, cioè legge con estrema attenzione tutto ciò che scrivo, ma solo quando la storia è già stata disegnata, chiedendo comunque le correzioni che ritiene di dover chiedere, di cui discute con me prima che ogni albo vada in stampa. Attraverso periodiche riunioni, poi, facciamo il punto della situazione e della programmazione. Nonostante siano più di vent’anni che lo conosco, tuttavia, continuo a sentirmi uno scolaretto di fronte al maestro ogni volta che lo vedo esaminare qualcosa di mio, e credo che anche lui continui affettuosamente a identificarmi come il ragazzino che, tanti anni fa, gli mandava le lettere e scriveva sulle fanzine.



Gallieno Ferri e Guido Nolitta (Sergio Bonelli)


Qualche anno fa, Gallieno Ferri, il creatore grafico del personaggio, di fronte a una precisa domanda, rispose che, i cambiamenti che lui aveva notato nella serie, riguardavano soprattutto un diverso modo di impostare i tempi narrativi, pur senza tradire il tradizionale ritmo lento che Nolitta dava alle sue storie. A tuo parere, è ancora possibile, oggi, scrivere una storia  con un ritmo non frenetico e più d’atmosfera, senza rischiare di perdere una buona parte di lettori?

Il problema non è quello di ogni singola storia, ma di un cambiamento del modo di raccontare che è avvenuto dovunque, non solo su Zagor e non solo nei fumetti, ma anche in letteratura, in TV o al cinema. I cambiamenti del resto sono inevitabili: persino le vicende dei Promessi Sposi, se qualcuno le scrivesse oggi, sarebbero raccontate con ritmi diversi. Non è che gli autori di fumetti si sono messi a scandire tempi più serrati per le loro storie perché improvvisamente gli è preso il ghiribizzo di farlo: è che il complesso della comunicazione si è evoluto in quella direzione, giorno dopo giorno. Poi, si può pure scrivere una storia alla vecchia maniera: ma sarebbe come scrivere, oggi, un romanzo con lo stile del Manzoni.


Gallieno Ferri al lavoro nel suo studio a Recco (2009)

Sempre a proposito di Gallieno Ferri, quando hai esordito su “Zagor” l’hai fatto sceneggiando anche storie disegnate da lui: come è stato l’impatto per te, giovane sceneggiatore debuttante, con un mostro sacro dello staff zagoriano?

Non mi aspettavo che la mia prima storia sarebbe stata affidata proprio a Ferri, un mio personale mito nell’olimpo dei disegnatori. Invece fu così: una sorpresa che mi emozionò. Quando lo conobbi, Ferri mi trattò subito come se fossi un navigato professionista, anziché un esordiente alle prime armi. Ci fu subito reciproca simpatia. Con il tempo, di Gallieno sono diventato molto amico e ho persino scritto un saggio su di lui.




Io con Gallieno Ferri, a Recco (2009)


E con Franco Donatelli, l’altro disegnatore veterano della serie, come ti sei trovato a lavorare?

Ho avuto molti meno contatti con Donatelli. Un po’ per i suoi problemi di salute, che già lo angustiavano al momento del mio arrivo, un po’ per il carattere schivo e riservato che lo contraddistingueva. Una volta, comunque, lo incontrai in redazione e fu molto cordiale. Ho sempre apprezzato, da lettore, il suo stile, e ho trovato puntualissima la realizzazione delle mie sceneggiature nelle sue tavole.

Tu sei stato la prima notizia buona per Zagor al' inizio degli anni novanta, la seconda e stato l'arrivo di Mauro Boselli. Voi due ci conoscevate già? 


Mauro Boselli, che oggi divide con me l'ufficio in via Buonarroti a Milano, lo conoscevo gia perche gli avevo scritto quando ero un semplice lettore (aveva persino pubblicato delle mie lettere nella rubrica della Posta di una serie di ristampe da lui curata, "TuttoWest") e perche c'erano stati contatti ai tempi di "Collezionare", quando scrivevo articoli e recensioni e facevo interviste. Al momento del mio primo ingresso in Zagor, lui non era ancora ne il curatore ne uno sceneggiatore del personaggio. Potrei dire perciò di essere arrivato a Zagor prima di lui, che pero lavorava gia nella Casa editrice, ma solo come redattore (anche se aveva collaborato in passato con alcune storie di Giovanni Luigi Bonelli, di cui era stato un aiutante). Mentre io muovevo i primi passi come sceneggiatore dello Spirito con la Scure, Boselli scriveva le storie di River Bill (un personaggio creato da Nolitta e rimasto a lungo nel cassetto prima di approdare su "TuttoWest") e le due avventure finali del Piccolo Ranger e del Comandante Mark. Il curatore di Zagor al mio arrivo nella serie era Renato Queirolo. Fu Queirolo a convocare anche Mauro nello staff quando io gia c'ero (e dunque, quanto a “zagorianità”, sono io il più anziano fra i due). E Mauro arrivo alla grande con una storia innovativa come "Ladro di Ombre" (che segna l'esordio anche di Laurenti come disegnatore zagoriano). Poco dopo, Boselli divenne il  curatore della testata, e lo é rimasto fino alla fine del 2006.



Mauro Boselli nel suo (e mio) ufficio a Milano


Dopo l’abbandono di Toninelli, la serie passò nelle mani di Mauro Boselli che, in collaborazione con te, diede il via ad una operazione di rilancio di Zagor che prevedeva un ritorno alla tradizione delle avventure a largo respiro, tipiche di Nolitta, con in più una più marcata attenzione ai dati storico-geografici del periodo in cui si svolgevano le storie, una più costante presenza femminile nelle avventure e, soprattutto l’introduzione di una continuità narrativa che non c’era mai stata prima, il tutto con l’indispensabile apporto di nuovi disegnatori. Puoi dirci come nacque l’idea di questo piano di rilancio e in che misura Bonelli vi partecipò?

Tutto nacque dai contatti quotidiani fra me e Boselli, che in redazione riceveva le mie proposte, le approvava o le bocciava, le correggeva e le emendava, le integrava con le sue idee. Un brainstorming continuo ed entusiasmante. All’epoca io non lavoravo ancora in redazione, ma immagino che degli sviluppi dei progetti in corso Boselli informasse costantemente Sergio Bonelli, che del resto fin dall’inizio aveva dato via libera all’operazione.

La rinascita della serie viene fatta coincidere con la pubblicazione, nei primi mesi del 1994, della storia “L’esploratore scomparso” e l’inizio di una serie di avventure “on the road” del personaggio che hanno preso il nome di “Seconda Odissea Americana” : puoi dirci, all’epoca dell’uscita della storia, quali erano le aspettative della casa editrice, vista l’importanza dell’operazione per il futuro della testata?

In realtà era la Terza Odissea Americana, visto che una lunga trasferta c’era stata ancora prima di quella iniziata subito dopo “Indian Circus”, e mi riferisco al viaggio fatto con la Strega Rossa verso l’isola del mostro della laguna, continuato poi in Florida con il primo incontro con i Seminole di Manetola e poi con l’apparizione di Satko. Fu anche quella una trasferta in serrata “continuity”. Quando uscì l’ “Esploratore Scomparso” l’editore pubblicizzò molto bene l’inizio della nuova saga, appunto attendendosi un recupero di lettori che in effetti ci fu.
Come era nata l’idea della seconda Odissea Americana, secondo tutti, la chiave del rinascimento zagoriano? 

Progettare con Mauro Boselli la trasferta della "seconda odissea" americana non e stato difficile finche si e trattato di tracciare un itinerario e ipotizzare avventure in Alaska o in California o in Louisiana. Abbiamo fatto vari "brainstorming" in cui entrambi tiravamo fuori delle idee, e ci dividevamo i compiti. Le difficoltà sono sorte poi sceneggiando le varie storie, cercando di farle combaciare, lottando perche i tempi fossero rispettati, e cosi via. Ma tutto e andato bene. Qualche tempo dopo la seconda Odissea, sono stato chiamato a lavorare in redazione, e a fare il braccio destro di Boselli.





Io e Mauro Boselli

In che cosa consiste l’innovazione boselliana?

Sicuramente la supervisione di Mauro Boselli consente al personaggio l’esplorazione di territori nuovi, e certe storie che sono state pubblicate senza troppe difficoltà, in passato sarebbero risultate improponibili. Una volta, per tanti motivi, i vincoli erano maggiori. Mauro ha avuto il coraggio di sostenere progetti innovativi, suoi e di altri, me compreso.  Il tutto, tengo a sottolinearlo, nel rispetto della tradizione e senza snaturare lo Spirito con la Scure. Sotto la sua guida, la testata è riuscita a tenersi al passo con i tempi anche dal punto di vista degli stilemi narrativi e delle tecniche di sceneggiatura, le storie si sono complicate (ma mai troppo) e al già ricco microcosmo di caratteristi e comprimari si sono aggiunte numerose e interessanti figure, amiche e nemiche e più spesso a metà strada, giacché non è raro trovare, nelle avventure di Mauro, avversari che si rivelano alla fine figure complesse, non del tutto negative, che sfuggono alla pretesa manichea di dividere il mondo in buoni e cattivi. Si è verificato inoltre uno spostamento dei riferimenti letterari e cinematografici: se in campo fantastico Nolitta (alias Sergio Bonelli, il creatore di Zagor) guardava ai classici B-Movies degli anni Cinquanta (il mostro della Laguna Nera, l’Uomo Lupo, Dracula), oggi i modelli sono piuttosto Poe e Lovecraft, Hodgson e Howard. Sempre classici, ma di altro genere. Inoltre, da appassionato del folklore celtico qual è, ha arricchito la saga con una quantità di suggestioni inedite derivate dalla mitologia nordica.





Tu e Mauro avete fatto un grande passo avanti verso il "realismo" delle storie (come è possibile per un fumetto d'avventura, certo). Marco Verni dice che "Zagor non deve fare l'errore in cui cadono tutti i personaggi vecchi e nuovi, e cioè l'eccesso di realismo". Sono d'accordo, l'eccesso no, ma realismo e modernità, invece sì. Che ne pensi?


Penso che le storie di Zagor debbano essere "ortodosse" nei confronti della tradizione, cioè essere narrate proseguendo lungo la strada tracciata senza snaturare ne tradire lo spirito originario, ma ovviamente occorre raccontarle in modo moderno. Del resto, è praticamente inevitabile: non solo chi legge oggi e comunque abituato a ritmi e alle scansioni proposte dal cinema, dalla televisione e dai romanzi di oggi (per non parlare dei videogiochi e della playstation), ma lo e anche chi scrive.

Quando hai sostituito Boselli come curatore di testata?

Nel 2001, dopo dodici anni che lavoravo scrivendo sceneggiature a casa mia, in Toscana, sono stato chiamato a lavorare anch’io in redazione, quale braccio destro di Boselli nella cura di Zagor, dato che Mauro doveva occuparsi anche di Dampyr e delle sue storie di Tex. Ho avuto così qualche anno di apprendistato finché, all’inizio del 2007, ho preso il suo posto come curatore di testata (ovviamente, mi è stato chiesto e non sono stato io a chiedere l’incarico), in modo che Boselli fosse libero di seguire di più e meglio i suoi altri progetti.  Tuttavia, al di là del fatto che è comparso il mio nome nel “tamburino” degli albi (appunto con la dicitura “a cura di Moreno Burattini”), in pratica ho semplicemente continuato a fare quello che già facevo da tempo, dato che come collaboratore di Mauro già seguivo la maggior parte della lavorazione degli albi dello Spirito con la Scure. 

La coppia Boselli/Burattini è responsabile della “resurrezione” di Zagor quando il personaggio era in crisi. A Boselli vengono attribuite di solito le storie soprannaturali e fantastiche ed a te quelle considerate “normali”. Qual è il rapporto fra di voi e come vi dividete le storie?

In effetti oggi c'e attorno a Zagor un notevole entusiasmo, che probabilmente non si respirava vent’anni fa, e  addirittura io e Boselli abbiamo vinto insieme un premio "Gran Guinigi" al  salone di Lucca come migliori sceneggiatori ex aequo proprio per il contributo dato alla rinascita zagoriana. Purtroppo, da qualche anno a questa parte il prezioso contributo di Mauro Boselli a Zagor si è ridotto al lumicino: occupatissimo con Tex e Dampyr, ha diradato di molto le sue sceneggiature per lo Spirito con la Scure. Tuttavia, ce ne sono un paio in lavorazione. Non c’è nessun criterio particolare per dividerci tra noi le storie, fra fantastiche o realistiche. Io propongo le mie, lui propone le sue, sulla base dei nostri gusti, della nostra indole, dell’ispirazione. Il rapporto fra me e Mauro è di stima e amicizia. Dividiamo lo stesso ufficio e ci incontriamo ogni giorno, trovandoci benissimo nel lavorare insieme. Avendo le scrivanie ognuno davanti all’altro, ci diamo consigli a vicenda. 


Dampyr (Sergio Bonelli Editore)

Cosa pensi di Mauro Boselli? 

Mi trovo perfettamente a mio agio con lui. E’ una persona di una cultura straordinaria, che mi sorprende ogni giorno quando scopro quante cose ha letto e quanti posti ha visitato. 



Mauro Boselli

E’ facile scrivere Zagor?

No, non è facile. Mentre su Tex la stessa storia può essere raccontata più volte semplicemente rimescolando le carte, Zagor vive grazie alla continua varietà di argomenti e alla capacità degli autori di escogitare qualcosa di nuovo. Ricordo che Toninelli, nell’intervista pubblicata sullo Speciale Collezionare, diceva: “Sergio Bonelli, all’inizio, aveva avuto vita facile perché poteva spaziare liberamente e saccheggiare le miniere del cinema e della letteratura. Ma per chi è venuto dopo di lui è divenuto sempre più difficile trovare qualcosa di nuovo da inventare”. In effetti a volte mi chiedo come sarà possibile continuare ad attingere dalla pozza dei miti e della fantasia senza inaridire la sorgente, ma poi vedo che tirando in ballo ora il Golem ora il Graal, ora un fatto della storia ora uno della cronaca, le idee arrivano sempre. 

E' importante che ci sia un'unica mano nella gestione di un personaggio per mantenere una coerenza di fondo oppure questa può essere raggiunta anche da una squadra di sceneggiatori?

Dipende dal personaggio, dalla mano e dagli intenti del creatore, e dalla squadra di sceneggiatori. I personaggi Disney, è dimostrato, posso essere benissimo gestiti da un team, anzi, da team diversi sparsi in vari Paesi del mondo. Ma questo perché già all’inizio nacquero programmati per questo. Disney, personalmente, non ha mai disegnato una sola vignetta di un suo fumetto. Nel caso di Ken Parker, invece, o di altri personaggi ancora in cui prepotente è l’impronta autoriale, il caso è diverso. Zagor è collocato in una situazione di mezzo. Ci sono stati vari team, sempre però controllati da vicino dal creatore che per vent’anni ne ha scritto le storie.

Oggi che sei curatore di Zagor, di questo prestigioso incarico, puoi raccontarci in dettaglio quali sono i tuoi compiti? 

Il mio compito è quelli di revisionare tutti i passaggi della realizzazione delle storie, dal soggetto alla sceneggiatura, dal disegno al lettering, fino alla lettura delle bozze e alla stampa. Leggo, rileggo, correggo e ricorreggo testi e dusegni, e cerco di presentare ogni mese prima sul tavolo del direttore, poi dell’editore e poi in mano al lettore, il miglior albo possibile, sulla base delle capacità mie e degli altri collaboratori. Cerco di scindere il piu possibile il  mio ruolo in casa editrice da quello di sceneggiatore, in modo da poter  valutare anche il mio lavoro di autore con l'attenzione che dedico a quello  degli altri. Alla fine, quel che mi è richiesto e consegnare sul tavolo dell'editore, tutti i mesi, una storia abbastanza buona da poter essere  pubblicata, e che sia una storia mia o una altrui non fa differenza. Quel  che conta è che Sergio Bonelli sia soddisfatto, e dopo di lui lo siano i  lettori. Essendo Bonelli non solo l'editore ma anche il creatore del  personaggio, è ovvio che sia affezionato alla sua creatura e dunque è  giustamente esigente. Quando mi trovo a dover bocciare un'idea agli altri collaboratori,  capita sempre dopo che me ne sono bocciato dieci da solo (perché ogni notte  penso come risolvere nel miglior modo possibile le scene delle storie che  sto scrivendo io stesso, scartando tutte le soluzioni non soddisfacenti e  cercandone altre che siano migliori). Cosi, come sono severo con me stesso,  lo sono anche con gli altri. Ma non sono mai brusco o sgarbato nel mio modo  di spiegare le ragioni di ogni rifiuto, e credo che lo possano confermare  tutti i miei collaboratori. Parlo serenamente con tutti, argomento i motivi,  discuto, propongo soluzioni, ascolto oltre che parlare. 




Il fatto che sei diventato il curatore della testata, ha inciso sulla tua attività di sceneggiatore, rallentandone la produzione?

Il mio lavoro in redazione, sicuramente impegnativo e faticoso, fortunatamente non ha inciso molto sulla mia attività di sceneggiatore. Un po’ perché  con l’esperienza riesco a lavorare più efficacemente di un tempo e dunque a scrivere le stesse pagine di una volta con un minimo di velocità in più, un po’ perché comunque sono sempre stato uno sceneggiatore piuttosto lento e riflessivo e dunque non posso rallentare più di tanto o mi fermerei. Scrivevo tra le ottanta e le cento tavole al mese quando facevo solo quelle lavorando a casa, e ne scrivo tra le ottanta e le cento adesso, lavorando anche in redazione.



Il fatto di essere anche il responsabile editoriale del personaggio, e quindi di dover supervisionare le sceneggiature degli altri, influisce in qualche modo sulla tua attività di sceneggiatore?

Sento molto la responsabilità dell’incarico. Non ho, né pretendo di avere, carta bianca: il personaggio ha un editore molto attento, una tradizione pluridecennale e un pubblico fedelissimo e appassionato, tutti elementi che meritano il massimo rispetto e con i quali mi confronto ogni giorno. Lo stesso rispetto lo chiedo ai collaboratori, sceneggiatori e disegnatori, con i quali ho comunque un rapporto di stima e di amicizia.




In che cosa consiste scrivere la sceneggiatura di  un fumetto?

Nella  maggioranza dei casi, realizzare un fumetto è un lavoro d'equipe. Gli autori sono almeno due: lo sceneggiatore e il disegnatore. A volte sono anche tre: chi sceneggia, chi disegna a matita e chi dà le chine. Lo sceneggiatore è quello che inventa la storia, decidendo che cosa accade, chi è il buono e chi il cattivo, chi vince e chi perde. Decide anche come far parlare i personaggi, e come caratterizzarli. Nei fatti, il mio lavoro  consiste nel dare istruzioni al disegnatore perché illustri una vignetta in un modo, una in un altro, secondo una scansione ragionata del racconto. Il disegnatore esegue queste istruzioni, interpretandole secondo il proprio talento.



Lo scaffale delle sceneggiature nel mio ufficio

Quali sono gli elementi narrativi a cui dai maggior importanza in una storia? Ritmo, trama, personaggi, dialoghi, azione...

Ritmo, trama, personaggi, dialoghi e azione sono tutti elementi importantissimi, al punto che è quasi impossibile dire quale sia più importante degli altri. Direi però che, nel caso di Zagor, prima ancora di tutto ciò venga la coerenza del racconto con la tradizione, il rispetto della tradizione, di ciò che si può chiamare la “zagorianità”. Ciò detto, sono d’accordo con Giancarlo Berardi quando dice che una buona storia è quella con dei buoni personaggi, e dunque i buoni personaggi sono fondamentali; però aggiungo che, secondo me, i buoni personaggi sono quelli che fanno cose interessanti, per cui la trama è altrettanto fondamentale.

Nolitta raccontava spesso aneddoti su come nascevano, spesso occasionalmente, le sue storie di Zagor.  Come nascono le tue? 

Nascono tirando dei fili. Leggo o vedo o sento qualcosa che mi accende un campanello, vado a vedere là dove suona l’allarme e scopro un esilissimo filo che spunta. Provo a tirarlo e guardo quel che succede. Magari viene su facilmente. Oppure si inceppa perché è annodato. Tento di sciogliere i nodi. Magari il filo si rompe, e allora lo riannodo con un altro. Le storie non nascono mai, almeno per me, già scritte. E’ sempre faticoso, costruirle. C’è un’ideuzza che deve essere innaffiata perché cresca. A volte è proprio qualcosa di gracile, all’apparenza improponibile. Comincio a lavorarci sopra, e vedo quel che viene fuori. Per esempio, seguo al telegiornale la cronaca degli incendi estivi. Penso: c’è un incendio a Darkwood. In fondo Darkwood è una foresta, può prendere fuoco. E’ il filo che punta. Lo tiro. Sì, ma perché l’incendio? Qualcuno l’ha appiccato? Chi? Per quale scopo? Naturalmente, per un filo che, tirato, alla fine forma un gomitolo, ce ne sono molti di più che finiscono spazzati via come peluria. Agli inizi della mia attività di sceneggiatore (mi guardo bene dall’usare il termine “carriera”) scrivevo soggetti dettagliati, oggi mi basta una traccia di una paginetta o due. Lavoro  la sera dopo cena, la notte, nei weekend, in treno.



In treno

Scrivere mi costa fatica, non perché abbia la paura del foglio bianco (anzi, sono un grafomane che da sempre riempie chilometri di pagine di diari, appunti, lettere, abbozzi di commedie, inizi di romanzi, battute, racconti), ma perché vorrei riuscire a costruire storie avvincenti e non mi accontento della prima idea che viene, e ci devo pensare e ripensare finché non sono sufficientemente convinto, come ben sanno le persone a cui confido le mie doglie da parto creativo raccontando l’angoscia delle cose che non tornano e che devo far tornare entro ventiquattro ore perché c’è un disegnatore fermo e io devo scrivere delle pagine per lui. Sono piuttosto lento, in confronto ad altri sceneggiatori come Boselli. O anche in confronto allo stesso Nolitta, quando ancora scriveva (e qui mi unisco al coro di quelli che vorrebbero che tornasse a scrivere). Da dove nascono le idee? L'eterna domanda fatta a chi scrive le storie, da chi le legge. Nascono per magia. Io non l'ho mai capito, da dove nascono. Serve, indubbiamente, il particolare talento dell'affabulazione. Poi, serve molto mestiere per saper confezionare il racconto, oppure per saper riscaldare la minestra facendo in modo che sia comunque apprezzata. 



Com'è il tuo ritmo di lavoro?

Diciamo che ogni mese sforno, con grande fatica, fra le 80 e le 100 tavole, mentre me ne sarebbero richieste almeno 120. E’ vero anche in parte la mia lentezza dipende anche da tutto il tempo che impiego in redazione a Milano, occupandomi di quanto serve per mandare Zagor in edicola. Il lavoro viene programmato sulla base delle consegne dei disegnatori. Porto avanti parecchie storie contemporaneamente. Questo perché ho diversi disegnatori da far lavorare (e nessuno deve mai restare a secco). Perciò, scrivo venti tavole per uno; poi trenta per un altro; poi venticinque per un terzo e così via. Quando uno di loro sta per esaurire le pagine a sua disposizione, arrivo con delle altre. Questo metodo mi piace e mi stimola, perché cambio continuamente situazioni e fra una pausa e l'altra delle singole storie (mentre porto avanti le restanti) mi capita di avere nuove idee per lo sviluppo della situazione lasciata a metà.



Zagor e Cico (Sergio Bonelli Editore)
 illustrazione di Mauro Laurenti

Quanto impieghi a scrivere una pagina e quanto tempo ti occorre per scrivere un albo?

Ahimè, sono abbastanza lento (anche perché perdo tempo con mille sciocchezze). Mi metto a pensare ogni singola vignetta, ritocco dieci volte i dialoghi, riscrivo certe sequenze in modo diverso dopo averle scritte una prima volta in un altro, e via dicendo. Inoltre, a volte rimango per ore di fronte allo schermo del computer, cercando una soluzione per un certo passaggio impegnativo della storia, o passeggio su e giù per la casa sperando di farmi venire un'idea.Robert Louis Stevnson si chiedeva: "Come faccio a convincere mia moglie che quando guardo fuori dalla finestra sto lavorando?". Passano dei giorni in cui non riesco a scrivere una tavola. Altri in cui ne scrivo dieci.  Diciamo che la mia giornata media prevedere cinque tavole. In un mese, ne consegno ottanta/novanta.




Robert Louis Stevenson

Quali sono le tue fonti di ispirazione?

Le mie fonti di ispirazione sono tutto ciò che leggo, vedo, sento, imparo, percepisco. Più, naturalmente, la mia conoscenza dell’universo zagoriano. In realtà nessuno scrittore sa da dove vengono le storie, e se il rubinetto da cui sgorgano cesserà mai di funzionare. A volte mi viene in mente una storia leggendo un trafiletto su un giornale trovato nella sala di attesa del dentista, altre volte innamorandomi di un libro che ho divorato o anche perché infastidito da una storia scritta da altri che io avrei condotto diversamente. Mi capita spesso di pensare a come certi spunti potrebbero adattarsi a Zagor, e lavorando sul filo dei pensieri tesso una tela. Le mie storie di genere fantastico sono, è vero, molto più “classiche” di quelle di Boselli. Credo dipenda dal diverso background culturale, e a un più tradizionale bagaglio di letture, basato su inizi verniani, salgariani e stevensoniani. Sono cresciuto leggendo, appunto, i “classici”. Oggi leggo di tutto, ma i miei gusti rimangono quelli. Comunque sia, più leggo più mi vengono idee.



Che tipo di documentazione usi per il tuo lavoro?

Ho una biblioteca piuttosto vasta (quasi cinquemila volumi, in costante crescita) che mi consente di trovare, secondo le necessità, le informazioni di cui ho bisogno. In genere, sono abbastanza pignolo e mi piace essere attendibile nella ricostruzione di scenografie e background storici (anche se non ho mai la pretesa di essere didascalico). Per scrivere una storia in cui Zagor visita la terra dei Cherokee, mi sono letto tre libri sull'argomento e non so quanti articoli: credo di aver impostato una storia antropologicamente corretta, e ho fatto incontrare allo Spirito con la Scure alcuni personaggi davvero esistiti. A parte casi come questi, in cui la Storia con la S maiuscola è volutamente alla base della trama, anche per i racconti più fantasiosi mi documento quel tanto che basta  e non di rado fornisco ai disegnatori dossier di immagini per la realizzazione delle tavole. A volte ho inviato anche DVD di film, e perfino video privati: a Torricelli, per esempio, ho fatto avere un video che ho girato personalmente in Arizona durante una discesa fino al fiume Colorado, giù per le pareti del Grand Canyon, lungo una stretta mulattiera, e gli ho chiesto di far scendere anche Zagor e Cico lungo un sentiero del genere, in una avventura in cui si li ho fatti recare nello stesso posto. La documentazione, tuttavia, non va intesa solo come ricerca di notizie utili per svolgere una storia in modo credibile, ma anche come fondamento stesso della stesura di un soggetto. E' proprio sulla base di certi libri che ho letto che mi vengono delle idee da sviluppare per Zagor. Se so che devo scrivere qualcosa su un certo argomento, o in una certa ambientazione, comincio a guardare in videocassetta tutti i film che trovo che possano avere attinenza con quello che mi interessa. Mi serve per visualizzare certe atmosfere, per trovarci degli spunti. Indipendentemente da ciò che sto scrivendo o che devo scrivere, comunque, cerco di leggere più libri possibili e di vedere quanti più film mi riesce. Non si sa mai quando e perché certi imput potranno tornare utili. Ma, ormai, è sempre più facile ricorrere anche a Internet, sia per le foto da allegare alle sceneggiature, sia per le notizie, sia per suggerire ai disegnatori dei filmati da vedere su Youtube.



Come si arriva a uno stile narrativo personale?

Sceneggiatore di fumetti non ci si può improvvisare. Bisogna conoscere davvero bene i mezzi, le potenzialità e i limiti del medium, che è un mezzo di comunicazione con codici e linguaggi propri e particolari. Per fortuna, io guardavo i fumetti prima ancora di imparare a leggere, e sono cresciuto circondato da montagne di albi e giornalini. Ho dunque la capacità istintiva di raccontare per immagini, che unita a un minimo di talento affabulatorio e una buona conoscenza della tecnica e dei trucchi del mestiere mi consente di offrire all'editore un prodotto professionale (non ho nessuna ambizione di produzione artistica, per carità!). Circa la tecnica sono sostanzialmente un autodidatta: mi sono sempre chiesto come facessero gli sceneggiatori che più amavo a realizzare i loro lavoro, e ho passato giorni interi a studiare il loro modo di impostare le tavole. Poi, conoscendo di persona questi autori, ho chiesto consigli e informazioni. Ma, ripeto, non bastano le conoscenze tecniche: occorre avere un innato senso del fumetto, che si matura solo attraverso letture decennali. Non serve aver letto tutti i Dylan Dog, se non si è letto nient'altro. Circa il mio modo di lavorare in particolare, rispondendo alla domanda, non mi pongo il problema dell'originalità dello stile, ma quello della sua aderenza alle esigenze del personaggio che ho sottomano. Non cerco di avere per forza una "calligrafia" personale estremamente riconoscibile, come se questa fosse la cosa più importante del mondo e da essa dipendesse la mia realizzazione come individuo, l'autoaffermazione di me. Credo che convenga, per il bene della testata, porsi al servizio del personaggio cercando di interpretarlo con naturalezza, assecondando le sue caratteristiche e non sforzandolo perché lui assecondi le mie. Tuttavia, alla fine,non riesci mai a mimetizzarmi abbastanza e le mie storie sono diverse e riconoscibili da quelle altrui.

Scrivi solo una storia per volta?

No, ne porto avanti parecchie contemporaneamente. Questo perché ho diversi disegnatori da far lavorare (e nessuno deve mai restare a secco). Perciò, scrivo venti tavole per uno; poi trenta per un altro; poi venticinque per un terzo e così via. Quando uno di loro sta per esaurire le pagine a sua disposizione, arrivo con delle altre. Questo metodo mi piace e mi stimola, perché cambio continuamente situazioni e fra una pausa e l'altra delle singole storie (mentre porto avanti le restanti) mi capita di avere nuove idee per lo sviluppo della situazione lasciata a metà. Questo è fondamentale soprattutto per Cico: non riuscirei mai a scrivere gag per 128 tavole di seguito, ma scrivendo 20 pagine al mese, fra una tranche e l'altra ho il tempo per pensare a nuove situazioni e nuove battute. Anche se poi ci metto sei mesi a finire la storia.





Una tavola di Marco Torricelli colorata dall'autore
(Sergio Bonelli Editore)

Sergio Bonelli ti Zagor lascia libero dandoti carta bianca, oppure ti  "sorveglia"? 

Nolitta segue Zagor con più attenzione di molte altre testate, e giustamente, visto che si tratta di una sua creatura. La sua è una supervisione a posteriori, cioè legge le storie in tempo utile prima della stampa, e suggerisce nel caso qualche aggiustamento di tiro di cui senta il bisogno. Naturalmente viene informato da Boselli, a grandi linee, dei progetti in corso e se ci sono decisioni da prendere la sua è sempre l’ultima parola. Aggiungo che se c’è una serie che subisce un controllo più attento di Zagor, era quella degli speciali Cico. Essendo Nolitta uno straordinario sceneggiatore umoristico, sentiva particolarmente il bisogno di supervisionare di persona e con puntualità gli albi del pancione.

Quando scrive le sceneggiature hai già in mente il disegnatore che si troverebbe più a suo agio con l'argomento di turno, oppure le fai senza tener conto di chi potrà essere il disegnatore?


Ormai ho esperienza a sufficienza per calibrare le storie sulle capacità e le potenzialità del disegnatore. Se so che a un disegnatore vengono bene certe cose, cerco di sfruttarlo per quelle.

Foto di gruppo di autori zagoriani a Zagabria (2007)


Quali elementi ritieni a te peculiari nelle tue sceneggiature? Che cosa, insomma, non manchi mai di sviluppare nelle vicende di Zagor? Mi pare, per esempio, che tu sia più incline a favorire l’azione rispetto alla psicologia dei personaggi.

In realtà, la psicologia dei personaggi, in un fumetto dovrebbe essere ricavata dalle loro azioni: ciò che fanno dimostra ciò che li muove, li turba, li frena. Le caratteristiche del medium poco si prestano (a meno di forzature, spesso velleitarie) allo svisceramento dei conflitti e delle motivazioni interiori attraverso lunghe sequenze introspettive (il flusso di pensieri) o di dialogo. Le paginate dove i personaggi non fanno che pensare, pensare, pensare o parlare, parlare, parlare sono saltate a piè pari dai lettori che desiderano leggere delle storie d’avventura quali vogliono essere quelle di Zagor. Ciò non significa che l’approfondimento psicologico dei personaggi non ci sia. Credo di aver scritto molte storie in cui i personaggi risultano complessi e variegati, basti pensare a “La palude dei forzati” o “La lunga marcia” (di questa, il mio traduttore brasilianio, Julio Schneider, mi ha scritto di essersi commosso nel preparare la traduzione in portoghese). Tuttavia l’attenzione alla psicologia dei personaggi non deve andare a discapito dell’azione, rallentandola, dato che lo Spirito con la Scure vuole innanzitutto raccontare vicende di grande avventura. Nolitta ha dato l’esempio di grandi personaggi approfonditi nella loro psicologia attraverso una caratterizzazione data dallo sviluppo dell’intreccio e da dialoghi efficaci, e io cerco di imparare dalla sua lezione. Quel che cerco di non far mancare mai nelle mie storie è comunque il fatto che risultino accattivanti, seducenti: il lettore dovrebbe sempre aver voglia di andare avanti e vedere come va a finire.





Come vivi il rapporto con le storie più psicologiche e "intimistiche" di altri personaggi più complessi come Nathan Never e  Brendon ? 

Zagor non è meno complesso di Nathan Never e Brendon. Per scrivere le storie dello Spirito con la Scure bisogna tener conto di più di quarant’anni di avventure, che hanno costruito un universo di personaggi e di vicende ricchissimo di spunti e di trame che si intrecciano. Zagor ha una sua “ortodossia” da rispettare, e i lettori si accorgono subito che si comporta, pensa o parla in modo non zagoriano. Quel che è diverso rispetto a ciò che capita nelle serie di personaggi più recenti è il fatto che, essendo stato creato nel 1961, resta un character legato alle caratteristiche degli eroi di quel periodo, rispetto ai quali è comunque assai più maturo e soprattutto più adatto a tenere il passo dei tempi, come dimostra il fatto che siamo ancora oggi qui a parlarne. Nel 1961 Ken Parker non era ancora arrivato a far scuola di psicologia e di intimismo, mentre nel 1991 Nathan Never non ha potuto non imparare da lui. Zagor è un autodidatta. Ma certe scene molto drammatiche di “Zagor racconta” (ma anche di altre storie, come “L’avvoltoio”, “Spedizione Punitiva”, “La rabbia degli Osages”) testimoniano come psicologia e intimismo facciano comunque parte delle sue potenzialità. Si tratta solo di esprimerle in modo zagoriano, senza tradire le caratteristiche del personaggio a cui i lettori sono affezionati e che, incredibilmente, sono rimaste pressoché le stesse, con i minimi aggiustamenti, nel corso non degli anni, ma dei decenni. Insomma, uno Zagor “musone” non sarebbe più Zagor, ma neppure deve accadere (né accade) che lo Spirito con la Scure si comporti da eroe senz’anima.


Brendon (Sergio Bonelli Editore)
illustrazione di Giuseppe Franzella

Tra il soggettista e il suo personaggio esiste, da sempre, una certa  identificazione. In che cosa ti riconosci simile a Zagor?

Mi riconosco simile a Zagor nella sua comprensione (che non significa “giustificazione”) per le ragioni di tutti,  anche quelle dei cattivi o dei mostri di turno; nella sua capacità di mediare tra culture diverse, quindi rifuggendo i preconcetti. Nella vita di tutti i giorni mi accorgo sempre di più, man mano che invecchio (e mi guardo bene dal dire “che cresco”) dei danni che fanno i paraocchi ideologici. Spero di non averne, sono certo che Zagor non ne ha. Di Zagor mi piace che sappia distinguere il bene dal male senza essere manicheo, e il fatto che abbia una morale senza essere moralista.



Con quale genere, fra i tanti presenti in Zagor (horror, western, fantasy)  ti trovi più a tuo agio come sceneggiatore? 

Istintivamente mi viene da rispondere che mi sento più a mio agio in due generi non citati nella domanda, e cioè l’umorismo e il giallo. Oppure, il fumetto storico, intendendo il racconto di vicende calate nella realtà, con il supporto di una certa documentazione.  Ma, a pensarci bene, ciò che più mi piace scrivere è l’Avventura, in senso lato. E credo che le storie davvero avventurose siano da sempre aperte alla contaminazione fra i generi. L’“Isola misteriosa”, il capolavoro di Verne, è uno straordinario romanzo d’avventura ma contiene in sé il racconto di guerra (tutto nasce dalla Guerra Civile americana), il giallo(chi è il responsabile dei fatti misteriosi che avvengono sull’isola Lincoln?), la fantascienza (lo straordinario Nautilus), la storia di pirati (l’attacco al Palazzo di Granito) e via dicendo. Zagor è nato, fin dall’inizio, per mescolare dramma e umorismo, western e fantasy, horror e realismo. La foresta di Darkwood, felicissima invenzione nolittiana, è stata pensata appunto come terra fantastica aperta a tutti i possibili scenari dell’Avventura. E io sono uno sceneggiatore fortunato, dato che posso muovermi trasversalmente tra i generi, e scrivere per Zagor, nel linguaggio zagoriano, quella fantascienza o quell’horror che troverei difficile scrivere per Nathan Never o Dylan Dog. E più di me, sono fortunati i lettori, che hanno avuto in dono da Nolitta un personaggio in grado di emozionarli a trecentosessanta gradi. Facciamo trecento e basta, visto che alcune emozioni, come quelle garantite dall’erotismo, purtroppo o per fortuna, non sono comunque previste.


Zagor in un disegno di Mauro Laurenti

Il lato "oscuro" dell'essere umano è stato presente spesso nelle  avventure dello Spirito con la Scure. C'è ancora molto da esplorare in  questo campo? 

Indubbiamente sì, dato che, come si sa, quando guardi l’abisso, l’abisso guarda te. Ma chiunque, scrivendo lo Spirito con la Scure, voglia esplorare la metà oscura dell’uomo, deve tenere ben presente che si tratta appunto di Zagor e non di Dylan Dog, o Nathan Never, o Ken Parker. Lo stesso vale per il lato non oscuro. Si tratta sempre di scrivere in maniera zagoriana.

Come vedi il rapporto tra Zagor e le donne?

Più che vederlo, lo immagino. Credo che il nostro eroe si conceda avventure galanti fra un’avventura e l’altra. Che abbia alcune avvenenti squaw, in varie tribù, disposte ad accoglierlo nel loro tepee. Che in diverse cittadine ci siano donne a cui brillano gli occhi quando sentono dire che Zagor è arrivato in paese. Capisco bene che lui, uomo che si sente incaricato di una missione e pronto a morire per compierla in ogni momento, non voglia legarsi con nessuna. Come potrebbe gettarsi nella mischia con l’abituale, sovrumano coraggio, sapendo di avere una moglie o un figlio che lo aspettano a casa? Dunque, preferisco saperlo libero, e non legato sentimentalmente. Non lo immagino bacchettone, né casto, né insensibile al fascino femminile, comunque. Semplicemente, mi sta bene che negli albi di Zagor non si insista sui dettagli della sua vita sentimentale o sessuale.




Pensi che l'elemento femminile sia ormai diventato uno dei motivi del successo recente della serie e abbia catturato qualche lettrice ad un eroe che, come tale, è costretto a rimanere single, oppure, cosa che non credo, che tutto sommato sia meglio che Zagor resti un personaggio in cui l'avventura allo stato puro regni sovrana, senza concessione alcuna a intermezzi sentimentali?

Zagor è un personaggio nato all’inizio degli anni Sessanta, quando le donne  nei fumetti erano merce rara e per gli eroi di carta non era prevista una vita sentimentale che andasse al di là di un rapporto formale e platonico con una fidanzata ufficiale (per quelli che ce l’avevano, come l’Uomo Mascherato o Capitan Miki). Men che mai si poteva parlare di sesso. Oggi le cose sono diverse,  il pubblico si aspetta che un personaggio realistico come Nick Raider o come Dylan Dog abbia una sua vita sentimentale e sessuale e che, così come vengono mostrati tanti altri aspetti della sua personalità, per completezza vengano mostrati anche quelli relativi al suo rapporto con le donne. Zagor resta ancora legato all’impostazione originaria, però nel tempo ha avuto sempre più a che fare con personaggi femminili. Diciamo che cerchiamo di mediare fra le istanze di rinnovamento e il rispetto per la tradizione. Lo Spirito con la Scure resterà single, comunque: su questo non ci piove. Quanto alle lettrici, immagino che valga per loro quello che vale per i lettori: se leggono Zagor, è perché sono attratte dal personaggio e dal suo universo narrativo, indipendentemente dalle storie d’amore. Gli albi dello Spirito con la Scure non sono fumetti rosa, chi li acquista lo sa bene, e probabilmente li acquista anche per questo.



Se pure Zagor ha un’ambientazione western, questa non è poi così funzionale alle vicende come per Tex. Piuttosto, lo sfondo ideale per le vicende di Zagor è “l’avventura” nel suo complesso. Questo vuol dire che le sue storie possono attraversare diversi generi, così come è accaduto in passato, anche recentemente. Qual è però l’ambientazione che tu preferisci?

Nel caso di Zagor non si può propriamente parlare di “western”, trattandosi, casomai, di un “eastern”: la foresta di Darkwood è infatti idealmente collocata a cavallo fra Pennsylvania e Ohio, in un’epoca di diversi decenni antecedente a quella dell’epopea del West (pur con molti anacronismi e licenze poetiche). Ma fin dall’inizio, con le prime apparizioni di Marcus, l’Uomo Pipistrello, e Titan, il gigantesco robot del diabolico professor Hellingen, fu chiaro che non si sarebbero viste solo avventure con indiani e cowboy. L’eroe di Darkwood  è il fumetto della "contaminazione"  fra i generi per eccellenza.  In effetti  Nolitta e Ferri hanno creato un mix fra Tarzan e l'Uomo Mascherato e hanno mescolato western, horror, humour, avventura e fantascienza. Hanno posto Cico accanto a Zagor, Hellingen accanto a Trampy, Tonka accanto a Bat Batterton. L’amalgama fra commedia e avventura è da sempre una caratteristica fondamentale del successo della serie. Ritengo peraltro che Nolitta e Ferri, maestri del fumetto avventuroso, siano straordinari autori comici (entrambi hanno la straordinaria capacità di realizzare gag estremamente divertenti).  La foresta di Darkwood è una geniale invenzione: è il regno della fantasia dove tutto può succedere, e offre allo sceneggiatore la possibilità di muovere i personggi su ogni possibile scenario. Personalmente, mi fa piacere alternare  generi e mi reputo fortunato nell'avere quel pizzico di versatilità che mi consente di cambiare registro. Mi piace anche, di tanto in tanto, provare a realizzare racconti con uno sfondo storico, come quelle che ho scritto facendo incontrare Zagor con il filosofo Tocqueville e con il cherokee Sequoya, due personaggi realmente vissuti. 



Il cherokee Sequoya

Comunque, mi trovo a mio agio anche con l'humour (ho vinto il Premio Fumo di China come miglior sceneggiatore umoristico) e mi sono sempre divertito moltissimo nello scrivere gli albi in cui Cico vive le sue avventure senza Zagor al suo fianco. Albi comici, peraltro, di ben 128 tavole (mentre di solito le cose comiche sono brevi). Ne ho scritti una ventina, per un totale di oltre duemila tavole di gag. Ritengo anzi che alcuni di essi  siano fra le cose migliori che ho sceneggiato. Per quanto mi riguarda, avrei potuto continuare. Purtroppo, il mercato di oggi non premia quasi mai i prodotti umoristici e il mio divertimento nello scrivere Cico non corrisponde a quello di un numero sufficiente di lettori. Cico, che chiude dopo oltre venticinque anni dal suo primo albo, resta comunque una serie di successo, peraltro stampata con fortuna anche in vari Paesi esteri.  

Quali sono i tempi di realizzazione di una tua storia? Qual è il rapporto tra la stesura di una sceneggiatura e la sua illustrazione grafica?

Contrariamente a quanto credono i profani, raramente un fumetto è frutto del lavoro di una sola persona. La convinzione comune, infatti, è che chi disegna sia anche l'ideatore della storia. Non è così. Nella stragrande maggioranza dei casi, gli autori sono almeno due: lo sceneggiatore e il disegnatore. Addirittura (come capita in America, per esempio), a volte sono anche tre: chi sceneggia, chi disegna a matita e chi dà le chine; o anche quattro, se si aggiunge chi dà i colori. Lo sceneggiatore, comunque, è alla base di tutto: è lui che inventa la storia, decidendo che cosa accade, chi è il buono e chi il cattivo, chi vince e chi perde, chi se la cava e chi muore. Decide anche come far parlare i personaggi, e il modo per caratterizzarli. Nei fatti, il lavoro dello sceneggiatore consiste nel dare istruzioni al disegnatore perché illustri una vignetta in un modo, una in un altro, secondo una scansione ragionata del racconto e mantenendo un certo ritmo funzionale al racconto stesso. Il disegnatore, poi, esegue queste istruzioni. Ovviamente, c’è una enorme differenza fra quello che può accadere a una sceneggiatura qualora venga affidata a un grande disegnatore rispetto a una realizzata da un disegnatore mediocre. Sceneggiatore di fumetti, comunque, non ci si può improvvisare. Bisogna conoscere davvero bene i mezzi, le potenzialità e i limiti del medium, che è un mezzo di comunicazione con codici e linguaggi propri e particolari. Per fortuna, io guardavo i fumetti prima ancora di imparare a leggere, e sono cresciuto circondato da montagne di albi e giornalini. Ho dunque la capacità istintiva di raccontare per immagini, che unita a un minimo di talento affabulatorio e una buona conoscenza della tecnica e dei trucchi del mestiere mi consente di offrire all'editore un prodotto professionale (non ho nessuna ambizione di produzione artistica, per carità!). Circa la tecnica sono sostanzialmente un autodidatta: mi sono sempre chiesto come facessero gli sceneggiatori che più amavo (Bonelli, Bunker, Castelli, Berardi) a realizzare i loro lavoro, e ho passato giorni interi a studiare il loro modo di impostare le tavole. Poi, conoscendo di persona questi autori, ho chiesto consigli e informazioni. Ma, ripeto, non bastano le conoscenze tecniche: occorre avere un innato senso del fumetto, che si matura solo attraverso letture decennali. Non serve aver letto tutti i Dylan Dog, se non si è letto nient'altro. Scrivo novanta/cento tavole al mese per undici mesi l’anno. Ne porto avanti parecchie contemporaneamente. Questo perché ho diversi disegnatori da far lavorare (e nessuno deve mai restare a secco). Perciò, scrivo venti tavole per uno; poi dieci per un altro; poi quindici per un terzo e così via. Quando uno di loro sta per esaurire le pagine a sua disposizione, arrivo con delle altre. Questo metodo mi piace e mi stimola, perché cambio continuamente situazioni e fra una pausa e l'altra delle singole storie (mentre porto avanti le restanti) mi capita di avere nuove idee per lo sviluppo della situazione lasciata a metà.




Un inedito di Marco Torricelli


Cosa ne è stato di quel tuo primo soggetto? Hai mai avuto la tentazione di ripescarlo e “riciclarlo” alla luce dell’esperienza maturata nel corso degli anni?
Il mio primo soggetto di Zagor è stato pubblicato: è quello, appunto, della mia storia d’esordio  nella serie dello Spirito con la Scure, “Pericolo mortale”. In pratica, quando ho pensato di propormi ho pensato a una trama e quella, attraverso varie revisioni, è arrivata a essere approvata, sceneggiata, disegnata e data alle stampe.  Non mi sembra una brutta storia, neanche a distanza di tempo. E la seconda che feci, ugualmente, piace ancora oggi sia a me che ai lettori zagoriani. Invece, altre storie di poco successive (la terza, o la quarta, o la quinta), potendo le scriverei in modo completamente diverso: è la crisi che capita agli autori dopo il debutto, quando sono chiamati a dimostrare di poter reggere nel tempo. Superata la quinta storia, ho capito che avevo il fiato per reggere alla distanza. 

Qual è il tuo modus operandi?

Per chi ha avuto in sorte, anche in modica quantità, il dono dell’affabulazione, tutto costituisce una possibile miniera di spunti e suggestioni per le proprie storie. Le mie fonti di ispirazione sono tutto ciò che leggo, vedo, sento, imparo, percepisco. Tutto ciò di cui faccio esperienza. A volte mi viene in mente una storia leggendo un trafiletto su un giornale trovato nella sala di attesa del dentista, altre volte innamorandomi di un libro che ho divorato o anche perché infastidito da una storia scritta da altri che io avrei condotto diversamente. Mi capita spesso di pensare a come certi spunti potrebbero adattarsi a Zagor, e lavorando sul filo dei pensieri tesso una tela. Vedendo in TV lo spettacolo di Paolini sulla tragedia del Vajont mi è venuta in mente una storia di Zagor dove c’è una diga che minaccia un centro abitato, e a un ingegnere che mette in guardia sul pericolo vengono si vuol tappare la bocca perché l’acqua dell’invaso serve ai minatori che scavano l’oro con gli idranti.



Lo spunto per una storia è come la punta di una pietra appuntita che emerge dalla sabbia del deserto: si nota, si comincia a scavare, e ci si accorge che è la cima di una piramide.  Il modus operandi l’ho messo a punto combinando insieme istinto e mestiere, molto orecchio e quel poco di talento che basta. Faccio un soggetto cercando di costruire una storia interessante, e faticando non poco per non cadere nel deja vu, poi sceneggio, con altrettanta fatica, cercando di rispettare l’ortodossia dell’eroe di cui sono al servizio (prima viene lui, poi io), di caratterizzare dei buoni personaggi, di scrivere dialoghi brillanti e soprattutto di non inciampare in troppi buchi narrativi.

Una curiosità sempre su questo tema: l' ispirazione quando scrivi le tue storie, ti riesce facile scrivere, scrivi di getto, oppure le tue sceneggiature sono spesso un parto elaborato e tormentato? 

Purtroppo, per carattere, sono piuttosto razionale e dunque non riesco mai a scrivere del tutto di getto, in modo impulsivo. Devo riflettere bere, calcolare i pro e i contro di ogni scelta,  calibrare i dialoghi, cercare soluzioni se possibile non troppo prevedibili sia per le ambientazioni che per gli sviluppi e le soluzioni. In più, so di avere a che fare con un personaggio che ha alle spalle quasi cinquanta anni di vita e dunque una tradizione da rispettare, per non parlare degli esigenti lettori da accontentare e di un editore che è anche il creatore e primo sceneggiatore del personaggio a cui dover, giustamente, rendere conto. Ce n’è abbastanza perché, prima di essere soddisfatto di una pagina, ci pensi sopra a lungo. 

Attualmente la maggior parte delle storie riporta un numero limitato di pagine. Sei d’accordo con questo limite? Non pensi che questo restringa la libertà creativa degli scrittori? Quale processo utilizzi per aggirare questo fatto?

Per fortuna Zagor non ha limiti di pagine, come accade per Dylan Dog o Dampyr; possiamo fare storie di due, tre o anche quattro albi. Va detto che questo accade per tradizione: da sempre le storie di Zagor sono così (è cambiato soltanto il fatto che si cerca di far finire una storia in fondo a un albo, invece di fare albi divisi a metà fra la fin di un racconto e l’inizio di un altro). Lo Spirito con la Scure ormai ha sviluppato caratteristiche tali per cui le sue storie migliori sono quelle lunghe (dai due albi in su) e tutti gli sceneggiatori hanno difficoltà con le durate più brevi (gli stessi lettori dicono di essere sempre un po’ scettici e perplessi di fronti alle storie in un solo albo). Tuttavia, per altri personaggi, nati e cresciuti sulla distanza delle 94 tavole, autori e lettori sono perfettamente a loro agio con questa lunghezza e non credo che si tratti di un limite, né che si restringa la libertà creativa degli sceneggiatori. In altre parole, ogni personaggio ha le sue caratteristiche: per Dylan Dog è un problema allungare le proprie storie oltre le duecento tavole, per Zagor, al contrario, è un problema scendere sotto le cento. Ma per fortuna il problema non si pone troppo di frequente né per l’uno, né per l’altro personaggio (anche se succede con gli Almanacchi per l’Avventura nel caso di Zagor e nei Dylandogoni con storia unica nel caso di Dylan Dog).

Scrivi per Zagor da venti anni, e, considerando il tempo che hai dedicato al personaggio anche come lettore, possiamo dire che hai dedicato a questo eroe praticamente tutta la vita. Non sei saturato? Come fai a trovare ancora la motivazione e l’ispirazione per continuare?

Zagor si presta a così tante contaminazioni con i generi più diversi e disparati, che non c’è il rischio che venga a noia. A differenza di altri eroi che sono o soltanto western, o soltanto horror, o soltanto gialli, lo Spirito con la Scure può vivere avventure a trecentosessanta gradi, fatta eccezione (ahimé) per quelle erotiche. In più, non lo sento come un personaggio “altrui”, ma come il personaggio che ho sempre voluto scrivere: quindi sono perfettamente realizzato nel lavorare alle sue storie. Forse è per questo che non ho mai proposte a Bonelli personaggi miei, serie mie. Il mio personaggio e la mia serie sono Zagor.




Zagor in un disegno di Stefano Andreucci


Ciascuno di noi ha le proprie preferenze relativamente alle persone con cui gradisce lavorare. Con quale disegnatore lavori meglio tu? Puoi descrivere come procede il rapporto fra di voi?

Sarà perché sono di buon carattere, ma sinceramente mi trovo bene con tutti i disegnatori con cui mi trovo a collaborare. Poi, è ovvio che alcuni siamo più fedeli alle sceneggiature mentre altri mi sorprendono per come riescono a interpretarle migliorandole. Poi, altrettanto ovviamente, ci sono casi in cui qualcuno “tradisce” il mio testo, o lo fraintende, ma basta una piccola discussione perchè, insieme, si trovi una soluzione. Sono molto amico, anche al di fuori del lavoro, con alcuni autori come Mauro Laurenti e Gallieno Ferri. Poi, credo di avere una ottima sintonia con Marco Verni, Gianni Sedioli e Pino Prisco.


A Cartoomics 2010 con Perniola, Verni e Sedioli


Alessandro Chiarolla si dichiara un mio “fan” e chiede che io scriva per lui ogni volta che è possibile, e io ne sono lunsingato perchè Sandro è una persona fantastica e un vero artista, oltre che un veterano del fumetto italiano. I fratelli Esposito mi hanno stupito per l’entusiasmo con cui si sono accostati a Zagor. Marco Torricelli è un disegnatore che chiede un assoluto coinvolgimento con la storia che sta disegnando e dunque è bello cercare di costruirgliene una su misura, perchè così può dare il massimo (e ne vale la pena perchè il suo massimo, è davvero stupefacente). Raffaele Della Monica è un professionista con cui chiunque sarebbe felice di poter lavorare, ed è anche, umanamente, una persona mite e squisita. Di Joevito Nuccio non parlo perchè deve ancora pubblicare la sua prima storia, ma abbiamo trascorso le vacanze insieme nella sua bellissima Sicilia e questo basterà a dar l’idea del bene che penso di lui. Michele Rubini è ormai più che una promessa, è una promessa mantenuta: non vedo l’ora di tornare a sceneggiare per lui, dopo che Boselli se l’è preso per sè. I fratelli Gaspare e Gaetano Cassaro sono due gemelli, e io ne vedo sempre solo uno, Gaetano: ma sarà davvero ogni volta lo stesso o si alternerano nelle loro visite in redazione? Resta il fatto che si tratta di persone gradevoli che vedo sempre volentieri, di chiunque si tratti.





Una discussione sulla sceneggiatura con Mauro Laurenti

Accade molto spesso oggi che le storie di Zagor non siano ambientate a Darkwood; non sarebbe il caso invece di ricominciare ad ambientarle lì?

In realtà le storie ambientate a Darkwood e quelle fuori Darkwood si alternano per riuscire ad accontentare tutti. La foresta di Darkwood è una grande invenzione di Sergio Bonelli, una specie di grande palcoscenico con tanti scenari intercambiabili per tutti i generi di avventura e non c’è motivo per rinunciare alle infinite potenzialità che una location del genere offre a disegnatori e sceneggiatori. Se qualche volta ce ne allontaniamo (ma non capita poi troppo spesso) è solo per sfruttare anche le potenzialità di altri setting collocati nella realtà storica e geografica, per esplorare tutto l’esplorabile alla ricerca di storie interessanti da raccontare ai nostri lettori.






Zagor a Darkwood in una vignetta di Gallieno Ferri

Scrivi varie storie al contempo? Come fai a mantenere la dinamica di ogni storia e “saltare” da una all’altra di continuo?

Sì, scrivo una decina di storie per volta, alternandomi ora all’una ora all’altra, portandole avanti in parallelo, dieci, venti o trenta tavole per volta. Invece che essere un problema, questo è un vantaggio perché interrompendomi in un certo punto della narrazione per passare a un altro racconto, ho il tempo per pensare a come proseguire quando riprenderò in mano quello che ho interrotto.






Sei un professionista di rilievo nel mondo del fumetto. Per la tua esperienza come viene percepita e considerata la professione di scrittore di fumetti, oggi, dalla gente comune in Italia?


Mi è difficile considerarmi un "professionista" perché non considero il mio lavoro un mestiere ma una passione. Lo faccio ancora con l'entusiasmo di un tempo, lo stesso di quando, appunto quindici anni fa, proposi le mie prime sceneggiature. Però è vero che oggi sono un po' più maturo e consapevole, e immagino anche di essere abbastanza "professionale" in ciò che faccio. Non credo che la gente comune, in Italia, percepisca l'esistenza di una professione come quella di scrivere fumetti. Che qualcuno i fumetti li disegni, questo lo capiscono tutti, anche se poi ci sono quelli che si meravigliano che escano ancora in edicola, perché pensano che abbiano smesso di uscire quando loro hanno smesso di leggerli (e ci sono anche quelli che si meravigliano, scoprendo che ancora escono,che vengano disegnati a mano e non con il computer o, come dicono taluni, con misteriosi "stampini"). Ma che ci siano qualcuno che dei fumetti scriva la sceneggiatura, questo proprio no, non lo sa nessuno. Salvo gli adepti, i pochi eletti. Gli stessi che, al cinema, leggono i titoli di coda dei film. Mio padre, adorabile settantenne, sicuramente rappresentante perfetto della "gente comune", tiene in casa un mio albo di Zagor, che non ha mai letto, e lo usa per spiegare a chi glielo chiede che lavoro faccio io, perché lui non sa cosa dire. Allora tira fuori il fumetto, e dice, mostrandolo: "Che fa mio figlio? Ecco, fa... fa questo!".

A soggetto approvato come procedi? Fai scalette per ogni scena, lay-out schizzati, ti appunti brani di dialoghi, scrivi prima i dialoghi e poi le descrizioni? Quali sono le tue tecniche e se differiscono, a tuo avviso, da un metodo ideale.


Non c'è nessun modello ideale, perché quello che conta poi è che lo sceneggiatore si intenda con il disegnatore e dall'interazione alchemica fra i due nasca una bella tavola. In teoria uno sceneggiatore potrebbe spiegare al telefono che cosa disegnare all'illustratore, senza bisogno di nessun testo scritto (e c'è chi, in certe occasioni, fa davvero così, magari durante una emergenza). Ognuno lavora come crede, purché chi deve disegnare riesca a capire che cosa fare. Personalmente, penso la tavola e poi scrivo una spiegazione dettagliata, vignetta per vignetta, completa di dialoghi. Non prendo appunti, non faccio lay-out, nasce tutto nella mia testa e poi le mie dita corrono veloci sui tasti del computer. Solo in certi casi, quando c'è bisogno di spiegare meglio qualcosa, o di curare bene la regia, faccio delle cartine o disegno degli schizzi esplicativi. Mi capita spesso con Cico, perchè è un fumetto umoristico e certe gag riesco meglio a disegnarle che a spiegarle a parole.

Quando pensi a un ambiente preciso, a un luogo geografico, a un utensile o un'arma che deve usare un tuo personaggio, a un vestito, a un interno, a un mezzo di locomozione... quanti problemi di veridicità, di documentazione, di attendibilità ti poni?


Mi pongo un sacco di problemi, da questo punto di vista, e fornisco ai disegnatori quanta più documentazione posso. Zagor è un fumetto realistico, e i lettori sono sempre più attenti alla plausibilità di ciò che si racconta, fermo restando che, per una precisa scelta dei creatori, nelle storie dello Spirito con la Scure ci sono degli anacronismi, come la presenza delle armi automatiche o delle ferrovie. In pratica Nolitta e Ferri stabilirono che certi elementi comvenzionali del western propriamente detto (cioè, il Sud Ovest degli anni seguenti la Guerra di Secessone) fossero innestati in uno scenario "eastern" dei primi decenni del diciannovesimo secolo. Salvaguardata questa scelta, oggi facciamo attenzione a tutto il resto. A volte non sfornisco a chi disegna solo foto o disegni d'epoca, ma tavole di altri fumettisti che, sulla scorta di una buona documentazione, hanno reso bene una certa cosa, magari anche soltanto uno scenario o una articolare atmosfera. Poi ci sono disegnatori ricettivi che mettono a frutto nel modo migliore quanto viene loro fornito, e altri che preferiscono non tenerne troppo conto.

Che forma hanno i tuoi primi appunti? Scrivi a mano o al computer?  Come arrivi alla stesura del soggetto?  


Di solito i miei primi appunti hanno forma di post it mentale. Altre volte, approfittando dei miei frequenti viaggi in treno, mi segno delle note su una agenda. Poi, appena possibile, trascrivo tutto sul computer. Oggi, dopo tanti anni, chi approva i miei soggetti (Mauro Boselli o Sergio Bonelli, di solito) si fida di me e ritiene sufficiente una traccia essenziale. In passato mi veniva richiesto uno sviluppo più dettagliato. La tecnica migliore per scrivere un soggetto è tenere presente che chi lo leggerà non sa nulla della storia (che invece è nitida nella mente dell'autore), dunque gli va spiegata non dando per scontato che sia chiaro quello che è chiaro per chi scrive. Bisogna che il soggetto non faccia mai interrompere la lettura all'esaminatore, evitando che questi sia costretto a tornare indietro per cercare di capire meglio. Un soggetto ben fatto non dovrebbe mai far chiedere: "perchè?". Dovrebbe contenere tutte le risposte essenziali. Non dovrebbe essere troppo lungo, per non scoraggiare la lettura, nè troppo breve, per non far dubitare di quello che effettivamente verrà fuori dalla sceneggiatura.




Visto che nell'epoca d'oro del fumetto gli autori non si facevano molti  problemi di documentazione, attendibilità, veridicità, coerenza storico-geografica ritieni che oggi che il fumetto è comunque meno diffuso, tutte queste attenzioni siano un limite per l'autore e per la godibilità dell'opera o il contrario...


No, nessun limite. Anzi, uno stimolo. I lettori sono cambiati, si aspettano un prodotto curato, documentato. Non si tratta di perdersi per forza in un eccesso di didascalismo cronachistico o di pedanteria scenografica, ma di sfruttare la documentazione per realizzare qualcosa di funzionale, al limite anche decidendo coscientemente di non rifarsi alla realtà storica. Basta non cercare di spacciare per realtà quello che in realtà non lo è, o abborracciare qualcosa di approssimativo. Tutta la fiction, veicolata da qualsiasi medum, è più curata e documentata di un tempo. Il fumetto non potrebbe competere se non fosse curato e documentato altrettanto. Certo, nel caso di Zagor il margine di arbitrio è maggiore perchè la tradizione del personaggio vuole così e nessuno si sognerebbe di togliere i tepee edal villaggio di Tonka, il capo mohawk amico dello Spirito con la Scure, solo perchè oggi si sa che i Mohawk vivevano in capanne di foggia diversa. 

Quando lo scrittore va in crisi. Hai vissuto i momento in cui non vengono idee per un soggetto? E le scadenze incalzano. Come se ne esce?


Vivo momenti del genere praticamente ogni mese. Scrivo sette o otto storie contemporaneamente, portandole avanti una tranche per volta, e non sempre so come proseguire un racconto riprendendolo là dove l'avevo lasciato. Così come, a volte, un disegnatore sta per finire una storia e serve un soggetto per l'avventura successiva che dovrà essergli affidata, e io non ho nessuna traccia su cui cominciare a scrivere (il più delle volte perchè il bellissimo e strepitoso soggetto su cui ho lavorato per settimane pensando appunto di iniziare a sceneggiare quello, viene bocciato). Come se ne esce? Dormendoci su. Andando a passeggiare in montagna. Facendo altro. Alle perse, una pagina o due che proseguono la storia tenendola aperta per ogni possibile sviluppo riesco sempre a scriverla. Guadagno un giorno di tempo. Il giorno dopo, qualcosa in mente mi viene sempre. E un soggetto alternativo (mai bello come quello strepitoso che mi è stato bocciato) spunta fuori. Da dove? Non lo so.

Qual è esattamente il tuo ruolo oggi alla Sergio Bonelli Editore e quale è stato il tuo percorso dall'inizio della collaborazione?


Lavoro in redazione tre giorni alla settimana, da ormai dieci anni. Sono stato precettato in via Buonarroti, e tolto dal solitario lavoro di autore nel mio ufficio fiorentino, nella mia qualità di massimo esperto zagoriano vivente, dopo tutti i libri, gli articoli e i saggi che ho scritto sullo Spirito con la Scure, oltre che per la quantità di tavole sceneggiate (ormai sono il primo autore di testi, per numero di pagine). Del resto sono io ad aver dato il nome di battesimo a Zagor: Patrick.



Cosa ha portato all'eliminazione quasi totale delle didascalie nelle vignette e all'introduzione di un taglio sempre più moderno e cinematografico all'azione?

Il fumetto è un mezzo di comunicazione, basato su un “codice” concordato fra gli autori e i fruitori. Chi scrive fumetti, e chi li legge, sono d’accordo che le linee cinetiche dietro al disegno di un’automobile significano che l’automobile è in movimento, o che se alcune parole sono scritte in una nuvoletta collegata con palline a un personaggio significa che costui pensa, mentre se c’è una pipetta significa che quel tale parla. Il “codice” che permette l’interpretazione dei fumetti non è stato inventato tutto in una notte ma si è evoluto e ha sedimentato nell’arco degli anni e nel susseguirsi dei decenni. Esattamente come è capitato al linguaggio del cinema, altro mezzo di comunicazione, peraltro praticamente coetaneo del fumetto. Gli stacchi, le dissolvenze, il cambio di scena, il montaggio, sono consuetudini che si sono affermate con il tempo, a forza di tentativi, sperimentazioni, innovazioni. Anche l’uso delle didascalie nel fumetto è un aspetto del “codice” che si evolve con i tempi. Le didascalie di Flash Gordon erano ridondanti, poi piano piano si è capito che era inutile descrivere a parole quello che già si vedeva nelle vignette, e le didascalie si sono progressivamente ristrette fino a limitarsi ad avere la funzione di raccordo fra le scene o a indicare le ellissi temporali, con frasi come “il giorno dopo” o “intanto…”. Non si può comunque dire che le didascalie siano state del tutto eliminate. Se è vero che alcuni sceneggiatori, come Giancarlo Berardi (creatore di Ken Parker e di Julia n.d.r.), le hanno abolite al pari dei balloon dei pensieri dei personaggi, appunto per rendere cinematografica la tecnica di narrazione ritenendo che quello che succede e perfino ciò che i personaggi pensano debba essere capito dalla semplice osservazione dei disegni, è vero anche che altri autori, soprattutto americani, hanno fatto grande uso di didascalie come “voce da fuori campo” che accompagna le scene. In alcuni casi le didascalie sono diventate il commento del protagonista a quello che capita attorno a lui. Il nuovo uso della didascalia da parte di questi autori apre nuove possibilità narrative (e una possibilità è appunto anche quella di non farne uso). La sperimentazione significa che il fumetto è vivo e che il suo linguaggio continua a evolversi.

Qual è il lettore medio di Zagor? Quando scrivi, per chi pensi di scrivere?
Io cerco di scrivere le storie che, come lettore, mi piacerebbe leggere. Poi non ci riesco mai, perché mi deludo sempre, ma almeno ci provo. Il lettore medio di Zagor ha la mia età. Quella interiore.




Cosa diresti ad un aspirante sceneggiatore?

Di provare e riprovare senza arrendersi mai, anche se, come dice Gianni Morandi, solo uno su mille ce la fa. Io sono riuscito a realizzare il mio sogno, dunque non mi sento di scoraggiare nessuno. Tuttavia è inutile negare che il mercato è ormai molto più ristretto di quindici anni fa, quando ho cominciato io, e gli spazi sono pochissimi. D’altro canto si è sviluppata moltissimo la fiction televisiva, e dunque forse è più facile e remunerativo lavorare come sceneggiatore per qualche telenovela, serial o sceneggiato per il piccolo schermo. Se proprio l’aspirante da consigliare vuole scrivere fumetti, raccomando solo un po' di furbizia nel sapersi vendere, almeno all'inizio. Temo sia sbagliato cercare di imporsi subito come il genio, l'innovatore, il vulcano di idee sperando che gli editori si mettano al nostro servizio. Bisogna tenere d'occhio le grette e magari anche castranti esigenze del mercato, e offrire a ogni editore ciò di cui ha bisogno. Se poi uno è davvero un genio, un innovatore, un vulcano di idee, lo dimostrerà in seguito.





Le scuole del fumetto sono un buon canale d'accesso a questo mondo?

Non esistono buoni canali d’accesso al mondo del fumetto. Le case editrici sono ormai pochissime, le vendite calano in maniera costante, gli spazi si restringono, le possibilità sono scarse. Le scuole possono dare un piccolo aiuto incanalando la creatività e il talento del singolo nella giusta direzione, non molto di più. Non per colpa loro, ma per colpa della triste situazione del mercato. Purtroppo.

Chi ti ha insegnato la tecnica della sceneggiatura?

Sceneggiatore di fumetti non ci si può improvvisare. Bisogna conoscere davvero bene i mezzi, le potenzialità e i limiti del medium, che è un mezzo di comunicazione con codici e linguaggi propri e particolari. Per fortuna, io guardavo i fumetti prima ancora di imparare a leggere, e sono cresciuto circondato da montagne di albi e giornalini. Ho dunque la capacità istintiva di raccontare per immagini, che unita a un minimo di talento affabulatorio e una buona conoscenza della tecnica e dei trucchi del mestiere mi consente di offrire all'editore un prodotto professionale (non ho nessuna ambizione di produzione artistica, per carità!). Circa la tecnica sono sostanzialmente un autodidatta: mi sono sempre chiesto come facessero gli sceneggiatori che più amavo (Bonelli, Bunker, Castelli, Berardi) a realizzare i loro lavoro, e ho passato giorni interi a studiare il loro modo di impostare le tavole. Poi, conoscendo di persona questi autori, ho chiesto consigli e informazioni. Ma, ripeto, non bastano le conoscenze tecniche: occorre avere un innato senso del fumetto, che si matura solo attraverso letture decennali. Non serve aver letto tutti i Dylan Dog, se non si è letto nient'altro.




Max Bunker a Lucca 2009

Quali elementi ritieni a te peculiari nelle tue sceneggiature? Che cosa, insomma, non manchi mai di sviluppare nelle vicende di Zagor? Mi pare, per esempio, che tu sia più incline a favorire l’azione rispetto alla psicologia dei personaggi.

La psicologia dei personaggi, in un fumetto dovrebbe essere ricavata dalle loro azioni: ciò che fanno dimostra ciò che li muove, li turba, li frena. Le caratteristiche del medium poco si prestano (a meno di forzature, spesso velleitarie) allo svisceramento dei conflitti e delle motivazioni interiori attraverso lunghe sequenze introspettive (il flusso di pensieri) o di dialogo. Le pagine dove i personaggi non fanno che pensare, pensare, pensare o parlare, parlare, parlare sono saltate a piè pari dai lettori che desiderano leggere delle storie d’avventura quali vogliono essere quelle di Zagor. Ciò non significa che l’approfondimento psicologico dei personaggi non ci sia. Credo di aver scritto molte storie in cui i personaggi risultano complessi e variegati, basti pensare a “La palude dei forzati” o “La lunga marcia” (quest’ultima è stata pubblicata in Brasile nel corso del 2007 e il mio traduttore brasiliano, Julio Schneider, mi ha scritto di essersi commosso nel preparare la traduzione in portoghese). Tuttavia l’attenzione alla psicologia dei personaggi non deve andare a discapito dell’azione, rallentandola, dato che lo Spirito con la Scure vuole innanzitutto raccontare vicende di grande avventura. Quel che cerco di non far mancare mai nelle mie storie è comunque il fatto che risultino accattivanti, seducenti: il lettore dovrebbe sempre aver voglia di andare avanti e vedere come va a finire.

In che misura riesci, nel tuo lavoro, a realizzare quello che avevi pensato? Sei sempre soddisfatto di ciò che realizzi, oppure hai delle recriminazioni una vola terminato?

Non sono mai soddisfatto, ma questo è fisiologico. Credo che ogni autore pensi che, riprendendo in mano la propria opera a distanza di tempo, ci sarebbe qualcosa da cambiare. A me succede spesso di avere recriminazioni sui finali, che sono sempre troppo affrettati perché non riesco a essere più stringato all'inizio, e poi dopo mi mancano le pagine. Inoltre, io immagino le tavole in un certo modo, e chi disegna le interpreta a modo suo. E' inevitabile che su certe vignette mi venga da pensare che sono belle, però le avrei preferite impostate altrimenti.



In assoluto, dove vuoi arrivare con Zagor?

Il sogno sarebbe che tutti i duececinquantamila lettori che leggevano Zagor quando lo scriveva Nolitta e che si sono persi quando il personaggio è passato in altre mani, tornino a comprarlo accorgendosi che io sono uno sceneggiatore che si rifà allo nolittiano non per mestiere ma per passione. In realtà, mi basterebbe riportare la testata vicina alle cinquantamila copie e conservarla in quei paraggi vita natural durante (almeno la mia)

Se dovessi riassumere il tuo lavoro in poche parole, quali useresti?

In realtà io svolgo, per la mia Casa editrice, due tipi diversi di lavoro. Il primo è quello di sceneggiatore di storie a fumetti, il secondo quello di redattore incaricato dall'editore di supervisionare la preparazione degli albi, miei o altrui che siano, per fare in modo che giungano alla stampa conformi a certi standard. Per descrivere la mia attività di sceneggiatore ho scritto, anni fa, una tesi di laurea di trecento pagine. Trovo difficile riassumerla adesso in poche parole. Potrei dire che è un lavoro molto più faticoso di quanto si immagini (o non si immagini, dato che poi la maggior parte delle persone non ha la minima idea che ci sia qualcuno che lo fa), ma è anche l'unico lavoro che vorrei fare. Credo di non saper fare altro, ammesso di sapere fare questo. In ogni caso, dato che mi si chiede una definizione, ne posso dare una tecnica: sceneggiare fumetti significa organizzare la propria capacità di affabulazione secondo.



Che cosa c'è di "artigianale" in una casa editrice come la Bonelli, e cosa di "industriale"?


Il novanta per cento del lavoro della Bonelli è artigianale. Di industriale ci sono solo la stampa e la distribuzione. E' artigianale persino il lavoro dei letteristi (cioè quelli che scrivono, a mano, le parole dentro i balloon), il che è tutto dire.

 

Da una roccaforte della tradizione come la Bonelli, che molti accusano di essere una torre d'avorio, come appaiono le nuove forme di diffusione del fumetto quali ad esempio le pubblicazioni telematiche?


Non so in che senso si possa parlare di "torre d'avorio", dato che la Bonelli produce fumetti che vanno nelle mani di tutti, letti in centinaia di migliaia di copie tutti i mesi. Si tratta quanto meno di una torre aperta al pubblico e con biglietto d'ingresso a prezzi estremamente popolari. La Bonelli, di cui - sia ben chiaro - io non sono il portavoce, secondo me è una Casa editrice specializzata in un certo tipo di fumetto, quello appunto che potremmo definire genericamente "bonelliano". Non si può neppure dire che manchino le idee e le proposte, perchè continuamente ci sono nuovi progetti in cantiere, una sperimentazione continua (serie che chiudono e aprono, formati che cambiano, autori che vanno dai classici Ferri e Ticci agli innovativi Enoch e Bacilieri, passando addirittura per Bonfatti). Certo, alla fine si è fedeli a una tradizione, ma del resto tutte le grandi Case editrici hanno una tradizione da rispettare, e quelle che non ce l'hanno speriamo che vivano abbastanza a lungo da farsela. Circa le pubblicazioni telematiche, è chiaro che noi lavoriamo a quelle di carta: si tratta di cose differenti! A ciascuno il suo, poi è ovvio che il dovere di essere aggiornati impone a chiunque lavori nel settore della comunicazione di seguire quanto più attentamente possibile gli sviluppi e le nuove tendenze.


Se dovessi spiegare a un extraterrestre che cosa è un fumetto, cosa diresti?

Direi che è un modo efficacissimo per raccontare storie che parlano, appunto, di alieni. Ma sarebbe solo una battuta perchè il fumetto è un medium in grado di raccontare qualunque storia.


Il fumetto è più parola o immagine? Conta di più la storia o il disegno?


Nel fumetto, i disegni raccontano una storia.


Quale è secondo te la peculiarità del mercato italiano?

La popolarità coniugata con la qualità. La varietà di generi e di stili.

Che cosa è cambiato (soprattutto nel panorama italiano) durante gli ultimi quindici anni, ossia da quando tu sceneggi professionalmente fumetti?

Sono diminuiti gli editori e i lettori, e aumentati gli autori. E gli aspiranti tali.

Ha ancora senso (o ne ha mai avuto) la distinzione tra fumetto d'autore e fumetto popolare?

Anche il fumetto popolare è fatto da autori. La distinzione non ha mai avuto realmente senso. Per il fumetto vale ciò che capita per il cinema e che Oscar Wilde diceva dei libri: ci sono fumetti fatti bene o fatti male, così come film o libri fatti bene o fatti male, e questo è tutto. Una cosa non è bella solo perché è "d'autore" ed esce in fumetteria, così come non è brutta solo perchè vende centomila copie in edicola.




Come si rapporta il mondo del fumetto "professionale" e "tradizionale" con tutto ciò che attualmente gli gira intorno (riviste specializzate, critica cartacea e on-line, fiere, scuole di fumetto)?

Direi che c'è un'osmosi continua. Uno scambio di idee e di persone costante.

Le più grandi gratificazioni e le peggiori delusioni che ti ha dato i fumetto.


Il bilancio è assolutamente in attivo. Cioè, tante gratificazioni e poche delusioni. Le gratificazioni derivano dal fatto che per caso, per miracolo o per fortuna, sto facendo esattamente quello che ho sempre sognato fin da bambino. E, ci tengo a sottolinearlo, il mio sogno non era di creare un mio personaggio. Era proprio di scrivere Zagor. Quando mi dicono: ma perchè tu non proponi una nuova serie, non crei un tuo eroe? Io rispondo: il mio eroe è Zagor. Non potrei mai creare niente di meglio. Scrivo il tipo di fumetti che mi piace scrivere, quello che leggo da sempre. Questo non significa che non abbia altre idee per altre cose, ma solo che non reputo affatto castrante quello che sto facendo. Non sono qui per ripiego, o parcheggiato in attesa di sistemazioni migliori.  Le peggiori delusioni sono legate al fatto che comunque il fumetto è un prodotto industriale che risponde a logiche di mercato e a una gerarchizzazione delle responsabilità, per cui occorre accettare certi vincoli, come quelli del politicamente corretto, o certi ruoli di sudditanza, come quelli che impongono la bocciatura della maggior parte dei progetti che gli autori propongono agli editori. Di solito vengono sempre bocciate le idee che gli autori reputano le migliori. Ma è normale, rientra nel gioco delle parti. Ho imparato ad accettarlo come accetto che mai niente di ciò che faccio soddisfi tutti.
Noto con molto piacere che le tue sceneggiature  sono sempre imbevute di una divertente ironia: Cico è davvero una spalla ideale per un compagno come Zagor, almeno quanto Groucho lo è per Dylan Dog. Quanto conta, per te, la parentesi comica nelle vicende di quest’eroe, assai di frequente contraddistinte da un ritmo serrato e da tematiche che sfiorano l’ambiente western, quello horror e quello fantascientifico?

Per far capire quanto Cico è importante negli albi di Zagor basterà ricordare come la saga dello Spirito con la Scure cominci con il suo incontro con il messicano Il mix fra commedia e avventura, fra comico e drammatico, è da sempre una caratteristica fondamentale del successo della serie. Ritengo peraltro che Nolitta e Ferri, indiscussi maestri del fumetto d’avventura anche nei suoi risvolti più cupi e drammatici, siano straordinari autori comici (entrambi hanno la straordinaria capacità di realizzare gag estremamente divertenti). La perfetta compenetrazione tra humour e dramma, è del resto solo la prima tra le tante contaminazioni fra generi diversi che Zagor riesce a realizzare, mescolando western e fantascienza, horror e giallo, avventura storica e fantasy. La cosa davvero notevole in questo genere di alchimia, che è stata tentata anche da altri, è che su Zagor funziona perfettamente senza nessuno stridore.
A proposito di Cico, Sergio Bonelli ha chiuso la collana dedicata al pancione. Credi che il baffuto messicano abbia esaurito ogni sua “forza” in un lungo episodio interamente incentrato su di lui oppure avresti preferito proseguire nella pubblicazione di una collana che è sempre stata assai apprezzata dai lettori, zagoriani e non?

Io mi sono sempre divertito moltissimo nello scrivere gli albi in cui Cico vive le sue avventure in “solitaria”, cioè senza Zagor al suo fianco. Albi comici, peraltro, di un notevole numero di pagine, ben 128 per ogni avventura (mentre di solito le cose comiche sono brevi), e con battute in ogni pagina. In tutto ho scritto venti di questi albi, per un totale di oltre duemilacinquecento tavole di gag. Ritengo anzi, per quanto possa sembrare strano, che alcuni di questi Cico siano fra le cose migliori che ho scritto. Per quanto mi riguarda, avrei potuto continuare a scriverne (magari mi sarebbe piaciuto poter esplorare nuovi tipo di avventure, frenato in questo dalla necessità di restare aderenti a una impostazione iniziale prestabilita). Peraltro, al di là del lavoro del sottoscritto, la serie vanta collaborazioni illustri: i più begli albi sono stati sceneggiati da autori del calibro di Nolitta, Faraci e addirittura Sclavi: al di là del mio piacere nello scrivere storie di Cico quarto dopo cotanto senno (per dirla con Dante), sarei contento di leggerne scritte da altri, pur di vederne uscire ancora.



Finora hai firmato una ventina di albi di Cico. Ovviamente, hai una vena umoristica molto forte, si vede che ti sei divertito scrivendo le avventure di Cico. Non ci sono speranze per riaprire la serie?


Purtroppo, il mercato di oggi non premia quasi mai, tranne rari casi, i prodotti umoristici e il mio divertimento nello scrivere Cico non corrisponde a quello di un numero sufficiente di lettori. Cico, che chiude dopo oltre venticinque anni dal suo primo albo, resta comunque una serie di successo, peraltro stampata con fortuna anche in vari Paesi esteri. 

Qual è il motivo della sospensione degli speciali di Cico… come mai? Ai lettori non piace più ridere? 

Una cosa che ho imparato proprio scrivendo Cico è che far ridere è più difficile che mettere paura o commuovere. Ognuno ride per cose diverse, e ciò che fa sganasciare me, fa storcere la bocca a un altro. Io, peraltro, riesco a divertirmi facilmente; altri invece hanno parametri molto selettivi e di solito costoro non sono disposti a tollerare il divertimento altrui, ritenendo solo il proprio l’unico modo giusto di divertirsi. Secondo me Cico è un personaggio umoristico perfetto, pienamente comico, perché ha le potenzialità per incarnare tutti gli aspetti dell’umorismo: gag slapstick, commedia degli equivoci, giochi di parole e tormentoni, parodie storiche e letterarie, eccetera.  Ritengo peraltro che i due creatori del personaggio, Nolitta e Ferri, indiscussi maestri del fumetto d’avventura anche nei suoi risvolti più cupi e drammatici, siano straordinari autori comici (entrambi hanno la straordinaria capacità di realizzare gag estremamente divertenti). La perfetta compenetrazione tra humour e dramma, è del resto solo la prima tra le tante contaminazioni fra generi diversi che Zagor riesce a realizzare, mescolando western e fantascienza, horror e giallo, avventura storica e fantasy. La cosa davvero notevole in questo genere di alchimia, che è stata tentata anche da altri, è che su Zagor funziona perfettamente senza nessuno stridore. Io, che mi sono cimentato anche con molte storie di Lupo Alberto e Cattivik e ho vinto il premio Fumo di China come miglior sceneggiatore umoristico (lo dico a testimonianza di quanto mi piaccia il genere), mi sono sempre divertito moltissimo nello scrivere gli albi in cui Cico vive le sue avventure in “solitaria”, cioè senza Zagor al suo fianco. Albi comici, peraltro, di un notevole numero di pagine, ben 128 per ogni avventura (mentre di solito le cose comiche sono brevi), e con battute in ogni pagina, nonostante i paletti. In tutto ho scritto una ventina di questi albi, per un totale di oltre duemilacinquecento tavole di gag. Ritengo anzi, per quanto possa sembrare strano, che alcuni di questi Cico siano fra le cose migliori che ho scritto. Per quanto mi riguarda, avrei potuto continuare a scriverne (magari mi sarebbe piaciuto poter esplorare nuovi tipo di avventure, frenato in questo dalla necessità di restare aderenti a una impostazione iniziale prestabilita).




Oltre a Cico, hai sceneggiato anche Cattivik e Lupo Alberto: preferisci il genere avventuroso o quello umoristico?

Ho vinto il Premio Fumo di China come miglior sceneggiatore umoristico e dunque dovrei rispondere che preferisco l'humor. In realtà, mi fa piacere alternarli e mi reputo fortunato nell'avere quel pizzico di versatilità che mi consente di cambiare registro ogni volta che serve. Vero è che il drammatico e il comico sono due generi che richiedono tecniche completamente diverse, e forse far ridere è più difficile dato che basta sbagliare i tempi di una gag o di una battuta e nessuno ride più. Per mia fortuna, guardavo i fumetti prima ancora di imparare a leggere. Ho la capacità istintiva di raccontare per immagini, che unita a un minimo di talento affabulatorio e una buona conoscenza dei trucchi del mestiere mi consente di offrire all'editore un prodotto professionale. Non ho nessuna ambizione di produzione artistica, per carità!





Qual è la tua personale visione di Zagor?

Zagor è un amico che ha grossomodo la mia stessa età. Per l'esattezza è più vecchio di me di qualche mese. Quando è apparso si era nel 1961 e io non ero ancora nato.  Tanti anni ininterrottamente edicola sono un record sorprendente, tanto più se si considera che Zagor sembra un personaggio d'altri tempi. Ma in un'epoca come la nostra segnata dalle tensioni fra il nord e il sud del mondo, la foresta di Darkwood dove lui vive pare proprio una metafora della nostra società multietnica, e uno come lui che cerca di smussare i punti d'attrito fra le diverse culture è forse più attuale oggi di quaranta anni fa. Così come l'amore per la natura che si respira nelle sue pagine. E perfino Dylan Dog arriva secondo: Darkwood è anche il regno dell'orrore. Non quello insulso e splatter, che disgusta soltanto; ma quello che scava nell'anima e  lascia alla fine un nodo alla gola proponendo il dubbio se anche il mostro non abbia diritto alla pietà. E' stato lui, lo Spirito con la Scure, a gettare le basi del mio sconfinato amore per i fumetti e per i libri, e a solleticarmi l'intelligenza e la fantasia, spingendomi a crescere sempre più, culturalmente e spiritualmente. Ciò non è accaduto, naturalmente, solo a me:  per migliaia di altri  è successo lo stesso, ne sono sicuro.  Credo che il mondo fantastico di una folta schiera di lettori sia debitore verso Zagor di una enorme carica di stimoli e suggestioni. Le sue storie ci hanno portato in giro attraverso un universo sospeso fra sogno e realtà. Chi ha letto nei miei stessi anni le avventure dello Zagor dell'Epoca d'Oro (c'è sempre una golden age nella nostalgia di ciascuno) non potrà mai dimenticare le insidie di Hellingen, la minaccia del Re delle Aquile, il dramma dell'Odissea Americana e le tante altre fantastiche avventure scritte da Guido Nolitta e disegnate da  Ferri. Qualche tempo fa, nella rubrica della Posta di uno degli albi dell'eroe di Darkwood, un lettore confidava a Sergio Bonelli: "So di aver avuto un'infanzia splendida,  grazie a Zagor".  Le stesse parole che avrei voluto scrivere io.


Gallieno Ferri e Moreno Burattini a Romics 2009

Che tipo di personaggio è,  Zagor?

E' un tale che ha grossomodo la mia età. Per l'esattezza è più vecchio di me di qualche mese. Quando è apparso in edicola si era nel 1961 e io non ero ancora nato.  Trentacinque anni in edicola sono un record sorprendente, tanto più se si considera che Zagor sembra un personaggio d'altri tempi. Vive avventure nell'America della prima metà dell'Ottocento, anche se il suo non è il western classico. E' un eroe in costume come l'Uomo Mascherato, vola di ramo in ramo come Tarzan, ha sul petto un cerchio giallo come Superman, difende i poveri e i deboli come Zorro, si muove in un mondo incantato come Conan. Inoltre non va a donne (o, se ci va, lo fa discretamente tra un'avventura e l'altra, quando non è inquadrato). Ma in un'epoca come la nostra segnata dalle tensioni fra il nord e il sud del mondo, la foresta di Darkwood dove lui vive pare proprio una metafora della nostra società multietnica, e uno come lui che cerca di smussare i punti d'attrito fra le diverse culture è forse più attuale oggi di trent'anni fa. Così come l'amore per la natura che si respira nelle sue pagine. Per chi legge Zagor, "Balla coi lupi" e "L'ultimo dei Mohicani" hanno scoperto l'acqua calda. E perfino Dylan Dog arriva secondo: Darkwood è anche il regno dell'orrore. Non quello insulso e splatter, che disgusta soltanto; ma quello che scava nell'anima e  lascia alla fine un nodo alla gola proponendo il dubbio se anche il mostro non abbia diritto alla pietà.




Darkwood vista dal satellite

Zagor è un personaggio creato nel 1961… quasi mezzo secolo nel corso del quale la società nella quale viviamo è radicalmente cambiata, così come sono cambiati i lettori, i loro gusti e le loro abitudini. Il mondo globalizzato non ha più misteri e piante carnivore, foreste incantate, mostri marini, avventurieri e bucanieri (solo per citare alcuni dei fantasiosi elementi narrativi che hanno fatto la storia di Zagor) sembrano meno affascinanti, forse un po’ datati… eppure lo spirito con la scure miete nuovi proseliti e vive tranquillamente la sua avventura editoriale (a dispetto di tante creazioni più recenti ed al passo con i tempi)… cosa fa di Zagor un evergreen?
Se sapessimo qual è la composizione alchemica della formula vincente, faremmo tutti personaggi di successo. Purtroppo non è così. Nel caso di Zagor si possono elencare tutti gli elementi che da quarantacinque anni vengono evidenziati: il sense of wonder e il fascino emanato della foresta di Darkwood, il mix fra generi diversi, la facilità (ma non banalità) di lettura, la grande varietà di argomenti, il ricco teatrino di villains, comparse e comprimari, i rimandi alla grande letteratura e al cinema d’azione e d’avventura. Oltre a tutto ciò, a fare la differenza fra i vari personaggi (quelli di maggior successo e quelli di minore) contribuisce anche lo staff di autori che sono chiamati a curarne le storie. Zagor deve il suo successo all’idea vincente che in origine ebbero Guido Nolitta, e cioè Sergio Bonelli, e Gallieno Ferri, ma va riconosciuto del merito anche ai tanti che hanno saputo seguire lungo la strada indicata dai creatori del personaggio, mantenendo lo Spirito con la Scure al passo coi tempi, senza però mai snaturarlo. Il linguaggio ha acquisito maggiore modernità e velocità, ma nonostante i cambiamenti Zagor è sempre uguale a sé stesso. Se ci sono degli elementi che potrebbero far pensare a lui come a un personaggio d’altri tempi, è vero però che il tipo di avventure proposto dallo Spirito con la Scure non è poi molto distante da quello dei film con Johnny Depp nel ruolo di Jack Sparrow, che sono attualissimi, e il costume pittoresco di Zagor non si distanzia troppo da quello dei super-eroi che furoreggiano sugli schermi. L’Avventura non passa mai di moda.





La copertina originale del n° 1 di Zagor
su una parete della redazione Bonelli

Qual è l'arcana alchimia che permette la realizzazione di una serie che attraversa tutto il panorama avventuroso immaginabile per un fumetto, e cioè il western, l'avventura d'azione, il fantasy, la fantascienza, l'horror, l'esotico, il giallo e il comico, seppur con un tratto fedele alla tradizione classica bonelliana?

Zagor è nato così, per vivere ogni tipo di avventura. I suoi lettori devono essere pronti a tutto. Si tratta di una caratteristica dovuta a una felice intuizione di Guido Nolitta, il quale, non a caso, inventò una foresta, Darkwood, dove tutto può accadere e dove tutti gli scenari sono a portata di mano. Le avventure di Zagor non sono soltanto storie western: spesso e volentieri vengono contaminate da suggestioni provenienti dai confinanti regni dell'orrore e del fantastico. La saga dell'eroe di Darkwood si è andata costituendo come una vera e propria miniera di contaminazioni multimediali dove è possibile reperire riferimenti cinematografici, fumettistici, letterari, teatrali, musicali e chi più ne ha più ne metta.  E questo molto tempo prima che altri personaggi dei fumetti come Ken Parker, Martin Mystère e Dylan Dog facessero della multimedialità una vera e propria tecnica. Tra i vari generi (o "filoni") presenti all'interno della serie (quello western, quello più genericamente avventuroso, quello legato ai viaggi, quello giallo, quello sociale e politico) il fantastico, nelle sue varie sfaccettature dell'horror, del mistery, della fantasy, della fantascienza, ha sempre avuto in Zagor un ruolo privilegiato. Se è vero che l'elemento soprannaturale è presente anche in Tex (basti pensare a Mefisto) è altrettanto vero che lì viene avvertito come una digressione, se non come una stonatura, all'interno della solida impalcatura del western classico e tradizionale. In Zagor invece ciò non accade: il fantastico è di casa, da sempre. 

Zagor, forse erroneamente etichettato talvolta come il giustiziere di Darkwood, non ha niente a che vedere con lo stereotipo del castigamatti implacabilile e in ogni caso non è più giustiziere di quanto non sia Tex. Il fatto di schierarsi dalla parte della giustizia lo porta anche spesso a sfidare i potenti e a lottare dalla parte degli oppressi. A questo proposito, ritieni che ci sia stata una svolta del personaggio che in alcune storie è molto meno giuridicamente garantista che in passato?
La filosofia di vita di Zagor è lontana dalla monoliticità di Tex. La summa del pensiero zagoriano è riassunta in un bellissimo discorso contenuto nell'albo "Arrivano i samurai", che l'eroe pronuncia di fronte a un suo avversario, il principe Minamoto: "Anche la mia vita, non c'è dubbio, è segnata dal marchio della violenza - dice lo Spirito con la Scure al guerriero giapponese che gli sta davanti - ma tra noi esiste fortunatamente una differenza incolmabile! Se io combatto, se io uccido, è soltanto perché la situazione di questo meraviglioso ma ancora selvaggio Paese me lo impone! Un giorno, spero, giuste leggi, mentalità più aperte smusseranno i punti di attrito tra gli abitanti di Darkwood e i conquistatori bianchi... in quel preciso istante io rinuncerò senza alcun rimpianto alla mia immagine di combattente e di guerriero, e sarò lieto di buttare nel più profondo dei fiumi quella scure che ora considero un mezzo sgradevole ma indispensabile per ottenere un po' di giustizia!".






Riguardo alla presunta “svolta” del personaggio, io sono assolutamente garantista nelle mie convinzioni personali riguardo ai problemi della giustizia nella società civile dei giorni nostri, ma trovo francamente frutto di un malinteso senso del “politicamente corretto” a ogni costo l’applicazione dei principi fondanti del nostro diritto alle avventure immaginarie di personaggi di fantasia ambientate in epoche lontane e in terre selvagge. La mistica della “politically correctness”, del resto, è una delle più fastidiose degenerazioni del già antipatico e ipocrita buonismo a tutti i costi di un certo modo di pensare omologato, e con la pretesa di omologare. Se si giudicasse con il metro del “politicamente corretto”, perfino Sandokan sarebbe un personaggio da censurare, per non parlare di Conan. Ma limitandoci a Zagor, non credo ci sia stata nessuna svolta. O, se c’è stata, è stata purtroppo in senso di un ulteriore giro di vite verso il “buonismo”, e dico purtroppo perché nel caso sarebbe involontaria e dovuto a un lento e fatale adeguamento degli autori a quello che è il comune sentire dell’opinione pubblica secondo l’ipocrisia di facciata ben rappresentata dall’identica ipocrisia dei perbenismo moralista di giornali e TV. Persino Tex, proprio per questo, fuma meno di prima.

Un eroe della vecchia data riesce ancora a sopravvivere nei tempi moderni? E fino a quando? E come si puo spiegare l'successo ottenuto solo in alcuni paesi. Come mai e Zagor raggiunto una fama strepitosa solo in Italia ed ex-Yugoslavia, e un successo notevole in Brasile e Turchia?


Se sapessimo qual e la composizione alchemica della formula vincente, faremmo tutti personaggi vincenti. Purtroppo non e cosi. Nel caso di Zagor si possono comunque elencare alcuni elementi che hanno contribuito al successo del personaggio, gli stessi del resto che da quarantacinque anni vengono evidenziati: il sense of wonder e il fascino emanato della foresta di Darkwood, il mix fra generi diversi, la facilita (ma non banalita) di lettura, la grande varieta di argomenti, il ricco teatrino di villains, comparse e comprimari, i rimandi alla grande letteratura e al cinema d'azione e d'avventura. Oltre a tutto cio, a fare la differenza fra i vari personaggi (quelli di maggior successo e quelli di minore) contribuisce anche lo staff di autori che sono chiamati a curarne le storie. Zagor deve il suo successo all'idea vincente che in origine ebbero Guido Nolitta, e cioe Sergio Bonelli, e Gallieno Ferri, ma va riconosciuto del merito anche ai tanti che hanno saputo seguire lungo la strada indicata dai creatori del personaggio, mantenendo lo Spirito con la Scure al passo coi tempi, senza pero mai snaturarlo. Il linguaggio ha acquisito maggiore modernita e velocita, ma nonostante i cambiamenti Zagor e sempre uguale a sé stesso. Se ci sono degli elementi che potrebbero far pensare a lui come a un personaggio d'altri tempi, e vero pero che il tipo di avventure proposto dallo Spirito con la Scure non e poi molto distante da quello dei film con Johnny Depp nel ruolo di Jack Sparrow, che sono attualissimi, e il costume pittoresco di Zagor non si distanzia troppo da quello dei super-eroi che furoreggiano sugli schermi. L'Avventura non passa mai di moda. Circa il successo in certi paesi piuttosto che in altri, posso solo fare ipotesi. Innanzitutto, nella ex  Yugoslavia, in Turchia e in Brasile c'e una lunga tradizione di pubblicazioni popolari a fumetti da edicola del tipo a cui appartiene Zagor. In altri paesi dove non si sono mai venduti troppi fumetti, dove non c'e un pubblico abituato a leggerne, e difficile fare breccia. Poi ci sono quei paesi come la Francia dove il fumetto vende molto ma solo di un certo tipo, cioe in albo cartonato da libreria. Negli Stati Uniti si vendono quasi soltanto albi a colori. Inoltre Zagor piace la dove lo si conosce da sempre, la dove viene pubblicato da decine di anni. Mi sembra difficile farlo attecchire in un paese dove nessuno l'ha mai letto, perche dovremmo oggi cominciare a riproporre le storie di quarantacinque anni fa.
Quanto è importante che grazie all'esistenza di fumetti western si conservi ancora un ricordo, certamente più veritiero che in certe produzioni cinematografiche americane d'epoca, del fiero popolo rosso, vale a dire degli indiani d'America?

Non credo che l’importanza dei fumetti western consista nel conservare il ricordo degli Indiani d’America, quanto nel conservare il ricordo del Western stesso, inteso come genere, ormai in via d’estinzione e chiuso in asfittiche riserve più dei pellerossa stessi. E’ chiaro che una rinascita o una riscoperta del genere, contribuirebbe alla diffusione della conoscenza della storia e della realtà dei nativi americani, ma non è che dal fumetto ci si possa aspettare più di tanto.  A languire, è soprattutto il western di celluloide. Ed è davvero un peccato, perché il cinema western era un cinema splendido. In più, il West non è  un luogo della realtà, né designa la particolare epoca storica che tutti conosciamo. Ci si potrebbe chiedere perché gli ottanta o novanta anni che vanno grossomodo fra la spedizione di Lewis e Clark (1804) e il massacro di Wounded Knee (1890) abbiano ispirato più libri e film di tutta la storia italiana dall’anno Mille in poi, di certo più ricca di personaggi e di avvenimenti. Il motivo è  appunto questo:  le coordinate geografiche e temporali del western sono solo convenzioni. Il West è  altro: un mito, una leggenda, un sogno. Per qualcuno, il simbolo dell’avventura, per altri  la metafora della vita. Ancora meglio,  il West è  una frontiera. Non solo, o non tanto, quella fra le terre dei bianchi e quelle dei rossi (che si andava sempre spostando a vantaggio dei primi e a danno dei secondi), quanto la frontiera fra noto e ignoto, fra realtà e mistero, fra scienza e magia. Un varco fra mondi paralleli.




Lewis e Clarke


Ed è  un peccato che i giovanissimi non ne possano fruire come facevamo noi, quelli della mia generazione, e come prima di noi fecero i nostri genitori. Quando la TV trasmetteva un film, o il parroco ne proiettava uno nell’oratorio, i ragazzi si auguravano che fosse un western. In mancanza di film, per fortuna nel mondo ci sono ancora diversi fumetti dedicati al genere. Riguardo agli Indiani d’America, è ovvio che sono da preferirsi i film e i fumetti meglio documentati e più attenti alla loro realtà antropologica e culturale, ed è vero che certi fumetti, da questo punto di vista, lo sono in misura di maggiore di molti film. Personalmente, da appassionato cultore della storia dei pellerossa, cerco di documentarmi più che posso.




Ti piace ancora, leggere Zagor?

Sì. Benché lo legga in continuazione, tutti i giorni, sia scrivendolo che revisionandolo in redazione, ogni volta che un albo, appena stampato, arriva fra le mie mani, mi emoziono ancora come quando, da ragazzino, aspettavo con trepidazione che uscisse il nuovo numero in edicola.





Una piccola provocazione,  Moreno: un ipotetico, giovane lettore che si rechi in edicola nei prossimi mesi per acquistare un fumetto, perché dovrebbe prendere “Zagor”, preferendolo ad altre proposte?
Per le stupefacenti copertine di Ferri che eccitano moltissimo la fantasia.

In un panorama fumettistico pieno di anti-eroi complessi e problematici, non c’è il rischio che un personaggio come Zagor possa apparire, agli occhi di un giovane lettore di oggi, come un qualcosa di poco attraente, visto il differente approccio che pone?

Il panorama fumettistico, per essere appunto un panorama e non solo uno scorcio pittoresco, dovrebbe offrire un po’ di tutto, anche eroi di stampo più classico. Non necessariamente, infatti, tutti i personaggi devono essere anti-eroi complessi e problematici. Immagino che se Zagor diventasse un character del genere, forse attireremmo un giovane lettore e ne perderemmo trentamila di più anziani. Ma aggiungo che, secondo me, Zagor non è affatto un personaggio banale, superficiale o non problematico. Anzi, il suo ruolo di peacemaker nasce appunto da un conflitto con la figura paterna.

Come vedi il futuro editoriale di un personaggio come Zagor nel contesto dalla crisi del fumetto? 

La crisi del fumetto c’è, ed è grave, ma non è la crisi del fumetto. E’ la crisi generalizzata di tanti altri media. Gli spettacoli teatrali subiscono un calo di spettatori dai tempi di Achille Campanile, che diceva di vedere in sogno la crisi del teatro personificata che lo implorava: “Risolvimi! Risolvimi!”. I dischi vendono oggi un decimo rispetto agli anni Sessanta o Settanta.




Il disco di Graziano Romani dedicato a Zagor




Al cinema ci si va molto di meno. I libri non si vendono. Perfino la TV perde ascoltatori. Questo perché c’è molta concorrenza, l’offerta è massiccia, ci sono migliaia di canali televisivi via satellite, ci sono le chat su Internet, le playstation, le canzoni si scaricano dalla rete. Per non parlare poi di tutte quelle opportunità che si moltiplicano al di fuori del campo dei media, come la palestra, le settimane al mare in Egitto o la piscina o i corsi di cucina. Ho un’amica che frequenta un corso di degustazione vini organizzato nel suo quartiere. Una cosa che anni fa, mia madre, se la sarebbe sognata. Tutto ciò toglie tempo alla lettura, e anche quando si decide di concedere mezz’ora a qualcosa stampato su carta non è detto che si tratti di un fumetto. Quando ero ragazzino io, invece, i fumetti li leggevano tutti. Logico che tante serie chiudano o vendano molto poco rispetto agli standard del passato, anche se il livello dei disegni o la raffinatezza delle sceneggiature sono superiori. Zagor ha però il vantaggio di poter contare su uno zoccolo duro di lettori estremamente affezionati. Non perde copie di venduto, o perde molto meno rispetto alle altre testate. A volte, come in occasione dell’albo speciale del quarantennale, ha avuto persino picchi di crescita. Continuiamo a produrre oltre milleottocento tavole l’anno. Visti i tempi, mi sembra un eccellente risultato. Andiamo avanti e vediamo. Gli zagoriani non molleranno troppo facilmente, ne sono convinto. Purché continuiamo a lavorare sulla qualità.
Pensi che questo aspetto del personaggio abbia contribuito a tenerlo in forma (dal punto di vista del successo del pubblico) dopo tanti anni di vita editoriale?

Sicuramente hanno contribuito al  successo del personaggio il sense of wonder e il fascino emanato della foresta di Darkwood, il mix fra generi diversi, la facilità (ma non banalità) di lettura, la grande varietà di argomenti, il ricco teatrino di villains, comparse e comprimari, i rimandi alla grande letteratura e al cinema d’azione e d’avventura. Oltre a tutto ciò, a fare la differenza fra i vari personaggi (quelli di maggior successo e quelli di minore) contribuisce anche lo staff di autori che sono chiamati a curarne le storie. Zagor deve il suo successo all’idea vincente che in origine ebbero Sergio Bonelli e Gallieno Ferri, ma va riconosciuto del merito anche ai tanti che hanno saputo seguire lungo la strada indicata dai creatori del personaggio, mantenendo lo Spirito con la Scure al passo coi tempi, senza però mai snaturarlo. Il linguaggio ha acquisito maggiore modernità e velocità, ma nonostante i cambiamenti Zagor è sempre uguale a sé stesso. Se ci sono degli elementi che potrebbero far pensare a lui come a un personaggio d’altri tempi, è vero però che il tipo di avventure proposto dallo Spirito con la Scure non è poi molto distante da quello dei film con Johnny Depp nel ruolo di Jack Sparrow, che sono attualissimi, e il costume pittoresco di Zagor non si distanzia troppo da quello dei super-eroi che furoreggiano sugli schermi. L’Avventura non passa mai di moda.




Dagli episodi, ormai numerosi, che recano la tua firma, si direbbe che non hai un genere prediletto.

E’ Zagor che non ha un genere prediletto. Lo Spirito con la Scure è un personaggio che si presta benissimo ai generi più diversi, dalla pura avventura al più classico western, dall’horror alla fantascienza, dall’humor al fantasy al  giallo. Questa versatilità mi calza a pennello perché io sono un lettore (e uno spettatore) onnivoro.

Un giudizio su Gallieno Ferri.

Naturalmente faccio anch’io parte delle schiere di lettori che stravedono per Ferri, uno dei disegnatori che più mi ha fatto sognare da ragazzo. Attraverso quante meravigliose avventure mi hanno trasportato le sue tavole! Quasi non mi sembra vero di averlo conosciuto di persona e di scrivere io le storie che oggi lui illustra. Il suo stile è inconfondibile, a partire dalle cover: la sua abilità di copertinista non verrà mai lodata abbastanza. Fra l’altro, avendo superato la quota 400 raggiunta da Galep, Ferri detiene il record bonelliano in questo campo.





Il fumetto italiano sta attraversando una grave crisi: ne vedi lo sbocco?

La diminuzione dei lettori provocata dalla concorrenza di altre forme di intrattenimento (TV, videocassette, games, giochi interattivi, internet) e dalla progressiva e deleteria disaffezione delle nuove generazioni verso la lettura (sia di libri che di fumetti, come di giornali e riviste), porterà a una sorta di darwiniana sopravvivenza del più adatto, a una spietata selezione. Vinceranno solo i prodotti di qualità, gli unici in grado di attirare lettori. Ma la carta stampata non scomparirà: sfogliare un libro è troppo più comodo, più piacevole, più affascinante della fruizione via video. Gli editori cercheranno nuove forme per distribuire i loro prodotti (che magari non andranno più solo in edicola ma anche nelle più competitive librerie specializzate) e potranno contare su un pubblico magari più circoscritto, ma anche più consapevole e motivato.  A volte mi viene da pensare che fra venti o trent’anni saremo in pochissimi a leggere ancora dei fumetti e dei libri stampati su carta. E questo un po’ mi dispiace, anche se mi consolo pensando che in fondo io avrò sempre più libri e fumetti da leggere di quanti avrò materialmente il tempo di farlo, dunque i miei figli e miei nipoti si arrangino pure e con i media del futuro e si divertano come pare a loro. Però, poi, immagino che il fumetto sopravviverà come il teatro è sopravvissuto al cinema e il cinema alla televisione, o come la bicicletta all’automobile. Staremo a vedere, e sarà interessante scoprirlo come aspettare il seguito di un’avventura di Tex nell’albo successivo.


Com’è cambiato, nel corso degli anni della sua maturità, il fumetto italiano? Perché si è sentito il bisogno di creare degli anti-eroi?

Il fumetto italiano, si è adeguato, inevitabilmente, al mutare dei tempi, dei gusti, delle aspettative del pubblico. Gli anti-eroi sono nati perché il pubblico desiderava che nascessero. E ormai sono nati da quarant’anni. Direi che il primo è stato Diabolik, che è appunto del 1962. Gli anti-eroi del resto sono tali non solo perché non hanno le caratteristiche adamantine degli eroi senza macchia e senza paura, ma anche perché capita loro di macchiarsi e di aver paura durante avventure in cui affrontano tematiche “pericolose”, quelle per esempio che riguardano il sesso, la violenza, la corruzione o la politica. Da questo punto di vista, l’imperversare del “politicamente corretto” taglia le gambe agli anti-eroi, obbligandoli a omologarsi agli eroi: nessuno può più dire parolacce, fumare, bere, andare a donne o tirare un pugno senza aver letto all’avversario la dichiarazione dei suoi diritti. Una restaurazione vera e propria. Tex è molto meno libero oggi di agire come gli pare, di quanto lo fosse cinquant’anni fa.


Oltre a Zagor, a cui hai dedicato quasi tutta la tua vita professionale, quali altri personaggi ti piacerebbe scrivere e perché?

Mi piacerebbe molto scrivere un “romanzo a fumetti” o una miniserie di una dozzina di albi, sull’esempio di Volto Nascosto,  ambientata in Italia nel Cinquecento o nel Risorgimento. Credo che esplorare le potenzialità dell’avventura legata agli affascinanti scenari del Rinascimento o dell’Ottocento sarebbe estremamente stimolante. Ed eventi storici come l’assedio di Firenze del 1530 o le vicende della repubblica napoletana si presterebbero essere narrati in modo molto avventuroso. Se poi mi chiedi quali altri personaggi a fumetti della Bonelli mi piacerebbe scrivere, direi Tex, Dampyr e Dylan Dog. Mauro Boselli mi ha chiesto più volte una storia per Dampyr. A me piacerebbe cimentarmi con il suo personaggio (uno dei migliori in assoluto nella scuderia Bonelli), ma finora non ne ho mai trovato il tempo, visti i miei impegni con Zagor (di cui non sono anche il curatore redazionale). Tanti mi chiedono se scriverò mai un Tex, ma non tocca a me propormi dato che la squadra di Aquila della Notte è come la Nazionale: si viene convocati. Io, per fortuna, gioco in una squadra di Club di zona Uefa, e ne sono perfettamente soddisfatto.
Oggi che sei uno sceneggiatore affermato bonelliano, ti piacerebbe scrivere per Tex, ti è mai stato proposto?

Mi piacerebbe scrivere Tex come a un giocatore di una squadra di club piacerebbe essere convocato in nazionale. Non mi è stato mai proposto. Né io l’ho chiesto. Mi risulta però che lo chiedano alcuni lettori di Tex.



Io nella Monument Valley nel 1992

Cosa significherebbe per te scrivere storie di una leggenda dei fumetti come Tex, che quest’anno compie ben 60 anni di vita editoriale?

Sarebbe qualcosa di molto emozionante. Per proseguire con il paragone calcistico, sarebbe come giocare con la nazionale ai mondiali.




Bura... visto da Bira

Chi o cosa è Tex secondo te? Cosa ti piace di più nel Ranger e cosa di meno?

Tex è un uomo che non ha mai bisogno di mentire o di fingere accondiscendenza, sa sempre prendere la decisione giusta di fronte alle difficoltà della vita, non china il capo davanti ai prepotenti e gli arroganti, non volta la faccia vedendo le ingiustizie, ha una sua morale senza essere moralista, e guarda dritto negli occhi chiunque incontri, riuscendo a capire chi davvero c’è dietro ogni sguardo. Di Tex mi piace la capacità di essere sè stesso in tutte le circostanze. Non mi piace il fatto che fumi.

Secondo te cos’è che rende Tex l’icona che è?

Tex è l’uomo che tutti noi vorremmo essere.

Qual è la storia di Tex che preferisci? E il disegnatore del Ranger che apprezzi di più? E il sceneggiatore?

Difficile scegliere. Dovendo, sceglierei “Il figlio di Mefisto”. Seguita da “El Muerto”. Circa il disegnatore, escludendo Galep perché è troppo facile come risposta, direi alla pari Civitelli e Ticci. Come sceneggiatore, forse perché sono uno zagoriano e quindi un nolittiano di ferro, confesso di avere un debole per le storie di Tex scritte da Sergio Bonelli firmandosi Guido Nolitta.


Siamo sicuri che prima o poi leggeremo storie di Tex scritte anche da te: hai già pensato come potrebbe essere?

Non condivido tanta sicurezza, dato che di recente sono stati chiamati a scrivere Tex valenti sceneggiatori assai più quotati di me. Però, dato che ogni tanto mi capita di fantasticare, qualche idea sulle storie che potrei scrivere, sì, me la sono fatta.




Con Claudio Nizzi (e un mio articolo)

  
Ritieni che Tex sia cambiato negli ultimi anni? Sotto quali aspetti?

Temo che ci sia stata, talvolta, troppa accondiscendenza verso il politicamente corretto. Le storie di Giovanni Luigi Bonelli, insomma, erano più audaci e non temevano di scandalizzare. Tuttavia, capisco che i tempi sono cambiati.

Per concludere il tema, come vedi il futuro del Ranger?

Un personaggio che ha superato la soglia dei sessanta anni in forma come Tex, può puntare senza problemi al traguardo dei cento. Resta l’unico dubbio se il medium fumetto stampato su carta sarà altrettanto longevo.


Sei gia quasi venti anni in servizio dello Spirito con la scure. Molti autori bonelliani hanno ideato il personaggio tutto suo, dopo tanti anni di lavoro e fedelta alla casa editrice. Tu non hai questo bisogno? Bonelli ha cominciato con le mini serie (Brad Barron, Demian, Volto Nascosto) e romanzi a fumetti. Che tu ne pensi? Potremmo aspettare qualcosa di simile firmato Moreno Burattini in futturo? C'e' qualche altro personaggio o disegnatore, Bonelli e non-Bonelli, col quale ti piacerebbe cimentarti/collaborare?


Tutti gli autori hanno progetti e personaggi nel cassetto. Io non faccio eccezione. Tuttuvia, e lo dico sinceramente, scrivere Zagor e curarne  l'uscita in edicola, occupa a tal punto tutto il mio tempo che non ho assolutamente il modo di pensare a nient'altro. La mia fedelta a Zagor dura da diciotto anni (festeggiati il 12 ottobre scorso) e credo che, se continuero a riscuotere la fuducia dell'editore, proseguira ancora a lungo. Cio detto, se giochiamo solo a fare delle ipotesi pouparler, fra i  personaggi bonelliani mi sentirei a mio agio con Tex e Dampyr. Per  quest'ultimo, Boselli mi ha chiesto spesso di scrivere una storia e finora  non sono mai riuscito ad accontentarlo tanto e totalizzante lo Spirito con  la Scure. Fuori dalla Bonelli, mi piacerebbe realizzare qualcosa di due  generi diversissini sottoforma, credo, di volumi autoconclusivi: batterei le  strade dell'erotismo e dell'avventura storica. In quest'ultimo campo, ho in  mente da tempo di raccontare una storia ambientata durante il lungo assedio di Firenze da parte delle truppe di Carlo V nel 1529/1530. Ci sono tutti gli ingredienti per una narrazione epica e drammatica: la citta assediata, le battaglie, i tradimenti, le stragi, gli atti di eroismo. E c'è un grande protagonista, un eroe a tutto tondo: il capitano fiorentino Francesco Ferrucci.




Francesco Ferrucci nell'interpretazione (inedita) di Mauro Laurenti 




Esiste una storia di Zagor  alla quale sei legato particolarmente e che, a tutt’oggi, simboleggia uno degli episodi migliori della saga?

Le migliori storie di Zagor sono state tutte scritte da Guido Nolitta e non posso fare altro che citare quelle nolittiane che da sempre prediligo, le stesse predilette, peraltro, da schiere di lettori: “Odissea Americana”, “La marcia della disperazione”, “Zagor contro il Vampiro”.

 “L'uomo con il fucile” e considerata da molti ancora oggi come la tua storia migliore: sei d’accordo? E secondo te, quali sono le tue storie migliori?

Nessun autore è il miglior giudice di sé stesso. I lettori sono solitamente d’accordo nel ritenere “L’uomo con il fucile” una bella storia, e a me fa piacere perché credo anch’io che sia una avventura ben riuscita. Nel sondaggio fatto da un forum italiano, però, il mio racconto più apprezzato risulta essere “La palude dei forzati”. Mi pare, anche in questo caso, di poter essere d’accordo. Dopo queste due, penso che tutte le mie storie con Mortimer siano, tutto sommato, degne di lettura

Un nuovo personaggio, creato da te, è invece il diabolico trasformista Mortimer, il più apprezzato tra i più recenti antagonisti zagoriani. Puoi raccontarci qualcosa sulla nascita di questo personaggio?

Avevo letto quasi per caso, recuperandolo su una bancherella, un poco noto romanzo di Michael Chrichton, “La prima grande rapina al treno”. Ho subito pensato che potevo trarne ispirazione per una storia di Zagor. Però, quel libro è scritto dalla parte dei ladri, tutti molto simpatici: a me serviva invece un avversario “cattivo”.  Così, pensando a come mettere sulla strada di Zagor un nemico degno di questo nome, è nato Mortimer, che poi mi sono divertito a caratterizzare anche dandogli qualcosa di Diabolik e qualcos’altro del Sordo, il criminale che nei romanzi di Ed McBain si scontra con l’87° Distretto. Ma già dalla prima scena di cui l’ho reso protagonista mi sono accorto che Mortimer viveva di vita propria: parlava come voleva lui e faceva quello che gli andava. Io mi dovevo limitare a farne la cronaca. E’ così che fanno i personaggi che funzionano. Subito dopo aver finito la prima storia, Boselli mi chiese di mettere in lavorazione la seconda. I lettori poi hanno a gran voce richiesto la terza e la quarta.





Perche Mortimer ha avuto tanto successo?


Sono molto affezionato a Mortimer, perche e un personaggio che vive di vita propria. Parlava come voleva lui (si scriveva praticamente i dialoghi da solo) e faceva quello che gli andava. Io mi dovevo limitare a farne la cronaca. E' cosi che fanno i personaggi che funzionano. Subito dopo aver finito la prima storia, Boselli mi chiese di mettere in lavorazione la seconda. I lettori poi hanno a gran voce la terza. E adesso sto scrivendo la quarta. Com'e nato? Avevo letto quasi per caso, recuperandolo su una bancherella, un poco noto romanzo di Michael Chrichton, "La prima grande rapina al treno". Ho subito pensato che potevo trarne ispirazione per una storia di Zagor. Pero, quel libro e scritto dalla parte dei ladri, tutti molto simpatici: a me serviva invece un avversario "cattivo".  Cosi, pensando a come mettere sulla strada di Zagor un nemico degno di questo nome, e nato Mortimer, che poi mi sono divertito a caratterizzare anche dandogli qualcosa di Diabolik e qualcos'altro del Sordo, il criminale che nei romanzi di Ed McBain si scontra con l'87° Distretto. Progressivamente, si e approfondita la sua psicologia. Nel 2010, Mortimer ha vinto il premio "Ayaaaak" come Miglior Antagonista, insieme a quello per Zagor Miglior Personaggio.





Io sono particolarmente affezionato alle due tue storie che sono tra le mie top 10 storie di Zagor in assoluto: La lunga marcia e La palude dei forzati. Perche sono molto diverse delle solite storie zagoriane, e un Zagor moderno, ma sempre rispettando la tradizione, c'e un finale amaro (in lunga marcia) che è molto raro e poi Zagor e un po’ in secondo piano (non proprio, ma quasi), ci sono molti altri personaggi importanti e interessanti collegati con una trama drammatica e piena di adrenalina. E’ una abitudine tipica di Boselli (e di Berardi in Ken, per quanto riguarda gli autori bonelliani) di mettere l'eroe in secondo piano, tu lo fai piu raro. Si tratta di una scelta premediata oppure solo di un stile personale di ogni autore?


Circa il finale amaro de "La lunga marcia", purtroppo in quel caso e la Storia con la "S" maiuscola ad aver avuto un tragico epilogo. I Cherokee furono deportati, e nessuno pote impedirlo. Sequoya (che e un personaggio storico) dice a Zagor di tornare a Darkwood perche a nessuna delle tribu della sua foresta capiti quel che e accaduto alla sua gente, ed e come sedicesse che la nel regno della fantasia c'e qualcuno che può cambiare il destino delle vittime dell'ingiustizia e della violenza, nel mondo reale purtroppo non c'e nessuno Zagor. Per quanto riguarda le storie di Boselli edi Berardi in cui l'eroe e, tralvolta, in secondo piano, io preferisco lasciare allo Spirito con la Scure il ruolo di protagonista perche mi sembra che questo sia l'esempio di Nolitta, a cui cerco di attenermi per quanto mie possibile.Ken Parker, peraltro, non e Zagor: e un personaggio con altre caratteristiche e dunque può anche comparire in una storia soltanto in poche tavole (come nel caso di "Adah"), ma lo Spirito con la Scure e un altro genere di eroe ed e nato per essere lui il motore e il risolutore della vicenda. E' quel che capita anche nelle storie di Boselli, solo che si nota meno perche attorno a lui ci sono molti personaggi, com'é nello stile boselliano, appunto, che pur essendo uno sceneggiatore molto più bravo di me, e pero meno nolittiano del sottoscritto.




Tra le altre cose che hai fatto in quel periodo, hai scritto anche l’avventura che prevedeva il ritorno di un altro indimenticabile personaggio nolittiano, l’ex-schiavo Liberty Sam: con che spirito ti sei accostato ad uno dei personaggi-cardine della saga zagoriana?

Con entusiasmo. Mi rendevo conto che volendo trattare il tema della schiavitù, argomento stranamente poco sfruttato nella serie di Zagor nonostante che l’epoca storica lo consentisse, il recupero di Liberty Sam era la cosa migliore che si potesse inventare. Del resto, nessuno lo aveva visto morire. Mi sono letto un bel po’ di libri sull’argomento, e ne sono venute fuori due storie: quella della nave negriera, appunto, e quella di “Catene!”. Poi, progettando con Boselli il viaggio in Africa, ho immaginato che se c’era un posto dove Liberty Sam poteva essere andato tornando nel Continente Nero, era Monrovia: la Liberia nasceva proprio in quegli anni grazie agli ex schiavi liberati negli Stati Uniti.




A te è toccato l’onore di scrivere lo storico cinquecentesimo numero dello Spirito con la Scure…. Con che Spirito si lavora ad una storia di tale importanza celebrativa?



Di fronte alla responsabilità di scrivere anche il numero 500, ho subito pensato che sarebbe stato difficilissimo riuscire a “centrare” il bersaglio del pieno apprezzamento del pubblico (dopo quello, a cui tengo molto, di venire apprezzato dai creatori del personaggio, Ferri e Nolitta). Infatti, un albo così importante è molto atteso e ogni sceneggiatore sarebbe stato atteso al varco; allo stesso tempo, le storie di Zagor si dipanano per tradizione su più episodi ed è difficile riuscire a concentrale in un solo albo autoconclusivo. Tuttavia, ho pensato a un albo “celebrativo”, basato su una trovata narrativa che permettesse di ripercorrere alcune tappe salienti della saga, facendo ricordare ai lettori tante emozioni vissute in passato. Quindi, la dfferenza fra il 500 e il 501 consiste nel fatto che il 500 è fin dall’inizio stati concepito (diversamente da Tex 500, per esempio) per essere un numero particolare, insolito, speciale, che non avrebbe potuto confondersi con gli altri albi della serie proprio perché pensato per celebrare un evento, rendendo omaggio a una straordinaria vicenda editoriale. La maggior parte delle lettere giunte in redazione, ma soprattutto i commenti sul forum di Zagor e la recensione su uBC sono stati di segno positivo, il che mi rincuora. C’è da notare che tutti i numeri “centenari” e a colori di Zagor sono stati scritti da uno sceneggiatore diverso: il numero 100 da Guido Nolitta, il 200 da Tiziano Sclavi, il 300 da Marcello Toninelli,  il 400 da Mauro Boselli, il 500 da me (che sono, peraltro, l’autore di testi con più tavole dello Spirito con la Scure al suo attivo, dopo Bonelli stesso). Nel numero 500, tra le altre cose, leggendo in filigrana, si trovano precisi riferimenti all’opera dei tanti sceneggiatori, oltre Nolitta, che hanno consentito alla serie di tagliare un così  importante traguardo.

Il numero 500 è un traguardo importantissimo, che conferma Zagor nell’olimpo dei personaggi più importanti del fumetto italiano. Come hai vissuto questo traguardo, da curatore editoriale del personaggio?

Cinquecento mesi ininterrottamente in edicola sono un traguardo che ben poche testate a fumetti possono vantare (ma Zagor era già in edicola nel formato a “striscia” già quattro anni prima che si inaugurasse la serie attuale). Nessun eroe dei fumetti, in Italia (ma si tratta di un evento eccezionale anche per l’estero), può vantare un risultato del genere fatta esclusione dell’outsider Tex Willer, che cavalca senza sosta dal lontano 1948. Zagor batte Diabolik (sulla breccia dal 1962), e terzo giunge Alan Ford (1968). Tutti i numeri della saga, comunque, sono da Guinness:  in tutto,  si tratta di oltre 57.500 tavole, realizzate, nel corso degli anni, da trenta diversi disegnatori e da ventotto sceneggiatori. L’inossidabile Ferri è giunto al suo quinto numero “centenario”, mentre gli sceneggiatori che gli si sono affiancati nei precedenti albi a colori  sono stati di volta in volta diversi:  Guido Nolitta per il numero 100, Tiziano Sclavi per il 200, Marcello Toninelli per il 300, Mauro Boselli per il 400. Il cinquecentesimo albo è stato invece sceneggiato dal sottoscritto, ultimo tra cotanto senno. Il passaggio di testimone fra gli sceneggiatori dimostra quanti autori abbiano voluto e saputo mettersi al servizio dello Spirito con la Scure, riuscendo a rinnovarlo nel rispetto però della tradizione e dell’impostazione originaria, e tenendolo al passo con i tempi. Di fronte alla responsabilità di scrivere anche il numero 500, ho pensato a un albo “celebrativo”, basato su una trovata narrativa che permettesse di ripercorrere alcune tappe salienti della saga, facendo ricordare ai lettori tante emozioni vissute in passato. Scrivere un albo tanto atteso (premiato fortunatamente dai commenti dei lettori) è senza dubbio diverso dallo sceneggiare altre avventure, perché è difficile raccontare una bella storia di Zagor in sole 94 tavole.




La torta per il 500° numero di Zagor
(con me, Laurenti, Chiarolla e Verni)

Tu sei un autore, ma anche un curatore di Zagor. Come ti trovi in veste di curatore? Questo dualismo autore/curatore ti piace? Hai difficolta (come collega)  bocciare le storie degli altri autori? E, per di piu, hai difficolta accettare il fatto che le tue idee migliori sono state bocciate?


Non è un fatto insolito che un autore sia anche curatore, perche viene  scelto a fare da supervisore (o editor, per dirla all'americana) chi ha la conoscenza e la competenza necessarie. Cerco di scindere il più possibile il mio ruolo in casa editrice da quello di sceneggiatore, in modo da poter valutare anche il mio lavoro di autore con l'attenzione che dedico a quello degli altri. Alla fine, quel che mi e richiesto e consegnare sul tavolo dell'editore, tutti i mesi, una storia abbastanza buona da poter essere pubblicata, e che sia una storia mia o una altrui non fa differenza. Quel che conta e che Sergio Bonelli sia soddisfatto, e dopo di lui lo siano i lettori. Essendo Bonelli non solo l'editore ma anche il creatore del personaggio, e ovvio che sia affezionato alla sua creatura e dunque e giustamente esigente. Non e facile accontentarlo. Pero, bene o male, facendo molti sforzi per aggiustare ogni volta il tiro, ogni mese siamo puntuali in edicola. Quando mi trovo a dover bocciare un'idea agli altri collaboratori, capita sempre dopo che me ne sono bocciato dieci da solo (perche ogni notte penso su come risolvere nel miglior modo possibile le scene delle storie che sto scrivendo io stesso, scartando tutte le soluzioni non soddisfacenti e cercandone altre che siano migliori). Cosi, come sono severo con me stesso, lo sono anche con gli altri. Ma non sono mai brusco o sgarbato nel mio modo di spiegare le ragioni di ogni rifiuto, e credo che lo possano confermare tutti i miei collaboratori. Parlo serenamente con tutti, argomento i motivi, discuto, propongo soluzioni, ascolto oltre che parlare. Sulla difficoltà di accettare il fatto che le mie idee migliori sono state talvolta bocciate, al di la del momentaneo dispiacere poi subentra la consapevolezza che c'e un gioco delle parti: io sono uno deve proporre idee, e ci sono altri che devono accettarle o bocciarle. A ciascuno il suo. Il vero professionista è quello che non si accanisce nel difendere la propria idea a tutti i costi, ma e quello che, per ogni idea bocciata, e in grado di presentarne due nuove.



Il corridoio della redazione Bonelli

Purtroppo, neanche tu non sei infallibile. Nello stesso periodo hai firmato un "Nodo scorsoio", un vero (scusami) fiasco! Come mai?


Sono assolutamente d'accordo. Ho sempre sostenuto che "Nodo scorsoio" sia una fra le storie piu brutte dell'intera serie di Zagor. Peraltro, il finale  fu completamente rimaneggiato in mia assenza (la storia doveva uscire, e io ero in vacanza in America, impossibile da rintracciare) e non lo riconosco neppure come mio. Come mai una storia cosi brutta? Diciamo che fu un parto travagliato in un momento difficile in cui avevo difficolta di comunicazione con il mio supervisore di allora, che era Renato Queirolo. Renato e il classico burbero sergente dei marines che addestra le reclute e che le reclute maledicono mentre vengono addestrate, ma poi quando gli allievi ottengono i gradi di sottufficiali, capiscono che si e trattata di una scuola utile. Per fortuna, dato che ho scritto oltre 16.000 tavole di Zagor, se sono soltanto le 118 di "Nodo scorsoio" a venirmi addebitate negativamente, posso ritenermi soddisfatto.
Una delle critiche più spesso mosse sul tuo conto é che soffri di "spiegazionismo". Ma che cos’è lo “spiegazionismo”?
Me lo sono chiesto a lungo, cercando di capirlo. Sono arrivato alla conclusione che non c’è una definizione univoca, o almeno i miei critici non si sono ancora messi d’accordo fra di loro. Finora mi pare di poter stabilire che dicesi "spiegazionista":
1) ogni didascalia o balloon che spieghi il perché di una azione di un personaggio (ritenendo gli antispiegazionisti che il senso di tutte le azioni debba essere dedotto da solo dal lettore, il quale non può essere soccorso in alcun modo dallo sceneggiatore);
2) ogni didascalia, balloon o scena in flashback che ricostruisca eventi passati per spiegare quello che era fin lì parso inspiegabile (preferendo gli antispiegazionisti che tutto si svolga "in diretta" e ritenendo essi che il passato si debba intuire immediatamente semplicemente dallo svolgersi degli eventi nel presente);
3) ogni didascalia o balloon che sia più lungo di dieci parole o che serva a caratterizzare un personaggio o a dare un tocco di colore all'ambientazione, ma non sia immediatamente funzionale alla storia intesa come mero susseguirsi di scene d'azione (essendo lo slogan degli antispiegazionisti: meno chiacchiere e più cazzotti);
4) ogni didascalia o balloon o perfino singola parola che si possa eliminare senza compromettere la comprensione di una scena (essendo comunque convinti gli antispiegazionisti che ogni scena si possa comprendere solo dal disegno se uno si applica alla decifrazione con sufficiente impegno);
5) ogni didascalia, balloon e sequenza che approfondisca in senso culturale le tematiche trattate dalla storia, fornendo notizie che inquadrino in un contesto storico, antropologico o scientifico alcuni aspetti del racconto (sembrando questi approfondimenti inutili, pedanti e noiosi agli antispiegazionisti).


Che cosa puoi dire in sua difesa? Ritieni le critiche giustificate? Hanno avuto influenza su di te?


L'accusa di "spiegazionismo" mi lascia sempre molto perplesso. Non riesco bene a capire di che cosa si tratti. Forse i misteri e i nodi di una storianon dovrebbero essere sciolti, risolti e chiariti (e dunque spiegati)? Forsesi dovrebbero lasciare le domande senza risposta? Non si dovrebbe scoprirechi e il colpevole o, se anche lo si scopre, non si dovrebbe dire come eperche ha agito? Oppure si dovrebbero scrivere storie semplici e lineari chesi spiegano da sole, con il rischio che sembrino pero banali e superficiali?Personalmente apprezzo di piu, come lettore, le storie in cui si siano unminimo di intrigo, in cui capitano dei fatti misteriosi su cui si deveindagare, e mi piace scoprire poi il perche e il percome, svelare i retroscena, accorgermi di come stavano veramente le cose.Mi piace lo svelamento in flashback di episodi del passato che sembravano inspiegabili.E dunque, come autore, cerco di scrivere le storie che poi mi piacerebbeleggere come lettore. Fra gli autori che ho sempre amato ci sono Isaac Asimov e Agatha Christie: due maestri dello "spiegazionismo", se "spiegazionismo" significa fornire spiegazioni sui misteri su cui si e indagato.






Forse quel che mi si obietta è l'eccesso di spiegazioni, ma anche in questo caso la cosa e opinabile. Chi stabilisce che cosa è in eccesso e che cosa no? Mi trovo a pensarci e ripensarci ogni volta che scrivo un dialogo. "E' necessario spiegare questo e quest'altro?" mi chiedo. Se lasciola spiegazione significa che mi rispondo di si. Sono convinto che se nonspiegassi poi qualcuno mi accuserebbe di non aver spiegato. Di solito capita cosi: in una storia in cui alcuni cadaveri venivano gettate in un pozzo enon mi sono soffermato a spiegare i dieci motivi diversi per cui potevadarsi che dopo dei mesi all'esterno non si sentisse il cattivo odore dellaputrefazione, subito su Internet ci sono stati decine di messaggi di genteche criticava la cosa. Allora che cosa devo fare? Devo spiegare ed essereaccusato di "spiegazionismo", o non spiegare ed essere accusato di mancanzadi spiegazioni? La soluzione e semplice: spiego quel che mi sembra il casodi spiegare, cerco di farlo nel modo piu accattivante possibile in modo danon stancare troppo, provo a scrivere quel che da lettore mi piacerebbeleggere, e poi affido il testo ai lettori, certo che qualunque cosa abbiafatto non riusciro mai ad accontentare tutti. Mi auguro solo che se anchealcune pagine possono sembrare troppo verbose a qualcuno, il complesso della storia sia abbastanza buono da strappare se non un piccolo applauso almeno la sufficienza. Peraltro, piu che ci penso piu mi convinco che anche Nolitta scrivesse delle bellissime pagine di lunghi dialoghi. Potrei inoltre citarel'esempio di pagine molto fitte di dialoghi e spiegazioni su altri fumetti di altri autori, da Nathan Never a (soprattutto) Martin Mystere (ma potrei anche allargare il campo a romanzieri verbosissimi come Stephen King, peraltro da me molto amato).






Preferisco pero chiudere la mia (spiegazionistica) risposta ammettendo che lo spiegazionismo corrisponde probabilmente a una mia esigenza interiore di razionalita, di chiarezza, di ordine mentale che fa parte del mio carattere, che rifugge l'irrazionalità. Sento il bisogno di trovare risposte ai tanti perche della vita, e visto che non ho la minima idea di chi sono, da dove vengo e dove sono diretto, lasciatemi almeno spiegare nei miei fumetti chi sono, da dove vengono e dove sono diretti i miei personaggi. Probabilmente e solo questione di gusti personali o punti di vista. Sono  andato a rivedermi il finale della "Trama del ragno" e secondo me la  spiegazione con la rivelazione del nome del colpevole (l'identita del  Tessitore) viene data solo da pagina 37 a pagina 46 dell'ultimo albo (Zenith 512), il terzo di una storia in due albi e mezzo. Cioe dieci pagine su duecentoquaranta. Ora, non so come si possa scrivere un giallo senza  spiegazioni finali, e soprattutto non so perche le spiegazioni debbano  essere considerate una parte brutta o noiosa da leggere, pero non posso fare a meno di notare come se io leggo un romanzo in cui alla fine si svelano i misteri e si scopre come stavano le cose che finora non si erano capite, per me quella delle spiegazioni e la parte migliore del libro, quella a cui tende tutta la lettura precedente. Non si puo apprezzare la Trilogia  Galattica di Isaac Asimov senza le spiegazioni che si danno nel terzo  romanzo, "Second Foundation". Non si può leggere neppure un dei romanzi di Fred Vargas che oggi hanno un gran successo in Francia , o uno di Arturo Perez Reverte (come "Il club Dumas" o "La tavola fiamminga"), che spopolano in Sagna, se non si leggono le spiegazioni finali. La spiegazione dà il senso a tutto il resto.





Arturo Perez Reverte


Ma qui mi fermo, perche evidentemente ogni lettore ha il diritto di apprezzare o non apprezzare i racconti che prevedano un finale con spiegazione dei misteri precedenti, e soprattutto con una spiegazione puntuale e soddisfacente.  Del resto,  nonostante alcune mie storie in cui c'e stato bisogno finali con soluzione degli enigmi come nel caso de "La trama del Ragno", la maggioranza dei racconti non ha poi bisogno di lunghe spiegazioni date in conclusione e dunque chi non apprezza lo "spiegazionismo" lo tollerera per quelle dieci pagine in cui vi si fa ricordo, divertendosi con le migliaia di altre di pura avventura. Tuttavia, e chiaro che ascoltando i pareri di quanti si dicono infastiditi dalle spiegazioni (pur pochi rispetto ai tanti che esprimono pareri positivi), sto progressivamente limitando la mia tendenza allo "spiegazionismo", anche a costo di andare contro al mio istinto e al mio desiderio di chiarezza. Il cliente ha sempre ragione.




Impeto d'ira contro un detrattore

Tu sei sempre a disposizione, sempre con sorriso, pieno della energia positiva. Sei molto attivo nello forum di Zagor paziento  e informativo,  rispondi a tutte le domande in maniera ammirevole, il tuo legame con gli lettori e davvero straordinario. Una sgradevole conseguenza  sono le critiche, molto spesso inargomentate, malintenzionate e non firmate. Alcuni autori si sono ritirati, ma tu no. Perche stai ancora soffrendo tutte queste accuse e attachi? Cosa significa per te questo forum e quanto sono importanti le opinioni dei lettori per te?


Ognuno ha il proprio carattere e la propria sensibilita, gli autori che se ne sono andati avranno avuto le loro buone ragioni, come io ho le mie per continuare a tenere pubbliche relazioni. In realta io (a differenza di molti altri autori che hanno loro siti e propri blog, o partecipano a discussioni su forum e newsgroup) non frequento molto Internet, e mi limito a rispondere  alle domande che mi vengono poste in un filo diretto con i lettori su un forum, garantendo comunque, in modo imparziale, collaborazione anche a tutti quanti me la chiedono sottoforma di interviste o anticipazioni. Non partecipo, insomma, a battibecchi con i lettori o fra i lettori. Tuttavia, non e mai neppure capitato di essere offeso o attaccato in modo particolare. Sarà che sono anche uno molto accomodante, bendisposto verso gli altri (sempre sperando di venire contraccambiato). Se a volte ci sono delle critiche, le registro e ne tengo conto. Se mi si chiede spiegazione di qualcosa che non e stato apprezzato da qualcuno, rispondo nel modo piu garbato possibile rispettando il punto di vista del mio interlocutore.





Io e Gallieno Ferri a Zagabria nel 2004


Le opinioni dei lettori sono importantissime, però è vero che sono discordanti (una cosa che piace a uno, non piace a un altro, non e possibile accontentare tutti). I forum su Internet permettono comunque di avere subito il polso della situazione e capire in tempo reale gli umori di una parte del pubblico. Solo una parte, pero, perche poi la gran massa degli zagoriani non necessariamente e rappresentata da coloro che si esprimono sulla rete, e anzi, talvolta qualcuno di molto attivo online puo dare l'impressione di essere i portavoce di chissa quanti dissenzienti o entusiasti epoi invece rappresenta solo se stesso (ed e perfettamente legittimo che sirappresenti, ovviamente). Su Internet pero puo scrivere chiunque, anche chi non e preparato a farlo, invece chi scrive su una rivista almeno e stato filtrato da un direttore. Per cui non e il caso di esalarsi per i complimenti ne di deprimersi per le critiche.
Lungi da me la volontà di scatenare una guerra tra appassionati e tra mezzi di informazione più adatti… credo che alcuni dei siti di informazione attualmente in auge, siti come UBC Fumetti o Lo Spazio Bianco, siano caratterizzati da una grande validità dei contenuti e dalla professionalità dei collaboratori… ritengo che alle vecchie e gloriose Fanzine debbano invidiare solo la splendida sensazione che ha il lettore quando stringe un albo o una rivista tra le mani… cosa ne pensi?


Ovviamente non c’è guerra che si possa scatenare fra fanzine di carta e siti telematici, essendo le prime praticamente scomparse (e poi, che guerra può esserci se siamo tutti dalla stessa parte della barricata?). Le pubblicazioni amatoriali si contano sulla punta della dita e le poche riviste di critica fumettistica, come “Fumo di China”, “Fumetto” o “If” sono appunto riviste vere e proprie, molto diverse dai fogli ciclostilati o stampati in offset su cui scrivevamo noi. I siti Internet sono vivaci, interessanti, aggiornatissimi, facilmente consultabili e perfino gratuiti. Ci si può interagire. Le fanzine erano per lo più in bianco e nero (o in sporco e nero), di difficile reperibilità (bisognava fare la posta nelle prime, rare, fumetterie o abbonarsi o cercarle alle Mostre Mercato), con periodicità ballerina. Non c’è assolutamente confronto, è come parlare del cinema muto in bianco e nero rispetto a quello di oggi. Però… i fumetti sono roba di carta, quelli sul monitor sono un’altra cosa, e forse sarò anche un nostalgico ma non c’è niente che possa trovare su Internet che mi dia le stesse emozioni di un bel libro o una bella rivista stampati su bella carta da poter stringere in mano. Per cui, mi piace quando anche la saggistica e la critica fumettistica sono in stampa, e ci sono volumi o bei fascicoli da sfogliare e conservare. Sono oggetti, li sento più miei di una schermata video. Internet è una inesauribile fonte di informazioni e uno straordinario veicolo di idee, ma libri e riviste sono amici, fratelli e compagni di vita.

Cosa pensi possa comunicare in termini di valori la lettura di un albo dello Spirito con la Scure?  Quello "pedagogico" è uno degli scopi per cui si scrive ancora oggi?
Zagor è un personaggio positivo che, per tradizione, comunica messaggi e valori positivi. Ciò non toglie che il motivo principale per cui raccontiamo storie di cui è il protagonista sia quello di emozionare e divertire i lettori con le sue avventure. Gli intenti pedagogici non ci sono, ma c’è, per forza di cose, un effetto pedagogico: qualsiasi racconto è veicolo di informazioni che arricchisce i fruitori. Per assurdo, anche dai racconti con protagonisti o contenuti “negativi” si può imparare qualcosa di positivo: per esempio, che esiste il male. Ogni libro insegna qualcosa. Se non altro, a diffidare del suo autore. Plinio il Vecchio, del resto, diceva che non c’è libro tanto cattivo che in qualche sua parte non possa giovare. Figuriamoci se non può giovare la lettura di Zagor, eroe schierato decisamente dalla parte del bene in difesa di valori quali la difesa della giustizia e della pace. Come lettore, posso dire che è stato lui, lo Spirito con la Scure, a gettare le basi del mio sconfinato amore per la lettura e a solleticarmi l'intelligenza e la fantasia, spingendomi a crescere sempre più, culturalmente e spiritualmente. Comunque non mi metto a scrivere pensando al valore pedagogico di quello che andrò raccontando: punto piuttosto a creare una storia che emozioni e che intrighi e che, naturalmente, sia in linea con le caratteristiche della serie per cui lavoro. Cerco di scrivere una bella avventura con dei bei personaggi. Poi, se ci sono contenuti pedagogoci o didascalici e qualcuno è in grado di coglierli, meglio. Personalmente faccio mia la massima di Oscar Wilde, secondo la quale non esistono libri morali o immorali, ma solo libri scritti beni o scritti male. Io mi preoccupo soprattutto, nel mio piccolo e nei miei limiti, di scrivere bene.

Possiamo considerare il fumetto una forma artistica di spessore parlando, nei casi più nobili, di vera e propria letteratura disegnata?
Indubbiamente sì. Il fumetto è un mezzo di comunicazione, esattamente come la letteratura, il cinema o la pittura. In certi casi il cinema è arte, in altri è spazzatura. Il fumetto, allo stesso modo, non è necessariamente arte né è necessariamente spazzatura. Uno dei luoghi comuni più diffusi tra i profani, contro il quale devono costantemente battersi gli iniziati, vuole che il fumetto sia un genere: come il giallo, la fantascienza, l'horror o il rosa. E' solo con una certa fatica che i cultori riescono a convincere i non adepti a considerare il fumetto un medium, cioè un mezzo di comunicazione, un veicolo per la trasmissione di idee ed emozioni che agisce utilizzando codici espressivi propri: come il cinema, la letteratura, la pittura o la musica. I generi sono trasversali: perciò possiamo avere film horror, romanzi horror e fumetti horror. I media invece sono paralleli: così, anche in presenza di un medesimo contenuto ideale da veicolare, ciascuno lo fa in maniera autonoma, utilizzando tecniche specifiche e sortendo risultati diversi. Se l’autore intenzionato a parlare dell'Olocausto è il regista Steven Spielberg, dirige un film intitolato Schlinder's List. Lo scrittore Primo Levi pubblica invece un romanzo dal titolo Se questo è un uomo. Allo stesso modo, il disegnatore Art Spiegelman  realizza il fumetto Maus. Tre capolavori diversissimi l'uno dall'altro, ma ognuno in grado di comunicare emozioni con la medesima intensità. C'è anche, del resto, chi ha raccontato l'Olocausto attraverso la poesia, la musica, la pittura, la scultura, la fotografia. Non si può dire che questa o quella forma espressiva sia intrinsecamente migliore o peggiore, più intensa o meno intensa di un'altra. E' solo l'abilità dell'autore nel gestire gli strumenti di cui dispone a consentire a ciascun medium di raggiungere risultati più o meno apprezzabili. Il talento specifico di chi scrive e disegna comics, consiste soprattutto nella padronanza dei codici espressivi propri del fumetto. Non basta avere, nel primo caso, una buona capacità di affabulazione e, nel secondo, un certo estro grafico o pittorico. Si può essere abilissimi a scrivere e a inventare storie, e non riuscire a sceneggiare in maniera decente una sola tavola a fumetti. Oppure, essere illustratori di eccezionale bravura e non saper raccontare per immagini ciò che accade in una sequenza di tre vignette. Del resto, chi sceneggia fumetti non sempre è in grado di scrivere un romanzo, e chi li disegna forse non saprebbe dipingere un affresco. Questo perché realizzare un racconto a fumetti comporta la conoscenza di codici, convenzioni e trucchi del mestiere attraverso i quali gli autori riescono a entrare in sintonia con i fruitori e ad ottenere l'effetto voluto. 




Qual è il rapporto tra fumetto e la cosiddetta alta cultura? Gli intellettuali lo snobbano o lo considerano degno di attenzione critica e di analisi saggistica?

A parte qualche caso, come quello di Antonio Faeti, gli intellettuali considerano non solo il fumetto ma tutta la letteratura che viene letta (come tutto il cinema che viene visto) con disgusto o ironia, ritenendo di doversi occupare solo della letteratura che non viene letta (e del cinema che non viene visto). In realtà, il loro disgusto e la loro ironia cela la loro colpevole ignoranza in materia. Per giudicare un fumetto occorre conoscere i fumetti, essere padroni del particolare codice narrativo che li caratterizza. Viceversa, come si diceva, una conoscenza superficiale, se non addirittura un pregiudizio negativo, ha sempre animato molti studiosi, critici e accademici. Nessuna meraviglia: una sorta di oscuro misoneismo culturale minaccia da sempre gli esordi delle nuove forme di comunicazione e di espressione artistica. Meraviglia piuttosto che il misoneismo perduri anche dopo cento anni. A dispetto della situazione, personalmente devo ammettere però di aver trovato, in ambito accademico, professori disposti ad ascoltarmi quando, esattamente su questo argomento, ho prima proposto e poi discusso la mia tesi di laurea.

Il fumetto riesce a conquistare nuovi e giovani lettori magari sottraendoli alle nuove tecnologie o il suo futuro è a rischio?
Si dice che la causa principale della crisi dei fumetti sia l’avvento dei computer. Il pubblico  abbandonerebbe in massa il fumetto perché gioca con le playstations e naviga nella Rete. Qualche tempo fa, un tale a cui avevo parlato del mio lavoro (e della mia passione), mi disse, scuotendo la testa, scettico sul futuro degli eroi di carta: “Non capisco perché un ragazzo di oggi dovrebbe leggere fumetti”. Io ho risposto: “Non capisco perché un ragazzo di oggi non dovrebbe leggerli”. I ragazzi di oggi, insomma, hanno la fortuna di avere a disposizione un sacco di mezzi e di possibilità in più, rispetto a quelli di trenta, quaranta, cinquanta anni fa (e non parliamo di quelli ancora prima), per fruire di fiction, trovare informazioni, soddisfare la propria curiosità, fare esperienze, imparare e divertirsi. Hanno i cd, i dvd, la televisione, i computer, Internet, e continuano ad avere il cinema, i libri, il teatro e anche i fumetti. Perché qualcuno dovrebbe privarsi di qualcosa? Perché si dovrebbero scegliere o i computer o i fumetti, o  i dvd invece dei libri, o la playstations piuttosto che lo stereo? Perché non si può godere di tutto, e si dovrebbe fare a meno di qualcosa? Se fossi un ragazzo di oggi, mi arrabbierei se non potessi leggere anche i fumetti, mi sentirei menomato di una possibilità che vorrei avere e a cui non vorrei mai rinunciare. Vorrei poter leggere, come sentire musica, come vedere un film, come andare a teatro. Non si è monomaniaci.  La questione è piuttosto un’altra: essendo molte le offerte, si tratta di scegliere. Non c’è tempo per tutto. Da questo punto di vista, allora, anche la televisione è in concorrenza con Internet,  e ci sono programmi televisivi in concorrenza fra loro. Il fumetto non è moribondo come linguaggio o codice comunicativo, come medium per veicolare contenuti, quanto piuttosto ha difficoltà nel proporre contenuti concorrenziali con quelli veicolati dagli altri media. Noi che facciamo fumetti, in fondo, raccontiamo storie. Affabuliamo. Le storie sono i nostri contenuti. E le storie sono concorrenziali quando offrono emozioni in più rispetto a quelle che raccontano gli altri. Ora, secondo me, ci vuol poco a dare emozioni in più dei giochi interattivi che a me vengono a noia prestissimo (le storie più belle non possono essere interattive: c’è bisogno di un autore che ha il dono di saperle raccontare in quel particolare modo che solo lui sa com’è). Ma per offrire emozioni in più bisogna essere com’era Tex cinquant’anni fa rispetto al resto dell’offerta di fiction destinata ai ragazzi: forte! Facciamo fumetti forti, e qualcuno, anche dei ragazzi di oggi, sceglierà ancora noi. Certo, bisognerebbe liberarsi delle ugge del politicamente corretto, così, magari il fumetto diventerà un prodotto di nicchia, ma non scomparirà.

Parliamo un po' dei rapporti che intercorrono fra fumetto e letteratura, in particolare nel genere del giallo/poliziesco.

 Hugo Pratt, il celebre autore di Corto Maltese, definiva il fumetto "letteratura disegnata". Il saggista Andrea Sani ritiene che questa definizione evidenzi gli stretti rapporti che intercorrono fra i comics e le opere letterarie, ma non metta abbastanza in luce le relazioni con il cinema, per cui propone la definizione di "narrativa disegnata": il primo termine indica, molto genericamente, quello che i comics hanno in comune sia con il cinema che con la letteratura (le strutture narrative), mentre il secondo specifica il carattere per cui se ne distinguono (l'elemento grafico). Sia il cinema, che la letteratura, che i fumetti hanno in comune lo scopo di raccontare delle storie: ciascun medium lo fa poi alla propria maniera, servendosi dei codici e delle potenzialità che gli sono propri, finendo comunque per influenzarsi a vicenda. Il fumetto condivide con la letteratura la parte dialogata (i testi nei balloon sono letterari come i dialoghi dei romanzi), e la costruzione di una trama scandita da scene che propongono al lettore l'intreccio degli eventi. 
Nelle tue sceneggiature c'è un misto di generi: si va dal giallo al mistero, dall'avventura all'umorismo.  Come si fa a combinare in una storia così  tanti generi?
La maggior parte delle mie sceneggiature riguardano Zagor, un personaggio storico del fumetto italiano (e molto noto anche in parecchi altri paesi del mondo). Zagor non è una mia invenzione, essendo stato creato addirittura un anno prima che io nascessi. E' sempre stato però il mio eroe preferito, e ormai ne scrivo le storie da quasi venti anni. La commistione dei generi in Zagor fa parte del personaggio per una precisa volontà dei due creatori, lo sceneggiatore Guido Nolitta (alias Sergio Bonelli) e il disegnatore Gallieno Ferri, i quali vollero dare vita, nel 1961, a un eroe che desse libero sfogo alla fantasia permettendo di spaziare all'interno dei loro gusti, le loro passioni, le loro letture. Io, dopo essere cresciuto leggendo le loro storie, mi sono ritrovato a condividere perfettamente il loro progetto e continuo a far vivere all'eroe avventure che mescolano (spero in modo convincente e ancora avvincente come accadeva all'inizio della saga zagoriana) western e horror, giallo e umorismo, avventura e fantasy, racconto storico e fantascienza. Del resto ho sempre letto di tutto e visto film di qualunque genere, senza porre steccati o avere pregiudizi, per cui volentieri riverso nei miei racconti spunti e suggestioni provenienti dalle mie esperienze di lettore curioso e spettatore disposto a farsi meravigliare, lasciando contaminare le mie storie dai generi più diversi. La realtà stessa, in ogni caso, è "contaminata": la vita è fatta di una molteplicità di aspetti e di sfaccettature, è ogni giorno viviamo momenti comici e momenti drammatici, e c'è del dramma nel comico e della comicità nel drammatico. 

Hai già fatto delle proposte di un tuo personaggio a Sergio Bonelli o ad altri editori?


A Sergio Bonelli no, e credo di essere uno fra i pochissimi che non ne ha fatte. Spero che me ne sia grato! Ad altri editori, in passato, sì: proposte per racconti liberi in albo alla francese o serie destinate a riviste tipo Comic Art. Da qualche anno ho iniziato una storia a fumetti con Lola Airaghi, che una volta finita (se la finiremo) costituirà un volume ma che verrà pubblicata a puntate (ogni episodio è comunque autoconclusivo) su Dime Press. Lola ha disegnato bellissime tavole a colori, ad acquarello. Il titolo è "Occhi di Cielo", e la protagonista è una indianina molto sexy, con gli occhi azzurri.



Lola Airaghi


“Facciamo fumetti forti, e qualcuno, anche dei ragazzi di oggi, sceglierà ancora noi. Certo, bisognerebbe liberarsi delle ugge del politicamente corretto, così, magari il fumetto diventerà un prodotto di nicchia, ma non scomparirà”.  Vuoi ribadire questa tua affermazione di qualche anno fa e spiegare cosa intendi per “fumetto forte”? Preacher, per caso, era un fumetto forte?


Ribadisco senz'altro, spiegando meglio che fra i "fumetti forti" a cui facevoriferimento c'era anche il Tex di una volta, che usava un linguaggio estremamente tosto rispetto allo standard dell'epoca. Per "fumetti forti" intendo qualunque storia si faccia ricordare, dia emozioni, coinvolga, ma soprattutto non faccia sbadigliare o non stucchi per moralismo.Sicuramente anche Preacher. Quella contro la "correttezza politica" è una battaglia che stiamo perdendo, a livello mondiale. Chi rifiuta di farsi omologare, è assediato da gente indottrinata dal bombardamento buonista, che approva la censura di fumetti ,film e cartoni animati. Una volta, durante una conferenza, mostrai al pubblico come la Disney, nel ristampare vecchie storie, censurasse Pippo e Topolino che andavano a pesca. Mi aspettavo tutti storcessero il naso e mi sono trovato davanti un pubblico che invece, apertis verbis, ha reagito sostenendo la legittimità dell'intervento, perché "i bimbi vanno educati" e pescare è politicamente scorretto. E per far capire come funzioni il ricatto, io stesso ho dovuto sforzarmi per non premettere la lunga tiritera del sottoscritto che non fuma, non beve, non va né a caccia né a pesca, ama gli animali, rispetta le minoranze ed è una personcina a modo. Tra gli editori, già oggi chi non si adegua viene messo all'indice, rischiando il fallimento economico e perfino la libertà personale (basti pensare al caso Topolin, la casa editrice di fumetti il cui autore ha rischiato l'arresto per aver pubblicato fumetti indubbio livello artistico). Tremo al pensiero di un futuro in cui le Case editrici dovranno scegliere se sopravvivere assecondando il moralismo preconfezionato o soccombere. Ma trattandosi di una rivoluzione buonista le cose non avverranno con un precipitare drammatico degli eventi. Si tratterà di un lento scivolamento nella Zona del Crepuscolo. Ogni giorno ci verrà tolta una briciola di libertà. Non serviranno drastici giri di vite. In maniera quasi inconscia, pressoché inconsapevolmente, cercando la convenienza quotidiana del pro bono pacis, si preferiranno certi soggetti ad altri, si bocceranno certe sceneggiature preferendone di più morbide, si smusseranno le acredini di certi dialogni in certi balloon. Non sto dicendo che è già così, traggo solo le conseguenze dal trend che è in atto. Tempo fa, leggendo il "Saggio sulla Libertà" di John Stuart Mill, sono rimasto colpito da una frase del prefattore che sosteneva, a ragione, che all'epoca in cui quel libro fu scritto (metà Ottocento) gli individui avevano molte più libertà di oggi.


Tra le tue tante attività nel mondo dei fumetti, sei stato anche il proprietario di una fumetteria. Raccontaci qualcosa dei motivi, esperienze, sorprese, delusioni di questa avventura!


L'apertura di una fumetteria era la logica conseguenza di una intensanattività di compravendita e scambio di fumetti che già da molti anni, npraticamente fin da giovanissimi, io e alcuni amici facevamo partecipando con il nostro banco a varie mostre-mercato in Toscana e in altre zone d'Italia. Gia dal 1980, infatti, con Alessandro Monti, Saverio Ceri e Francesco Manetti (con cui poi avrei fondato e curato la rivista "Dime Press"), e con altri ragazzi, ci eravamo uniti in un Club, il Club del  Collezionista appunto, perche eravamo accomunati dalla stessa passione per i fumetti. Mettemmo insieme tutti i nostri albi doppioni, cominciammo a fare acquisti da persone che si volevano liberare di vecchi fumetti, e andavamo a vendere quel che non interessava, non per lucro ma per avere di che comprare cio che invece di interessava. Il Club del Collezionista stampava anche una sua fanzine, appunto "Collezionare". Crescendo, frequentando le mostre mercato e conoscendo tanti librai, decidemmo di provare ad aprire una nostra  fumetteria anche noi. Alessandro Monti si defilo, preso da altri interessi  (adesso e giornalista e storico molto accreditato), invece io, Ceri e  Manetti mettemmo insieme un piccolo capitale, affittammo un negozio nel centro storico di Prato  e a  meta degli anni Novanta aprimmo "Mondi Paralleli".



Io, Francesco Manetti e Saverio Ceri il giorno dell'inaugurazione di "Mondi Paralleli"


Ovviamente, io ero già molto impegnato con il mio lavoro di sceneggiatore e non potevo stare in negozio tutti i giorni, invece Saverio e Francesco ci lavoravano meta giornata ciascuno (nessuno dei due ha mai lasciato altre occupazioni che avevano). A lungo sono stato presente tutti i sabati, e partecipavo alla  gestione della libreria, poi ho cominciato a lavorare a Milano, nella  redazione Bonelli, e mi sono allontanato dal negozio. Sempre, comunque, ho continuato a dare una mano  organizzando, per esempio, i tanti incontri con gli autori che si susseguivano.





Io e Michele Medda in un incontro nella fumetteria



Un incontro con Claudio Villa (accanto a me, Saverio Ceri)

Prima ho ceduto la mia parte ai miei due soci, poi anche loro hanno venduto a loro volta,  dedicandosi ad altri lavori (perche, evidentemente, serviva un impegno  troppo pressante per chi aveva comunque altre attività). "Mondi Paralleli"  esiste ancora, sono molto amico dell'attuale proprietario, Roberto, e sento quella  libreria come una figlia andata da sola per il mondo. E' il tipo di negozio  che aprirei ancora se cambiassi mestiere. Il bello della nostra fumetteria  era che si trovava di tutto, non solo le novita alla moda. In certe  fumetterie trovi solo i manga, o solo i supereroi. Da noi c'era  l'antiquariato, c'erano i classici, si trovavano i fumetti di Magnus e  quelli di Tintin, i Disney e i Bonelli, i francesi e gli americani, i saggi  critici e le fanzine. Davvero cibo per tutti i gusti.




La fumetteria "Mondi Paralleli" di Prato, con l'attuale proprietario, Roberto.
(foto di Luca Boschi)

Parlando con dei disegnatori nuovi, molti dicono che solo grazie a te hanno avuto la possibilita di realizare il suo sogno - disegnare Zagor. Tu sei la buona fata degli autori esordienti?


Per lavorare a Zagor non basta saper disegnare, bisogna amare il  personaggio, bisogna essere zagoriani fino in fondo. E fra zagoriani ci si  riconosce a naso, immediatamente. I disegnatori che oltre a essere bravi  avevano questa caratteristica della "zagorianita", ho cercato di  aiutarli perche loro stessi avrebbero aiutato lo Spirito con la Scure. Poi  va detto che io posso proporre ma e Sergio Bonelli a disporre, e a dare il  benestare per l'ingresso dei disegnatori nello staff del personaggio.



Marco Verni al lavoro nel mio ufficio

Il Burattini che conosciamo è legato intimamente a Zagor, quasi in simbiosi perfetta. Vorremmo conoscere però anche “l’altro” Burattini, quello delle altre attività professionali, passatempi, gusti personali nei vari campi della letteratura, cinema, musica, sport, cucina, eccetera?

Per parlare dell’”altro” Burattini servirebbe uno spazio altrettanto lungo di quello che mi avete concesso finora! Diciamo che sono una persona curiosa e onnivora, per cui leggo di tutto e anche più cose contemporaneamente. Vado in palestra per tenermi in forma quanto basta, e faccio trekking in montagna.






Apprezzo la buona cucina e se posso sperimento nuovi ristoranti, anche internazionali. Amo il dolce più del salato, la pasta più della carne, il vino più della birra. Mi piace l’arte (vado in giro per musei), viaggiare (anche se poi non riesco a farlo quanto vorrei), nuotare in piscina (anche se vivo in una città di mare), fare le terme (vasche calde e massaggi rilassanti), coccolare la mia compagna.








Tu sei anche un autore teatrale. Parliamo della più celebre delle tue commedie, “Il vedovo allegro”. Questa commedia unisce elementi decisamente seriosi (l’azienda di pompe funebri, la religiosità della zia Rebecca) a situazioni davvero esilaranti (la scoperta da parte della zia dei vizi del nipote, lo scambio di identità davanti al direttore dell’ospizio). Secondo lei, è proprio l’unione di questi elementi tanto contrastanti che rende la vicenda così esilarante? 
L’umorismo nasce sempre dai contrasti. Non ci sarebbe niente di divertente nell’interazione fra personaggi tutti uguali, che reagiscono alla stessa, prevedibile maniera. Viceversa, è divertente mettere a confronto diverse tipologie di varia umanità. Lo possiamo constatare nella vita di tutti i giorni, anche soltanto pensando al gruppo dei nostri amici o ai colleghi d’ufficio. Nella vis comica del “Vedovo Allegro”, poi, c’è anche una componente che definirei “catartica”: tutti noi abbiamo i nostri piccoli “vizi segreti” che cerchiamo di nascondere alla “zia” di turno, sia essa la maestra a cui non vogliamo scoprire di non aver fatto i compiti, o la mamma a cui nascondere che abbiamo marinato la scuola, o il datore di lavoro che non deve scoprire il puntuale ritardo di tutti i giorni nel presentarci in ufficio. Tutti tifiamo dunque istintivamente per Aldobrando, impegnatissimo nel mettere in atto i suoi buffi stratagemmi per non farsi scoprire gli altarini. Catartica è poi, senza dubbio, la scelta di ambientare la scena in un’impresa di pompe funebri: il collocare proprio lì vicende ilari, e scherzare sulle casse da morto sbilenche piuttosto che sull’urna cineraria scambiata per un posacenere, è una forma di “trasgressione”: ridere di ciò di cui non si dovrebbe, serve a scaricare le pulsioni che ci spingono a fare ciò che è vietato, come i bambini che invitati a stare seri e fermi in certe circostanze che impongono un contegno, si guardano fra loro e non riescono a trattenere gli sghignazzi. L’umorismo smaschera l’assurdità e l’ipocrisia delle convenzioni sociali, in cui conta l’apparire più che l’essere.



Ma come hai avuto l’idea?
Scrivo storie da quando ho imparato a tracciare le lettere dell’alfabeto sul quaderno della prima elementare, e professionalmente da oltre venti (cioè, mi ci guadagno da vivere): non ho mai saputo da dove mi arrivano le idee. Ancora oggi mi sorprendo nell’andare a letto con mille dubbi su come risolvere un problema in una sceneggiatura e il mattino dopo mi sveglio con in mente chiarissima la soluzione. Raramente, tuttavia, un’idea nasce già matura, perfetta e ineccepibile, soprattutto se si tratta di una trama complessa. In genere si tratta di uno spunto che assomiglia al galleggiante di un amo: ti accorgi che qualcosa ha abboccato, provi a tirare su e solo allora vedi che cosa hai preso: a volte è un pesciolino che catturi con un solo strattone, altre volte è un pesce enorme con cui devi lottare. Altre volte il pesce ti sfugge o lo ributti in acqua perché non ti piace. Nel caso del “Vedovo Allegro”, mi proposi di scrivere un testo nel solco della più classica tradizione della commedia in vernacolo fiorentino (quella dei Novelli e dei Palmerini, tanto per citare due nomi), dunque l’ambientazione fu pensata in costume (anni Venti), un po’ come nella celebre operetta “L’Acqua Cheta”. Agli inizi degli anni Ottanta, infatti, recitavo come “attor giovane” in una compagnia amatoriale che metteva in scena testi vernacolari come “Giocondo Zappaterra” o “Le forche caudine”. Dato che mi sarebbe piaciuto comporre una commedia per il gruppo in cui militavo, ricordo di aver pensato che, per scrivere qualcosa di originale che non assomigliasse a quelle che già esistevano (i cui intrecci erano, alla fine, sempre un po’ gli stessi e quindi prevedibili), dovevo evitare di rappresentare le solite tresche famigliari, con le figlie da maritare, i bisticci fra marito e moglie o le scappatelle dell’uno o dell’altra. Dunque eliminai l’ambientazione nel classico salotto di casa, e mi proposi di non usare interazioni famigliari. Questo fu lo spunto da cui partii. Mi venne in mente che avrebbe potuto trattarsi di un posto di lavoro, con il titolare di un’azienda e i suoi dipendenti. Partendo da questi presupposti, cominciai ad mettere in moto gli ingranaggi del cervello. Ricordo che ridevo fra me ogni volta che, passeggiando in montagna o guardando fuori dal finestrino del treno, mi venivano in mente i tipi umani dei miei personaggi e le situazioni con cui avrei potuto complicare loro la vita. Avevo anche ben chiara l’esigenza di dotare ogni personaggio di un ruolo interessante: avevo recitato tante volte in commedie in cui c’erano delle comparse a cui toccavano solo poche battute, e volevo evitare l’uggia di dover trovare attori da chiamare in ballo per così poco. Ognuno dei miei personaggi avrebbe avuto una “parte” di tutto rispetto! Aggiungo che, negli anni immediatamente precedenti alla scrittura della commedia, avevo fatto due esperienze che si rivelarono fondamentali nella mia crescita come autore. La prima è questa: all’università, avevo affrontato un seminario sulle opere teatrali di Niccolò Machiavelli e ad avevo approfondito in particolare “La Mandragora”. Ero rimasto affascinato dal micidiale meccanismo ad orologeria di quel testo, ancora divertentissimo a distanza di cinquecento anni, e chi volesse approfondire troverebbe certamente nel “Vedovo Allegro” qualche citazione machiavelliana. La seconda esperienza fu la mia frequentazione, in quel periodo, di un piccolo teatro fiorentino, chiamato “Il Punto”, dove venivano rappresentate le commedie di autori come Marivaux e Feydeau. Le opere di questi autori mi sembravano, e in effetti lo sono, dei capolavori non solo di umorismo ma anche di intreccio e di perfetto funzionamento delle trame: inevitabilmente decisi di provare a imitarne il metodo. Ecco perché la trama del “Vedovo Allegro” funziona come un ingranaggio in cui una ruota dentata ne mette in moto altre.






Leggendo la commedia ci è sembrato proprio di essere di fronte a personaggi che sembravano usciti da una strip (in particolar modo la marxista donna delle pulizie Cesira, che ci ricorda tanto la moglie di Enrico La Talpa). E anche l’avvicendarsi delle situazioni che sono così fluide, proprio come se si stesse leggendo un fumetto. E’ un caso, o c’è un’interconnessione?
La commedia risale al 1985, e la mia prima storia a fumetti apparve in edicola solo nel 1990. Quindi la mia attività di commediografo (peraltro brevissima) precede quella di sceneggiatore di fumetti (viceversa, ormai ventennale). Dunque, scrivendo “Il vedovo allegro” non avevo ancora fatto esperienza come fumettista e se c’è una relazione è in senso inverso. Diciamo però che l’interconnessione fra le due attività è evidentemente collegata con una mia certa forma mentis che mi rende istintivamente capace di affabulare attraverso scene e immagini. Questo deriva sia dalle mie tante letture fumettistiche sia dalla mia frequentazione con ambienti teatrali, sia pure amatoriali: leggendo molti fumetti e recitando molti copioni ho finito per fare mie, a livello istintivo, certe tecniche. E’ un po’ come chi impara a suonare a orecchio. Va detto inoltre che se nei miei fumetti come nel “Vedovo allegro” tutto scorre in modo fluido e il meccanismo funziona senza intoppi, ciò non significa che all’autore la scrittura sia venuta facile e spontanea. Al contrario, mi sobbarco di una fatica preventiva per smussare i punti di attrito e facilitare la fruizione del lettore o dello spettatore, al quale tutto, poi, dovrà sembrare immediatamente convincente, come se gli eventi scorressero e si concatenassero da soli in modo naturale, mentre dietro c’è un gran lavoro di architettura (che non si deve vedere): il motore si mette in moto e la macchina parte, ma gli ingranaggi girano silenziosi sotto il cofano chiuso. Il fumetto e la commedia non sono forme espressive semplici o banali: vengono fruite, è vero, molto spesso solo per divertimento, ma hanno strutture complesse e richiedono molto lavoro da parte di chi le confeziona. Gli autori colpiscono nel segno se il pubblico si diverte senza percepire il peso della complessità. Riguardo a Cesira, poiché leggevo Lupo Alberto (di cui alcuni anni dopo sono diventato sceneggiatore, realizzando peraltro molte storie con Enrico La Talpa protagonista), può darsi che il nome mi sia stato suggerito proprio dal character di Silver, e l’ho utilizzato dato che è un nome buffo e plebeo (lo stesso motivo, immagino, per cui l’ha scelto Silver). Tuttavia, al di là della capacità di battibeccare che contraddistingue i due personaggi, non ci sono altri punti di contatto, credo. Cesira è nata dalla necessità di aumentare il grado di difficoltà degli ostacoli posti davanti ad Aldobrando: dopo il problema di evitare il nuovo matrimonio, quello di non farsi riconoscere da Arduino Bigotti come autore degli scherzi al cardinale, quello di continuare a giocare ai cavalli e a bisbocciare con gli amici, quello di non farsi scoprire le letture licenziose, la trovata della donna delle pulizie socialista mi parve una buona idea. Conoscevo poi persone reali pronte a dire, nella vita di tutti i giorni, le stesse battute di Cesira. La Toscana, si sa, è terra di bandiere rosse e il Partito Comunista Italiano nacque a Livorno. Lungi da me, tuttavia, l’intento di fare politica in una qualunque delle mie opere: me ne guardo da sempre. Tant’è vero che Cesira si dichiara “socialista”, alla vecchia maniera, e la sua fede marxista mi interessa solo come dato caratteriale o, se vogliamo, antropologico, al pari della “cattolicità” di Rebecca.