mercoledì 27 settembre 2017

IL LAMENTO DEL SERPENTE






Ascoltate brava gente
il lamento del serpente!
Incomincio il mio cantare
con accenti di mestizia
perché voglio qui accusare
un’orribile ingiustizia.
Otto zampe ha un certo ragno
e ne ha quattro il grosso bue,
tutti gli altri, e qui mi lagno,
come minimo ne han due.
La natura è molto stramba,
capricciosa come vedi:
io non ho neanche una gamba
e ne ha mille il millepiedi!


Questa strepitosa filastrocca è opera di Sergio Bonelli, che la mise in bocca a Cico sul n° 44 di Zagor. Mi sono permesso di citarla perché vorrei qui di seguito rispondere con qualche argomento ai lamenti di coloro che, dicendo “e qui mi lagno” scrivono per denunciare ogni sorta di “orribile ingiustizia” con strazianti “accenti di mestizia”, riguardo le malefatte ai danni dei collezionisti. Mi sono permesso di appuntare, su alcuni cahiers de doléances, le rimostranze che mi sono state esternate più di recente. 

Prima di farlo, però, vorrei premettere ciò che Sergio Bonelli scrisse rispondendo a una delle ultime interviste da lui rilasciate, pubblicata su un numero di SCLS Magazine: “Secondo me avete tutto il diritto di pretendere che il personaggio o le sue avventure rispettino la tradizione, senza rinunciare a qualche leggero cambiamento moderno; non approvo, invece, l’accanimento con cui si difende un antico bollino oppure la tradizionale posizione del logo. Il collezionista, in genere, è una figura che mi affascina, e che rispetto, ma sulla quale non sono mai riuscito ad esprimere un parere definito: ne invidio la pazienza che io non riuscirei mai a imitare, ne invidio anche la costanza che li spinge a completare la loro ricerca, ma dissento dal cinismo che li spinge a considerare un albo come un oggetto, come un numero e non come un’opera destinata alla lettura. Anch’io mi sono sentito definire collezionista due o tre volte nella vita ma in seguito mi sono reso conto di non meritare quella qualifica: tutto sommato acquisto soltanto quegli oggetti in cui mi capita di imbattermi casualmente e non avverto il minimo stimolo per impegnarmi in una ricerca vera e propria. Con i fumetti però mi comporto diversamente specialmente quando inizio la collezione acquistando il primo numero; in quel caso so essere fedele, ma trovo il piacere non tanto nel possesso quanto nella rilettura di tanto in tanto delle storie”.

Questo come viatico. Ecco dunque quel che mi viene scritto.

Sono davvero deluso da quello che sta succedendo. Non abbiamo bisogno di gadget che sciupano le copertine o di doppie uscite. Vogliamo Zagor e Tex nel loro sacro formato. I tempi del mitico Sergio sono palesemente cambiati. 

La realtà Bonelli è in fieri e in divenire: il piccolo gruppo di responsabili (del quale io non faccio parte) sta cercando, con coraggio (visti gli investimenti fatti e le difficoltà del mercato), di traghettare la Casa editrice dalla sola produzione di albi da edicola verso la dimensione di media company attiva su più fronti. I cambiamenti fatti tentando di produrre cose nuove con un diverso formato servono appunto a intercettare i gusti dei nuovi lettori, per scoprire nuove strade da battere visto che quelle di un tempo sono problematiche. Il calo drastico dei fruitori di carta stampata (ma anche di cinema e di musica) distribuita secondo i canali tradizionali impone di reagire. Trovo ingiusto dire “Sergio Bonelli non avrebbe mai fatto questo, o non avrebbe mai fatto quello” perché di fronte ai cambiamenti del mercato anche lui tentò tutte le strade producendo riviste d’autore, di enigmistica, umoristiche, cartonati, miniserie e chi più ne ha più ne metta. Anche Sergio ha puntato su formule nuove e su nuovi autori, come furono a suo tempo Berardi & Milazzo o Luca Enoch. I nostalgici come me e come te (ammesso che tu lo sia) cercheranno di ritagliarsi un loro spazio con quel che ancora è fatto su loro misura, se proprio non riescono a farsi piacere le novità (cosa che non sarebbe male, visto che è sbagliato anche non essere aperti alle nuove proposte).

Basta con i vocaboli inglesi! Detesto una scritta sul mitico bollino bianco "Italy only" che non ha nessun senso giacché l'albo viene venduto in Italia. L' Astorina indica "solo per l'Italia"

“Italy only”, una dicitura che non ho scelto io e che non mi importa di difendere, mi pare uno slogan chiarissimo anche per chi non conosce l’inglese ed ha il merito di essere breve, essenziale e comprensibile ovunque. In realtà serve appunto per le copie vendute all’estero, nelle edicole degli aeroporti o negli shop on line. Se uno straniero compra on line un nostro fumetto deve sapere che il prezzo indicato vale solo per l’Italia e che passando il confine può cambiare. Non mi pare che per una scritta microscopica in copertina ci sia da farne un caso. Io non mi ero neppure accorto che ci fosse. L'Astorina fa bene a fare come crede, naturalmente, e a far felici i suoi acquirenti con la dicitura in italiano.

Perché i mitici Almanacchi (una parola che racchiude tutta la passione dei lettori) sono diventati "Magazine"? Ormai tutte le uscite recano la dicitura in un onnipresente e fastidioso inglese (color, magazine, dark novels, variant cover, classic, ecc..) 

Premesso che il fastidio è soggettivo, si vedono scritte in inglese dovunque e si tratta di quotidianità e di uso comune. Il mio parere personale è che “almanacco” sia una parola desueta (ricorda perfino il venditore di almanacchi di Leopardi) e che “magazine” sia il termine più usato in generale e dunque è sempre bene parlare come si mangia. “Variant cover” è una espressione che si usa in tutto il mondo, come “cosplayer” o “color”, non vedo la difficoltà nel chiamare una cosa come tutti la chiamano. Se uno usasse “copertina alternativa” invece di “variant cover” ci sarebbero più perplessità e tutti se ne chiederebbero il perché. Non mi sembra sbagliato che una Casa editrice usi le parole che si usano di solito in certi casi. Se poi uno ha l’idiosincrasia per l’uso della parola “color” invece di “colore”, mi sembra un piccolo problema personale, de gustibus non disputandum est, chi ne soffre potrà facilmente soprassedere. In ogni caso, se proprio non si tollera, non si può neppure pretendere che gli altri parlino così come vorremmo noi. Sergio Bonelli non odiava affatto l’inglese, al punto da aver chiamato la sua Casa editrice, per anni, “Daim Press” (“press” è la parola inglese per “stampa”).

Orribili gli Speciali di Martin Mystére con quarta di copertina al contrario come in Giappone!

Castelli è abituato a fare giochi e sperimentazioni, se si ama Castelli si accettano i suoi giochi di prestigio. La quarta di copertina al contrario non è come in Giappone (se no dovresti leggerlo al contrario senza ribaltarlo) ma come si usa nel caso dei “flip book”, è un tipo di albo-gioco occidentalissimo. Non ci vedo niente di intollerabile: se proprio uno non tollera, non lo compra.

Intollerabili gli speciali di Cico con la modifica del mitico formato Bonelli e riduzione delle pagine che permette di pubblicare meno tavole. Quindi meno tavole, meno lavoro, stesso prezzo. 

Gli albi di Cico (quelli della miniserie “Cico a spasso nel tempo”) hanno un formato sperimentale che va incontro al pubblico che ha sempre meno tempo per leggere e chiede (sondaggi di mercato) storie più brevi. Il “mitico” formato Bonelli non ha più il successo di una volta perché il pubblico cambia gusti e si devono per forza tentare altre strade. Fare una mini di Cico alla vecchia maniera avrebbe forse venduto x, con il nuovo formato che va a pescare verso lettori nuovi (magari incuriositi dal formato o dal colore) si spera di vendere x + 1.  Il discorso delle meno tavole allo stesso prezzo è sbagliato e ingiusto: le meno tavole sono a colori, dunque costano molto di più in produzione, e se il prezzo rimane lo stesso dell’albo Zenith vuol dire che è un affare. In ogni caso stiamo parlando di tre euro e cinquanta, il costo di un gelato. Lamentarsi di fronte a cifre minime di questo tipo è davvero strano e chi lavora a realizzare un prodotto di qualità venduto a così poco si sente davvero scoraggiato.

Non è sfuggito a nessuno come per la miniserie di Cico si sia sfruttata la registrazione al Tribunale di Milano dello Zagorone, non più in produzione, tanto che il numero 1 dello Speciale Cico "A spasso nel Tempo" in realtà è lo Zagor albo gigante numero 5. Lo stesso dicasi per le tante piccole testate che vengono inserite nella registrazione dei "romanzi a fumetti". Insomma collezioni letteralmente sfasate.

Che c’entra la registrazione in tribunale con le collezioni? Collezioni “letteralmente" sfasate perché una cosa esce con una scritta microscopica nel tamburino diversa da un’altra? Davvero non capisco. Eppure sono un collezionista anch’io. Ho sempre visto uscire in edicola albi pubblicati come supplementi di altre o sfruttando registrazioni preesistenti atte all’uopo. E’ una consuetudine pluridecennale di tutte le Case editrici.

Le nuove vesti grafiche bonelliane sono prone al dettato americano (quello delle graphic novels), che da quanto ho capito, vedi Morgan Lost, piano piano invaderà la casa editrice e si sostituirà al mitico formato Bonelli. A proposito mai visto in vita mia ripudiare un proprio stile rodato, tra l'altro copiato e riconosciuto universalmente come il migliore (è infatti oggettivamente più bello e più collezionabile).

Le vesti grafiche non sono prone al formato americano ma seguono i gusti del pubblico. Se un formato non funziona, si cambia: in Italia, in Francia, negli USA, dovunque. E dovunque si fanno esperimenti. Sergio stesso ne fece tanti: “Un uomo un’avventura”, “Bella & Bronco”, “Dottor Beruscus”, i Maxi, gli almanacchi, le miniserie, eccetera. Se un fumetto in un formato vende più che in un altro, dovrebbe essere visto come un bene e non come un male. Se poi a uno un formato non piace, se ne tiene lontano. Nessun ripudio del formato tradizionale comunque (Tex, Zagor restano nel classico albo) ma affiancamento con altri formati per vedere cosa va meglio come vendite. Perfino la striscia (collezionabilissima) venne sostituita dall’albo gigante. E perché il Texone (formato innovativo), deve andar bene e Morgan Lost (formato classico Bonelli) no? Liberi tutti, peraltro, di acquistare l’uno o l’altro o tutti e due.

Che brutta la variazione della costola del Maxi Zagor! Rovinate la bellezza della sequenza monocolore in costola che tanto amano i collezionisti.

Qual è il problema nella costola variata del Maxi Zagor? Stesso formato, steso disegno che dalla cover slitta in costolina. Tutte e grafiche di copertina si rinnovano, da sempre, negli Oscar Mondadori come in Urania, nelle riviste come nelle collane di libri. Se una grafica invecchia e perde colpi (lettori) si cerca di rinnovarla. Peraltro, le collezioni sono anche più colorate e gradevoli se cambiano in po’ negli scaffali. Che brutti casomai gli scaffali chilometrici con copertine tutte uguali. Non è che per forza si debbano apprezzare i cambiamenti, però cercare di capire che cambiare è inevitabile si può fare.

Basta con le doppie uscite e commistione con copertine diverse delle testate Dylan Dog e Dampyr. In altre parole costringere il singolo collezionista di uno dei due a comperare ben quattro albi. 

Nessuno è costretto a comprare nulla. Compra chi vuole. Di solito sono i collezionisti che chiedono queste cose trovandole divertenti e quando non le si fanno ci se ne lamenta. Se no sarebbe come dire che facendo un album di figurine si costringono i collezionisti a comprare un sacco di bustine con un sacco di doppioni: fa parte del gioco. Chi non lo apprezza, può non giocare. Non è obbligo avere le variant: chi legge solo Dylan Dog può comprare il solito unico albo e leggere Dampyr sul banco della fumetteria.

I gadget sono poco graditi perché non facenti parte della tradizione Bonelli e soprattutto perché deturpanti le condizioni dell'albo. Vi siete mai fatti questa domanda in redazione? Sapete che un gadget in prima di copertina può danneggiare la stessa? Sapete quanto ci tenga un collezionista a che l'albo sia integro? Non sarebbe stato meglio, come aveva fatto in passato il mitico Sergio Bonelli, inserire un poster leggibile? 

Per anni i lettori si sono lamentati del fatto che non ci fossero gadget. Quelli allegati agli albi, peraltro, sono in regalo (agendina, carte da gioco). Chi non li vuole, li butta via: sono gratis. “Poco graditi”, poi, a chi? Io ho parlato con cento persone e tutti hanno gradito. Se una minoranza non gradisce, pazienza, non si può accontentare tutti. La tradizione non prevede gadget? La tradizione non prevedeva neppure il colore ma i tempi (e il mercato) lo impongono. Se i gadget fanno vendere qualche copia in più e i fumetti continuano a uscire, sarà un vantaggio anche per chi i gadget (non si sa perché) non li sopporta. I collezionisti, comunque, ne dovrebbero andar matti per definizione (i gadget sono oggetti da collezione). In che modo un piccolo bloc notes nel cellophane possa sciupare una copertina, resta un mistero. Credo che in ogni caso valga la regola che se un albo è danneggiato l'edicolante lo può sostituire. Oppure lo fa direttamente la Casa editrice.

La rubrica "I tamburi di darkwood" si è trasformata in un lungo spot commerciale, non una missiva, un'analisi…

 “I tamburi di Darkwood” parlano di tutto ciò che c’è da sapere riguardo al comicdom zagoriano. Se degli appassionati fanno una rivista dedicata allo Spirito con la Scure, o esce un gioco da tavolo darkwoodiano, o viene pubblicato un classico nolittiano in libreria, non lo si deve far sapere? Se non lo si dice lì, dove lo si deve dire? Anzi, i lettori saranno interessati a essere informati. I collezionisti vorranno sapere se ci sono novità da collezione. Non vedo di che cosa si dovrebbe parlare in una rubrica del genere, se non di questo. Del tempo? Di calcio? Di politica? In ogni caso la rubrica precedente si chiamava “Postaaaa!”, e la faceva Sergio; questa ha un altro nome e dunque avrà altre caratteristiche, dato che Sergio non c’è più. La Posta non arriva più perché ci sono le pagine Facebook, i gruppi su internet e i forum: i dibattiti zagoriani avvengono lì. Le analisi le facciamo, per esempio, su questo blog (le stiamo facendo anche adesso). Chi non apprezza “I tamburi di Darkwood” non avrà problema a saltare a piè pari quella pagina. Insomma, basta vedere le cose con uno spirito più positivo.



sabato 23 settembre 2017

I RACCONTI DI DARKWOOD


E' in edicola da qualche giorno il Maxi Zagor n° 31 intitolato “I racconti di Darkwood” distribuito in edicola a partire dal 20 settembre. Si tratta del primo esperimento per un format che potrebbe venire periodicamente replicato nel caso in cui dovesse riscuotere il  favore dei lettori: abbiamo infatti con una storia di 98 pagine che farà da “cornice” a cinque storie brevi(ciascuna di una quarantina di tavole) che vengono raccontate dai personaggi della vicenda principale. Quindi non un racconto unico, ma sei. 

Dell'esperimento, che potrebbe essere adatto per far conoscere Zagor anche a chi non lo ha mai letto, ho parlato in una mia intervista sul sito Bonelli:

La mezzatinta di Marcello Mangiantini
I disegnatori hanno avuto la possibilità di esprimersi liberamente con tecniche anche diverse dal solito (pur nel rispetto della tradizionale leggibilità): c’è chi ha usato la mezzatinta, come Marcello Mangiantini, chi ha impostato tavole libere dalla consueta “gabbia” di tre strisce, come Gianni Sedioli. Uno scrittore zagoriano di lunga data, Luigi Mignacco, si è cimentato con una sceneggiatura dal montaggio insolito. 

Abbiamo però sceneggiatori “ospiti” come Marcello Toninelli, che torna dopo trent’anni a chiudere i fili di una vicenda lasciata in sospeso quando era lui il titolare della serie (quella del pellerossa Banack co-protagonista con lo Spirito con la Scure dell’albo “Il battello degli uomini perduti”), ma anche come Paolo Di Orazio, scrittore horror, padre dello splatterpunk italiano, e come Gabriella Contu, già sceneggiatrice di Dylan Dog, la prima donna a scrivere Zagor. Ma c'è anche Lola Airaghi, tra le più apprezzate autrici di Brendon e Morgan Lost, che invece è la prima donna a disegnare il Re di Darkwood. Un altro elemento di curiosità è costituito da due disegnatori avuti in prestito da Nathan Never, interessanti da vedere alla prova su Zagor: Romeo Toffanetti e Dante Bastianoni. La “cornice” de “I racconti di Darkwood”, opera del sottoscritto e di un sempre più bravo Raffaele Della Monica, è quanto più di tradizionale e rassicurante si possa immaginare, così da far spiccare la diversità delle storie brevi, racconti nel racconto-


Perché delle short stories al posto del classico Maxi con una storia unica?  Potrei cavarmela tirando in ballo la mia passione per i racconti brevi (con una preferenza per quelli fulminanti) di scrittori come Isaac Asimov, Ray Bradbury o Roald Dahl, ma anche Jack London o Ambrose Bierce, o più accademicamente quotati quali Raymond Carver o Luigi Pirandello. Esiste, insomma, tutta una produzione letteraria di novelle e short stories ingiustamente meno considerata di quella dei romanzi. Io stesso sono autore di molti racconti scritti nel corso degli anni, una trentina dei quali sono stati raccolti di recente in una antologia intitolata “Dall’altra parte”. Sono sempre stato un cultore della minima lunghezza anche in campo fumettistico, apprezzando molto sia i “liberi” pubblicati su riviste come Intrepido o Il Monello, sia gli episodi di serie quali Larry Yuma su Il Giornalino o Dago su Lanciostory. Tuttavia non sono stati i miei gusti personali ad avermi spinto a sperimentare la “breve distanza” anche nelle storie di Zagor. 


L’input mi è venuto leggendo con particolare piacere le avventure  brevi di Tex e di Dylan Dog pubblicati sui Color delle due testate, quelli destinati a raccogliere racconti di sole trentadue pagine. In particolare, se Tex poteva essere protagonista di plot così fulminanti (lui solito a dar vita a vicende destinate a dipanarsi su centinaia di tavole), perché mai Zagor non avrebbe potuto fare altrettanto? Dopo essermi cimentato io personalmente con la sceneggiatura di alcune short stories di Aquila della Notte, mi è sembrato stimolante provare a fare altrettanto con lo Spirito con la Scure, e mi è venuta voglia di vedere che cosa poteva venir fuori chiedendo ad altri sceneggiatori di cimentarsi nella medesima impresa. Impresa non facile, visto che anche il re di Darkwood, al pari del Ranger bonelliano, vive solitamente avventure scandite da ritmi più lenti e distribuite su più albi. Tuttavia la tradizione zagoriana ha sempre privilegiato le storie lunghe e non esisteva una collana dove poter compiere l’esperimento (né mi sembrava il caso di crearla apposta, soltanto per pochi racconti). Così ho pensato ai Maxi e ho trovato il modo di non scontentare i lettori legati all’avventura lunga, inserendone cinque brevi in una cornice-contenitore di 98 tavole rassicurante e tradizionale. E’ una sorta di quadratura del cerchio: sia gli amanti della consuetudine che quelli delle innovazioni troveranno pane per i loro denti.

Lo Zagor di Lola Airaghi

A parte Mignacco, Mangiantini e Sedioli, gli altri autori vengono da esperienze extra-zagoriane. Ho pensato che invitare altri scrittori, e coinvolgere anche disegnatori esterni allo staff, avrebbe soddisfatto pure la curiosità di vedere mani e stili diversi alle prese con l’eroe dalla casacca rossa.  Perché proprio loro? A Lola ci tenevo dopo aver realizzato con lei la sexy indianina Occhi di Cielo le cui tavole apparvero anni fa su Dime Press, e dopo averla vista disegnare efficacissime pin up zagoriane nel corso di mostre e manifestazioni (cosa che l’ha resa una vera beniamina dei frequentatori di forum e gruppi internettiani dedicati all’eroe di Darkwood).  Qui sotto vedete proprio Occhi di Cielo che legge la mano dello Spirito con la Scure (e chissà che prima o poi la sciamana mia e di Lola possa apparire in volume).


Lola Airaghi: Zagor e Occhi di Cielo.
A Romeo Toffanetti sono arrivato cercando un illustratore adatto per il racconto di Toninelli, e ho scoperto che aveva una antica passione per lo Spirito con la Scure. 

Ecco un articolo dedicato a Romeo e al suo debutto zagoriano dal "Piccolo" di Triste, la città dove vive (lui che comunque è nato a Buenos Aires):

Gli altri autori di testi e di disegni si sono presentati spontaneamente perché cultori del personaggio fin da giovanissimi e con il sogno di realizzarne almeno una avventura. Sono tanti, quelli che si propongono sull’onda del medesimo entusiasmo e per lo stesso motivo: ho selezionato i migliori (quelli presenti nel Maxi di settembre e altri che compariranno in futuro) sulla base della qualità delle proposte e della loro aderenza all’universo zagoriano.




Anche nel caso di Marcello Toninelli è stato lui a proporsi. Gli avrebbe fatto piacere, mi ha detto, saldare un vecchio debito in sospeso con i lettori: la promessa, implicita in un dialogo in una sua vecchia storia, di raccontare gli antefatti dell’amicizia fra Zagor e il pellerossa Banack. Si tratta del personaggio coprotagonista con lo Spirito con la Scure dell’albo “Il battello degli uomini perduti”, là dove si accenna ad avventure vissute insieme a lui prima che questi incontrasse Cico. Ho offerto a Toninelli uno spazio subito disponibile ne “I racconti di Darkwood” e lui, nonostante si trattasse di sole quaranta pagine, è riuscito a farci stare tutto. Un vero professionista. Non ho dovuto (quasi) indirizzarlo in alcun modo. 

Ecco che cosa scrive Marcello nel suo blog "Io e Dante": http://ioedante.blogspot.it/2017/09/il-ritorno-di-banack.html


Tavola di Romeo Toffanetti
Tavola di Raffaele Della Monica
Ho suggerito agli autori di utilizzare tecniche diverse dal solito, sia nella sceneggiatura che nella realizzazione grafica, e di osare perfino “scardinare” la tradizionale “gabbia” bonelliana su tre strisce (pur rispettando il presupposto fondamentale della perfetta leggibilità), nel caso ce ne fosse stato bisogno per rendere più emozionanti le sequenze. Così, anche gli illustratori Mangiantini e Sedioli, che fanno parte dello staff zagoriano, hanno sperimentato modi diversi di esprimersi, il primo ricorrendo alla mezzatinta e il secondo testando una impaginazione all’americana. Allo stesso modo lo sceneggiatore Luigi Mignacco, veterano nella scrittura dello Spirito con la Scure, ha formato una storia con ritmi e strutture fuori dall’ordinario. I cinque racconti brevi hanno tutti qualcosa di insolito, mentre la “cornice” narrativa che li contiene, scritta da me e illustrata dal veterano Raffaele Della Monica, peraltro leggibile di per sé, riporta tutto nell’alveo della tradizione e consente una sintesi centripeta.

Alla base della storia che fa da “cornice” c’è l’incontro, molto rocambolesco, fra Zagor e un viaggiatore proveniente dall’Est che dice di avere un messaggio per lui: una lettera inviatagli dal carcere di un suo vecchio nemico. Questo nemico in realtà non si vede mai, se non in flashback, ma è quasi palpabile la sua presenza sulla scena. Per questo non è un “ritorno” vero e proprio ma un richiamo alla ribalta, per un villain davvero originale ideato da Guido Nolitta, mai riportato sotto i riflettori prima di adesso. Sono convinto che ai lettori piacerà sentirne di nuovo parlare.





mercoledì 13 settembre 2017

POZZO SPIEGARE



Nel preparare dei testi per gli ultimi volumi della Collezione Storica di Repubblica sono andato a rileggere gli articoli da me pubblicati su questo blog all'epoca della trasferta sudamericana e mi sono stupito nel vedere quanto mi sia affannato a rispondere punto per punto, con argomenti che potrebbero sembrare persino ovvii, alle critiche di certi detrattori particolarmente ottusi. Per esempio: c'era chi contestava il fatto che nella base delle Amazzoni in Amazzonia si vedesse un "telecomando", scrivendo: "un telecomando su Zagor? Ma siamo matti?". Mi è stato gioco facile far notare come nella copertina di "Minaccia dallo spazio" (una classico nolittiano) compaiono del missili telecomandati, e che proprio in quella storia lo Spirito con la Scure uccide i soldati al servizio di Hellingen premendo dei tasti che danno scattare (a distanza) delle scariche elettriche dalle cinture.  Mi convinco sempre di più che spiegare e rispondere è sostanzialmente inutile, perché anche di fronte all'evidenza il detrattore pregiudiziale non è mai ragionevole. Uno si aspetta che se una certa obiezione  viene smontata con un ricco armamentario di argomenti, chi l'ha sollevata ne riconosca l'infondatezza. Macché.

Tutto ciò mi ha spinto a recuperare la mia lunga risposta a una delle consuete interviste via e-mail a cui Luca Raffaelli mi sottopone per commentare le storie a mia firma ristampate appunto da Repubblica. In questa risposta tratto appunto del fenomeno dei commenti on line alle storie del Re di Darkwood. Il testo si riferisce all'avventura "Oscure presenze" (Zagor 473, del dicembre 2004). Ecco quel che ho scritto a Raffaelli, e che Luca ha pubblicato fatta la dovuta sintesi.


Di "Oscure presenze" ricordo soprattutto i miei tentativi di convincere una parte dei lettori che commentavano le storie sui forum in Rete della sostanziale accettabilità di alcuni particolari, a mio avviso del tutto marginali, su cui, eppure, si sbizzarrivano le elucubrazioni di chi voleva a tutti i costi trovare il pelo nell'uovo. Questo fenomeno era, all'epoca, abbastanza nuovo.  Per anni e anni chi leggeva i fumetti chiedeva soltanto,  in fondo, di venire coinvolto in un racconto emozionante e di divertirsi. Non si stava a spaccare il capello in quattro.

Invece, con il diffondersi dei "commenti da social" in cui chiunque poteva dilungarsi in commenti estemporanei, sulla base dell'umore del momento, o del desiderio di esercitare un particolare spirito polemico per una malintesa forma di autoaffermazione o per acquisire attenzioni e notorietà altrove negate, le cose cambiavano. Da un lato, gli autori potevano avere un immediato feedback sull'apprezzamento dei loro lavoro, dall'altro però questo riscontro era contraddittorio perché in Rete si poteva trovare tutto e il contrario di tutto, con opinioni divergenti (ma con i detrattori sempre più scatenati dei soddisfatti).

Se in precedenza si aveva a che fare con giudizi critici espressi da persone selezionate e filtrate dalla minore immediatezza della pubblicazione su carta stampata, o scritti su lettere inviate per posta e dunque ponderate da chi doveva prendere carta e penna, con l'avvento dei social e della recensione immediata, gli autori si trovavano a fare i conti con un turbinare di pareri di tutti i generi, alcuni anche decisamente infondati, tra i quali era difficile distinguere la critica ragionevole, di cui tener conto, da centinaia o migliaia di commenti in grado solo di lasciare perplessi. Inoltre, era impossibile capire se il parere della Rete (positivo o negativo che fosse, e comunque basato anche su facili entusiasmi o feroci avversioni, oltre che soggetto alle suggestioni degli "influencer") corrispondeva a quello della "maggioranza silenziosa" dei lettori tradizionali, non usi a frequentare i forum ma abituati a leggere il proprio albo senza bisogno di confrontarsi con altri appassionati. Il problema è complicato e approfondirlo porterebbe via troppo tempo, prestandosi anche a malintesi e fraintendimenti.

Basterà dire che all'epoca del "Villaggio del mistero" mi trovai, con mia grande sorpresa, a dover difendere l'idea del pozzo in cui i cajun avevano gettato i cadaveri degli abitanti del villaggio. Secondo me, una "fossa comune" del genere avrebbe potuto essere apprezzata come un elemento horror spaventoso a vedersi, punto e basta. Nei fumetti cerchiamo sempre di inserire scene che colpiscano l'immaginazione dei lettori, "belle da vedere" anche se orride (come la vignetta con il prete impiccato). Invece, con mia grande sorpresa, in Rete ci fu chi si prese la briga di sbizzarrirsi nel contestare il fatto che i miasmi dei corpi in decomposizione avrebbero dovuto rendere l'aria talmente irrespirabile da far scoprire subito la sorte dei primi abitatori di Nuova Sulina. Su questo particolare fu imbastita una polemica che non finiva più, cosa che a pensarci bene è persino divertente.

Ricordo che, un po' perplesso, mi affannai a rispondere punto per punto tirando in ballo il fatto che in una palude piena di miasmi per conto suo non era come sentire odore di marcio in un salotto di casa, che in ogni caso il tempo trascorso dalle uccisioni poteva aver mummificato i cadaveri, oppure che, al contrario, l'umidità del delta del Mississippi (chissà quale ne è la composizione chimica) poteva aver decomposto i corpi in modo diverso e più veloce, oppure che la particolare conformazione del pozzo non favoriva le esalazioni che potevano essersi sfogate in altri modi. La cosa buffa è che in una storia basata sui fantasmi e i fenomeni di poltergeist (accettati senza battere ciglio) si andasse a contestare una faccenda di cattivi odori, e su quella venisse ingaggiata una battaglia fra lettori pro e contro. Naturalmente le mie puntualizzazioni, per quanto garbate e articolate, non convinsero nessuno dei detrattori, com'era inevitabile visto che si trattava di questioni di lana caprina. 

C'è da notare che spesso i detrattori contestano quello che viene definito lo "spiegazionismo", cioè la tendenza (che deriva da una precisa scelta di Sergio Bonelli, da lui persino rivendicata con orgoglio) a fornire spiegazioni tese a non lasciare punti oscuri in modo che il lettore non debba faticare per venire a capo dei perché e dei percome, mentre in altri casi gli stessi ipercritici contestano la mancanza di spiegazioni su particolari che, tutto sommato, su cui si potrebbe benissimo sorvolare. In fin dei conti, in un passaggio come quello incriminato il dato di fatto era che dei morti nel pozzo in un primo momento nessuno si era accorto: è davvero necessario spiegare perché? Ecco, ai tempi di Guido Nolitta certamente queste discussioni non si facevano, e altrettanto certamente se al vaglio del medesimo spirito ipercritico di certi forum fossero state passati i capolavoro dell'epoca d'oro zagoriana non ne sarebbero usciti indenni neppure quelli. Tutto questo mio discorso vuole solo sottolineare come, da un certo momento in poi, anche Zagor venne coinvolto nel calderone dei dibattiti in Rete. Per un po' di tempo cercai di rispondere puntualmente e di spiegare il mio punto di vista rispetto a questioni di questo tenore che venivano sollevate di numero in numero, poi decisi che era meglio lasciar perdere: in fondo, anche i commenti polemici in Rete sono un divertimento che tiene desta l'attenzione e questo è decisamente un bene.

giovedì 7 settembre 2017

TENTACOLI!






E’ in edicola da qualche giorno il n° 677 della collana Zenith, corrispondente al n° 626 di Zagor, dal titolo “Tentacoli!”. La copertina è opera di Alessandro Piccinelli, i disegni sono di Marco Verni, il testo è mio. Si tratta della prima parte di una storia in due albi destinata a concludersi il mese successivo con un albo intitolato “Saddle Town”. A parte i complimenti miei personali al sempre più bravo Piccinelli e al sempre più ferriano Verni (una colonna e una garanzia), non ho molto da dire sull’avventura un po’ horror, un po’ misteriosa, un po’ d’antan perché, come al solito, vorrei rimandare i commenti a vicenda conclusa (dunque più o meno fra trenta giorni). Anticipo soltanto una osservazione sul fatto che una storia volutamente (e spero gradevolmente) retrò, se si vuole anche da B-Movie, sia stata introdotta da uno sketch di Cico lungo trentaquattro pagine.

Come gli zagoriani di vecchia data sicuramente hanno ben capito, c’è, in questa scelta, il ricordo delle gag scritte da quel maestro anche della risata che era Guido Nolitta.  Basta infatti contare le pagine che Nolitta dedica allo sketch di Cico con cui si apre l’avventura “Sandy River”, per rendersi conto di quanto siano lunghi ed elaborati i “siparietti” comici che lo sceneggiatore dedicava, spesso e volentieri, al suo buffo messicano: l’esilarante scenetta della “Cupido’s House” dura la bellezza di trentotto tavole. Nell’economia di un albo della collana regolare, che ne contiene in tutto novantaquattro, si tratta di parte consistente. Tutte le più classiche avventure dello Spirito con la Scure cominciano con dieci, venti, trenta, persino cinquanta tavole completamente dedicate allo sviluppo delle “comiche” del simpatico Felipe Cayetano Lopez Martinez y Gonzales. Cinquanta pagine è appunto il record raggiunto nell’albo n° 158, “Delitto a bordo”: tanto dura lo sketch di Cico e Trampy con il quiz “Indovinala grillo”. Addirittura un intero albetto a striscia, il n° 44 della quarta serie, intitolato “Un eroe ritorna”, è completamente dedicato a Cico e Zagor non vi compare praticamente mai. 



Eppure, nella pagina FB di Zagor un lettore (evidentemente neofita o sprovveduto) scrive quanto segue:

In nel numero di settembre vi siete persi con molte tavole su Cico e la storia "delle corna" in tutto il paese....per me troppo lunga.....se usate questi sistemi per completare un albo non va bene.......si è "scritto" troppo poco sul tema che volevate trattare...nn va bene su Zagor...

Ho risposto così:

Guido Nolitta scriveva gags anche più lunghe ed era una sua caratteristica molto amata e spesso rimpianta: le storie classiche di Zagor cominciano tutte con scenette comiche molto elaborate che non sono mai state considerate un riempitivo.




Per anni ho sentito chiedermi perché erano scomparse dalle pagine dello Spirito con la Scure i lunghi sketches di Cico. Adesso che ne ho scritto uno (perfino più breve degli standard nolittiani) ecco ce c’è chi se ne lamenta: “Nn (sic) va bene su Zagor”. Il lettore si erge a giudice di quel che va bene o non va bene anche contro ogni logica ed evidenza, e niente è più evidente del fatto che le lunghe scenette comiche riservate al messicano erano se non la regola, una consuetudine.

In ogni caso, credo di essere lo sceneggiatore che ha scritto più gags del pancione di tutti, in diciannove Speciali cichiani e in quasi tutte le avventure di Zagor da me scritte. Se altri autori non cicheggiano quanto me, si sappia che non sono io a impedirlo (e magari, visto il commento di cui sopra, hanno ragione loro e fanno bene).


Tuttavia c’è qualcosa di particolare nella gag che apre “Tentacoli!”. Quando nel maggio del 1991 uscì in edicola la mia prima storia di Zagor, il racconto iniziò con trenta pagine in fondo all’albo “I malefici di Diablar” (Zagor n° 310). In quelle trenta pagine c’era praticamente soltanto una gag di Cico, intitolata “Cico rubacuori”. Il seguito dell’avventura, dai toni cuoi e drammatici, si dipanò soltanto nei due albi successivi. Dunque, nel numero del mio debutto trovate soltanto uno sketch da me realizzato cercando di imitare il più possibile lo stile di Nolitta. E chi erano i protagonisti di quello sketch oltre al pancione? Il veterinario dottor Simon Keaton e la bella Emma Hornmaker. Sono sempre rimasto affezionato a questi due personaggi, un po’ perché mi ricordano i miei esordi, un po’ perché la scenetta a cui fanno vita mi è sempre sembrata divertente (e in tanti mi hanno detto che aveva fatto ridere anche loro). Così, volendo festeggiare i miei primi venticinque anni su Zagor, un anno fa ho iniziato a scrivere una gag con il ritorno del dottor Keaton e di Emma. Mi pare che sia divertente anche questa.


venerdì 1 settembre 2017

CICO RIVOLUZIONARIO




E' in edicola il n° 26, datato agosto 2017,  della collana a colori bimestrale dedicata dalle Edizioni If alla riproposta degli albi di Cico in ordine cronologico (quelli originariamente usciti, in bianco e nero, sotto il marchio Bonelli tra la fine degli anni Settanta e il 2007). Si tratta di "Cico rivoluzionario", con testi mie e disegni di Francesco Gamba (copertina di Gallieno Ferri). La prima edizione Bonelli, in bianco e nero, risale al maggio 2006.  

In “Cico Rivoluzionario” Cico racconta un altro pezzo del suo avventuroso passato, tornando con la memoria ai tempi in cui viveva ancora in Messico e sulle montagne si radunavano i guerriglieri decisi a rovesciare il potere costituito. Per uno strano gioco del destino, Cico viene scambiato per un ideologo rivoluzionario chiamato Cisco Mortadelo, e portato nel segretissimo quartier generale della rivolta, sfuggendo alla caccia del colonnello Caroñion,  i cui uomini braccano costantemente i rivoltosi. Ma che accadrebbe se il capo dei ribelli, El Cabezon, scoprisse che Cico non è l’uomo che crede? E che cosa sarebbe di lui se lo arrestassero i soldati? L’albo si riallaccia agli avvenimenti di “Cico esploratore” (2002) e vede il ritorno di un personaggio comparso solo in poche vignette della serie regolare ma mai dimenticato: Arturo il Canguro, visto sul n° 3 della collana, “L’oro del fiume”, e raffigurato in una delle prime copertine della serie a striscia. 


Si tratta di un albo in cui, se proprio si vuole, si può trovare anche un po' di satira politica, rigorosamente anti-ideologica. Mi fa molto sorridere la scena in cui i guerriglieri sono disposti ad andare a combattere rischiando di morire pur di non sentire gli indottrinamenti dell'ideologo rivoluzionario giunto a spiegare i principi della rivoluzione (magari con quelle parolone sulla lotta al sistema della talassocrazia plutocratica decentralizzante - termini scritti a caso dopo tanto averne letti di simili nei volantini ciclostilati che ci davano quelli impegnati in politica all'ingresso del Liceo negli anni Settanta).