venerdì 30 novembre 2012

COS PLAYER





Continuo, come tradizione, a mettere insieme questi articoli con il "coso" nel titolo.  Per chi ancora non le conoscesse, le regole del gioco sono queste: più o meno una volta al mese, raduno in un unico articolo le cose più divertenti o interessanti (testi, immagini e facezie, segnalazioni) pubblicate sul mio “coso” su Facebook.  I testi che seguono hanno il pregio di essere brevi e scollegati fra loro, e dunque si possono leggere solo quelli che hanno il titolo più divertente o l'illustrazione più accattivante.  Questa raccolta riguarda il mese di ottobre 2012. I precedenti potete cercarli cliccando sul link che rimanda di volta in volta a quello prima (nel caso vi interessasse farlo: io ve lo consiglio).L'ultimo articolo-coso pubblicato è stato quello relativo al mese di settembre, intitolato "Niente accade per coso".    




QUANTA FRETTA
1 ottobre. La mattina talvolta mi capita (perché non riesco a cambiare in tempo il canale) di sentire l'oroscopo in TV su Canale 5. Alla fine una voce invita ad abbonarsi a un servizio che manda le previsioni via SMS sul telefonino: "Volete scoprire come andrà la vostra giornata?", chiede. E io immagino di poter rispondere: "Aspettate di arrivare a sera".



PROVACI ANCORA, NICK!
2 ottobre. Nicola Genzianella (Dampyr), molti anni fa, fece anche delle prove per Zagor e Cico. Eccole.





UNA VOLTA QUI ERA TUTTA CAMPAGNA
2 ottobre. Nel mio sforzo di documentazione per la sceneggiatura di "New York", un'avventura di Zagor affidata a Marcello Mangiantini, mi sono fatto una piccola cultura sulla storia di Manhattan. Fra le altre cose, ho ricostruito (anche nel fumetto), la storia del Collect Pound, un laghetto, alimentato da una sorgente, che era collocato là dove in seguito sarebbero sorti i Five Points, più o meno all'incrocio fra Canal Street (chiamata così dal canale costruito per svuotare il lago) e Broadway. Ecco una ricostruzione di come appariva il luogo prima dell'arrivo degli europei.



MISTERI CONDOMINIALI
2 ottobre. Il palazzo di Milano in cui abito è un assolutamente normale, con i corridoi dei vari piani dalle pareti spoglie (chi vuole appendere quadri lo fa nel suo appartamento, ovviamente). Eppure, stasera, del tutto a sorpresa, sul muro davanti alla mia porta, sono comparse queste tre cornici. Chi le abbia messe e perché non saprei.


MI VEDONO COSI'
2 ottobre. La parete interna del mio appartamento milanese con quattro caricature che mi hanno fatto illustri amici disegnatori.


VENDETTA TRASVERSALE
2 ottobre. L'attualità del tragicomico (o forse, tragico e basta) sciopero dei mezzi pubblici oggi a Milano, mi spinge a dire di nuovo una cosa già detta proprio qui, sul "coso", il 14 dicembre scorso. Non vorrei mai essere accusato di avere atteggiamenti antisindacali né sostenere, come alcuni fanno, che ai dipendenti dei servizi di pubblica utilità dovrebbe essere impedito di scioperare. Però, è evidente che bloccando autobus, tram, metropolitane e treni si rovina la giornata a milioni di persone che nulla c'entrano con la vertenza sindacale in atto. Gli scioperi andrebbero fatti contro i datori di lavoro e non sembrare vendette trasversali a danno di terzi. Ogni volta che resto bloccato mi sento ostaggio inerme in una faida tra sconosciuti. Eppure ci sarebbe il modo, per i dipendenti delle aziende di trasporto, di scioperare senza fare vittime innocenti. Basterebbe che scioperassero soltanto gli addetti al controllo dei biglietti: accessi liberi nel metro, nessuna multa per chi viaggia senza biglietto. L'azienda avrebbe un danno, la popolazione sarebbe lieta e solidale con gli scioperanti.


2 ottobre. Chissà se Giuliano Piccininno se la ricorda...


3 ottobre. Come esporre in verticale un libro troppo grosso per qualunque scaffale di qualunque libreria.


5 ottobre. Dall' 11 al 14 ottobre Mauro Laurenti sarà ospite in Macedonia, a Veles, per il 10 Jubilee Comics Festival "Veles 2012" come rappresentante di Zagor e Dampyr. Lì sarà allestita una mostra con le sue tavole e uscirà anche un catalogo di cui vedete qui sopra il disegno per la copertina.



NON C'E' DUE SENZA TRE
5 ottobre. E' ufficiale che il terzo Zagorone si farà (maggio 2013), e sarà disegnato da Gallieno Ferri. Il titolo provvisorio è "La donna venuta dall'Irlanda".



5 ottobre. Un mio "sogno di carta" delle scorse settimane chiedeva alla Disney più Paperinik e meno PK, ed eccomi accontentato! Ho appena trovato in edicola il n° 1 di "Paperinik APPgrade".



5 ottobre. In omaggio dal Kosovo, dove Zagor è molto amato, ecco il catalogo dell'ottava edizione del "Comic book & cartoon Fest", svoltosi a Prizren dall'8 all'11 settembre 2012. L'anno scorso fu ospite Mauro Laurenti, quest'anno sono andati i dampyriani Fabiano Ambu e Alessandro Bocci. Grazie a Gani Sunduri, organizzatore del festival!


SIAMO UOMINI O CAPORALI?
5 ottobre. Sul libro di Vincenzo Mollica dedicato a Totò, c'è anche un disegno di Galep. "Galep, non soltanto Tex", commenta Adriana Roveda (la donna ideale di ogni fumettomane) che mi ha inviato la segnalazione.


MUSICA, MAESTRO
5 ottobre. A due passi dalla Bonelli c'è piazza Buonarroti, su cui si affaccia la Casa di Riposo per Musicisti della Fondazione Verdi. Stasera, un violinista si era messo a suonare il suo strumento sulla terrazza sopra il portone del palazzo e, uscendo dall'ufficio, l'ho sentito esibirsi in melodie struggenti, ipnotiche. Sotto la terrazza, i passanti si fermavano ad ascoltare e in pochi minuti si è creato un folto pubblico, incantato. Se fossi il sindaco di qualcosa (non lo sarò mai, ovviamente), mi inventerei concerti del genere, a sorpresa, qua e là nelle piazze, la sera all'ora in cui la gente torna a casa.


ODORE DI BRUCIATO
6 ottobre. A proposito di tecniche di seduzione, questo weekend sono rimasto a Milano dove la dolce metà è salita a trovarmi, spostandosi lei (una volta tanto). Preparo la casa per fargliela trovare in ordine e accogliente, riempio il frigo, accendo delle candele e brucio un po' di incenso. La fanciulla arriva, annusa l'incenso e dice: "Che cos'è questo odore di scamorza alla griglia?".


6 ottobre. Immagine scattata in Argentina allegata alla sceneggiatura dell'avventura cilena che sto scrivendo. Ecco la vignetta appena finita. Immaginatevi la faccia di Cico.



AMOR D'AROMA
7 ottobre. Mi sono improvvisamente reso conto di come dalla mia vita sia sparito l'odore del caffè. A casa lo faccio con quello solubile, in ufficio c'è la macchinetta, al bar l'aroma non si sente nell'aria e poco anche nella tazza. A diffonderlo era la moka della mamma.



UOMINI E DONNE
7 ottobre. Resto sempre colpito e affascinato dalle differenze di genere. Ieri, ho letto una frase di Bette Davis secondo la quale in giro ci sono tanti maschi, ma pochi uomini. Ecco, secondo me, noi riteniamo che in giro ci siano tante donne, ma poche femmine. Credo che l'ideale siano quelle donne che sanno essere anche femmine, e quei maschi che sanno essere anche uomini.



STORIA DELLE MIE DISGRAZIE
8 ottobre. Storia delle mie disgrazie (aggiornamento periodico). 
Quando, nel gennaio scorso, mi sono trasferito in un nuovo appartamento milanese più vicino alla redazione, mi sono accorto di come il vecchio lettore DVD fosse troppo ingombrante e non ci fosse posto, nella nuova disposizione dei mobili, per piazzarlo sotto o accanto al televisore. Ne serviva uno più piccolo. Così, pochi giorni dopo il trasloco acquistai un modello della giusta misura, il più economico che c'era, lo tolsi dall'imballo e lo misi in un cassetto in attesa di avere il tempo di collegarlo all'apparecchio TV. Com'è, come non è, fino a sabato scorso il tempo non l'ho mai trovato, ma alla fine mi sono deciso a compiere la facilissima operazione. Che ci vuole a collegare un lettore DVD a un televisore? Nulla.
Tiro fuori il lettore dal cassetto e, come prima cosa, mi accorgo che mi serve una prolunga per fare arrivare il cavo di alimentazione fino alla presa della corrente.
Esco, prendo la metro, e in mezz'ora vado da Darty in piazza San Babila e giro mezz'ora cercando la prolunga. Non la trovo. Mi rassegno a chiedere a un commesso (un'altra mezz'ora per riuscire a catturarne uno, di quelli con la maglietta rossa, che scappavano da tutte le parti o venivano acchiappati da altri clienti nascosti in agguato dietro uno scaffale, che sbucavano fuori un attimo prima di me). "Scusi la domanda banale, lo so che adesso lei mi indicherà un espositore qui accanto dove ce ne sono ventimila, ma non trovo le prolunghe".
"Non ne abbiamo".
"Come, non ne avete? Non è un negozio di elettronica e aggeggi elettrici, questo? Non è mica l'Esselunga."
"Abbiamo solo le ciabatte".
"Ah. E dove le trovo, le prolunghe?".
"All'Esselunga".
Tornando a casa, mi fermo all'Esselunga e compro tre cetrioli, il latte fresco e la prolunga.
Attacco il lettore DVD.
Ma, com'è come non è, non trovo il telecomando.
Ci sarà stato, nella scatola del lettore aperta a gennaio, o essendo un modello economico, hanno risparmiato sul telecomando? Oppure, gettando via la scatola avrò gettato anche il telecomando, mimetizzato magari sotto il coperchio o nascosto in un interstizio?
Impossibile saperlo, fatto sta che il telecomando non c'è.
Devo andare a comprarne uno.
Mi segno il modello del lettore DVD, Sony DVP SR 100 e torno da Darty in piazza San Babila. Fatto esperto, tendo un agguato a un addetto con la casacca rossa e lo catturo dopo aver messo KO a gomitate altri due clienti in attesa.
"Vorrei un telecomando per il lettore DVD Sony SR 100".
"Non vendiamo i telecomandi degli specifici modelli. Lei deve..."
"Andare all'Esselunga?"
"No, comprare un telecomando universale che poi, con una semplice operazione di settaggio tramite un codice si collega con qualunque apparecchio".
"Anche con il Sony DVP SR 100?"
"Legga sulla confezione, c'è scritto che è adatto agli apparecchi Sony?"
Leggo. "Sì".
"Allora è adatto anche al suo".
"Ma funziona anche con i lettori DVD o solo con i televisori?"
"Legga sulla confezione, c'é scritto che è adatto per i lettori DVD?"
Leggo. "C'è scritto: DVD".
"Allora è adatto".
Pago e torno a casa.
Apro la confezione del telecomando universale. Servono tre pile che non sono fornite. E sono pile di un tipo stranissimo, mai visto prima, sottilissime e lunghe. Ovviamente in casa ho pile di tutti i tipi, di scorta, ma di quel tipo no.
Esco a vado a comprarle. All'Esselunga.
Prendo i cavolini di bruxelles, lo yogurth ai fichi e le pile.
Torno a casa, metto le pile nel telecomando e leggo le istruzioni per settarlo. Le istruzioni sono scritte in tutte le lingue, ma le pagine contrassegnate con IT devono essere quelle in Ittita, perché il tono più o meno è questo: "programmate il vostro URC premendo il tasto del modo apparecchio desiderato e.g.TV tenendo premuti CH+ et VOL- sul vostro URC simultaneamente per due sec. fino a far accendere la luce. Accendete il vostro apparecchio i.e.TV". Eh?
Alla fine capisco che devo inserire un codice corrispondente alla marca. Normalmente il codice è uno solo, ma per l'appunto la Sony ce ne ha una decina, tutti diversi. Se il primo non funziona, bisogna provare con gli altri ripetendo da capo tutta la trafila. 
Li provo tutti, non ne funziona neppure uno.
Riparto da capo, e non ottengo il minimo risultato.
Poi guardo meglio il telecomando e vedo che non c'è nessun tasto con scritto "play", o con le freccine per andare avanti, andare indietro, saltare, mettere in stand by, fare il fermo indagine. Solo i numeri dei canali e il volume. Per me, quel telecomando è solo per gli apparecchi TV. Decido di buttarlo via e di far funzionare il lettore DVD soltanto con i comandi manuali.
Collego il lettore con la TV con la presa scart.
Inserisco un DVD nel lettore. Premo "play". Il lettore parte, i numerini scorrono, tutto sembra funzionare, tranne il fatto che sullo schermo del televisore non si vede una mazza.
Provo tutti i tasti del telecomando, nulla.
Quando il televisore è in modalità EXT, compare una scritta che dice: nessun segnale.
Come nessun segnale, figlio d'un cane? Sei attaccato a un lettore DVD in funzione!
Nessun segnale.
Giro e rigiro la presa scart. Nulla.
Mi decido a leggere il voluminoso manuale del televisore, grosso come un elenco del telefono. Lo leggo così attentamente che potrei farne la recensione su Anobii. Faccio tutto quello che c'è da fare, eseguo alla lettera ogni istruzione, anzi, già che ci sono do anche un'aggiustatina al motore, regolo il minimo, cambio l'olio e pulisco le candele, ma per il mio Samsung il lettore Sony sembra non esistere. "Segnale assente".
Forse devo comprare un cavo scart nuovo?
E se sì, dove vado?
All'Esselunga o da Darty?


IL TEMPO CHE CI VUOLE
8 ottobre. Tutte le settimane, quando da Viareggio salgo a Milano di pomeriggio, prendo sempre lo stesso treno, un Frecciabianca che arriva da Roma. E ogni volta il treno arriva in ritardo di mezz'ora. In questo momento, per esempio, scrivo da sotto un altoparlante che annuncia trenta minuti di attesa in piú per "ritardo nella preparazione del treno". Ora, se per preparare un treno i vuole del tempo, mi sta bene: prendetevi tutto il tempo che ci vuole. Quel che mi inquieta é il fatto che del tempo necessario dovrebbe essere tenuto conto nella compilazione degli orari. È inutile farmi arrivare in stazione alle 15.15 per poi farmi aspettare tutte le volte fino alle 15.45. Ditemi subito che da Roma a Viareggio, o da Roma a Milano, ci vuole mezz'ora in più, così io me ne faccio una ragione. Dicendolo, mi presenterò alle 15.45 e la cosa finirá lì. Invece questi delle ferrovie fanno degli orari (li fanno loro, da soli, senza che nessuno gli dica nulla o gli metta fretta) che poi non riescono a rispettare. E logicamente fanno imbestialire tutti. Basterebbe stabilire che mediamente i ritardo sono, poniamo, del trenta per cento, poi aumentare di quella percentuale i tempi percorrenza previsti negli orari, ed ecco i treni arrivare puntuali.



9 ottobre. Ho appena consegnato il programma di Zagor fino a questa data:

Zenith 651 (Luglio 2015)
Zagor 600
Albo speciale a colori
storia completa 94 pagine

La trasferta sudamericana finirà nel luglio 2014 con l'ultima puntata di Boselli-Della Monica. Poi, per il ritorno a Darkwood... beh, sono previste GRANDI COSE.

9 ottobre. Il disegno per Lucca di Fabio Bartolini (Dampyr), ispirato all'importantissima saga attualmente in corso e soprattutto al numero di novembre in cui molti misteri saranno spiegati (tra cui il perché e il percome della sorte di Lisa e della tragica scena finale del numero di settembre).


10 ottobre. Corto Maltese salva Tex in una tavola di Guglielmo Letteri (esposta in redazione).
Genio al lavoro, sotto la laurea.


15 ottobre. Se non l'avete ancora fatto, guardate subito un qualunque video del prestigiatore Luca Bono su YouTube. 


IL PEZZO UNICO
17 ottobre. Il maestro ceramista di Albissola Aldo Pagliaro, con la ceramica (pezzo unico) realizzata in collaborazione con Gianni Sedioli.


RELAX
17 ottobre. Una pubblicità fa vedere un orso che passa ore al telefonino e che ripete: "Relax!". Sarà, ma io mi rilasso soltanto quando posso spegnerlo, il telefonino.


23 ottobre. Si condannano gli scienziati e non gli amministratori che non hanno applicato le leggi antisismiche. Siamo rimasti a Giordano Bruno. E' il processo stesso a essere assurdo, come ritiene mezzo mondo (sono tutti scandalizzati). Non ci può essere sentenza giustificabile per un processo ingiustificabile. Se il terremoto non ci fosse stato, gli imputati non sarebbero stati processati, ergo la colpa non sussiste senza il terremoto. E il terremoto, in Giappone come a l'Aquila era ed è imprevedibile. Se gli scienziati avessero evacuato l'Abruzzo o l'Italia Centrale e poi il terremoto non ci fosse stato, sarebbero stati processati per procurato allarme. Forse un sisma potranno prevederlo gli scienziati del domani se nel frattempo dei giudici rimasti fermi a Wanna Marchi o al Mago Otelma non avranno impedito loro di continuare a studiare, mettendoli in galera. E comunque non è insolito qui da noi che si condannino le persone a priori senza aver ascoltato i testimoni, o aver ascoltato solo quelli che sostengono la tesi già preconfezionata su base ideologica o colpevolista (questo è l'andazzo della giustizia in Italia). Peraltro, non c'è bisogno di leggere le motivazioni della condanna di Giordano Bruno per trovarla ingiusta.  L'unico sistema finora disponibile per evitare stragi durante i terremoti è fare costruzioni antisismiche. Se i magistrati volevano processare qualcuno, dovevano occuparsi di chi non ha fatto o applicato le leggi sull'edilizia antisismica, o sui costruttori che non le hanno rispettate. Per il resto, è stato come condannare chi ha tranquillizzato un altro che aveva previsioni infauste nell'oroscopo, dopo che questi è uscito ed è stato travolto da un'auto.


26 ottobre. Leggo di paradisi dove si avrebbero in premio 60 vergini. Si può fare a cambio con 6 esperte?



SPERIAMO SIA STATO LUI
27 ottobre. Ergastolo a Parolisi. A questo punto, speriamo che sia stato lui. Mi è parso un processo indiziario. E penso che siano meglio dieci colpevoli fuori che un innocente dentro, perché io sono un innocente e potrebbe toccare a me. In generale, mi chiedo come si possa, noi che sentiamo soltanto le notizie della stampa (che di solito riporta solo le tesi dell'accusa, dato che ai magistrati piacciono i processi in piazza), avere certezze: che ne so, io, se Parolisi è colpevole o innocente? Mica c'ero. Perciò, dato che loro (i giudici) hanno stabilito che è colpevole, bene, hanno più elementi di me per giudicare. Ma speriamo che sia colpevole davvero e non sia un altro innocente come il presunto Unabomber che hanno cercato di incastrare tanto per far vedere che avevano messo dentro uno.



EDONIA ED EUDAIMONIA
28 ottobre. Aristotele si pone la domanda su che cosa sia la felicità e si risponde dicendo che consiste di due elementi: l'edonia, ovvero il piacere in quanto tale, e l'eudaimonia, ovvero il dare un significato a quel piacere. E se la felicità consistesse invece nel non farsi domande su che cosa sia la felicità?

IL SET
29 ottobre. Il set di mille film western in Almeria (Spagna), ancora visitabile (foto di Marcos Maldonado, letterista della Mythos di San Paolo).





L'ISOLA DEL TESORO
30 ottobre Ho già una lista dei fumetti che cercherò a Lucca. In cima ci sono i due volumi de "L'Isola del Tesoro" illustrata da Carlo Rispoli, un geniale e talentuoso disegnatore grossetano che ha già pubblicato l'opera negli Stati Uniti e che adesso la presenta in edizione italiana. Ho avuto la fortuna di conoscere l'autore e di vedere il suo lavoro in anteprima quand'era ancora in fase di realizzazione. I due volumi sono editi da Segni d'Autore.

Treasure Island
Vol. 1

Sceneggiatura di Manuel Pace
Disegni ed Acquarelli di Carlo Rispoli
brossura 21x29,7
5 pagine con illustrazioni ad acquarello a colori
Introduzione di Claudio Gallo
83 pagine in bianco e nero (per un totale di 88 pagine)
Interni di copertina illustrati a colori
prezzo 10,00€

Treasure Island
Vol. 2 
Sceneggiatura di Manuel Pace
Disegni ed Acquarelli di Carlo Rispoli
brossura 21x29,7
6 pagine interne con illustrazioni ad acquarello a colori
Introduzione di Carlo Bazan
82 pagine a fumetti in bianco e nero (per un totale di 88 pagine)
interni di copertina illustrati a colori
prezzo 10,00€


SOUVENIR DAL BRASILE
30 ottobre. Una delle cose che andrebbero debellate dopo l'AIDS e la fame nel mondo, sono le saponette degli alberghi, che sono fatte di sostanze ignobili e lasciano la pelle secca come carta vetrata. Nell'hotel di Curitiba (Brasile), invece, le saponette erano crema vellutata, una meraviglia. Naturalmente, ne ho rubate il più possibile.



E ADESSO?
31 ottobre. Emanuele Barison, matita della storia di Zagor "Risvegli" (testi miei). L'accetta piantata nel ceppo che prima c'era... un minuto dopo non c'è più.




mercoledì 28 novembre 2012

ROBOT E MISTERI



Sono due i romanzi di Isaac Asimov pubblicati nei Gialli Mondadori.  "Ma come? - qualcuno dirà - Asimov era  uno scrittore di fantascienza".  Senza dubbio, ma non solo. Quando è morto stava per terminare  il suo cinquecentesimo libro, intitolato appunto "Opus 500". E nella sua sterminata produzione c'è posto per un po' di tutto. Asimov  era anche un divulgatore scientifico, un umorista, un critico letterario, un narratore per ragazzi. E un giallista. Non basta: un giallista eccezionale. Non basta ancora: un cultore del genere. Faceva parte, infatti, degli "Irregolari di Baker Street", una associazione di appassionati ammiratori di Sherlock Holmes che prende il nome proprio da una banda di monelli  utilizzati da Arthur Conan Doyle come aiutanti del suo investigatore.   Non a caso Asimov ha curato un'antologia di racconti fantastici intitolata "Sherlock Holmes nel tempo e nello spazio" nel quale lo "spirito" di Holmes  si incarna in animali, robot, extraterrestri e così via. E non a caso Asimov ha curato anche (solo per fare un altro esempio) "Il delitto è servito", un'altra antologia  di racconti gialli di stampo più tradizionale tutti accomunati dal filo conduttore del veleno. Un tema chiaramente legato alla detective story più classica, quella in fondo che Asimov preferiva. Del resto, lui che ha coniato la parola "robotica" e ha dato alla voce "robot" l'accezione che tutti oggi conosciamo, non poteva che prediligere meccanismi gialli basati sulla deduzione, sul ragionamento, sulla logica: le doti, appunto, dei cervelli elettronici.

Nei suoi racconti e romanzi, Asimov ha sempre posto in secondo piano l'azione. Gli scontri, le battaglie, le lotte si svolgono in genere fuori scena o ne vengono fatti dei resoconti rapidi ed essenziali. Il grosso della trama si dipana attraverso conversazioni che esaminano la situazione da tutti i punti di vista, prospettando problemi e soluzioni, e solleticando in maniera vivacissima l'intelligenza del lettore. Si tratta di un modo di narrare molto cerebrale, eppure affascinante ed efficacissimo. Anche i gialli di Isaac Asimov hanno questa caratteristica: sono, tutto sommato, statici. Ma quanto sono intriganti! Il ciclo di racconti più famoso è senza dubbio quello del "Club dei Vedovi Neri", che conta una cinquantina di episodi. Tutti i racconti si svolgono nel medesimo luogo e hanno come protagonisti gli stessi personaggi, o quasi. Si tratta di una saletta riservata di un ristorante dove, una volta al mese, si riuniscono i sei membri di un club i cui soci, a turno, portano un ospite di volta in volta diverso. L'ospite ha sempre un mistero da cui è ossessionato e che vorrebbe risolvere. Ed è il settimo socio a risolverlo: si tratta di Henry, impareggiabile cameriere membro onorario del club, che serve la soluzione insieme al brandy. Una soluzione incontestabile, lineare,  tagliente come il filo della logica. I casi affrontati e risolti durante i banchetti dei "Vedovi Neri" riguardano molto di rado degli omicidi. Si incontrano spesso casi di spionaggio, di truffa, di furto; ma si tratta sempre, in realtà, solo di un pretesto per mettere alla prova le cellule grige di Henry e dei lettori. 

Qualcosa del genere avviene anche in un altra serie di racconti, quella degli "Enigmi dell'Union Club". Ogni racconto prende le mosse da una breve conversazione tra un gruppo di tre amici nella biblioteca di un club. Il quarto amico è un certo Grisword, che  all'inizio è sempre addormentato. Un brano della conversazione lo risveglia e gli ricorda un episodio che comincia a raccontare. Quindi si ferma di colpo, lasciando che i tre ascoltatori (e con loro, tutti i lettori) provino a immaginarsi il finale. Quando poi Grisword termina il suo racconto, nessuno (né gli amici del club, né i lettori) restano mai delusi. 

Torniamo ai due romanzi gialli veri e propri, quelli da cui siamo partiti, entrambi segnati  della sua personalissima impronta. Basti pensare che il più celebre, "Rompicapo in quattro giornate", si svolge durante un Salone del Libro dove si incontrano autori, editori e lettori:  lo stesso Asimov compare tra i personaggi, risultando uno dei possibili colpevoli di un intrigante delitto. L'altro romanzo, "Un soffio di morte", trae spunto dalla carriera di ricercatore e insegnante universitario dello scrittore: vittima, arma, assassino e movente sono originalissimi all'interno del panorama della classica detective story.


C'è di più. Dicevamo in apertura che Isaac Asimov è noto soprattutto per i suoi romanzi di fantascienza. Verissimo. Ha scritto decine  di racconti sui robot, ha ideato le fondamentali "Tre Leggi della Robotica". Ha creato uno sconfinato Impero Galattico e ha dato vita all' indimenticabile ciclo di "Fondazione". Ma c'è qualcos'altro che ha inventato: la fantascienza gialla.  Prima di lui, si riteneva impossibile una combinazione fra i due generi. Si diceva da più parti che per sua stessa natura un giallo fantascientifico non avrebbe potuto essere onesto con il lettore. Insomma, il timore era che uno Sherlock Holmes del futuro potesse  tirar fuori un aggeggio stranissimo e dire: "Come lei sa, Watson, il mio frannistan tascabile è  in grado di scoprire in un attimo il gioiello nascosto". Asimov era convinto del contrario. Per scrivere un giallo fantascientifico, spiegava "è sufficiente non mettere nuovi e strani aggeggi di fronte al lettore, e risolvere il giallo con lui. Basta non approfittare della storia futuribile al fine d'introdurre fenomeni ad hoc. Anzi, bisogna spiegare scrupolosamente fin dall'inizio tutti gli aspetti dell'ambientazione avveniristica in modo che il  lettore abbia una possibilità d'intravvedere la soluzione". L'investigatore del futuro, secondo Asimov, può essere onesto quanto quelli del passato e del presente se solo risolve il caso avvalendosi  unicamente dei fatti già spiegati e dunque noti al lettore. 

Ecco dunque tre eccezionali gialli con protagonista un detective umano, Eljia Baley, e il suo assistente robot Daneel Olivaw, ambienti in un futuro dove i terrestri sono considerati una razza inferiore rispetto agli altri uomini che vivono nelle colonie spaziali: nel primo, "Abissi d'acciaio", il delitto è stato compiuto sulla Terra; nel secondo, "Il sole nudo", il delitto è stato commesso su una colonia spaziale; nel terzo, "I robot dell'alba" ad essere stato ucciso è proprio un robot. Va detto che anche i romanzi del ciclo della Fondazione sono costellati di spunti gialli: per esempio, chi mai avrebbe sospettato della vera identità del terribile mutante "Mule"? O di chi fosse il Primo Oratore della Seconda Fondazione?

Ma ecco anche una lunga serie di racconti con un personaggio d'eccezione: l'"extraterrologo" Wendell Urth,  una sorta di Nero Wolfe del futuro, in realtà controfigura dello stesso Asimov: come il suo dottor Urth non si muove mai dal suo appartamento, allo stesso modo  il "buon dottore" (così Asimov era chiamato dagli ammiratori) non lasciava quasi mai la sua abitazione newyorkese. Il titolo dell'antologia che raccoglie i racconti con Wendell Urth protagonista è significativo: "Asimov's Mysteries". Vale a dire, I misteri di Asimov". Buona lettura, se volete mettervi alla caccia.

sabato 24 novembre 2012

CINGUETTII - 1





Nel mio continuo sforzo di comunicare, per far sì che dei fumetti si parli il più possibile, ma anche perché, in fondo, scrivere per me non è soltanto un mestiere ma un modo di essere, da qualche tempo ho cominciato a postare anche su Twitter. Qualcuno (anzi, qualcuna: Francesca Spinelli, la webmaster del sito Bonelli) mi ha aiutato a crearmi un account, dopo avermi convinto a varcare anche la nuova frontiera. 

Ci ho messo un po' a capire come funziona, e non credo di essere ancora padrone del mezzo, dato che i followers latitano (seguo il doppio di persone rispetto a quelle che seguono me: credo di essere un caso raro, e vedo gente che ha migliaia di contatti mentre io non arrivo, per ora, a trecento). Non so quali siano i trucchi per farsi conoscere e incrementare l'audience, mi pare di capire che in giro ci sia una sorta di caccia al follower spietata e con forte coinvolgimento emotivo (disperazione per i seguaci che si perdono, esaltazione per quelli che si conquistano), ci si vanta di avere nel carniere personaggi famosi. 


C'è in generale una certa cattiveria nei commenti, come se ci fosse una gara a chi è più perfido, e si tende a esercitare più lo spirito polemico che il senso poetico. Mi pare anche di percepire una sorta di monopolio a senso unico del pensiero dominante che va per la maggiore, per cui si attaccano certi personaggi politici molto più di altri, si tende a etichettare, si dice peste e corna di qualunque pensiero divergente, si sposano tesi preconcette e si è poco disposti ad accettarne di contrarie. La politicizzazione è imperante. Invece, se c'è qualcuno lontano dalle logiche di appartenenza sono proprio io, per cui lungi da me ogni desiderio di imbracciare uno stendardo e fare il portabandiera di una ideologia, fosse anche quella di un ipotetico "morenismo" ispirato al mio stesso pensiero. Io non mi morirei mai per le mie idee: potrebbe essere sbagliate. Mi viene sempre da ridere nel vedere gli invasati che si inalberano per qualche battaglia ideologica: perciò, mi godo lo spettacolo di quelli che sputano veleno, si indignano, si fanno venire i travasi di bile e, personalmente, continuo a tenermi fuori dalle risse, che sembrano tanto quelle dei capponi di Renzo. Forse è proprio la mia incapacità di venire coinvolto nelle diatribe che è fuori luogo su Twitter, dove la gente sembra invece appartenere, nella maggior parte dei casi, alla razza dei metropolitani tecnologicamente evoluti e sempre incazzati neri, stressati, competitivi, caustici, apocalittici, modaioli, esibizionisti, saccenti. A me piacerebbe comunicare, invece, con gente sorridente, serena, semplice, amichevole, romantica e disincantata al tempo stesso, appassionata di libri e di natura, ed è difficile trovarne (qualcuno c'è). 


Esaurita la pars destruens ecco la pars construens. Su Twitter esiste una regola inderogabile, quella dei 140 caratteri come limite massimo nell'ambito del quale si può esprimere il proprio messaggio. Un limite molto basso, in cui è difficile, almeno all'inizio, riuscire a stare. Poi ci si abitua. Sforzarsi di essere concisi è un ottimo esercizio, e crea degli straordinari forgiatori di aforismi. In taluni casi si assiste alla creazione di vere e proprie opere d'arte forgiare con le parole. Ci sono persone molto abili, che io ho individuato e che seguo con piacere. Spesso la capacità di sinresi si mette al servizio dello spiccato senso dell'umorismo di qualcuno, e dunque si può trovare di che ridere, o sorridere. Inoltre, si possono seguire i messaggi di personaggi a noi cari del mondo della cultura e dello spettacolo, e anche avere aggiornamenti in tempo reale sulle notizie che ci interessano. Qui di seguito, ho elencato tutti i miei "tweet" dei mesi di settembre e di ottobre. A giudicare dagli scarsi "retweet" non si direbbe che abbiano ottenuto molto successo, ma probabilmente sono io che non mi so promuovere. Imparerò.

Un'avvertenza: ho selezionato solo i "cinguettii" che possono essere letti anche a distanza di tempo, togliendo dal novero quelli legati a comunicazioni di servizio ("oggi esce il mio nuovo Zagor") o linkati a post più lunghi pubblicati sul "coso" (la mia pagina su Facebook) o sul blog. Si tratta dunque di un florilegio e non di un'opera omnia. Chi mi segue su Twitter ha letto molto di più.

TWEET
di Moreno Burattini
@morenozagor

11 settembre. Mia figlia Alice oggi comincia il primo anno del classico, la mia stessa scuola. Le auguro compagni in gamba, prima che buoni insegnanti.

22 settembre. La cosa più seccante nello scrivere qualcosa di ironico sul web è che dopo devi precisare che era appunto qualcosa di ironico.

22 settembre.  Non sono una pecora smarrita: sono fuggito dal gregge.

24 settembre. Ho consigliato a mia figlia "L'eleganza del riccio". Lo ha letto e ha detto che è diventato il suo romanzo preferito. Sono soddisfazioni.

24 settembre. In treno davanti a me una giornalista parla con la redazione al cellulare. Si occupa di vini, e se ne intende. Che bel mestiere.

24 settembre. Certo che se i giornali che recensiscono vini recensissero anche i fumetti...

25 settembre. Qualunque cosa tu stia facendo, il resto del mondo tromba.

30 settembre.  Non mi vanto dei libri che ho letto. Mi vergogno di quelli che non ho letto.

1 ottobre. Non ci sono posti tristi per le persone allegre.

2 ottobre. La maggior parte dei matrimoni finisce perché non sono mai cominciati.

3 ottobre. Il tribunale di Foggia: il tradimento è un effetto e non la causa della crisi matrimoniale. E ci volevano dei giudici per dirlo?

3 ottobre. Chiedersi se qualcosa è di destra o di sinistra, è di sinistra.

4 ottobre. Compro vecchi fumetti on line. Superando i 100 euro, spedizione gratis. Ciò che mi serve costa 18. Ovviamente aggiungo al carrello 82 euro.

4 ottobre.  Com'è inquieto il quieto vivere!

5 ottobre. La vita è una condanna all’ergastolo: ci si risveglia tutte le mattine nella stessa cella.

6 ottobre. Ho comprato in un remainder il voluminoso The Big Book of Pussy, della Taschen. In pratica, un sacco di patate.

6 ottobre. Ho speso 160 euro in libreria, senza comprare quello per cui ero entrato.

8 ottobre. Aspettare, prendere tempo. Le risposte maturano da sole, e improvvisamente si rendono evidenti, come se ci fossero sempre state.

9 ottobre. Ci si accorge di essere esclusi solo quando ci importa di essere inclusi

10 ottobre. "Giuda" é l'anagramma di "guida": non ci si può più fidare di nessuno.

10 ottobre. Ho trovato un anagramma di Luca Toni che è la fine del mondo, ma non si può riferire. Però finisce per "ato".

12 ottobre. Che il sesso sia uno degli interessi primari non l'abbiamo deciso noi, ma il buon dio. E chi siamo noi per opporci al volere del creatore?

15 ottobre. Faccio colazione al bar davanti a una scuola elementare. Sento un bambino chiedere alla mamma: "Ma Adamo ed Eva come facevano di cognome?".

15 ottobre. Oggi ho fatto più volte il numero verde di Publiacqua, indicato in bolletta, e mi rispondeva Fastweb.

15 ottobre. A giudicare dalle cicche gettate sui binari nelle stazioni, non sembra che la scritta "Il fumo uccide" serva granché come deterrente.

15 ottobre. Il cognome di Adamo ed Eva? Cé. Sono figli di Dio e tutti sanno che il cognome di Dio è Cé. Dio Cé.

15 ottobre. Precisione dei ritardi ferroviari. La scorsa volta annunciati 30 minuti, effettivi 50. Oggi annunciati 15, effettivi 25. Tutto torna

16 ottobre. Oggi, pranzo con pizza e birra con il cantautore Graziano Romani e lo scrittore Antonio Zamberletti. Bello fare la pausa con amici speciali.

16 ottobre. E se la prova che Dio non esiste, o non è buono, fosse nel fatto che permette che tanti uccidano, e molti muoiano, nel suo nome?

16 ottobre. Chissà che ora farei a cazzeggiare, se non sapessi che domani mattina alle sette e mezzo mi suona la sveglia.

16 ottobre. Contento di rimettermi al lavoro, perché ho bene chiaro il finale della storia che devo scrivere.

16 ottobre. L'app dello scanner del codice ISBN di Anobii dà dipendenza.

17 ottobre. Il mondo è piccolo. Nel senso di ristretto di vedute.

19 ottobre. In aereo verso il Brasile ho visto "Prometheus" e mi è piaciuto parecchio. Chissà se ai tempi davano quelli della saga di Airport.

21 ottobre. Allagata Lourdes. Irripetibili gli epiteti alla Madonna lanciati dai venditori di rosari e di immagini sacre.

26 ottobre. La verginità andrebbe abolita per legge.

27 ottobre. Curitiba, Brasile. Vedo un negozio che vende articoli magici e religiosi insieme. Non pare esserci molta differenza. 

29 ottobre. Se le città fossero davvero come sembrano dai casamenti che si vedono arrivandoci in treno, mamma mia.

29 ottobre. Costo del biglietto del trenino tra Fiumicino e Roma Termini: 14 euro. Non saranno un po' troppi?

29 ottobre. Una New York deserta attende l'arrivo della tempesta perfetta. Se non sarà perfetta come deve, processeranno e condanneranno i meteorologi?

29 ottobre. Annullate le elezioni regionali del Molise. Non si poteva annullare direttamente il Molise, per cominciare a eliminare un po' di regioni?

29 ottobre. Per quanto possa piacerti girare il mondo, devi avere una casa dove ritornare.

29 ottobre. Dopo due settimane in Brasile non mi ricordavo più com'è spiacevole avere freddo ai piedi stando a letto.

30 ottobre.  Lo scopo della vita è vivere.

30 ottobre. Il governo Monti toglie dalle farmacie il vaccino antinfluenzale mentre iniziano i freddi. Non è che vogliono risparmiare sulle pensioni?

30 ottobre. Esce un nuovo Crichton a 4 anni dalla morte. Si chiamerà "Micro". Anagramma di "C. morì".

30 ottobre. Il miglior modo per scaldarsi a letto i piedi freddi è strofinarli a dei piedi caldi vicini.

30 ottobre. Ma le cameriere cinesi dei ristoranti cinesi sono sempre così sorridenti perché indossano le palline cinesi?

31 ottobre. Governatore grazie all'UDC e con il 30% sul 40% dei votanti, ereditando i debiti siciliani: passerebbe anche a me la voglia di fare sesso.

31 ottobre. Ho letto tutto il Corriere on line, ma ora esco e faccio una camminata fino a un'edicola sul mare per comprare un altro quotidiano di carta.

31 ottobre. Dopo averne sentito parlare per mesi, mi sono deciso e ho chiesto a Yahoo Answer che accidenti è WhatsApp.

31 ottobre. Halloween. Uno che è a dieta deve optare per forza per lo scherzetto.

31 ottobre. Le palline cinesi sono il più grande contributo dato dalla Cina all'umanità.

31 ottobre. Che tristezza mettere via le magliette estive per fare il cambio di stagione negli armadi.

31 ottobre. Lamentarsi per l'abolizione delle province è da provinciali.

31 ottobre. Difficile twittare se si scrive con un dito solo e si ha un gatto di nove chili addormentato sul braccio destro.

venerdì 23 novembre 2012

LETTI DI FOGLIE



Come da tradizione ormai inveterata, ecco i libri "letti a letto" (dal sottoscritto) nei mesi di settembre e di ottobre di questo 2012 che si avvia a conclusione, dunque in autunno quando gli alberi cominciano a ingiallire, dunque se si pensa a dei letti autunnali vengono in mente quelli di foglie del sottobosco, là dove nascono i funghi. L'autunno invita all'archiviazione (si mettono da parte le scorte per l'inverno, si riordinano i cassetti per organizzarsi riprendendo il lavoro dopo le vacanze), e dunque anche le schede delle letture vengono archiviate qui sul blog, a futura memoria. 



DON CHISCIOTTE
di Benito Jacovitti
a cura di Luca Boschi 
Edizioni Di, 2006 

Non so se riuscirò mai a completare la raccolta dell'opera omnia di Jacovitti, ma ogni volta che mi procuro un nuovo libro che manca alla mia collezione resto a bocca aperta di fronte ai suoi disegni e alle sue trovate. E' successo anche in questo caso, davanti al paginone iniziale in cui il geniale autore molisano (che ho avuto la fortuna di incontrare, una volta, e di vedermi offrire uno dei suoi sigari che pretese di vedermi fumare insieme a lui) offre una visione d'insieme della vita nel medioevo così come se la immaginava. Si mostra, fra le altre cose, l'attacco a una fortezza: gli occupanti hanno messo rose e fiordalisi davanti all'ingresso e apposto un avviso che dice "Vietato calpestare i fiori". "Con quel cartello bene in vista, il nemico non entrerà nemmeno con il ponte levatoio abbassato!", dice un soldato a un altro. In un altro punto del castello, c'è una parete intera tappezzata di manifesti affissi che dicono tutti: "Vietata l'affissione". In alto, un soldato "mette i merli in gabbia" coprendo la merlatura con delle voliere. Le palle di cannone sono depositate in un angolo con un cartello che recita: "Tre palle un soldo". Insomma, non c'è un solo angolo del paginone senza una battuta, soltanto grafica o recitata con i balloon. "Tutto quello che vedete è una scusa per dirvi che dal prossimo numero del Vittorioso vedrete un Don Chisciotte del sottoscritto. Ciao, Jacovitti", si legge in un papiro in alto a destra. Ma poi, quando si passa alla prima puntata, di medievale non c'è proprio nulla, dato che il Don Chisciotte jacovittiano è ambientato ai giorni nostri, anzi, ai giorni suoi, cioè nel 1950 (anni in cui il racconto venne realizzato). Quando ho usato il termine "paginone" non ho usato un'iperbole: si tratta davvero di paginoni, dato che l'edizione curata da quel fenomeno di Luca Boschi ripropone le pagine del formato originale (o quasi) del Vittorioso, e dunque su fogli (più o meno) A3. Ne viene fuori un libro un po' impegnativo da maneggiare ma si tratta dell'unico modo per restituire l'opera alle dimensioni originarie. Che poi, Jacovitti scriveva i testi piccini piccini e riempiva le vignette, incastrandole fra loro, per cui non sarebbe stato neppure facile, volendo, riprodurre le tavole in formato più piccolo o rimontarle in un altro modo. E' questo il motivo, come si spiega nell'introduzione, per cui gli originali del Don Chisciotte si sono salvati dallo scempio fatto su altre tavole, tagliuzzate in maniera indegna da grafici folli chiamati a organizzare delle edizioni tascabili. A proposito di introduzione, un applauso a Boschi per il suo informatissimo saggio su tutti gli adattamenti umoristici a fumetti del Don Chisciotte (da quelli disneyani a quelli erotici) fatti in Italia, ma tirando in ballo anche Picasso e Dalì e parlando delle versioni cinematografiche internazionali, e per la ricostruzione della vicenda editoriale della parodia jacovittiana, uscita sul "Vittorioso" dal 9 febbraio all'8 ottobre 1950, e riproposta poi in volume nel 1953. Una versione in bianco e nero uscì poi su "Il Mago" nel 1973, in bianco e nero. E sono proprie queste due versioni a costituire il cartonato delle Edizioni Di, che presentano l'opera sia a colori, come uscì originariamente, sia in black & white. Si diceva di come, in realtà, Jacovitti non abbia fatto una versione a fumetti del romanzo di Cervantes, ma si sia cimentato nell'impresa di trasferirne lo spunto ai giorni nostri, per poi però abbandonare del tutto l'ispirazione fornita dal testo letterario. Nelle prime puntate, infatti, il Don Chisciotte contemporaneo immaginato dall'autore si scaglia contro un treno scambiandolo per un drago, così come il personaggio di Cervantes combatteva contro i mulini a vento vedendoli come giganti malvagi, ma poi tutto si trasforma in una satira sociale sull'italietta degli annoi Cinquanta, con le campagne elettorali feroci tra comunisti e democristiani, i malvagi palazzinari, i politici collusi con la malavita (c'è anche Zagar, il "Macchia Nera" jacovittiano), e così via. La lettura non è facile, per quanto sono fitti di parole e di segni i paginoni (ognuno dei quali costituiva una puntata), ma le trovate grafiche e le battute a sorpresa, talvolta folli, valgono la fatica.



IL GRANDE GATSBY
di Francis Scott Fitzgerald 
edizione con testo a fronte 
Marsilio, 2011

A convincermi a prendere in mano questo classico della letteratura americana, pubblicato nel 1925, non è stato, come si può pensare (e non ci sarebbe comunque niente di male), il nuovo film con Leonardo Di Caprio. E' stata, invece, la lettera del graphic novel "SuperZelda" della Minimum Fax, di Tiziana Lo Porto e Daniele Marotta,la biografia fumettata che ho recensito in questo spazio e sul mio blog nella scorsa primavera. Zelda, personaggio in grado di rivaleggiare, come icona del suo tempo, con il marito, è Zelda Fitzgerald, la moglie di Francis Scott a cui "Il grande Gatsby" è dedicato ("Ancora una volta, a Zelda"). L'approdo al capolavoro di Fitzgerald è stato piacevolmente appassionante, nonostante il romanzo proietti il lettore in un contesto che sembra surreale: quello della New York degli anni Venti, simili per certi versi ai nostri anni Ottanta, sopra le righe, libertini, fatti di apparenza più che di sostanza, arrivisti, cinici, modaioli, festaioli, veloci, disinibiti, in corsa verso il disastro ma a suon di musica, come sul Titanic. La storia non è una storia, dato che alla fine i fatti principali accadono tutti fuori scena, raccontati come sono da un testimone, Nick Carraway, che non li conosce o non è presente mentre accadono, e che li racconta spostandoli nel tempo o collocandoli in modo sbagliato. Però, anche se Gatsby, il protagonista (negativo o positivo, vittima o carnefice, è difficile dirlo), non fa quasi niente mentre è alla ribalta del palcoscenico, cioè sotto gli occhi del narratore, quel che davvero succede o è successo viene fatto intuire al lettore, chiamato a cercare di decifrarlo, e perciò coinvolto e incuriosito. Il senso del racconto è la ricerca di una "grandezza" intesa come scalata sociale da parte dell'uomo che dà il titolo al romanzo: ci viene presentato (ed appare agli occhi del provinciale Nick, venuto dal Middle West a lavorare come agente di borsa a New York) con attributi mitici e leggendari (vive in una villa immensa, dà continuamente feste meravigliose, si favoleggia sulle sue imprese di guerra, sui suoi studi in Europa, sulle sue parentele altolocate, sulla sua ricchezza smisurata, sul suo gusto nel vestire ma anche sulla sua misteriosa solitudine, sul suo non bere, sulla sua malinconia). Ma chi è davvero Gatsby, che cosa vuole, perché è così inquieto? Perché tante feste, se poi non vi partecipa? Lentamente, Nick scopre che Gatsby coltiva il sogno di un amore per una ragazza, Daisy, conosciuta in gioventù, prima degli eventi bellici, quando i due si erano amati ma poi il destino li aveva separati. Adesso, Gatsby vuole riconquistarla nonostante lei si sia sposata con un altro. Ma ci sono altre cose che Nick scopre: la ricchezza di Gasby non deriva da eredità famigliare o da fortuna nel commercio, ma dal fatto di essere a capo di un'organizzazione malavitosa. E l'uomo ha umili, anzi, umilissime origini: tutta la sua ostentazione di ricchezza deriva dalla voglia di riscatto, di affermarsi in una società di cui, in passato, era vissuto ai margini. Se non aveva potuto sposare Daisy, era appunto perché era senza mezzi. Adesso i mezzi li ha, e la rivuole proprio perché la ragazza rappresenta quello che non aveva potuto avere. La fanciulla è un personaggio ambiguo, che nel finale segnerà appunto la rovina di Gatsby, il cui sogno di grandezza si interrompe in modo brusco e imprevedibile: se il personaggio di Fitzgerald rappresenta il sogno americano dell'uomo che costruisce il proprio destino, si tratta di un sogno destinato a infrangersi. L'edizione Marsilio, che gode di una strepitosa e moderna traduzione di Roberto Serrai, ha il testo inglese a fronte: è un piacere, di tanto in tanto, bearsi del suono delle frasi originarie, scoprendo come lo scrittore sappia davvero manovrare in modo magistrale le potenzialità della lingua.



PAPERINO DON CHISCIOTTE
di Guido Martina (testi) 
e Pier Lorenzo De Vita (disegni)
Mondadori, 1971

La storia, originariamente, era uscita a puntate su "Topolino" tra l'aprile e il maggio del 1956, e rappresentò il secondo episodio della lunga serie delle "Grandi Parodie" inaugurate nel 1949 con "L'inferno di Topolino". Nel volume mondadoriano non viene fatto cenno al nome degli autori (c'è scritto soltanto Walt Disney, come se si trattasse di un prodotto americano) ma si può riconoscere Giovanni Battista Carpi quale autore della copertina (almeno, così pare al mio occhio di vecchio lettore). Ho rispolverato questa storia, tirandola fuori dallo scaffale più alto della libreria, dopo aver letto (e recensito, pochi giorni fa) la versione del Don Chisciotte di Cervantes offerta da Benito Jacovitti (datata 1950 e dunque precedente). Martina sfrutta l'idea jacovittiana di trasportare le vicende cinquecentesche ai giorni nostri, ma ovviamente compie anche un lavoro di adattamento delle medesime allo spirito Disney e ai personaggi disneyani. Lo spunto iniziale parte dal paradiso degli eroi dove l'autentico Don Chisciotte si annoia e si rende conto che il ricordo delle sue imprese leggendarie rischia di arrugginirsi e scomparire se nessuno lo tramanderà ai giovani, perciò lancia il suo scudo sulla Terra perché giunga a un personaggio dei fumetti che in qualche modo ripercorra le sue gesta. Lo scudo colpisce Paperino che, rintronato dalla gran botta, nomina Pippo come suo scudiero (promettendogli il governatorato di un'isola, come accadde a Sancio Pancia). Nel racconto che segue compaiono anche Topolino, Minni, Zio Paperone e i nipotini. Va detto che la storia appare oggi un po' datata e che ai nostri occhi i disegni di Pier Lorenzo De Vita non sono efficaci come certamente apparvero ai lettori di un tempo. Tuttavia alcune gag sono ancora divertenti (la migliore, quella dell'albero dai cui rami di gode la visione di cose che non accadono). Il finale, con il giacimento petrolifero che Zio Paperone sottrae con l'inganno a Paperino, riporta la parodia del romanzo di Cervantes nell'alveo delle tradizionali storie disneyane (del resto anche Jacovitti si era attenuto al modello solo per metà della sua storia, prendendo poi tutt'altra direzione). Il volume, di per sé, è un pezzo importante nella storia del fumetto italiano, rappresentando un passo avanti della scuola di casa nostra verso il primato mondiale nel fumetto disneyano.



LA VITA DI GESU'
di Autore Anonimo
Unione Giovanile Cattolica
anni Venti
ristampa anastatica RBA, 2012

Si tratta di un volume cartonato in formato orizzontale, riprodotto fedelmente in tutte le sue novanta pagine, più copertina, dalla RBA, nell'ambito della benemerita raccolta "La Biblioteca dei Ricordo" (di cui abbiamo parlato su queste stesse colonne non troppo tempo fa). L'aspetto del libro è dunque esattamente quello in cui venne distribuito all'inizio del Novecento, in ambito parrocchiale, nelle Scuole e in famiglia: non contiene i quattro Vangeli, ma una sorta di loro novelization realizzata da uno scrittore non particolarmente talentuoso, incline anzi a dar prova di umorismo involontario e a infarcire la sua prosa di sgradevolezze lessicali, ripetizioni e dialettalismi. Lo scopo della pubblicazione è chiaramente quello catechistico e di proselitismo confessionale, e il target è quello dei ragazzi delle scuole elementari, tant'è vero che la collana di cui faceva parte si chiamava "Per la cultura religiosa dei bambini". Ogni due pagine ci sono bellissime illustrazioni in bianco e nero, ispirate a famose opere d'arte. La lettura riesce a dare il senso di un'epoca, vicina e lontana al tempo stesso, a calare in una diversa realtà sociale e culturale. Il narratore, che preferisce restare anonimo e si definisce soltanto "un amico" dei suoi giovanissimi lettori, si attiene al "grado zero" dell'affabulazione e quando deve trarre la morale da ciò che racconta punta all'indottrinamento spicciolo della predicazione di un tempo, basato sui sensi di colpa, la paura dell'inferno, l'obbedienza al clero. Il racconto comincia con la spiegazione del Peccato Originale, in ragione del quale si sarebbe resa necessaria la Redenzione (con l'Incarnazione del Figlio di Dio). "Iddio è onnipotente e può fare quello che vuole", è la premessa. Vuole pertanto creare il mondo, che prima non esisteva, ma Adamo ed Eva gli disubbidirono e commisero "un grande peccato" (quale, non è dato sapere) "e poi quasi tutte le altre persone che vennero al mondo disubbidivano al Signore e commettevano tanti peccati, sicché quasi tutte, quando morivano, andavano all'Inferno. Il Paradiso era chiuso e non ci poteva entrare più nessuno". A me, come bambino, sarebbe venuto da chiedermi dove andavano quei pochi che non commettevano peccati, dato che "quasi tutti" andavano all'Inferno, ma qualcuno no, però il Paradiso era "chiuso". 
Un altro dubbio che sicuramente mi sarebbe venuto è questo: se Iddio "può fare quello che vuole", evidentemente è stato lui a chiudere il Paradiso (non si certo chiuso da sé o contro la sua volontà), dunque gli sarebbe bastato un cenno del capo per riaprirlo, dimenticando il passato e facendo un po' meno l'offeso, per risolvere la faccenda senza tante complicazioni. Ma nel testo non c'è nessun accenno di soluzione per questi dubbi (ed è probabile che i dubbi stessi siano, anzi, parte del "grande peccato"). Altre domande uno se le potrebbe porre ascoltando il racconto dell'Annunciazione: "Dove si poteva trovare, sulla terra, una donna tanto pura e tanto santa, che potesse diventare la madre di Dio? Sembrava che non si potesse trovare. Ma il Signore, dal Paradiso, guardò tutti i paesi del mondo e vide che in un paese, che si chiamava Nazaret, c'era una giovinetta più buona e più santa di tutte le altre giovinette del mondo. Essa si chiana Maria, e S.Giuseppe era il suo sposo". Al che, Dio manda l'Arcangelo Gabriele. Ma se S.Giuseppe era il suo sposo, allora Maria era già sposata, quando arriva l'angelo. E dunque, non era vergine? Inoltre non sfugga il fatto che non si accenna al popolo ebraico come quello eletto, quello destinato fin dai tempi di Abramo a dare al mondo il Messia: i Vangeli, eppure, ne parlano. Fedele all'antisemitismo tipico della sua epoca (e di quelle precedenti), l'autore fa credere ai lettori che Nazaret fosse un paese come un altro, e che Maria era nata lì per caso, avrebbe potuto essere nata anche a Pizzighettone, e allora invece che di Gesù di Nazaret parleremmo di Gesù di Pizzighettone. L'umorismo involontario si scatena la prima volta quando il narratore racconta la nascita di Gesù, che come sappiamo fu deposto in una mangiatoia. "Gesù soffriva molto, perché aveva freddo e perché la paglia lo pungeva, ma soffriva volentieri perché voleva salvare tutti gli uomini con le sue sofferenze". Ecco, passi per il freddo, ma che tra le sofferenze di Gesù ci fosse anche il contatto con la paglia pungente, a me fa sorridere. Del resto, il martirio continua poco dopo: "Nel paese dove nacque Gesù c'era un costume (perché così aveva comandato il Signore) che ad ogni bambino, otto giorni dopo che era nato, si doveva fare una piccola ferita rotonda nella carne e il bambino versava un po' di sangue. Questa cerimonia si chiamava 'circoncisione'. Anche al Bambino Gesù dunque, otto giorni dopo che era nato, si fece la circoncisione ed egli soffriva, perché la carne era ferita e versava sangue; ma soffriva volentieri per amor nostro". Ecco, al di là della buffa descrizione della cerimonia, che non dice dove si eseguiva il taglietto e perché, se io fossi stato un bambino dell'epoca mi sarei chiesto perché mai il Signore avesse "comandato" (di sua iniziativa, a quanto pare) che si facesse così, e che dunque tutti i poveri bambini dovessero soffrire. Il fatto che soffrisse anche Gesù, in questo caso, mi sarebbe sembrata un po' colpa del Padreterno, più che nostra. E insomma, anche in questo caso, sai che sofferenza: capisco la croce, ma dato che il mondo è pieno di circoncisi ancora oggi, forse il patimento è sopportabile. Sorvoliamo sulla strage degli innocenti che forse si sarebbe potuta evitare senza la stella cometa (che fu, bisogna dirlo, un'imprudenza), e arriviamo alla parabola del ricco Epulone. Ci viene spiegato che costui va all'Inferno perché "aveva goduto tanto quando stava al mondo: aveva mangiato, bevuto e ballato e fatto tanti peccati", mentre il povero Lazzaro, che mendicava davanti alla sua porta, va in Paradiso perché, dopo aver tanto sofferto, adesso poteva godersi la gioia eterna. Colpisce la disparità tra il delitto e la pena, così come fra il danno e la ricompensa: per alcuni anni di gozzoviglie (certo imperdonabili), Epulone viene condannato a bruciare nel fuoco per l'eternità! Cioè, non per mille anni, ma per sempre. E Lazzaro, per aver patito qualche decennio, eccolo godere per tutti i secoli dei secoli. Qualunque avvocato potrebbe impugnare la sentenza, se le cose stessero così. E' chiaro che il racconto evangelico allude (spero) a significati più profondi, a cui però la nostra "Vita di Gesù" ci nega l'accesso. Anzi, trae questa morale: "Questa parabola la raccontava Gesù per far comprendere che dopo questa vita c'è veramente il Paradiso per quelli che sono stati buoni, e l'Inferno per quelli che sono stati cattivi. Lo dobbiamo credere perché l'ha detto Gesù e lo dice il Papa, lo dicono i Vescovi e lo dicono i Sacerdoti che sono stati mandati da Dio". Non mi dilungo oltre, il senso è chiaro. Basterà solo citare un passaggio del fervorino finale: "Perché a Gesù, che ti vuole tanto bene, gli fai tanto dispiacere e gli ferisci il cuore con le tue cattiverie?". Ecco, se io fossi un uomo di fede e volessi provare a spiegare il Vangelo, non farei discorsi del genere ma tenderei a spiegare come Gesù possa essere un maestro di vita e, soprattutto, possa riempire il cuore di gioia. Niente sensi di colpa, che così tanto ancora oggi mi affliggono, dai tempi del mio catechismo.



IL MISTERO DEL CASTELLO
di Nalim
Salani, 1971

Più che del romanzo in sé, vorrei parlare del perché l'ho letto e di come, secondo me, il motivo che mi ha spinto a farlo potrebbe interessare qualcuno di voi e convincervi a tentare un esperimento simile. Ho trovato "Il mistero del castello" su una bancarella di libri usati, sul lungomare di Lido di Camaiore. Mi ha colpito perché ricordavo benissimo quella particolare edizione nella collana "Biblioteca dei miei bambini": avevo una copia del tutto simile tra i miei libri d'infanzia, forse avuta in regalo per un compleanno. Fatto sta che nel 1971 ho compiuto nove anni, e i conti tornano: si tratta di un romanzo adatto appunto ai ragazzi di quell'età, o poco più. Guardando su Internet ho trovato edizioni ancora precedenti con altre copertine (anche più belle), ma io avevo proprio quella, che ho scoperto essere firmata da Loredano Ugolini, il fumettista autore di centinaia di storie di "Billy Bis" su l'Intrepido. Anche le illustrazioni interne sono di Ugolini, e in particolare ce n'è una, che vedete in alto, che mi colpì moltissimo da bambino e da cui sono stato folgorato nel rivederla. Per carità, come disegno non è il massimo, ma che senso di paura e di mistero riusciva a dare ai miei occhi di decenne! "Il mistero del castello", però, è sparito chissà dove e chissà quando dalla mia biblioteca: magari la copia che ho ricomprato potrebbe essere stata proprio la mia. L'ho portata a casa e l'ho riletta subito. Ecco perciò il consiglio che mi sento di dare a tutti: se trovate sulla bancarelle (o su eBay) un libro della vostra infanzia che è andato perduto, tornate a impossessarvene: è un pezzo della vostra vita e vi assicura il recupero di antiche emozioni. All'epoca della prima lettura non mi sono chiesto chi fosse Nalim, l'autore. Oggi, dopo una breve ricerca, ne so poco di più, ma intanto è chiaro che si tratta di uno scrittore di lingua francese attivo soprattutto fra gli anni Dieci e gli anni Venti del Novecento, durante i quali pubblicò vari romanzi per ragazzi. Si tratta sicuramente di uno pseudonimo (viene detto in una scheda che ho consultato), e magari il suo vero nome è Milan, dato che è ciò che risulta dalla lettura al contrario (il che farebbe pensare a una origine slava dello scrittore). Ciò detto, di che cosa parla "Il mistero del castello"? La storia è ambientata in Francia durante il regno di Luigi XII, agli inizi del Cinquecento. Due bambine, dalle storie complicate ed entrambe affidate dai genitori a dei parenti (una, orfana, a un cugino, una, con la madre e il padre costretti a espatriare, a una nonna), trovano un passaggio segreto che unisce le loro due dimore, un castello e un più piccolo maniero costruito nei dintorni. Il proprietario del maniero è da tempo accusato di misteriosi furti che avvengono o tra gli ospiti delle sue mura o tra i viandanti di passaggio: benché non ci siano prove che sia lui il ladro, l'opinione comune è che tutti gli indizi lo accusino. Perciò, alla bambina del castello viene vietato di vedere l'amichetta che vive nel maniero. Ma saranno proprio le due ragazze a scoprire il vero autore dei furti: un vecchio maggiordomo, che sfrutta proprio i sotterranei che uniscono le due magioni. Essendo un romanzo per ragazzi, il colpevole non viene impiccato seduta stante come sarebbe avvenuto nella realtà ma, poiché si pente e si ventila l'ipotesi di una sorta di cleptomania che si sarebbe impadronita di lui, finisce assunto come giardiniere in un convento, da cui comunque gli è impedito di uscire.



BERENICE SI TAGLIA I CAPELLI ALLA MASCHIETTA
di Francis Scott Fitzgerald
collana "Twin Stories" del Corriere della Sera
testo inglese a fronte.
giugno 2012

 Due parole sulla collezione di cui fa parte questo libro: si tratta di piccoli brossourati distribuiti in edicola con il Corriere della Sera, a soli 2.80 euro più il prezzo del quotodiano, che presentano racconti di maestri della letteratura americana in versione originale e annotazioni linguistiche per migliorare l'inglese dei fruitori, oltre a fornire comunque la traduzione italiana. Dopo "Il grande Gatsby" (che ho recensito pochi giorni fa) non potevo perdermi questo gioiellino così agile da leggere, anche perché già dal titolo ("Bernice bobs her hair") fa riferimento alla moda degli anni Venti (l'opera è appunto datata 1920) di cui fu un'icona Zelda Fitzgerald, la moglie dello scrittore, la capostipite e il punto di riferimento delle "maschiette". E Fitzgerald non delude dando ai suoi lettori esattamente quel che promette: uno spaccato della sua epoca (modaiola, festaiola, disinibita, libertina) e un ritratto di alcune folgoranti figure femminili, a partire da Berenice (ragazza un po' all'antica che trascorre le vacanze ospite di una zia in una città diversa dalla sua) e da sua cugina Marjorie (un tipino che invece sa come giocare a fare la seduttrice). Marjorie insegna alla impacciata Berenice com'è che si fa a farsi un seguito di spasimanti, e a diventare popolare fra tutti i ragazzi del vicinato. Finché Berenice non soffia alla cugina il bel Warren, il giovanotto su cui Marjorie aveva messo gli occhi. Leggere il testo italiano e gettare lo sguardo ogni tanto su quello originale è senz'altro utile per allenare il nostro inglese, e non si può, così facendo, non ammirare la pulizia, la ricchezza lessicale e la perfezione stilistica di Fitzgerald, autentico self-made-man che incarna il sogno americano.


GIL ELVGREN
The complete pin-ups
a cura di Charles G. Martignette 
e Louis K. Meisel
Taschen, 2008

E' un volumone (270 pagine formato A4, tutte a colori) che fa la gioia degli occhi e che racchiude oltre quarant'anni di carriera di Gil Elvgren, uno dei massimi illustratori americani del Novecento, specializzato nel raffigurare pin up di fanciulle in fiore. Nato nel 1914 nel Minnesota e scomparso nel 1980, Elvgren ha realizzato, tra le metà degli anni Trenta e quella dei Settanta, qualcosa come cinquecento illustrazioni a colori, che sono finite sotto gli occhi di milioni di persone (alcune sue pubblicità per la Coca Cola e la Coppertone hanno fatto il giro del mondo e sono diventate delle icone). Principalmente,il disegnatore ha lavorato per il settore pubblicitario, per riviste main stream, per riviste per soli uomini e per l'oggettistica legata alle pin up (calendari, carte la gioco), calibrando dunque il livello erotico delle immagini sulla base della committenza, ma senza mai trascendere. Alcune sue immagini raffigurano nudi integrali femminili ma non turberebbero neppure un seminarista, mentre ritratti di donne perfettamente vestite sono allusivi e maliziosi. In ogni caso, le bellezze mostrate sono ragazze acqua e sapone, quasi sempre gioiose, spesso ingenue o sognatrici, sempre empaticamente desiderabili, rassicuranti e leggere, e corrispondenti perciò a un immaginario maschile che cerca in una donna la rassicurazione, la serenità, il divertimento, la seduzione lontana dagli eccessi morbosi e dall'aggressività. Nessuna delle fanciulle si atteggia mai a mangiatrice di uomini. Più che tigri, le ragazze di Elvgren sono gattine. Eppure, non manca loro il sex appeal, né la carica sessuale. Il volume della Taschen, corredato da un lungo e interessante saggio critico (in inglese), mostra anche alcune delle foto delle modelle che posavano per l'artista.



IL PATIBOLO
di Dario Papa
Perosini, 1994

Si tratta di un agile libretto (settanta pagine) che fa parte della collana "Avventure", diretta da Claudio Gallo, il massimo esperto vivente sulla vita e l'opera di Emilio Salgari. E in effetti un collegamento fra Dario Papa (l'autore del testo) e il creatore del Corsaro Nero, c'è: veronesi entrambi, furono scrittori contemporanei (Papa muore nel 1897, a cinquantun anni), ed ebbero tutti e due una carriera giornalistica, lavorando per qualche tempi al quotidiano "L'Arena". Giornalista, Dario Papa lo restò tutta la vita. E che giornalista, a dar retta non soltanto a quel che dicono di lui l'autrice della prefazione (Lucia Annunziata) e i due postfattori (Antonio Marchesi e lo stesso Claudio Gallo), ma anche alle impressioni che si ricavano dalla lettura dei due suoi testi presentati nel volumetto. Si tratta di un paio di interessanti estratti tratti da un'opera più ampia, "New York", datata 1884, che ho letto (lo confesso) nel mio lavoro di preparazione per una storia di Zagor con lo stesso titolo, dato che si descrivono le famigerate "Tombs", ovvero la prigione newyorkese, non lontana dai Five Points, dove si eseguivano le condanne a morte. E proprio di due processi e due esecuzioni si racconta. Papa, nel suo avventuroso viaggio negli Stati Uniti per scopi giornalistici (attraversò tutta l'America de Nord coast-to-coast) descrive il Paese che visita con acutezza critica e non come un turista in gita di piacere. E' critico e perfino severo, anche se poi fu conquistato dall' american way of life e da fervente monarchico (com'era anche Salgari) divenne repubblicano e federalista. "Il patibolo" descrive però la giustizia com'è amministrata (in modo che a lui pare sommario) a New York. E lo fa con asprezza, sembrandogli che agli imputati, soprattutto se poveri e immigrati, non venisse garantito il diritto di difesa (ovvero: che ci fosse un preponderante vantaggio per l'accusa). Singolarmente, Papa contesta l'invadenza della stampa che, a suo dire, faceva i processi in piazza prima ancora dello svolgimento in aula. Scrive il giornalista: "Qualcuno si chiederà come mai i giornali sapessero tante cose. Gli è che negli Stati Uniti essi passano dappertutto con una facilità straordinaria. Certissimamente là i giudici devono avere delle idee molto diverse da quelle dei nostri anche in fatto di preparazione dei processi: perché mentre da noi i giornalisti trovano le porte chiuse, non foss'altro per la ragione che non si vuole intralciare il processo, mettere la gente sull'avviso, frastornare misure che si son prese, là si può ben dire che i giornalisti istruiscono il processo prima ancora che chi ci ha il dovere". Sconvolgenti e terribili i passaggi in cui Papa descrive una impiccagione per cui ha ottenuto un invito, appunto allo scopo di documentarla: "Vidi ciò che di più orribile io abbia veduto mai. A due metri dal suolo, il condannato si agitava nelle più violente convulsioni". A corredo del testo, e anche a commento di queste parole, alcune belle illustrazioni di Paolo Bacilieri.



RUGHE DA SALITA
di Federico Pagliai
Biblioteca dell'Immagine, 2011

Si tratta del secondo libro di Pagliai, classe 1966 e stesso mio comune di nascita, dopo la raccolta di racconti "I miei crinali - Sedici colpi di pennato" (2008), che mi ha folgorato fin dal titolo. Il "pennato" io so benissimo cos'è, perché mio nonno, che andava per i boschi a far legna, lo portava sempre in vita appeso a un gancio che, ai miei occhi di bambino, doveva essere assai simile a quello a cui anche Zagor attaccava la sua scure. Fuori dalla montagna pistoiese, credo che si chiami roncola, ma non sono sicuro che questo secondo termine identifichi esattamente l'accetta arcuata, e dalle dimensioni di un machete, che conosco io. Fatto sta che i "sedici colpi di pennato" erano sedici testi scritti come se fossero stati incisi nella corteccia di un albero: testi scritti, dico, perché non sarebbe corretto neppure chiamarli racconti, dato che di inventato non c'era nulla e il talento dell'autore come affabulatore si manifestava non con l'invenzione ma con la narrazione. Pagliai raccontava cose che aveva visto, che sapeva, o di cui a sua volta aveva sentito raccontare, dando testimonianza di fatti, rappresentando persone, manifestando stati d'animo ed emozioni. Attraverso il suo personale punto di vista di uomo di montagna, abituato ad andare per crinali, a vivere in simbiosi con le rupi e il sottobosco, raccontava un mondo che piano piano va scomparendo. Con "Rughe da salita", l'impresa si ripete. Di nuovo, un titolo bellissimo, Accompagnato da una bellissima foto in copertina. Anche questa volta si tratta di una antologia (nove i titoli), e di nuovo si raccontano storie di montagna, di Appennino pistoiese. Rispetto alla prima prova, Pagliai si è fatto più maturo, anche se servirebbe qualche colpo di pialla o di sgorbia per eliminare le asperità dei colpi di pennato. Tuttavia, che sappia raccontare è innegabile. Si sta ad ascoltarlo a bocca aperta anche quando scrive "empire" per "riempire" o "piuri" per "mirtilli", scrive i mesi con la maiuscola ed esagera in puntini di sospensione e virgolette. Come se parlasse, appunto, e volesse mettere enfasi nel suo discorso. Se nei primi racconti l'esperienza raccontata era più personale, qui si parla di fatti d'altri e di personaggi incredibili, che quasi si fatica a credere che possano essere esistiti davvero. Ma i riferimenti sono precisi, l'autore è attendibile, e la gente di montagna è sempre un po' sopra le righe o un po' sotto. Taciturni e camminatori, con il fiuto per i funghi, l'istinto della caccia, la propensione verso il vino e le mangiate in compagnia (stomaci di ferro, quelli della gente di appennino), si tratta comunque di una razza in via di estinzione, perché sui crinali ci salgono sempre in meno, e lo spirito montanino non sembra essere stato ereditato dalle nuove generazioni. Ma, come scrive Mauro Corona nella sua prefazione, "vi sono molti modi per salvare il passato, vari modi per consegnare ai posteri un po' di memoria". E uno è raccontare ciò che si è visto, ciò che si sa. Talvolta facendo ridere, talvolta commuovendo. In questo modo, anche Celentano, l'uomo in grado di provocare un terremoto artificiale pur di vincere una scommessa, o la banda del Lago Santo, pronta a friggere i funghi con l'olio di una automobile pur di mangiarli, vivranno e rivivranno insieme al loro mondo trasferito su carta in attesa che altre leggende e altri mondi, sostituiti dai successivi, vengano a far loro compagnia.



ADOLF
di Walter Moers
Edizioni e/o, 1998

L'ho trovato su una bancarella dell'usato, e mi ha colpito perché, sfogliandolo, mi è parso un magnifico esempio di scorrettezza politica, un po' come "Hitler = SS", la serie umoristica di Jean-Marie Gourio (testi), e Philippe Vuillemin (disegni) pubblicata sul mensile francese "Hara-Kiri" nel 1980, e poi raccolta in volume anche in Italia. In realtà, i disegni di Vuillemin sono magistrali (nella loro deformazione grottesca) quanto sono banali e perplimenti (come direbbe Rokko Smitherson) quelli del tedesco Moers, che certo non ha lo spessore grafico del collega e punta all'estrema essenzialità dello scarabocchio piuttosto che alla costruzione di una vignetta (e men che mai di una tavola). La storia, raccontata per la prima volta nel 1997 sulla rivista "Titanic" è quella di Adolf Hitler che, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, si è rifugiato nelle fogne meditando sui suoi errori ("sarebbe stato meglio attaccare la Russia sui fianki") e ne esce quando i suoi reati sono caduti in prescrizione. Comincia quindi a cercare di rifarsi una vita nonostante le angosce esistenziali che lo opprimono. Per questo si rivolge a uno psicoterapeuta, il dottor Forunkel, che come strumento per liberarsi dell'ansia gli prescrive il tamagochi. Hitler se ne innamora finché non scopre che si tratta di una invenzione giapponese: "Vili traditori! Gettare la spugna per due misere atomike!". Così, lascia morire il pulcino. Il dottore gli prescrive allora una "bella scopata", ma la prostituta a cui Adolf si accosta si rivela essere un travestito, e per la precisione il fido Goering che si veste da donna per sbarcare il lunario. Durante un viaggio a Parigi, Hitler sale sulla macchina di Lady Diana e provoca l'incidente mortale, scendendone illeso e fuggendo prima che arrivino i soccorsi. Quindi, il nostro viene rapito dagli alieni e, a bordo di un disco volante, si diverte a disegnare svastiche nei campi di grano. Gli alieni, ritenendolo un esempio di maschio perfetto, vogliono farlo accoppiare con una donna perfetta, individuata in Madre Teresa di Calcutta, alla quale, perché si attizzi, viene fatto credere che Adolf sia il papa. Il fuhrer getta la santa donna giù dall'FO, lotta con gli alieni e li fa precipitare in Giappone, dove ritrova il suo psicoterapeuta. Dopodiché, un delirio da feulleton: il dottor Forunkel si rivela essere Lady Diana mascherata, che non è morta nell'incidente parigino: tutta una messinscena per poter scomparire e dedicarsi allo scopo della sua vita, quello di distruggere il mondo. Per realizzarlo, il dottore imbarca Hitler sull'Air Force One, dove c'è il pulsante rosso dell'apocalisse. Forunkel uccide tutto l'equipaggio e vuole che sia proprio Adolf a premere il bottone che scatenerà la guerra globale (chi, meglio di lui?). Il fuhrer riesce a mettere il pazzo fuori combattimento, ma quando cerca di avvisare le autorità a terra che sull'aereo presidenziale americano sono tutti morti e che lui, Adolf Hitler, ne è alla guida, parte un missile terra-aria che abbatte il velivolo. Il nostro eroe si salva con il paracadute e giunge in America del Sud, dove ritrova Goering (ancora vestito da donna), con il quale si accasa. E vissero felici e contenti. Questa è la storia, disegnata male, ma disegnata. Fa ridere? Non so. Qua e là. Certo, Vuillermin era un'altra cosa. C'è da chiedersi comunque se, tutti e due, Moers e Vuillermin, oggi li pubblicherebbe qualcuno.



IL RITORNO DI SCHELETRINO
di Alfredo Castelli, Mario Gomboli e Carlo Peroni
Edizioni Diabolik Club, 2010

Auspicavo il secondo volume delle avventure di Scheletrino, dopo aver letto il primo, pubblicato nel 1994 da Giancarlo Malagutti, che aveva raccolto tutte le storie del parodico criminale (forse dovrei scrivere "kriminale" con la kappa) scritte e disegnate da Alfredo Castelli tutto da solo (one man show), in una antologia che si fregiava di una copertina di Giorgio Cavazzano in cui comparivano, oltre a Scheletrino (evocato in realtà soltanto da un'ombra) anche Martin Mystère e Java. La prima serie di Scheletrino, quella appunto castelliana, va dal 1965 al 1967 (39 storie in tutto), apparse in appendice a Diabolik: si dice che le sorelle Giussani pubblicassero volentieri le tavole del giovanissimo Alfredo perché, essendo Scheletrino appunto raffigurato come uno scheletro, ritenevano che prendesse in giro principalmente il personaggio maggior concorrente del Re del Terrore, ovvero Kriminal. In realtà, Scheletrino prendeva in giro in generale tutti i "neri" italiani, i fumetti con la "K" (ma anche quelli con la X, la Y e J). Ma più in generale era un fumetto demenziale sulla falsariga di quelli che apparivano su Mad, e in linea con i primi fumetti satirici a sfondo sociale e anche politico, pur senza la pretesa di denunciare alcunché. Se inizialmente Scheletrino era un soltanto un ladro sfortunato,a cui vanno tutte male mentre a Diabolik vanno tutte bene, un po' alla Cattivik (che comunque è successivo), successivamente diventa un vero e proprio meta-fumetto, uno di quelli cioè in cui il protagonista sa di essere un eroe di carta e interagisce persino con i redattori della propria Casa editrice (uno dei suoi scopi è prendere il posto di Diabolik nel palinsesto della testata). Ma a un certo punto, Castelli smette di realizzare le avventure del suo testa-di-scheletro, distratto da tante altre cose che aveva cominciato a fare. Così le Giussani chiesero a Mario Gomboli, amico di Alfredo e collaboratore della loro Casa editrice, di portare avanti lui la serie, visto che i lettori chiedevano il ritorno del personaggio. Gomboli accettò a patto che a disegnare le nuove avventure fosse un professionista, che fu facilmente individuato in Carlo Peroni, alias Perogatt. Un maestro del fumetto umoristico, con cui Castelli avrebbe realizzato la serie "La vacchia casa oscura" (che speriamo sia presto ristampata a sua volta). Così, Scheletrino rinasce nel luglio 1970 con disegni effettivamente più curati dello standard precedente. Le prime due storie del nuovo corso, in realtà, portano ancora la firma del BVZA. Poi, Gomboli e Perogatt imperversano da soli per altri tredici episodi, fino al luglio 1971. Poi anche Gomboli getta la spugna, non si sa bene per quale motivo (nella prefazione, lo stesso Gomboli non è molto chiaro: dice che Castelli "manifestò insofferenza" ma, nello stesso tempo, si dimostrò "disponibile" a lasciarlo proseguire, ma lui non volle). A corredo del volume, in appendice, un saggio di Roberto Altariva esamina criticamente tutta la vicenda editoriale di Scheletrino e fornisce alcune dritte su come interpretare passaggi e battute che forse venivano capite all'epoca ma che risultano criptiche oggi. Un solo appunto, al proposito: nella prima storia, si vedono varie proteste in tutto il mondo per ottenere il ritorno di Scheletrino e, per esempio, i manifestanti di destra agitano cartelli con su scritto "Scheletrino o morte!", i pacifisti gridano lo slogan "Fate Scheletrino e non la guerra", i figli dei fiori innalzano striscioni psichedelici, gli impiegati pubblici per protesta cominciano a lavorare (se scioperassero in favore di Scheletrino, sarebbe stata la norma), eccetera. Ma si nota anche Mao Tze Tung che, invece di fare il bagno nel fiume, rimane sdegnoso sulla riva e sembra non volere più nuotare finché Scheletrino non ricomparirà sulle pagine di Diabolik. Le note dicono che "il rifiuto del presidente Mao a esibirsi nella gara di nuoto, con tutta probabilità riecheggia il ventilato boicottaggio delle olimpiadi messicane del 1968 da parte degli atleti di colore degli Stati Uniti". Secondo me, il collegamento più immediato è invece proprio con Mao che per tradizione e in chiave propagandistica si faceva fotografare ogni anno a guazzo nel fiume Yangtze in ricordo di quando, il 16 luglio 1966, aveva attraversato a nuoto il Fiume Giallo all'altezza di Wuhan, per tornare a Pechino a guidare la rivoluzione. Qualche anno dopo, esaminando l'ultima foto che raffigurava la tradizionale nuotata, in Occidente si scoprì che si trattava di un fotomontaggio: il vecchio leader non gliela faceva più, ma la propaganda esigeva che si dimostrasse al mondo come il Libretto Rosso mantenesse giovani e vispi. Anche Magnue & Bunker, in un loro Alan Ford, mostrano Mao nuotare in un fiume e affogare.


IL FARO
di Paco Roca
Tunué, 2006 

Dopo aver raccomandato a tutti "Rughe" e "L'inverno del disegnatore" (vedi qui: http://morenoburattini.blogspot.it/2012/05/letti-letto.html), non posso non raccomandare anche questo bellissimo graphic novel di poco precedente. Paco Roca è sicuramente un grandissimo narratore, nei testi e nei disegni, e chiudendo i suoi libri si resta poi come inebetiti a fissarne la copertina, colpiti, commossi, soddisfatti. "Il faro" è ambientato in Spagna (il Paese dell'autore) durante la Guerra Civile del 1936-1939, ma non è una storia di guerra. Anzi, è una storia della ricerca di una terra utopica in cui le guerre non ci sono. Il giovane Francisco Guirado, repubblicano, ferito e in fuga, cade in mare e viene salvato dal vecchio Telmo, guardiano di un faro da sempre affidato alla sua famiglia. Solo che il faro è spento perché la grande lampada è rotta, e Telmo è in attesa che le autorità gliene mandino una nuova. La guerra sembra aver bloccato tutto, ma l'uomo attende fiducioso e nell'attesa tiene il faro in perfetta efficienza. Non sembra essere schierato nel conflitto in corso: a Francisco che gli chiede se sia fascista, il vecchio indica l'orizzonte e replica: "Come disse il Capitano Nemo, il mare è il rifugio egli uomini liberi". Il ragazzo vorrebbe ripartire appena guarito, ma Telmo lo trattiene. Anzi, lo convince a costruire insieme a lui una barca per raggiungere un'isola che, a suo dire, sorgerebbe in mezzo al mare davanti alla costa, l'isola di Laputa, dove gli uomini sono saggi e illuminati e dove si può vivere in pace. Nel finale, Francisco scopre che non è Verne la sola lettura di Telmo, il quale si nutre di racconti di viaggi e di storie fantastiche, come quelle che gli narrano i resti dei naufragi che le onde depositano davanti al faro, da cui non si è mai mosso. E fra queste letture c'è anche "I viaggi di Gulliver", da cui l'isola di Laputa è tolta di peso. Inoltre, le lettere che il vecchio custodisce in un cassetto svelano anche che il faro è stato abbandonato e che non riceverò nessuna lampada, e anzi il guardiano, licenziato, viene invitato ad andarsene. Ma ecco l'irruzione dei soldati di Franco: il sacrificio di Telmo permette a Francisco la fuga sulla barca. C'è da notare che Paco Roca non ci consegna una storia in cui, come si si aspetta, i repubblicani sono tutti buoni e i franchisti tutti cattivi. Uno degli episodi mostra anzi la strage di una famiglia di innocenti, fucilata dai comunisti solo perché "qualunque persona avesse del denaro era considerata fascista". Sono cose come queste che spingono a cercare l'isola di Laputa, dovunque essa sia, in cerca di un mondo con meno orrori e più giustizia.



IL VECCHIO CHE LEGGEVA ROMANZI D'AMORE
di Luis Sepulveda
Guanda, 2004

Il titolo trae in inganno: ero diffidente nell'approcciarmi a questo libro, temendo in un polpettone romantico-sentimentale-intimista o, peggio, intriso di politicamente corretto o di terzomondismo (il mondo, per me, è uno solo e tutti facciamo parte di quello lì). Invece, ho scoperto un romanzo affascinante, avvincente, emozionante, con personaggi vivi e indimenticabili (a partire dal dentista della scena iniziale, che ha fatto sentire male in bocca anche a me, che soltanto ne leggevo). Nelle pagine di Sepulveda c'è tutto quello che un lettore come me può desiderare: ambientazione esotica (la foresta amazzonica in territorio ecuadoriano), avventura (la caccia a una belva feroce), sangue e morte, descrizione di popoli lontani (gli Shuar, o Jivaros come sono più noti qui da noi), dramma e umorismo, introspezione psicologica, tensione emotiva e perfino una morale da trarne perfettamente condivisibile perché spirituale e non ideologica. L'Amazzonia descritta da Sepulveda in tutta la sua bellezza e la sua crudità (più che crudeltà) è la vera protagonista del racconto, ed è essa stessa un motivo per cui, per esempio, chi si è nutrito delle storie di Mister No non dovrebbe perdersi questo romanzo. Il vecchio a cui allude il titolo è Antonio José Bolívar Proaño, un cacciatore che vive nella piccola comunità di El Idilio, dove si è ritirato dopo aver trascorso molti anni della sua esistenza tra gli indios Shuar e aver imparato da loro a sentirsi parte della foresta, a respirare con essa, a pensare come pensano gli animali e le piante. Tornare fra i bianchi è stato per lui inevitabile, dopo aver commesso involontariamente una sorta di sacrilegio agli occhi degli indigeni, che piangono per lui e con lui quando devono separarsi. E a El Idilio, il suo unico passatempo, che diventa una passione, è quello della lettura di romanzi che narrano di amori travagliati, che fanno soffrire, quasi una sublimazione del suo antico matrimonio, finito male, consumato senza baci. Gli abitanti di El Idilio, rozzi e ignoranti, sono una eterogenea comunità di gente condannata a vivere in una terra ostile che non capisce e contro cui lotta, mentre gli Shuar ci vivono in simbiosi. Il sindaco, in particolare, grasso e odioso, soprannominato "Lumaca", è il simbolo dell'incapacità dei bianchi di intendere i linguaggio della natura. Da qui i suoi frequenti scontri con Antonio José, che spesso gli dimostra la sua incompetenza. Ma quando El Idilio viene minacciata da un tigrillo (un grosso felino simile a un giaguaro) che comincia a uccidere mercanti, cercatori d'oro e viandanti nella foresta, l'esperienza del vecchio diventa indispensabile. A scatenare la furia del tigrillo, una femmina, è stato un "gringo" cacciatore di pellicce, che le ha ferito il compagno e ucciso i cuccioli. Dunque, la violenza della natura è stata scatenata da uno stupro della natura stessa. Vista l'impossibilità di riuscire, con una battuta di caccia in più persone, a fermare il felino, astuto e intelligente quant'altri mai, il sindaco incarica Antonio José di tentare da solo, promettendogli un grosso premio in denaro se riuscirà a riportare la pelle dell'animale. Il vecchio accetta, e ingaggia una lotta con il tigrillo che tiene con il fiato sospeso, fino al duello finale, la cui conclusione rende inevitabile al lettore fermarsi a riflettere.



LE GANG DI NEW YORK
di Herbert Asbury
Garzanti, 2001.

Una scritta in copertina avverte che si tratta del libro "che ha ispirato il film di Martin Scorzese", ed è vero. Però, va detto subito che non si tratta di un romanzo. E' un saggio. Estremamente avvincente, ma è un testo che oggi leggiamo come un libro di storia ma che quando fu scritto, nel 1927, raccontava quasi fatti di cronaca, tant'è vero che l'ultimo capitolo, il sedicesimo, intitolato "La scomparsa dei gangster" si conclude raccontando l'uccisione di un certo Little Augie, avvenuta il 16 ottobre di quello stesso anno. Le fonti che Asbury (uno dei più grandi giornalisti americani del secolo scorso, morto nel 1963) cita sono quasi tutte articoli di giornale e archivi di tribunali e della polizia. La parte più interessante, almeno per il sottoscritto, è comunque quella che racconta della prima metà dell'Ottocento, partendo in realtà dal riempimento del Collect (uno stagno che sorgeva alla periferia nord della New York di fine Settecento) su cui furono in pratica costruiti i Five Points. L'edificio simbolo è la Old Brewery, una fabbrica di birra dismessa che divenne il più celebre caseggiato della storia della città, lo stesso che si vede all'inizio del film di Scorsese, nelle cui viscere (un tempo depositi e magazzini) vivevano centinaia di persone stipate in condizioni di abbrutimento. La descrizione che Asbury fa, citando testimoni dell'epoca, della realtà quotidiana delle strade circostanti è impressionante. Chi legge il libro e poi si rivede il film riconosce mille particolari raccontati dall'autore, dal poliziotto che appende l'orologio a un palo della piazza certo di ritrovarlo (ma solo perché è colluso con i malavitosi), ai pompieri che lottano fra di loro invece di spegnere gli incendi, alla donna con i denti limati e fatti aguzzi che strappa gli orecchi a morsi e ne fa trofei sotto spirito, al bruto con la mazza su cui sono incise tante tacche quante sono state le sue vittime. La regola era che qualcosa apparteneva a qualcuno solo finché costui era in grado di difendersela, chi gliela portava via non commetteva una ingiustizia, dimostrava solo di essere più forte o più furbo. Impressionante anche la parte in cui si racconta della rivolta popolare conseguente alla coscrizione obbligatoria durante gli anni della Guerra Civile. 420 pagine che non lasciano indifferenti: certe atrocità sembrano medievali, ma risalgono davvero a un battito di ciglia fa.