Gli impiegati dell’anagrafe sono sempre increduli, quando uno sceneggiatore di fumetti si materializza di fronte a loro per la carta d’identità. “Professione?”, chiedono. “Sceneggiatore di fumetti”, rispondo. Sobbalzano con gli occhi sgranati, come se uno avesse risposto “pilota d’astronave” o “serial killer”. Non hanno mai preso in considerazione l'idea che qualcuno possa fare un mestiere del genere. A volte ho pensato di definirmi viticoltore (mi occupo di piccole vigne, le vignette) o tabaccaio (vendo fumo: le nuvolette dei dialoghi). Più o meno è lo stesso per i disegnatori. Si racconta che una volta Fernando Tacconi, uno fra i più grandi autori italiani, alla domanda dell’impiegato dell’anagrafe su quale fosse la sua professione, abbia risposto: “Illustratore”. E l’impiegato: “E che cosa lustra?”.
A un certo punto, il ragazzo si decide. Mi si rivoge. Ecco, mi dico, adesso mi chiederà se per caso non sono "quel" Moreno Burattini che lavora alla Bonelli. No. Ciò che mi domanda è: "Ma te che fai? ...Il tatuatore?". Ho così capito che la cosa più vicina a un fumetto che conoscono i ventenni, sono i tatuaggi.