Che fra me e la tecnologia ci sia tutta una serie di incomprensioni mai sanate che macerano da anni, è cosa arcinota. L'argomento è stato persino uno dei primi che ho affrontato aprendo il blog.
Le incomprensioni non riguardano soltanto il computer ma tutto ciò che abbia un meccanismo abbastanza complesso. Per esempio non sono mai riuscito a caricare la penna stilografica che mi hanno regalato per la laurea. Ho difficoltà addirittura a far funzionare il rubinetto dell'acqua: in redazione c'è un lavandino che quando lo apro io provoca un getto così potente da scatenare un effetto Vajont, rimbalzando sul lavabo e colpendomi con micidiale precisione all'altezza della zip dei pantaloni, così che quando esco dal bagno sembra sempre che mi sia fatto la pipì addosso. Sono anni che provo a girare piano la manopola in modo da governare il flusso, ma lo schizzo passa dal gran secco allo tsunami nell'arco di una frazione di grado. Agli altri colleghi, pare che non succeda. Guardo il pacco a tutti quando escono, ma sono asciutti (e chissà che pensano dei miei sguardi).
Di recente, per il mio compleanno, in famiglia mi hanno fatto dono di un cellulare, di quelli senza tasti, che funzionano (o dovrebbero funzionare) toccando lo schermo. Una tragedia. Ho smesso di mandare SMS perché non riesco più a rispondere: batto gran colpi sul vetro senza che l'aggeggio mi degni della minima considerazione, e c'è una specie di punteruolo che gli altri riescono a estrarre dal corpo macchina e che io non trovo mai, mimetizzato com'è non so dove. Per di più, se tengo il telefono in verticale le scritte mi si mettono in orizzontale e viceversa. Il problema non è soltanto questo (e mi avvicino così al tema di questo post), ma è soprattutto nell'umiliazione che provo nel vedere che il resto del mondo non ha problemi. L'altra sera, dopo aver inutilmente cercato di convincere per dieci minuti buoni il mio telefonino a comporre il numero di un certo Francesco dando colpi d'unghia, di polpastrello, di nocche, ho passato l'apparecchio a mio figlio che mi guardava con aria compassionevole. Lui si è rivolto all'apprecchio, gli ha detto "Francesco" a voce alta, con tono deciso, e il telefonino ha immediatamente fatto il numero. Gli ha obbedito! E' bastato dirglielo, comando vocale. Inutile dire che se gli parlo io, il telefonino non dà segni di vita. Ho capito che non si tratta soltanto di incomprensioni. A me, la tecnologia mi odia. Sono vittima di mobbing da parte del mio cellulare.
Le incomprensioni non riguardano soltanto il computer ma tutto ciò che abbia un meccanismo abbastanza complesso. Per esempio non sono mai riuscito a caricare la penna stilografica che mi hanno regalato per la laurea. Ho difficoltà addirittura a far funzionare il rubinetto dell'acqua: in redazione c'è un lavandino che quando lo apro io provoca un getto così potente da scatenare un effetto Vajont, rimbalzando sul lavabo e colpendomi con micidiale precisione all'altezza della zip dei pantaloni, così che quando esco dal bagno sembra sempre che mi sia fatto la pipì addosso. Sono anni che provo a girare piano la manopola in modo da governare il flusso, ma lo schizzo passa dal gran secco allo tsunami nell'arco di una frazione di grado. Agli altri colleghi, pare che non succeda. Guardo il pacco a tutti quando escono, ma sono asciutti (e chissà che pensano dei miei sguardi).
Di recente, per il mio compleanno, in famiglia mi hanno fatto dono di un cellulare, di quelli senza tasti, che funzionano (o dovrebbero funzionare) toccando lo schermo. Una tragedia. Ho smesso di mandare SMS perché non riesco più a rispondere: batto gran colpi sul vetro senza che l'aggeggio mi degni della minima considerazione, e c'è una specie di punteruolo che gli altri riescono a estrarre dal corpo macchina e che io non trovo mai, mimetizzato com'è non so dove. Per di più, se tengo il telefono in verticale le scritte mi si mettono in orizzontale e viceversa. Il problema non è soltanto questo (e mi avvicino così al tema di questo post), ma è soprattutto nell'umiliazione che provo nel vedere che il resto del mondo non ha problemi. L'altra sera, dopo aver inutilmente cercato di convincere per dieci minuti buoni il mio telefonino a comporre il numero di un certo Francesco dando colpi d'unghia, di polpastrello, di nocche, ho passato l'apparecchio a mio figlio che mi guardava con aria compassionevole. Lui si è rivolto all'apprecchio, gli ha detto "Francesco" a voce alta, con tono deciso, e il telefonino ha immediatamente fatto il numero. Gli ha obbedito! E' bastato dirglielo, comando vocale. Inutile dire che se gli parlo io, il telefonino non dà segni di vita. Ho capito che non si tratta soltanto di incomprensioni. A me, la tecnologia mi odia. Sono vittima di mobbing da parte del mio cellulare.
Così, sono mortalmente invidioso quando vado sul blog di Roberto Recchioni e leggo frasi come questa: "Non c'è una App per comprare i libri attraverso l'iPad. Cosa normale una volta che si scopre che l'iPad non può leggere i libri presenti su Biblet a causa del DRM che li protegge. Ovviamente, lo stesso discorso vale per Kindle.
In sostanza, per il momento i due maggiori reader al mondo sono esclusi e l'unico device su cui potete leggere i vostri libri comprati dallo store della Mondadori è il computer".
Eh? Che è l'App? Che è Biblet? E il DMR? E Kindle? E che sono i reader e i device? Per fortuna immagino (ma non ne sono del tutto sicuro) che "lo store della Mondadori" sia una libreria, e mi auguro che dovendo cercarla i passanti a cui chiedessi informazioni sappiano indicarmela anche se la chiamo libreria e non store. O è una libreria telematica? Mah.
Sul blog di Diego Cajelli non va meglio.
Leggo che, avendo dei problemi con un suo fantascientifico telefonino (per fortuna, anche lui) se ne lamenta e scrive: "posso fare il downgrade del firmware, ho capito come farlo ed è alla mia portata perché non sono un celenterato". Al che mi rendo conto che sono un celenterato io, dato che è la prima volta nella mia vita che leggo parole come "downgrade" e "firmware". Al post c'erano due chilometri di commenti di gente che gli dà consigli. Anch'io ho aggiunto il mio, al che la discussione si è interrotta, nessuno ha più osato replicare: "Ho letto quello che avete scritto e non ci ho capito una beata mazza. Non ho idea di che siano HTC wildfire, Android, ios, downgrade e ovviamente non ho afferrato quali siano i problemi del non-so-cosa di Diego. Mamma mia".
Perché vi dico tutto questo? Perché sappiate che se quello che sto per dire lo dico proprio io, che sono (lo abbiamo capito) un celenterato tecnologico, significa che non ci sono dubbi: è drammaticamente vero. Stiamo perdendo il treno, bisogna correre per saltarci sopra al volo, prima che sia troppo tardi. Ecco perché. Si è svolta da poco la Buchmesse, la Fiera del Libro di Francoforte. Nell'occasione, l'Associazione Italiana Editori ha pubblicato il su tradizionale "Rapporto sullo stato dell'editoria in Italia". I dati dicono che il fatturato è calato del 4,3 per cento, la produzione dei titoli dello 0,5 ma la lettura dei libri è aumentata dell'1,1 per cento. Il 45 per cento della popolazione legge meno di tre libri all'anno (in compenso legge chilometri di inutili chat) e il 15 per cento ne legge uno al mese. Leggono più le donne che gli uomini (gli uomini preferiscono evidentemente guardare le donne che leggono) ma, cosa incredibile, nella sola Lombardia si comprano il trenta per cento dei libri venduti in tutta Italia. Fin qui, sono le normali statistiche. Ed ecco invece il dato che mi ha fatto pensare. L'ottanta per cento dei lettori italiani dichiara di non essere disponibile a leggere romanzi sottoforma di e-book e il sessanta per cento dei "forti lettori", quelli che fanno davvero io mercato, risponde di non avere nessuna intenzione di acquistare e-book nei prossimi mesi. E' ovvio che io avrei risposto lo stesso, visto che non riuscirei neppure a far scorrere la prima pagina dopo il frontespizio (ammesso che i misteriosi e-book abbiano un frontespizio), tuttavia in Italia si prevede che i libri digitali tocchino quota 0,1% del mercato in breve tempo. Ma nel resto del mondo le cose stanno molto diversamente. Se ne è parlato a lungo a Francoforte. E anche da noi, la situazione cambierà. Basta vedere la gente che legge l'iPad in metropolitana. Basta considerare che ormai anche i quotidiani e le riviste si possono scaricare per leggersi sullo schermo. I ragazzi non passano più dall'edicola, passano dall'Ovi o dall'iTune Store.
Uno molto informato, Matteo Stefanelli (che ho la fortuna di conoscere personalmente) scrive nel suo blog che "entro fine anno il 10% delle vendite di libri in USA saranno ebook" e che "da qui al 2012 dovremo aspettarci una crescita annuale di questo segmento intorno al 42%". Il Paese dove si vendono più e-book in assoluto, sempre secondo Stefanelli, è il Giappone: nel 2009 ben 6 dei primi 10 bestseller venivano da 'edizioni' per cellulare: "ma le radici del locale mercato dell'e-book affondano su un contenuto piuttosto ignoto agli editori nostrani: il fumetto".
Eccoci al punto. Ragazzi, non so come dirlo, e mi piange il cuore a dirlo, perché io continuerò a leggere robe di carta e quando morirò vorrò essere cremato sulla pira di tutti i miei libri e i miei fumetti (di cui ai miei figli non importerà nulla avendo tutto quello che vogliono leggere nella libreria del loro iPad), però se non cominciamo a mettere i fumetti in formato digitale come e-comics e non li facciamo scaricare ai ragazzi dalla rete, non andremo molto lontano. Dovremmo cominciare almeno a far girare dei trailer, delle anteprime, che so, "Il Giornale di Sergio Bonelli" scaricabile per iPhone e iPad, ma qualcosa del genere bisogna pur pensarla. Dovremmo fare dei siti con delle animazioni, degli effetti speciali, delle applicazioni con funzione download. Dovremmo fare in modo che se i miei figli che si fanno obbedire con i comandi vocali dai telefonini vanno su un sito di fumetti possano pensare "che figata". Poi, facciamo pure i nostri albi di carta, ma se vogliamo avere un futuro presso le nuove generazioni dobbiamo pensare in modo digitale. E detto da me, è davvero clamoroso.
E' come se Maria Pascoli avesse annusato anche lei il profumo del fiore proibito, come l'amica Rachele. Che sto dicendo? Beh, fra i libri su cui sarò cremato ci saranno anche tutti quelli di poesia che riempiono un intero Billy, e fra questi molti saranno del mio amato Giovanni Pascoli, poeta su cui ho anche scritto qualche cosuccia (è il signore con la pipa qua accanto). Nei suoi Poemetti compare una poesia intitolata "Digitale Purpurea".
Nonostante il titolo, non parla di e-books ma di un fiore, quello che vedete in alto, in apertura. Il poeta racconta di sua sorella Maria che, un giorno, ritrova una sua vecchia compagna di scuola, Rachele, con cui insieme avevano frequentato un collegio di suore. Una di queste, aveva messo in guardia le educande dal profumo della "digitale purpurea" che cresceva in un angolo del guardino, dicendo che l'odore emanato era inebriante, ma mortale. La cosa ha un vago fondo di verità, dato che effettivamente dalla pianta si estrae una sostanza curativa che può essere letale se presa in una dose appena superiore. Maria, spaventata, non osò mai più avvicinarsi ai fiori purpurei. Rachele, invece, a distanza di anni, confessa di esserne stata attratta proprio perché erano proibiti, e di averne respirato il profumo a pieni polmoni. L'allusione erotica è chiarissima: l'attrazione, il desiderio, l'ebbrezza, ma anche il timore in chi teme la forza delle pulsioni sessuali. Esattamente come nel "Gelsomino notturno": "dai calici aperti s'esala / l'odore di fragole rosse". Tutti sappiamo che odore è e che cosa sono quei calici aperti. Maria rimase sempre vergine, Rachele, evidentemente, no.
Anche per me, in altro contesto, non la Digitale ma il digitale mi spaventa come se fosse velenoso:
"Ché si diceva: il fiore ha come un miele
che inebria l'aria; un suo vapor che bagna
l'anima d'un oblìo dolce e crudele".
Morirò vergine e zitello senza mai aver letto un e-book (come non ho mai visto un film in 3D), ma so che tutti gli altri si avvicinano senza paura e si inebriano.
In sostanza, per il momento i due maggiori reader al mondo sono esclusi e l'unico device su cui potete leggere i vostri libri comprati dallo store della Mondadori è il computer".
Eh? Che è l'App? Che è Biblet? E il DMR? E Kindle? E che sono i reader e i device? Per fortuna immagino (ma non ne sono del tutto sicuro) che "lo store della Mondadori" sia una libreria, e mi auguro che dovendo cercarla i passanti a cui chiedessi informazioni sappiano indicarmela anche se la chiamo libreria e non store. O è una libreria telematica? Mah.
Sul blog di Diego Cajelli non va meglio.
Leggo che, avendo dei problemi con un suo fantascientifico telefonino (per fortuna, anche lui) se ne lamenta e scrive: "posso fare il downgrade del firmware, ho capito come farlo ed è alla mia portata perché non sono un celenterato". Al che mi rendo conto che sono un celenterato io, dato che è la prima volta nella mia vita che leggo parole come "downgrade" e "firmware". Al post c'erano due chilometri di commenti di gente che gli dà consigli. Anch'io ho aggiunto il mio, al che la discussione si è interrotta, nessuno ha più osato replicare: "Ho letto quello che avete scritto e non ci ho capito una beata mazza. Non ho idea di che siano HTC wildfire, Android, ios, downgrade e ovviamente non ho afferrato quali siano i problemi del non-so-cosa di Diego. Mamma mia".
Perché vi dico tutto questo? Perché sappiate che se quello che sto per dire lo dico proprio io, che sono (lo abbiamo capito) un celenterato tecnologico, significa che non ci sono dubbi: è drammaticamente vero. Stiamo perdendo il treno, bisogna correre per saltarci sopra al volo, prima che sia troppo tardi. Ecco perché. Si è svolta da poco la Buchmesse, la Fiera del Libro di Francoforte. Nell'occasione, l'Associazione Italiana Editori ha pubblicato il su tradizionale "Rapporto sullo stato dell'editoria in Italia". I dati dicono che il fatturato è calato del 4,3 per cento, la produzione dei titoli dello 0,5 ma la lettura dei libri è aumentata dell'1,1 per cento. Il 45 per cento della popolazione legge meno di tre libri all'anno (in compenso legge chilometri di inutili chat) e il 15 per cento ne legge uno al mese. Leggono più le donne che gli uomini (gli uomini preferiscono evidentemente guardare le donne che leggono) ma, cosa incredibile, nella sola Lombardia si comprano il trenta per cento dei libri venduti in tutta Italia. Fin qui, sono le normali statistiche. Ed ecco invece il dato che mi ha fatto pensare. L'ottanta per cento dei lettori italiani dichiara di non essere disponibile a leggere romanzi sottoforma di e-book e il sessanta per cento dei "forti lettori", quelli che fanno davvero io mercato, risponde di non avere nessuna intenzione di acquistare e-book nei prossimi mesi. E' ovvio che io avrei risposto lo stesso, visto che non riuscirei neppure a far scorrere la prima pagina dopo il frontespizio (ammesso che i misteriosi e-book abbiano un frontespizio), tuttavia in Italia si prevede che i libri digitali tocchino quota 0,1% del mercato in breve tempo. Ma nel resto del mondo le cose stanno molto diversamente. Se ne è parlato a lungo a Francoforte. E anche da noi, la situazione cambierà. Basta vedere la gente che legge l'iPad in metropolitana. Basta considerare che ormai anche i quotidiani e le riviste si possono scaricare per leggersi sullo schermo. I ragazzi non passano più dall'edicola, passano dall'Ovi o dall'iTune Store.
Uno molto informato, Matteo Stefanelli (che ho la fortuna di conoscere personalmente) scrive nel suo blog che "entro fine anno il 10% delle vendite di libri in USA saranno ebook" e che "da qui al 2012 dovremo aspettarci una crescita annuale di questo segmento intorno al 42%". Il Paese dove si vendono più e-book in assoluto, sempre secondo Stefanelli, è il Giappone: nel 2009 ben 6 dei primi 10 bestseller venivano da 'edizioni' per cellulare: "ma le radici del locale mercato dell'e-book affondano su un contenuto piuttosto ignoto agli editori nostrani: il fumetto".
Eccoci al punto. Ragazzi, non so come dirlo, e mi piange il cuore a dirlo, perché io continuerò a leggere robe di carta e quando morirò vorrò essere cremato sulla pira di tutti i miei libri e i miei fumetti (di cui ai miei figli non importerà nulla avendo tutto quello che vogliono leggere nella libreria del loro iPad), però se non cominciamo a mettere i fumetti in formato digitale come e-comics e non li facciamo scaricare ai ragazzi dalla rete, non andremo molto lontano. Dovremmo cominciare almeno a far girare dei trailer, delle anteprime, che so, "Il Giornale di Sergio Bonelli" scaricabile per iPhone e iPad, ma qualcosa del genere bisogna pur pensarla. Dovremmo fare dei siti con delle animazioni, degli effetti speciali, delle applicazioni con funzione download. Dovremmo fare in modo che se i miei figli che si fanno obbedire con i comandi vocali dai telefonini vanno su un sito di fumetti possano pensare "che figata". Poi, facciamo pure i nostri albi di carta, ma se vogliamo avere un futuro presso le nuove generazioni dobbiamo pensare in modo digitale. E detto da me, è davvero clamoroso.
E' come se Maria Pascoli avesse annusato anche lei il profumo del fiore proibito, come l'amica Rachele. Che sto dicendo? Beh, fra i libri su cui sarò cremato ci saranno anche tutti quelli di poesia che riempiono un intero Billy, e fra questi molti saranno del mio amato Giovanni Pascoli, poeta su cui ho anche scritto qualche cosuccia (è il signore con la pipa qua accanto). Nei suoi Poemetti compare una poesia intitolata "Digitale Purpurea".
Nonostante il titolo, non parla di e-books ma di un fiore, quello che vedete in alto, in apertura. Il poeta racconta di sua sorella Maria che, un giorno, ritrova una sua vecchia compagna di scuola, Rachele, con cui insieme avevano frequentato un collegio di suore. Una di queste, aveva messo in guardia le educande dal profumo della "digitale purpurea" che cresceva in un angolo del guardino, dicendo che l'odore emanato era inebriante, ma mortale. La cosa ha un vago fondo di verità, dato che effettivamente dalla pianta si estrae una sostanza curativa che può essere letale se presa in una dose appena superiore. Maria, spaventata, non osò mai più avvicinarsi ai fiori purpurei. Rachele, invece, a distanza di anni, confessa di esserne stata attratta proprio perché erano proibiti, e di averne respirato il profumo a pieni polmoni. L'allusione erotica è chiarissima: l'attrazione, il desiderio, l'ebbrezza, ma anche il timore in chi teme la forza delle pulsioni sessuali. Esattamente come nel "Gelsomino notturno": "dai calici aperti s'esala / l'odore di fragole rosse". Tutti sappiamo che odore è e che cosa sono quei calici aperti. Maria rimase sempre vergine, Rachele, evidentemente, no.
Anche per me, in altro contesto, non la Digitale ma il digitale mi spaventa come se fosse velenoso:
"Ché si diceva: il fiore ha come un miele
che inebria l'aria; un suo vapor che bagna
l'anima d'un oblìo dolce e crudele".
Morirò vergine e zitello senza mai aver letto un e-book (come non ho mai visto un film in 3D), ma so che tutti gli altri si avvicinano senza paura e si inebriano.