martedì 22 febbraio 2011

PAROLE E MUSICA

Ho un po' esitato prima di accingermi a dedicare un articolo al Festival di Sanremo. Non perché, giammai, io sia uno di quelli snob con la puzza sotto il naso che se la tirano e schifano a priori la canzone italiana. Anzi, sono lieto di ribadire senza il minimo imbarazzo che preferisco il pop di casa di nostra a qualunque altra forma di espressione musicale.
No, l'esitazione derivava soltanto dal fatto che, insomma, chi frequenta questo blog si aspetta che parli di fumetti o di argomenti limitrofi e dunque che ci azzecca Sanremo?
Ma ecco che di colpo i collegamenti hanno cominciato a fioccarmi in testa in bella evidenza, per cui parlerò senza alcun ritegno proprio del Festival della Canzone italiana e, in modo particolare, del vincitore dell'edizione 2011: Roberto Vecchioni.


A rigor di logica non servirebbero giustificazioni, dato che questo il mio blog e posso scrivere di quel che accidenti mi pare (infatti ho parlato di poesia, erotismo e caccia al cinghiale). Però, la prima scusa che mi viene in mente è che guardando il Festival ho lasciato gli occhi addosso a Nathalie (la più bella in assoluto fra le fanciulle che hanno calcato il palcoscenico in questa edizione) e la cantautrice veniva dalla vittoria a X-Factor, programma che oltre ad aver rubato il titolo a una serie a fumetti americana è stato oggetto del puntuale commento di Diego Cajelli nel suo blog (commento di cui non mi sono mai perso una sola puntata). Dunque se Diego, blogger di grido e sceneggiatore alla moda, parla di gare fra cantanti italiani, perché io dovrei esitare a farlo? Non sia mai detto.

Di fronte alla vittoria di Roberto Vecchioni, il primo pensiero che ho avuto è stato: ecco, ora tutti compreranno il suo nuovo disco e chissà quante volte "Chiamami ancora amore" passerà per radio. Il che mi fa un po' rabbia perché vorrei sapere in quanti hanno comprato il sui precedente album di inediti, "Di rabbia e di stelle", come ho fatto io, e quante radio hanno passato, che so, "Il violinista sul tetto" con il duetto fra lui e Teresa De Sio. Io seguo Vecchioni ininterrottamente dal 1979, anno in cui uscì "Robinson" (con "Signor Giudice" in apertura). Ricordo perfettamente quando comprai quel vinile, che devo aver consumato sul giradischi a forza di sentirlo. E guarda caso, di chi era la bella illustrazione che faceva da doppia copertina? Di Andrea Pazienza. Altro collegamento con i fumetti. Sempre di Pazienza furono le cover di alcuni dei successivi album quali "Hollywood Hollywood" e "Il grande sogno" (in allegato a quest'ultimo c'era anche un libro con poesie dello stesso Vecchioni illustrate da Hugo Pratt e Moebius).

C'è pure un collegamento fra il nuovo disco del cantautore milanese e questo blog: più volte vi ho parlato del mio elenco delle "cose che tutti fanno e io no", in cui sono contenute rivelazioni incredibili sul sottoscritto. Non ho mai visto un film in 3D, non ho mai giocato alla playstation, non ho mai visto una partita di coppa, non ho mai ascoltato il discorso di fine anno del Presidente della Repubblica, e ora aggiungeteci pure che non ho mai scaricato una sola canzone dalla rete. Ho quasi ottomila brani nel mio iPod, ma di tutti ho anche la versione su CD regolarmente comprata in negozio. E dunque sappiate che acquisterò prestissimo anche il CD "Chiamami ancora amore", insieme a un altro che non posso perdermi, il nuovo disco di Max Pezzali. Altro collegamento con questo blog: una volta ho conosciuto, grazie ad Ade Capone, proprio Max Pezzali, andandolo a trovare nel suo camerino dopo un concerto. Gli ho portato in regalo un disegno di Zagor realizzato da Mauro Laurenti che è stato molto apprezzato.

Ho citato Pezzali già una volta in occasione del mio compleanno, e ricordo che su un forum di Zagor qualcuno si è scandalizzato perché mi piacesse proprio lui, invece che, non so, qualche nume del rock internazionale o qualche gruppo messo sugli altari da coloro che se ne intendono. A questa cosa dell'essere deriso per i miei gusti musicali ormai ci ho fatto il callo, ma ai tempi della scuola ci rimanevo piuttosto male. Ero un fan (e lo sono ancora) di Umberto Tozzi, i Pooh e Renato Zero, e i miei compagni mi sbeffeggiavano perché loro ascoltavano i Van Halen. La differenza fra me e loro è questa: di fronte a ogni manifestazione di visibilio dei miei amici riguardo ai dischi che sentivano, io chiedevo di poter ascoltare anch'io tanta meraviglia, e li pregavo di prestarmi i vinili o farmi avere una cassetta, e pendevo dalle loro labbra mentre mi spiegavano perché una certa schitarrata dei Deep Purple doveva procurarmi un orgasmo. Se però io mi offrivo di contraccambiare registrando loro una compilation dei miei cantautori tanto amati, o cercavo di spiegare la bellezza di un testo che mi commuoveva, ottenevo sberleffi, risate sarcastiche, le mimiche dei conati di vomito.


Non ho mai capito perché chi ascolta certa musica si debba ritenere superiore e si consideri in diritto di guardare con disprezzo noi poveri sanremesi, ma tant'è: ormai me ne faccio una ragione. Continuo a non cogliere il motivo per cui "L'isola che non c'è" di Edoardo Bennato debba essere snobbata in favore, non so, di un qualunque pezzo di Bob Dylan. Non si possono ammirare entrambi? Peraltro, chi disprezza Tozzi o i Pooh (dico due nomi a caso) non sembra conoscere davvero la produzione di quei musicisti, di cui pare saper citare a malapena soltanto un qualche remoto successo, per cui magari si prende in giro "Ti amo" (che pure a me sembra un capolavoro) senza nulla sapere de "Il fiume dentro il mare" e senza essere in grado di sostenere una discussione sull'evoluzione dell'autore e della differenza fra i testi scritti per lui da Mogol piuttosto che da Giancarlo Bigazzi.

E qui scatta un altro collegamento con la letteratura disegnata: la stessa cosa sembra accadere quando si parla di fumetti Bonelli e di Zagor in particolare con qualcuno che legge quelli alternativi, o quelli sperimentali, o quelli underground, o quelli americani, o persino i manga, e mi sembra che si sentano tutti superiori. Mi sono trovato una volta a parlare con un autore italiano (si dice il peccato ma non il peccatore) di quelli che lavorano per l'estero e si ritengono, giustamente, degli artisti. Mi è capitato di dire che, secondo me, le copertine di Gallieno Ferri sono fra le più belle del fumetto mondiale e lui ha sgranato gli occhi replicando: "Starai scherzando, spero". No, non scherzavo. Lo penso davvero. Mi devo vergognare?

Ma torniamo a Roberto Vecchioni (che peraltro ha scritto anche, come autore, canzoni estremamente leggere come "Donna felicità" dei Nuovi Angeli, e ha tutta la mia ammirazione anche per quelle). Conosco praticamente tutte le sue composizioni ed è l'unico in gradi di scrivere pezzi perfino su Alessandro Magno o Vincent Van Gogh, ma anche sul culo di una donna dicendo ciò che tutti gli uomini pensano, senza essere in alcun modo volgare.
Alcune sono dedicate invece a dei poeti, come "A.R." (le iniziali di Arthur Rimbaud) o "Canzone per Alda Merini". Ma ce n'è una, temo sconosciuta ai più, dedicata proprio a chi poeta per mestiere. Si tratta de "La corazzata Potemkin" e comincia così:

Siamo i poeti, i nani sui giganti,
non si direbbe, eppure siam viventi;
metaforiamo, metaforiamo tutto,

da non capirci più se c'era un senso sotto.

Abbiamo in testa idee meravigliose,
che raramente coincidon con le cose:
voliamo alto, se non capite niente
peggio per voi, mica scriviamo per la gente...

Più avanti, la satira colpisce ancor di più.

Non hanno scampo le goffe imitazioni
di 4 o 5 scribacchini di canzoni:
loro non sanno scavare la parola
fino a ridurla come un torsolo di mela!


Caro Roberto, hai perfettamente ragione. I veri poeti del nostro tempo sono proprio gli scribacchini di canzoni. Non soltanto perché, a tutti gli effetti, i loro testi sono versi di poesia. C'è di più. La poesia, quella di coloro che non scrivono per la gente, non raggiunge quasi più il cuore di nessuno. Sono i testi delle canzoni che hanno assunto il compito della poesia, nella società: sono loro che descrivono i moti dell'animo, che assolvono una funzione catartica o liberatoria, o che incitano a reagire, o illuminano di nuova luce il reale o veicolano idee o semplicemente fanno sognare. Sono i versi dei parolieri e dei cantautori che passano di bocca in bocca, vengono imparati a memoria, ripetuti nelle riunioni fra amici, rimuginati nei momenti di solitudine. Ognuno ha la sua canzone che almeno una volta lo ha fatto piangere.

La letteratura italiana nasce dopo che i trovatori provenzali, tra il XII e il XIV secolo, hanno cominciato a scrivere versi in volgare, in un neolatino chiamato lingua d'oc (oggi scomparsa, dato che il francese moderno deriva da un altro neolatino, la lingua d'oil). Ebbene, i versi di quei trovatori erano scritti per essere cantati. Non sappiamo esattamente quali fossero le melodie, ma la nostra storia letteraria nasce da lì. E i cantastorie che giravano per i borghi medievali, lo facevano aiutandosi con dei disegni che raffiguravano le scene delle loro canzoni. Mi pare che come collegamento finale con il fumetto non ci sia male.