sabato 21 gennaio 2012

FAMMI ASCOLTARE ANCORA YESTERDAY


Qualche giorno fa, poco lontano da casa mia, è morto un amico. Uno che non ho mai incontrato in vita mia, ma a cui sento di dovere molto. Tanto da andare a fargli visita alle cappelle mortuarie dell'ospedale Versilia, nei pressi di Viareggio.

Vedo varie sale con gente che veglia la salma di un caro estinto, con fuori una targa e il nome del defunto. Sull'ultima cappella in fondo, leggo il suo: Giancarlo Bigazzi. Lo stesso nome letto mille volte fra gli autori di infinite canzoni sentite e cantate in infinite occasioni, da solo e in compagnia: Montagne verdi, L’Eternità, Ti amo, Gloria, Gente di Mare, Non si può morire dentro, Gli uomini non cambiano, Non amarmi, Cenerentola innamorata, Vaffanculo, Bella stronza, Si può dare di più. Entro, sperando di trovarlo e potergli dare il mio personale ultimo saluto, magari dirgli grazie. Ma la stanza è vuota, il compositore è stato già portato via, a Firenze, dove è stata allestita la camera ardente. Bigazzi si era spento nella notte di mercoledì 18 gennaio, dopo un ricovero che durava già da qualche giorno. Aveva 71 anni.

Immagino già i risolini di quelli che se una canzone è italiana, o se ha vinto Sanremo o il Festivalbar, se la cantano nei karaoke e nei piano bar, se ha avuto successo anche all’estero ed è famosa in tutto il mondo, fa schifo per forza perché è stata cantata da Massimo Ranieri, Umberto Tozzi, Marco Masini o Raf. Ridete pure, sapendo però che io non riderò mai dei testi e delle musiche dei grandi che cantano inglese e dunque non vi ripagherò con la stessa moneta, anzi, sarò sempre disposto ad ascoltare tutte le melodie e persino le cacofonie che mi verranno consigliate (pur sapendo che non sarò contraccambiato). Però sappiate che Giancarlo Bigazzi ha fatto piangere, emozionare, ridere e sognare tante di quelle persone che non riuscireste a contarle, e che anche voi, detrattori della canzone italiana, avete dovuto fare i conti con lui tutte le volte che vi siete sorpresi a canticchiare “Luglio” o “Lisa dagli occhi blu”, perché l’avete fatto.

Sorprende lo snobbismo con cui i telegiornali hanno ignorato la scomparsa del compositore toscano. Mi pare di capire che l’unico paroliere di casa nostra a cui si sono innalzati mausolei mentre è ancora in vita sia Mogol, e ovviamente condivido l’ammirazione: ma Bigazzi non era da meno. Soltanto che non si è mai dato arie da artista né, soprattutto, da intellettuale. A lui interessava arrivare dritto al cuore del pubblico e, accusato di ruffianeria, una volta disse: «Se ruffianeria vuol dire toccare le corde profonde dell'anima, chiamatemi ruffiano. Non m'importa se si dice che faccio speculazione con le parole, l'importante per me è far venire la pelle d'oca alla gente». E a me, come a milioni di persone, la pelle si accappona ogni volta che sento cantare, in “Lisa dagli occhi blu”:

Amore fatto di vento
il primo rimpianto
sei stata tu




Nel suo profilo Facebook, Umberto Tozzi ha scritto questo commento: “Cari amici, è con grande dolore che scrivo queste poche righe per parlare del caro Giancarlo Bigazzi che non è più tra noi. Ed è difficile parlarne, un po’ perché non riesco a esprimere l’uragano di sentimenti e di ricordi che ho nel cuore e un po’ perché è difficile salutare una persona che ha fatto cose talmente grandi che resteranno per sempre nella storia della musica italiana. Non posso e non voglio, in questo momento, fare celebrazioni retoriche che io non amo e che di certo lui non avrebbe voluto. Perché Giancarlo è una persona verace, istintiva, selvaggia, e sono proprio queste caratteristiche che ne hanno fatto un musicista al servizio della musica. Vedete, mi viene spontaneo scriverne al presente: gli anni passano, ma quello che abbiamo fatto insieme è qualcosa senza tempo. E allora so quale sarà l’unico modo giusto per parlare di Giancarlo: cantare. Cantare quelle canzoni che tanta fortuna hanno portato a me e a lui, e che tanta gioia di vivere hanno portato a tutti voi. Ogni volta che le canterò non avrò bisogno di spiegare tante cose. Perché loro parleranno, come hanno fatto in tanti anni, e come faranno di certo per tanti anni ancora”.


Mi colpisce una espressione: “quelle canzoni che tanta gioia di vivere hanno portato a tutti voi”. Mi sembra questo l’aspetto più importante da cogliere. Al diavolo gli atteggiamenti snob e la puzza sotto il naso, gli steccati e le categorie, quelli che solo il rock o il jazz, quelli che soltanto loro ci capiscono. “Montagne verdi” ha portato tanta di quella gioia di vivere che basterebbe per fare al suo paroliere un monumento.




Mi ricordo montagne verdi
E le corse di una bambina
Con l’amico mio più sincero
Un coniglio dal muso nero
Poi un giorno mi prese il treno
L’erba, il prato e quello ch’era mio
Scomparivano piano piano
E piangendo parlai con Dio.


Ho già scritto una volta qualcosa qui sul blog sull’importanza dei testi delle canzoni. La poesia, quella “ufficiale”, dicevo, non raggiunge quasi più il cuore di nessuno. Sono i testi delle canzoni che hanno assunto il compito della poesia, nella società: sono loro che descrivono i moti dell'animo, che assolvono una funzione catartica o liberatoria, o che incitano a reagire, o illuminano di nuova luce il reale o veicolano idee o semplicemente fanno sognare. Sono i versi dei parolieri e dei cantautori che passano di bocca in bocca, vengono imparati a memoria, ripetuti nelle riunioni fra amici, rimuginati nei momenti di solitudine. Ognuno ha la sua canzone che almeno una volta lo ha fatto piangere. La letteratura italiana nasce dopo che i trovatori provenzali, tra il XII e il XIV secolo, hanno cominciato a scrivere versi in volgare, in un neolatino chiamato lingua d'oc (oggi scomparsa, dato che il francese moderno deriva da un altro neolatino, la lingua d'oil). Ebbene, i versi di quei trovatori erano scritti per essere cantati. Non sappiamo esattamente quali fossero le melodie, ma la nostra storia letteraria nasce da lì.

E potrebbero essere stati scritti da un trovatore i versi, messi in musica da Totò Savio, con cui Bigazzi, in “Vent’anni”, fa cantare a Massimo Ranieri la storia della sua giovane vita:

La mia vita cominciò
Come l’erba come il fiore
E mia madre mi baciò
Come fossi il primo amore.


Si parla dell’amore di una mamma (un argomento su cui l’autore sarebbe tornato altre volte, per esempio in “Love”, scritta con Umberto Tozzi), ma ovviamente l’amore che ispira più canzoni è quello fra un uomo e una donna, e io trovo meraviglioso il testo di “Eternità”, cantato dai Camaleonti (la musica è di Claudio Cavallaro) e da Ornella Vanoni. Un uomo guarda la propria donna che dorme, serena, accanto a lui e si rende conto che l’eternità è in quell’attimo:

Eternità,
spalanca le tue braccia
io sono qua
accanto alla felicità che dorme
per lei vivrò
e quando avrà bisogno
io ci sarò
ad asciugare le sue lacrime.



Non so voi, ma io mi emoziono. Sarà perché certe cose le ho provate anch’io. Come mi emozionano questi altri versi, scritti da Bigazzi per Gianni Bella (sua la musica anche di “Montagne verdi”), nella canzone “Non si può morire dentro”:

Se il nostro amore è
Un altro fallimento
Non me la prenderò con te con lui o con il vento
Perché son stato io
A sollevarti il mento
Perché non ti comprai
E adesso non ti vendo.


Gianni Bella è forse il primo degli artisti di cui Bigazzi è stato in qualche modo il mentore, l’idol maker, il produttore oltre che il paroliere. Ma altri ce ne sarebbero stati, perché un grande merito di Giancarlo era quello di essere un talent scout dal grande fiuto e di saper far fruttare al massimo il feeling che si creava fra lui e i musicisti con cui decideva di collaborare. La collaborazione più fruttuosa è stata sicuramente quella con Umberto Tozzi, da lui messo sotto contratto giovanissimo, subito dopo la vittoria a “Canzonissima” di “Un corpo e un’anima”, portata al successo da Wess e Dori Ghezzi ma scritta da Tozzi con Damiano Dattoli, con cui Umberto aveva da poco dato vita al gruppo dei “Data” e inciso l’album “Strada bianca”.

Il duo Bigazzi-Tozzi avrebbe prodotto successi planetari come Donna amante mia, Io camminerò, Ti Amo, Tu, Gloria, Stella Stai, Notte Rosa, Eva, Si può dare di più. Vale la pena di leggere che cosa scrive lo stesso Umberto del suo primo incontro con Giancarlo, in un brano tratto da “Non solo io”, l’autobiografia del cantautore pubblicata da Aliberti (2009).



Piero Sugar mi comunicò che, se lo desideravo, Giancarlo Bigazzi mi avrebbe ospitato a casa sua a Firenze, per scrivere insieme qualche canzone. La prospettiva di confrontarmi con in autore già affermato e famoso e la smania di veder nascere nuove canzoni, mi rasserenava. Mi dovetti quindi decidere ad affrontare il viaggio a Firenze. Così, con la mia chitarra acustica (una Martin D28 che Oscar Prudente, coautore e caro amico di Ivano Fossati, mi aveva portato dall’America), una valigia e qualche indumento, mi misi in marcia per raggiungere il capoluogo toscano con la mia Fiat 127. Non fu facile trovare la dimora di Giancarlo sulle colline fiesolane. La villa era ancora in fase di ristrutturazione, cosa che scatenava nel proprietario indicibili stati d’ansia. L’abitazione si sviluppava su due piani, con un ampio giardino tutt’intorno che ospitava una grande depandance-studio arredata solo con un pianoforte gran coda e un sacco da pugilato pendente dal soffitto e puntualmente preso a cazzotti da Bigazzi quando doveva scaricare le proprie tensioni. Da lì si godeva uno spettacolare panorama: di fronte si vedeva la piscina e, a scendere verso l’orizzonte, tanti alberi d’ulivo che a tratti nascondevano alla vista i tetti delle case di Firenze. Una visione magica che infondeva calma e serenità. Giancarlo mi accolse al cancello e mi condusse subito nella camera da letto che mi aveva riservato. In casa, mi accolse la moglie Gianna, una donna bellissima dai capelli rossi. Dopo cena, fui invitato ad andare nello studio. Rimasi subito colpito dalla diversità dei nostri ritmi di vita: Giancarlo conduceva un’esistenza frenetica, era superattivo e ansioso. Volle subito capire se tra lui e me sarebbe potuto scattare un feeling musicale: si sedette al pianoforte invitandomi a suonare la chitarra. Accordo dopo accordo ci saremmo presto resi conto se sarebbe stato il caso, o meno, di creare insieme nuove canzoni. Anche nel comporre eravamo molto diversi. Traduceva un’idea musicale in matematica, non seguiva un’ispirazione di tipo artistico, e ciò venne molto utile per dare un ordine alle molte note che mi vorticavano in testa e che spesso non riuscivo a controllare. Intrapresi così questo nuovo viaggio accompagnato dal mio istinto e sotto l’egida della grande figura professionale di Giancarlo Bigazzi. Stavo vivendo e scoprendo un mondo inaspettato, nuovo e intrigante. Un mondo in cui potevo finalmente intravedere il mio futuro, con obiettivi chiari e lucidi che mi facevano ben sperare. La cosa, però, che più mi disturbava, era l’eccessiva serietà con la quale gli altri intorno a me vivevano questa professione, specialmente l’ansia che mi trasmetteva Giancarlo diventava a volte insopportabile”.

Colpiscono i riferimenti che Tozzi fa all’ansia e al carattere difficile che caratterizzavano Bigazzi, e che molte altre testimonianze confermano (tant’è vero che non mancarono i litigi, anche aspri, con tutti i suoi collaboratori). Ma, d’altro canto, Giancarlo aveva la capacità di imbrigliare e disciplinare il talento altrui, aiutandoli a condurre in porto progetti di successo. E che successi: dopo Tozzi, Bigazzi lancia Raf e Marco Masini, scrivendo i testi della stragrande maggioranza dei loro successi (da “Inevitabile follia” a “Ti pretendo” nel primo caso, alle tante hit del secondo, come “T’innamorerai” o “Bella stronza”).
Rimango sempre ipnotizzato da “Ci vorrebbe il mare”:

Ci vorrebbe il mare
Che accarezza i piedi
Mentre si cammina verso un punto che non vedi
Ci vorrebbe il mare
Su questo cemento
Ci vorrebbe il sole col suo oro e col suo argento
E per questo amore
Figlio di un’estate
Ci vorrebbe il sale per guarire le ferite


Ma, nonostante le serratissime collaborazioni con i suoi protetti, riesce a scrivere canzoni per tanti altri artisti: Mia Martini, Mina, Aleandro Baldi, Gianni Morandi, Claudia Mori, Adriano Celentano. Ma, da buon fiorentino amante della goliardia, dà vita anche al gruppo degli Squallor insieme agli amici Daniele Pace, Totò Savio e Alfredo Cerruti. Il primo disco, “38 luglio”, nasce per scherzo: eppure in breve la band di rock demenziale arriva a vendere l’inverosimile. Album come “Arrapaho” e “Uccelli d’Italia” arrivano a tirare milioni di copie e ispirano persino dei film, oltre ad aprire la strada agli Skiantos e ad Elio e le Storie Tese. Bigazzi non era solo un paroliere e un produttore di talento, ma anche un compositore di musica. Sua, per esempio, è la colonna sonora del film “Mediterreaneo” di Gabriele Salvatores, pellicola del 1991 premiata con l’Oscar.

Sbaglia chi crede Bigazzi autore di soli testi facili. Non è facile il testo di “Gli uomini non cambiano”, cantata da Mia Martini.

Gli uomini non cambiano
Fanno i soldi per comprarti e poi ti vendono
E la notte gli uomini non tornano
E ti danno tutto quello che non vuoi
Ma perché gli uomini che nascono
Sono figli delle donne
Ma non sono come noi?



E poi, c’è la grande attenzione al sociale, evidentissima in decine di brani, da “Gesù che prendi il tram” (dove arriva a scrivere: “compagno Gesù”) a “Si può dare di più”, passando per “Gli altri siamo noi”, tutti musicati da Tozzi:

Ci somigliano angeli e avvoltoi
Come specchi gli occhi nei volti
Perché gli altri siamo noi
I muri vanno giù
al soffio di un’idea
Allah come Gesù
In chiesa o dentro a una moschea
E gli altri siamo noi
Ma qui sulla stessa via
Vigliaccamente eroi
Lasciamo indietro i pezzi di altri noi
Che ci aspettano e si chiedono
Perché nascono e subito muoiono
Forse rondini foglie d’Africa
Ci sorridono di malinconia
tutti vittime e carnefici
tanto prima o poi gli altri siamo noi.


Però, io sono sempre rimasto incantato dal Bigazzi poeta dei moti del cuore, quello che suscita emozioni, come in “Marea”:

Marea
Di fiordalisi stesi
A perdita di idea
A perdita di te

O in “Il marinaio delle stelle

Il marinaio delle stelle
Ha un tatuaggio di brillanti sulla schiena
E non vederlo è la sua pena.

O “Io camminerò”:

Bianchi zingari i passi tuoi
Nell’anima il silenzio da quanto tempo hai
Io d’amore ti vestirò
E non dovrai tremare dove io ti porterò.
Io camminerò
Tu mi seguirai
Angeli braccati noi
Ci sarà un cielo
Io lavorerò
Tu mi aspetterai
E una sera impazzirò
Quando mi dirai
Che un figlio avrai, avrò.

O “Tu sei di me”:

Tu sei di me
la voce che canta
Tu sei di me
la mano che pianta
una quercia bambina,
tu sei la mattina.


O “Please”:

Please
Chiamami chiamami grida sussurra telefona
Ogni tanto chiama
Chiamami chiamami grida sussurra telefona
Se sei sola e vuoi che usciamo a cena
Chiamami chiamami grida sussurra telefona
Anche se solo mi penserai
C’è sempre un fuoco un che di telepatico
Fra chi si è amato
E si ama ancora.


Tutte canzoni di Tozzi, la cui musica permette a Bigazzi di sperimentare (com’è evidente nell’allitterazione di “se sei sola” o nell’onomatopeico “chiamami chiamami grida sussurra telefona”) effetti musicali fatti con il suono delle parole. Ricordo ancora che una volta, nell’estate del 1980, dopo aver sentito “Stella stai” alla radio, un mio amico si meravigliò nello scoprire che a cantarla era appunto un italiano e il testo nella nostra lingua: gli era sembrata una canzone in inglese. Infatti, il testo non ha senso, sono parole giustapposte per creare un musica:

corpoaformadies
dolcepiede sulmiogas
quandovo quandosto
per sospirarti di blu


E che dire del perfetto nonsense “scivola scivola scivola” messo lì solo per creare un suono gradevole da sentire e da cui essere affascinato? Mi ha sempre incantato. Ci sento l'eco del Burchiello, il poeta nonsense del Quattrocento fiorentino, che componeva perfetti endecasillabi del tipo "nominativi fritti e mappamondi". E di questi esperimenti in cui il testo sembra folle ma in realtà è messo al servizio della musica ce ne sono tantissimi, da “Mama”:

nel mio cuore c’è un rammendo
o un ricamo chi lo sa
di un’estate tamarindo
spenta troppo tempo fa

a “Ti amo”, dove i versi sono ossessivi come è ossessiva la melodia e come è ossessivo l’amore.
E poi c’è il Bigazzi incazzato, e coraggioso nella potenza di certe frasi, come in “Bella stronza” (Masini):

Mi verrebbe di strapparti quei vestiti da puttana
E tenerti a gambe aperte finché viene domattina.

Ma, da questo punto di vista il suo capolavoro è “Vaffanculo”, catartico è liberatorio e da cantare a squarciagola:


Me ne andrò nel rumore dei fischi
Sarò io a liberarvi di me
Di quel pazzo che grida nei dischi
Il bisogno d’amore che c’è
Ora basta
Io sto male
Non è giusto
Vaffanculo.



Ci sono poi le canzoni in cui lo stesso Bigazzi parla del suo lavoro di paroliere e di compositore, come in “Passerà” di Aleandro Baldi:

le canzoni non si scrivono
ma nascono da sé
son le cose che succedono
ogni giorno intorno a noi

le canzoni basta coglierle
ce n'e' una anche per te
che fai piu' fatica a vivere
e non sorridi mai

le canzoni sono zingare
e rubano poesie
sono inganni come pillole
della felicita'

le canzoni non guariscono
amori e malattie
ma quel piccolo dolore
che l'esistere ci dà.


O come in “E se non canto” di Umberto Tozzi:

E se non canto che cos’altro posso fare
In questo mondo di bandiere
In questo mondo che d’amore ha sete e fame
Io se non canto mi si aprono le vene
E se non canto posso fare il falegname
Ma costruirei solo chitarre
E se mi dessero un milione a non far niente
Mi sentirei dietro le sbarre se non canto.


Si canta per non sentirsi dietro le sbarre e per guarire dal male di vivere, dunque.
E’ l’ansia di libertà di un altro grande successo di Tozzi, “Zingaro:”

Zingaro voglio vivere come te,
andare dove mi pare non come me,
e quando trovi uno spazio nella città,
montare la giostra e il disco di un anno fa

Zingaro senti l'ossido di che sa
attento a non ammalarti di civiltà

La notte io dormo al fuoco se tocca a me
ma zingaro voglio vivere come te
Abito là ma vengo via
Costa un'enormità e poi non c'è più poesia


Come salutare Bigazzi, se non cantando, come propone Tozzi?
C’è una canzone che Giancarlo ha dedicato alla terra di origine della sua famiglia, la Maremma, là dove andava a scrivere talvolta le sue composizioni. Significativamente, il brano si intitola"Mamma Maremma", è piena di memorie di una vita contadina che non c’è più e di voglia di tornare a cercare le proprie radici. Comincia così:

E va, il treno sulla spiaggia va
Ma dove sei, estate del 56?
Grosseto è ormai metropoli
La strada più bianca della vita mia
Mia madre che voleva ti chiamassi zia
Ma fra di noi c’era un segreto.

Mamma Maremma che allegria
Mangiar polenta in casa tua
Mamma Maremma il fuoco a letto
Poggiar la testa sul tuo petto


E per finire, una preghiera.
E’ quella di “Tu (domani)", in cui Bigazzi si rivolge al Signore e conclude così:

E quando sarà vecchio e triste Dio
Fammi ascoltare ancora Yesterday
E poi fammi morire accanto a lei.





PLAYLIST MINIMA di GIANCARLO BIGAZZI
escludendo le canzoni di Umberto Tozzi e Marco Masini

1968: Luglio - Riccardo Del Turco

1968: Rose rosse - Massimo Ranieri

1968: Il Carnevale - Caterina Caselli

1969: Lisa dagli occhi blu - Mario Tessuto

1969: Cosa hai messo nel caffè - Antoine / Riccardo Del Turco

1969: Se bruciasse la città - Massimo Ranieri

1970: Eternità - I Camaleonti / Ornella Vanoni

1970: Lady Barbara - Renato dei Profeti

1970: Vent'anni - Massimo Ranieri

1971: 38 luglio - Gli Squallor

1972: Montagne verdi – Marcella

1972: Sole che nasce, sole che muore – Marcella

1972: Erba di casa mia - Massimo Ranieri

1972: Mani mani - Loretta Goggi

1973: Perchè ti amo - I Camaleonti

1973: Io domani – Marcella

1973: Un sorriso e poi perdonami – Marcella

1973: Come sei bella - I Camaleonti

1974: Nessuno mai – Marcella

1974: Il campo delle fragole - I Camaleonti

1974: Più ci penso - Gianni Bella

1975: Piccola Venere - I Camaleonti

1975: Negro – Marcella

1976: Non si può morire dentro - Gianni Bella

1977: Io canto e tu - Gianni Bella

1978: No - Gianni Bella

1979: Toc toc - Gianni Bella

1980: Innamorarsi - Ornella Vanoni

1981: Questo amore non si tocca - Gianni Bella

1981: Pensa per te – Marcella

1982: Non succederà più - Claudia Mori

1983: Arrapaho - Gli Squallor

1983: Self control – Raf

1984: Nel silenzio splende - Gianni Morandi

1984: Un amore grande - Loretta Goggi

1986: Manzo - Gli Squallor

1987: Gente di mare - Umberto Tozzi & Raf

1987: Si può dare di più - Umberto Tozzi & Gianni Morandi & Enrico Ruggeri

1988: Inevitabile follia – Raf

1989: Cosa resterà degli anni '80 – Raf

1989: Ti pretendo – Raf

1992: Gli uomini non cambiano - Mia Martini

1992: Rapsodia - Mia Martini

1992: Non amarmi - Francesca Alotta & Aleandro Baldi

1994: Passerà - Aleandro Baldi

1996: Soli al bar - Aleandro Baldi & Marco Guerzoni

2002: Accidenti a te – Fiordaliso

2003: Non si cresce mai - Bobby Solo & Little Tony